SANGUE E ORRORE IN PALESTINA – PARTE PRIMA – Colonizzare la Palestina

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DI ANTONELLA RANDAZZO

Che si creda o no all’esistenza di Gesù Cristo o alle tribù d’Israele, la Palestina rappresenta una terra importante nella Storia degli esseri umani. Eppure è un luogo in cui la popolazione ha subito le più crudeli persecuzioni, costretta ad oggi a vivere in guerra, controllata a vista dall’esercito.
In molti territori dell’attuale Stato di Israele, 2700 anni fa la situazione era più o meno la stessa, l’impero Assiro perseguitava gli abitanti, distruggendo e deportando.

La località di Megiddo, o Tell al-Mutesellim (in arabo), appariva nel Nuovo Testamento (nell’Apocalisse di Giovanni) col nome di Armageddon, in ebraico “monte di Megiddo”, ossia il luogo in cui, secondo la mistica cristiana, dovrebbe avvenire una sorta di battaglia finale fra le forze del bene e quelle del male.
Megiddo è una collina che comprende un sito archeologico che nell’8° secolo a. C. fu un campo di battaglia. Gli Assiri uccisero buona parte della popolazione e deportarono parecchie persone in Mesopotamia. L’impero Assiro dominò per molto tempo, dividendo gruppi etnici e culture.
Paradossalmente, sembra che l’antico progetto di distruzione del popolo palestinese non sia mai sparito.
Nell’età contemporanea tutto iniziò con la fine della Prima guerra mondiale, quando gli inglesi avrebbero dovuto mantenere l’impegno preso di rendere la zona indipendente.
Durante la Prima guerra mondiale, le potenze occidentali sostennero con convinzione il principio di autodeterminazione dei popoli, e fornirono alle popolazioni arabe più che una speranza di poter costruire un assetto politico-economico liberamente scelto sulla base della loro cultura. Il presidente americano Thomas Woodrow Wilson, nei suoi 14 Punti, sosteneva: “Una sicura sovranità sarà garantita alle parti turche dell’Impero ottomano attuale (compresa la Palestina); ma le altre nazionalità che si trovano in questo momento sotto la dominazione turca dovranno avere garantita un’indubbia sicurezza di esistenza ed il modo di svilupparsi senza ostacoli, autonomamente”.(1)
Dopo la Prima guerra mondiale, il problema del potere sui territori ex ottomani assunse caratteristiche diverse rispetto alle aspettative arabe. Per i paesi vincitori, la Gran Bretagna, la Francia e gli Usa, il problema principale era diventato quello di spartirsi la “torta”, senza alcuna considerazione per la cultura araba e per le promesse fatte agli arabi.

La Gran Bretagna avrebbe dovuto rispettare la dichiarazione di Balfour, e permettere agli ebrei di ottenere parte della Palestina, ma dovette esitare per evitare le proteste dei popoli arabi. Le autorità inglesi, anche se non avevano alcuna intenzione di rispettare i patti conclusi con gli arabi, volevano evitare di provocarli a tal punto da creare gravi disordini.
Le popolazioni arabe si accorsero ben presto che il discorso sull’autodeterminazione era caduto nel dimenticatoio, e a partire dal 1920 si ebbero numerose rivolte e sollevazioni contro il potere britannico.
Gli arabi della Palestina furono ingannati spudoratamente dagli inglesi e dagli americani. Essi avevano combattuto contro i turchi, con la convinzione che dopo la guerra avrebbero avuto una piena sovranità su tutte le loro terre. Thomas Edward Lawrence (Lawrence d’Arabia), che si era prestato a capeggiare la rivolta degli arabi, sospettando che le autorità inglesi non avrebbero mantenuto la promessa, confessò a Winston Churchill:

“Azzardai la frode poiché ero convinto che l’aiuto degli arabi fosse necessario per una nostra vittoria, veloce e a buon mercato, in Oriente, e che fosse meglio vincere e non mantenere la parola data, piuttosto che perdere… L’ispirazione araba fu il nostro strumento principale per vincere la guerra d’Oriente. Così assicurai loro che l’Inghilterra avrebbe mantenuto la promessa nelle parole e nei fatti. Sorretti da ciò, essi compirono le loro belle imprese; ma, ovviamente, invece di essere orgoglioso di ciò che facevamo insieme, provavo continua amarezza e vergogna.”(2)

