DI DMITRY ORLOV
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In tutte le descrizioni di situazioni pericolose che ho studiato, che sorgono durante avventure in alto mare o in alta montagna, o durante conflitti armati, raramente un singolo errore risulta fatale. Nella maggior parte dei casi, la morte è il risultato di una sequenza di scelte sbagliate che si rinforzano l’un l’altra. Queste scelte possono non apparire sbagliate al momento – ma lo sono certamente col senno di poi! Questa è l’essenza dello scacco matto: non ci sono altre mosse, a quel punto, e nessuna delle mosse precedenti può essere ritirata. Neanche esistono, in realtà: se ne sono andate in un universo immaginario popolato da fantasmi pieni di rimpianti per coloro che non le hanno fatte.
Come ci si dovrebbe attendere da un fenomeno naturale, il fallimento è come un frattale – osservabile ad ogni scala. Lo stesso modello di strategia maladattiva che porta a morti intempestive si riproduce costantemente al livello di virus e batteri, via via fino a individui vegetali e animali, popolazioni, società, paesi e civiltà. La natura va avanti cancellando i suoi esperimenti falliti, che superano di gran lunga i suoi successi. La maggior parte delle persone conoscono la teoria della selezione naturale e sono in grado di capire il fallimento individuale e di gruppo. Negli ultimi decenni, però, – abbastanza di recente, infatti – è diventato non ammissibile parlare di accettazione del fallimento, inteso come stato terminale, da parte di enti molto grandi, società e paesi. Essi sono sempre considerati bisognosi di salvataggio, riorganizzazione, aiuto, riforma, ricostruzione, sviluppo e così via. Degradazione perpetua e decadimento, seguiti dalla caduta nell’oblio senza scampo semplicemente non sono possibili. Haiti un giorno sarà prosperosa, la Somalia un modello di democrazia, e forse le basse nazioni costiere e le isole possono avere un futuro brillante, seppure bagnato, se le popolazioni sono fornite di respiratori per aiutarle a fronteggiare l’aumento del livello degli oceani. Quando tentiamo di venire a patti con la morte di civiltà, osservabile regolarmente, e con la morte prossima della nostra, il nostro fallimento nell’affrontarla è totale: gli antichi archetipi pagani prendono il posto del nostro pensiero, il nostro inconscio ha il sopravvento e noi siamo trasportati in un regno da film fantasy di second’ordine. Tutte le persone ragionevoli concordano che il futuro sia o “Mad Max” o “Waterworld”; fate la vostra scelta, fine della discussione.
Il concetto di strategia, e di giochi di strategia, è utile, ma quando viene applicato a problemi seri (invece di distrazioni infantili come lo sport) il nostro pensiero tende a essere distorto dalle cattive abitudini che lo sport ci inculca. Noi tendiamo a pensare ai giochi come piacevoli esperienze di apprendimento che ci insegnano a giocare meglio la volta successiva. L’idea che ci sarà sempre una prossima volta è insidiosa. La grande maggioranza dei giochi che osserviamo, sia in natura, sia nella società, sono specificatamente giocati per determinare se ci dovrebbe essere una prossima volta. “Ma io ho imparato la lezione e la prossima volta che giochiamo vincerò!”, dice il campione sconfitto. “Non sarà necessario”, dice la Morte. “Dobbiamo affrettarci. C’è un vecchio eccitato che muore dalla voglia di incontrarti. Sarà il tuo allenatore personale per il resto dell’eternità.” Ma anche questa piccola narrazione senza tempo ha un difetto, poiché la Morte raramente ha così fretta e l’avanguardia dell’eternità è abbastanza sfuocata. La sconfitta si sovrappone alla decadimento, che si sovrappone alla morte. Noi continuiamo a giocare molto oltre il punto nel quale la nostra sconfitta avrebbe dovuto esserci chiara guardando indietro. Nel frattempo, arriviamo ad accettare come nostro allenatore personale il diavolo che conosciamo, e possiamo anche illudere noi stessi nel pensare che stiamo vincendo.