Quando gli arabi si accorsero che gli inglesi avevano fatto il doppio gioco, organizzarono il congresso generale dei nazionalisti arabi, che si riunì a Damasco nel luglio del 1919. I progetti sionisti e la spartizione delle regioni islamiche, progettata dai paesi occidentali, vennero decisamente rifiutati.
L’allora segretario di Stato alle colonie Winston Churchill, per tranquillizzare i palestinesi, scrisse un memorandum (Memorandum Churchill), in cui sosteneva che sarebbe stata limitata la possibilità di creare uno Stato ebraico in Palestina, anche se gli ebrei continuavano a giungere sul territorio palestinese. Da 83.790 (nel 1922) divennero, nel 1929, 156.481. Nel 1929, fu creata un’Agenzia ebraica per la Palestina, che si occupò anche di costruire ospedali, scuole e l’Università di Gerusalemme. Mentre gli arabi venivano indeboliti anche da divisioni interne (fra sostenitori degli Husseini e degli Nashashibi), gli ebrei della Palestina si organizzavano e diventavano sempre più numerosi, grazie ai notevoli finanziamenti di Rothschild e all’appoggio politico degli Usa.
La formazione dello Stato d’Israele è stata fatta contro gli interessi degli stessi ebrei, e fomentando l’antisemitismo.
Nel 1881 la Palestina era un’area tranquilla, popolata da mezzo milione di abitanti, di cui 20.000 ebrei. C’era una notevole tolleranza religiosa, e le caratteristiche culturali arabe si manifestavano anche attraverso il calore e l’ospitalità del popolo palestinese. Con la nascita del sionismo le cose sarebbero drammaticamente cambiate.
Il sionismo nasce ufficialmente nell’agosto del 1897, anno in cui si svolge il Primo Congresso Sionista Internazionale. Il promotore è Theodore Herzl, un giornalista austriaco ebreo non praticante, che l’anno precedente aveva scritto il libro “Der Judenstaat” (Lo Stato Ebraico), in cui promuoveva l’idea di creare uno Stato Ebraico. All’epoca il suo progetto risultava sconcertante, perché equivaleva a privare migliaia di palestinesi della loro terra. Le idee sioniste facevano parte di un ampio progetto politico per colonizzare la Palestina, finanziato dal Barone Edmond de Rothschild che, dagli anni Ottanta del XIX secolo, aveva organizzato diversi insediamenti di ebrei russi e polacchi in Palestina.
Il progetto di Herzl, sostenuto dagli Usa, procederà con cautela, e inizialmente non menzionerà nemmeno la parola “Stato”, ma l’eufemismo “focolare”. Tuttavia, dopo la dichiarazione di Balfour, il progetto avanzava, e con l’insediamento degli ebrei iniziò un percorso caotico di separazioni, razzismo e prevaricazione a danno dei palestinesi.
Negli anni Venti e Trenta del secolo scorso, nacquero movimenti armati sionisti per il controllo del territorio, come Lehi (chiamato anche Stern dal nome del suo fondatore Avraham Stern), l’Haganà, e l’Etzel. Queste formazioni organizzeranno molti attentati terroristici, per uccidere i palestinesi o costringerli a fuggire dalle loro terre.
Negli anni Trenta del secolo scorso, i sionisti si appoggiarono ai nazisti per riuscire a far arrivare in Palestina molte famiglie tedesche di ceto medio-alto. Racconta l’ex capo della Federazione Sionista tedesca, Hans Friedenthal: “La Gestapo fece di tutto in quei giorni per dare impulso all’emigrazione, in particolare verso la Palestina. Ricevemmo spesso il loro aiuto qualsiasi cosa ci fosse richiesta da altri enti a proposito dei preparativi per l’emigrazione”.(3)
Nello stesso anno in cui Hitler salì al potere, fu siglato l’Accordo di Trasferimento, che permise a decine di migliaia di ebrei tedeschi di emigrare in Palestina. L’Accordo, detto anche Haavara, venne firmato nell’agosto del 1933, da funzionari tedeschi e da Chaim Arlosoroff, segretario politico dell’Agenzia ebraica, centro palestinese dell’Organizzazione Mondiale Sionista.
Ogni ebreo, che decideva di emigrare in Palestina, doveva depositare il proprio denaro in un conto speciale. Il denaro sarebbe stato utilizzato per comprare in Germania materiali da costruzione o prodotti agricoli, che poi sarebbero stati venduti alla compagnia ebraica Haavara, e il ricavato sarebbe stato restituito ai coloni. Tutto questo aveva lo scopo di portare in Palestina coloni e capitale, per sviluppare rapidamente l’economia del futuro Stato.
Gli inglesi pretendevano il pagamento di 1000 sterline per ogni immigrato giunto ad Haifa o in altri porti, e per provvedere a questi pagamenti venne creata la Banca Anglo-Palestinese, che aveva sede a Londra. I sionisti puntavano a portare in Palestina le famiglie ebree benestanti, per incrementare i capitali del futuro Stato d’Israele. Osserva lo storico Edwin Black:

“Farla finita con l’embargo antitedesco era uno dei traguardi dei sionisti. Il Sionismo doveva far uscire il capitale degli Ebrei tedeschi e i beni commerciali erano l’unico mezzo a disposizione per ottenere questo scopo. Ma ben presto i leaders sionisti capirono che le possibilità di successo per l’economia del futuro Stato ebreo di Palestina erano indissolubilmente connesse con la sopravvivenza dell’economia tedesca. Per questo la dirigenza sionista ebbe motivo di andare ancora oltre: l’economia tedesca andava difesa, stabilizzata e se necessario rafforzata. Quindi il partito nazionalsocialista e l’organizzazione sionista avevano un comune interesse al risanamento della Germania”.(4)

I sionisti, dunque, sostenevano l’economia tedesca per pagare l’emigrazione ebraica, ma avevano anche bisogno di propagandare il regime nazista come crudele e sanguinario, per spaventare gli ebrei e convincerli ad emigrare. Fra il 1933 e il 1941, emigrarono in Palestina circa 60.000 ebrei tedeschi, attraverso l’Haavara e altri accordi con i nazisti; si trattava di circa il 10% della popolazione ebraica della Germania. Fu trasferito dalla Germania alla Palestina un capitale di 139 milioni e 57.000 marchi tedeschi (oltre 40 milioni di dollari).(5) Accordi commerciali con la Germania nazista portarono in Palestina altri 70 milioni di dollari. Grazie all’Haavara furono costruite industrie, aziende e imprese commerciali, che svilupparono l’economia del futuro Stato israeliano.
I sionisti erano d’accordo nel discriminare gli ebrei, e utilizzarono l’antisemitismo per convincere che fosse necessario far nascere uno Stato ebraico. Stephen S. Wise, presidente dell’American Jewish Congress e del World Jewish Congress, ad un raduno, nel giugno del 1938, disse: “Io non sono un cittadino americano di religione ebraica, io sono un ebreo. Hitler ha ragione su un punto. Egli definisce il popolo ebraico una razza e noi siamo una razza”.(6)
Le idee e i progetti dei sionisti furono condivisi e appoggiati dal governo nazista, che li aiutò ad organizzare in Germania quaranta campi e centri agricoli, dove trovarono rifugio temporaneo i futuri coloni. Nei campi sventolava la bandiera ebraica, in violazione alle Leggi di Norimberga.
Alla fine degli anni Trenta, il governo britannico cercò di limitare l’immigrazione ebraica in Palestina, ma Hitler aveva stipulato un accordo segreto con i sionisti capeggiati da Mossad le-Aliya Bet, per portare gli ebrei in Palestina in modo clandestino.
Sia il nazismo che il sionismo partivano dal presupposto che gli ebrei non dovessero integrarsi nella società tedesca. Scriveva il “Jüdische Rundschau”, giornale della federazione sionista:

“Il Sionismo riconosce l’esistenza di un problema ebraico e desidera una soluzione costruttiva e di vasta portata. A tal fine il Sionismo desidera ottenere l’assistenza di tutti i popoli, sia favorevoli che contrari agli ebrei, perché, dal suo punto di vista, noi qui siamo affrontando un problema concreto e non di sentimenti, alla soluzione del quale tutti i popoli sono interessati”.(7)

Il governo di Hitler sostenne il sionismo e l’emigrazione degli ebrei tedeschi in Palestina dal 1933 fino al 1940. Grazie all’aiuto da parte del governo nazista, la federazione sionista guadagnò molte adesioni, e attraverso numerose pubblicazioni fece ampia propaganda per convincere i tedeschi ad emigrare in Palestina.
All’inizio degli anni Trenta erano molto pochi gli ebrei tedeschi che volevano andare in Palestina, ma dopo l’ondata di propaganda antisemita da parte del governo, molti iniziarono a convincersi, soprattutto perché impauriti dalle conseguenze che l’antisemitismo diffuso dal nazismo avrebbe potuto avere. Secondo alcuni storici, come Walter Laqueur, gli ebrei tedeschi, prima che Hitler salisse al potere, non erano inclini a considerare i sionisti come i loro leader politici e non avevano nemmeno lontanamente l’idea di dover emigrare in Palestina per risolvere i problemi ebraici.
Il giornalista Klaus Polkehn ritiene che le autorità sioniste desiderarono che il nazismo andasse al potere per essere aiutati a portare ebrei in Palestina.(8) Di fatto, Hitler collaborò attivamente e fu grazie al suo aiuto che i sionisti riuscirono a far trasferire il 10% degli ebrei tedeschi in Palestina. Secondo Black, il sionismo puntava a far emigrare soprattutto le famiglie ebree di classe medio-alta, per costruire l’economia capitalistica in un’area non sviluppata:

“Il Sionismo doveva far uscire il capitale degli Ebrei tedeschi e i beni commerciali erano l’unico mezzo a disposizione per ottenere questo scopo. Ma ben presto i leaders sionisti capirono che le possibilità di successo per l’economia del futuro Stato ebreo di Palestina erano indissolubilmente connesse con la sopravvivenza dell’economia tedesca. Per questo la dirigenza sionista ebbe motivo di andare ancora oltre: l’economia tedesca andava difesa, stabilizzata e se necessario rafforzata. Quindi il partito nazionalsocialista e l’organizzazione sionista avevano un comune interesse al risanamento della Germania.”(9)

Al contrario delle autorità sioniste, molti ebrei si opposero al nazismo, e in tutto il mondo protestarono quando, nel 1933, Hitler salì al potere. Il 27 marzo del 1933, i capi della Comunità Ebraica internazionale organizzarono manifestazioni di protesta a Londra, Chicago, Philadelphia, Boston, Baltimore, Cleveland e in altre 70 località.(10) Gli ebrei capivano che il nazismo non sarebbe stato loro favorevole, e cercarono in tutti i modi di far capire al mondo intero la pericolosità della Germania di Hitler, auspicando sanzioni contro il regime, ma né le autorità inglesi né quelle americane vollero adottare misure economiche penalizzanti. Al contrario, le banche e le società anglo-americane fecero grossi affari con Hitler, anche durante la guerra.
Il governo di Hitler fece una forte pressione affinché gli ebrei tedeschi non si sentissero accettati, e riscoprissero la loro identità ebraica. Le Leggi di Norimberga, approvate nel 1935, proibivano le relazioni fra ebrei e non ebrei, e consideravano la minoranza ebraica come straniera. Ciò incoraggiava gli ebrei ad avvicinarsi alle teorie sioniste, che sostenevano l’importanza di emigrare nella terra di “Sion”.
Già negli anni Venti dello scorso secolo, il sionista Jacob Klatzkin aveva cercato di convincere gli ebrei tedeschi ad emigrare in Palestina, appoggiando l’idea che essi fossero stranieri: “Noi ebrei siamo stranieri, un popolo straniero in mezzo a voi e desideriamo continuare ad esserlo. Un ebreo non sarà mai un leale tedesco; chiunque chiama questa terra straniera la propria patria è un traditore del popolo ebraico”.(11)
L’antisemitismo era funzionale ai progetti sionisti, come fece notare Ben Gurion: “Non sempre e in ogni luogo io mi opporrò all’antisemitismo. I sionisti giocheranno regolarmente la loro utile carta razziale antisemita”. Lo stesso Theodor Herzl aveva istigato l’odio verso gli ebrei per indurli ad emigrare: “E’ fondamentale che le sofferenze degli ebrei diventino peggiori perché questo favorirà la realizzazione dei nostri piani. Io ho un’idea eccellente e indurrò gli antisemiti a liquidare le ricchezze degli ebrei, gli antisemiti inoltre ci assisteranno quando rafforzeranno la persecuzione e l’oppressione degli ebrei. Gli antisemiti saranno i nostri migliori amici”.(12) Il rabbino sionista Yosef Klausner, alla Conferenza Ebraica Americana del 2 maggio 1948, sostenne:

“Sono convinto che il popolo deve essere forzato ad andare in Palestina. Per loro, un dollaro americano appare come il più alto degli obiettivi. Con la parola “forzare”, io voglio suggerire un programma. Esso è servito per l’evacuazione degli Ebrei in Polonia, e nella storia dell’Exodus. Nell’applicare questo programma noi dobbiamo, invece di dare conforto ai profughi, fornire loro il più grande disagio. Nella fase successiva dobbiamo chiedere aiuto all’Haganah per tormentare gli ebrei”.(13)