È un problema serio che gran parte della vita è stato riformulata in termini di sport. Si dà per scontato che sappiamo “fare squadra”, e quando falliamo ci tiriamo su e riproviamo, oppure cadiamo in una rete di salvataggio. Quando siamo nei guai possiamo sempre chiamare aiuto. Quando qualcuno muore, è sempre il risultato di un incidente, mai il risultato inevitabile di un’errata valutazione. Le persone che, pur sbagliando ripetutamente, ci riprovano sono lodate per la loro persistenza, non si preoccupano di essere falliti seriali. Ciò non è necessariamente un male; la gente dovrebbe proteggersi reciprocamente e lo fa. Ciò che è peggio è che più in alto uno è nella società, più le conseguenze del fallimento tendono a diluirsi, fino ad arrivare a quei luoghi esaltati la cui esistenza è salvaguardata dall’incantamento magico “troppo grande per fallire”. Questo incantamento è abbastanza efficace: molte persone ne sono ipnotizzate. Esso impedisce loro di vedere qualcosa che è abbastanza ovvio: quando i fallimenti ripetuti ricevono continuamente soccorsi, questo permette loro di gonfiarsi fino a quando diventano troppo grossi per i soccorritori, punto in cui diventano troppo grossi per non cadere. Quando uno qualunque di essi non può ulteriormente essere salvato, ne risulta una caduta a cascata che sopraffa il resto, e il fallimento diventa devastante. Passato quel punto, nessuno prova a fare più niente: la società si è data scacco matto.
Ciò che accade dopo quel punto ha un’impressionante somiglianza con quanto accaduto in precedenza. Tutto sommato, prima c’erano molti problemi senza soluzione e si potevano vedere molte tendenze culturali degenerative. Solo che dopo ce ne sono di più, e sono più gravi, anche se potrebbe non esserci un’evidente differenza qualitativa. Potrebbe non essere immediatamente visibile che c’è stato uno scacco matto e col tempo il punto specifico può essere visibile solo a posteriori, ammesso che lo sia. Le emergenze vanno e vengono, e la gente si abitua al fatto che le spiagge sono nere e talvolta prendono fuoco e bruciano per settimane, o che c’è una voragine che attraversa il centro della città dove c’era il lungofiume, o che l’elettricità c’è solo per un paio d’ore al giorno. I cani e i bambini diventano indomabili, ma nessuno ricorda quando ciò ha cominciato ad accadere, così tutti danno per scontato che è sempre stato così. Né nessuno ricorda quando è diventato di moda tatuarsi il logo delle aziende sul cuoio capelluto, o mostrare orgogliosamente le natiche in pubblico. Un espatriato che parte e torna dopo qualche tempo potrebbe pensare che questo ora è un paese completamente diverso, ma coloro che sono rimasti potrebbero fare fatica a cogliere la differenza perché per loro i cambiamenti sono stati troppo lenti per superare la soglia della percezione.
La popolazione può diminuire rapidamente, ma anche questo è spesso impercettibile. Ampie porzioni del paesaggio diventano spopolate, ma nessuno lo nota poiché nessuno frequenta più quei luoghi. Quando le nascite superano le morti, la popolazione cresce esponenzialmente. Quando le morti eccedono le nascite, la popolazione diminuisce con la stessa intensità.. Ci sono sempre delle gravidanze, e c’è sempre qualche funerale; il cambiamento nel rapporto tra i due non può essere percepito direttamente. L’estinzione di una società non fa alcun rumore quando alla fine accade. I sopravvissuti semplicemente traslocano. I non sopravvissuti potrebbero anche non essere esistiti, e i sopravvissuti più creduloni arrivano a credere che le strane rovine che hanno abbandonato siano opera di extraterrestri.
Come arriva una società a darsi scacco matto? Non mancano esempi tratti dal mondo reale, ma la vita reale è complessa, quindi ecco una semplice allegoria. Supponiamo che ci sia una tribù chiamata mercanoidi, che per gran parte della sua storia è del tutto ordinaria, ma che ad un certo punto attraversa una strana mutazione culturale. Una sinergia accidentale tra elettricità atmosferica e sostanze chimiche presenti nell’acqua produce uno strano effetto nelle loro menti, che li fa sgattaiolare via da città e villaggi, dove finora hanno abitato felicemente, per andare a risiedere in piccole capanne sparse nei circostanti pascoli, campi e boschi. Continuano a trasferirsi intorno e cambiano spesso capanna, finché pochi di essi conoscono o si fidano dei loro vicini. Questo li fa sentire piuttosto insicuri, e il modo attraverso il quale i mercanoidi decidono di sentirsi più sicuri è minando la terra attorno alla loro proprietà e contrassegnandola con dei cartelli con la scritta “Non oltrepassare! Campo minato!”
Questo li fa sentire molto più sicuri, mentre in realtà li rende molto meno tali: i predatori presenti tra loro diventano ragionevolmente bravi nell’evitare le mine, al contrario del resto della popolazione, w ciò produce un’ampia sottoclasse di persone le cui gambe sono saltate in aria. Costoro, essendo relativamente immobili e senza difesa, rappresentano un bersaglio ancora più desiderabile per i predatori della società e, naturalmente, compensano ciò acquistando più mine e più potenti. Questo ciclo si ripete alcune volte, finché le persone con due gambe diventano la minoranza. Poiché le persone a cui mancano uno o due arti inferiori sono, in una certa misura, meno produttive di quelle con due gambe, a tempo debito l’economia dei mercanoidi non potrà più produrre il surplus necessario per investire in nient’altro oltre le mine (che ora trovano più economico importare dalla Cina a credito piuttosto che produrle da sé). Poiché il servizio del debito divora sempre più le entrate dei mercanoidi, le loro disponibilità economiche crollano. Di conseguenza, grucce, sedie a rotelle e gambe artificiali diventano beni di lusso che sempre meno persone tra loro riescono a permettersi. Senza questi dispositivi le sempre più numerose persone senza gambe non possono più circolare, rendendo più difficile per loro la possibilità di essere membri produttivi dell’economia dei mercanoidi, accelerando il crollo della produzione economica.
Quando questo ciclo vizioso diventa troppo evidente per essere ignorato da ogni mercanoide di media intelligenza, sorge un movimento di riforma. Gli attivisti organizzano attività comunitarie di sminamento e promuovono l’idea di una annuale “settimana senza mine”. Gli imprenditori lavorano per sviluppare “mine verdi”, che stordiscono le persone invece di menomarle, ma queste sono viste come meno efficaci e quindi insicure. Qualche politico estremista compie il passo radicale di sminare la sua proprietà. Molti di questi trovano la loro capanna ripetutamente svaligiata a tranquillamente rimettono le mine. Ad un certo punto un brillante mercanoide visionario ha una epifania ed esclama: “Non sono le mine che ci uccidono! Sono le capanne!” Tutti pensano che sia completamente pazzo: come è possibile non vivere nella propria capanna privata? È il sistema di vita mercanoide!
Nel frattempo, piccoli gruppi di persone con ancora due gambe iniziano a riunirsi ai margini della società mercanoide. Invece di vivere in capanne molto disperse, essi vivono compatti in tende, trasferendosi in luoghi non minati. Essi rifuggono le mine e si difendono (anche reciprocamente) stando sempre all’erta e, se necessario, con dei bastoni appuntiti. Essi sviluppano spontaneamente una sorta di linguaggio insensato che ha un effetto altamente distruttivo per la mentalità mercanoide corrente. Questo effetto è così distruttivo che la società mercanoide, non avendo l’energia per opporsi a questi gruppi di fuoriusciti, è portata a negare strenuamente la loro esistenza. A loro volta, i fuoriusciti ignorano felicemente gran parte della società mercanoide, aspettando pazientemente che si dissolva, cosa che, a suo tempo, avviene.
Spero che il senso della mia piccola parabola sia chiaro. Una società fa una serie di scelte sbagliate (che non sembrano tali a quel tempo). Una volta che ciò è accaduto, non resta che aspettare. Le svolte sono irreversibili, e tentare a far tornare la società sui suoi passi è inutile. In questa situazione, l’unico comportamento adattivo che possiamo fare è vivere come se queste scelte non siano mai state fatte prima. Ciò, naturalmente, è molto difficile e, in caso di successo, porta all’impopolarità, quindi si dovrebbe considerare l’alternativa: non fare niente. Con le parole senza tempo dell’I Ching, “Perseveranza non è propizia. Nessuna macchia.”
Dmitry Orlov
Fonte: http://cluborlov.blogspot.com
Link: http://cluborlov.blogspot.com/2010/06/checkmate.html
15.06.2010
Traduzione per www.comedonchisciootte.org a cura di GIUSEPPE FOLLINO