I sionisti cercarono ovunque di spingere gli ebrei ad emigrare, utilizzando l’antisemitismo e il terrorismo. Ad esempio, nel periodo 1949-1950, il sionista Mordechai ben Porat, attuò un piano per convincere funzionari iracheni ad approvare leggi che inducessero gli ebrei a lasciare l’Iraq. Facevano parte del piano anche diversi attentati terroristici contro le sinagoghe di Baghdad, attuati nel marzo del 1950.(14)
Finché la Gran Bretagna ebbe il protettorato in Palestina, non tutti gli emigranti ebrei furono accolti in Palestina. Nel luglio del 1947, fu rimandata indietro la nave Exodus, che dall’Europa portava in Israele 4500 ebrei sopravvissuti all’Olocausto.
Nel novembre del 1947, l’Assemblea Generale dell’Onu decise la spartizione della Palestina in uno Stato ebraico e uno Stato palestinese.
Quell’anno gli ebrei in Palestina erano 600.000, e possedevano circa il 6% della terra palestinese coltivabile, mentre i palestinesi erano 1.250.000. La risoluzione dell’Onu, votata il 29 novembre 1947, dava agli israeliani il 55% delle terre palestinesi, nonostante la popolazione israeliana costituisse soltanto un terzo degli abitanti della Palestina.
Nel 1948 venne proclamato lo Stato d’Israele, riconosciuto immediatamente dal presidente americano Harry Truman, e poco tempo dopo anche dall’Urss.
Il 14 maggio del 1948, la Lega Araba dichiarò guerra al nuovo Stato, ma fu sconfitta, e l’anno successivo Israele firmò l’armistizio con l’Egitto, il Libano, la Giordania e la Siria.
Nonostante le autorità israeliane avessero ottenuto molto di più di ciò che avrebbero dovuto, iniziarono una vera e propria guerra per occupare altri territori e per impedire il costituirsi di uno Stato palestinese. Con la violenza, riuscirono ad occupare l’81% dell’area totale della Palestina, costringendo alla fuga un milione di arabi. Occuparono 524 città e villaggi arabi, distruggendone 385. Sulle rovine dei villaggi, costruirono nuovi edifici e insediamenti. Lo storico Benny Morris racconta il massacro del popolo palestinese:

“I massacri compiuti dagli israeliani furono molto più numerosi di quanto pensassi in precedenza. Con mia sorpresa, ci furono anche molti casi di stupro. Nell’aprile e maggio del 1948 unità della Haganah (la forza di difesa che esisteva prima della fondazione dello stato di Israele) ricevettero ordini operativi in cui si affermava esplicitamente che dovevano cacciare gli abitanti dalle loro case e distruggere i villaggi. Al tempo stesso è emerso che l’Alto comitato arabo e i leader palestinesi diedero ordine di allontanare da alcuni villaggi bambini, donne e anziani… il 31 ottobre 1948, il comandante del fronte settentrionale, Moshe Carmel, emanò un ordine scritto in cui comandava alle sue unità di accelerare l’allontanamento della popolazione araba. Carmel intraprese quell’azione immediatamente dopo la visita di Ben-Gurion al comando settentrionale, di stanza a Nazareth. Per me non c’è alcun dubbio che quell’ordine provenisse proprio da Ben-Gurion… A partire dall’aprile del 1948 Ben-Gurion si orientò verso i trasferimenti forzati di popolazione… Lo stato ebraico non sarebbe nato senza la cacciata di 700mila palestinesi dalle terre che abitavano”.(15)

Nell’aprile e nel maggio del 1948, l’Haganah ricevette ordini dal governo di Ben-Gurion di cacciare i palestinesi dalle loro case e di distruggere i villaggi. Almeno 800.000 palestinesi furono cacciati dalle loro terre. Durante i trasferimenti forzati si ebbero massacri, violenze e stupri contro la popolazione palestinese. Molti villaggi furono dati alle fiamme, e oltre 800 persone persero la vita. Gli arabi definirono tutto questo Nakba (catastrofe).
Nel dicembre del 1948, in seguito alla visita di Menachem Begin negli Usa, Albert Einstein e altri scienziati ebrei fecero pubblicare una lettera sul “New York Times”, che diceva:

“Fra i fenomeni più preoccupanti dei nostri tempi emerge quello relativo alla fondazione, nel nuovo stato di Israele, del Partito della Libertà (Tnuat Haherut), un partito politico che nella organizzazione, nei metodi, nella filosofia politica e nell’azione sociale appare strettamente affine ai partiti Nazista e Fascista. E’ stato fondato fuori dall’assemblea e come evoluzione del precedente Irgun Zvai Leumi, una organizzazione terroristica, sciovinista, di destra della Palestina.
L’odierna visita di Menachem Begin, capo del partito, negli USA è stata fatta con il calcolo di dare l’impressione che l’America sostenga il partito nelle prossime elezioni israeliane, e per cementare i legami politici con elementi sionisti conservativi americani. Parecchi americani con una reputazione nazionale hanno inviato il loro saluto. E’ inconcepibile che coloro che si oppongono al fascismo nel mondo, a meno che non sia stati opportunamente informati sulle azioni effettuate e sui progetti del Sig. Begin, possano aver aggiunto il proprio nome per sostenere il movimento da lui rappresentato.
Prima che si arrechi un danno irreparabile attraverso contributi finanziari, manifestazioni pubbliche a favore di Begin, e alla creazione di una immagine di sostegno americano ad elementi fascisti in Israele, il pubblico americano deve essere informato delle azioni e degli obiettivi del Sig. Begin e del suo movimento.
Le confessioni pubbliche del sig. Begin non sono utili per capire il suo vero carattere. Oggi parla di libertà, democrazia e anti-imperialismo, mentre fino ad ora ha apertamente predicato la dottrina dello stato Fascista. E’ nelle sue azioni che il partito terrorista tradisce il suo reale carattere, dalle sue azioni passate noi possiamo giudicare ciò che farà nel futuro.
Un esempio scioccante è stato il loro comportamento nel villaggio Arabo di Deir Yassin. Questo villaggio, fuori dalle strade di comunicazione e circondato da terre appartenenti agli Ebrei, non aveva preso parte alla guerra, anzi aveva allontanato bande di arabi che lo volevano utilizzare come una loro base. Il 9 Aprile, bande di terroristi attaccarono questo pacifico villaggio, che non era un obiettivo militare, uccidendo la maggior parte dei suoi abitanti (240 tra uomini, donne e bambini) e trasportando alcuni di loro come trofei vivi in una parata per le strade di Gerusalemme.
La maggior parte della comunità ebraica rimase terrificata dal gesto e l’Agenzia Ebraica mandò le proprie scuse al Re Abdullah della Trans-Giordania.
Ma i terroristi, invece di vergognarsi del loro atto, si vantarono del massacro, lo pubblicizzarono e invitarono tutti i corrispondenti stranieri presenti nel paese a vedere i mucchi di cadaveri e la totale devastazione a Deir Yassin. L’accaduto di Deir Yassin esemplifica il carattere e le azioni del Partito della Libertà.
All’interno della comunità ebraica hanno predicato un misto di ultranazionalismo, misticismo religioso e superiorità razziale. Come altri partiti fascisti sono stati impiegati per interrompere gli scioperi e per la distruzione delle unioni sindacali libere. Al loro posto hanno proposto unioni corporative sul modello fascista italiano. Durante gli ultimi anni di sporadica violenza anti-britannica, i gruppi IZL e Stern inaugurarono un regno di terrore sulla Comunità Ebraica della Palestina. Gli insegnanti che parlavano male di loro venivano aggrediti, gli adulti che non permettevano ai figli di incontrarsi con loro venivano colpiti in vario modo. Con metodi da gangster, pestaggi, distruzione di vetrine, furti su larga scala, i terroristi hanno intimorito la popolazione e riscosso un pesante tributo. La gente del Partito della libertà non ha avuto nessun ruolo nelle conquiste costruttive ottenute in Palestina. Non hanno reclamato la terra, non hanno costruito insediamenti ma solo diminuito la attività di difesa degli Ebrei.
I loro sforzi verso l’immigrazione erano tanto pubblicizzati quanto di poco peso e impegnati principalmente nel trasporto dei loro compatrioti fascisti.
La discrepanza tra le sfacciate affermazioni fatte ora da Begin e il suo partito, e il loro curriculum di azioni svolte nel passato in Palestina non portano il segno di alcun partito politico ordinario. Ciò è, senza ombra di errore, il marchio di un partito Fascista per il quale il terrorismo (contro gli Ebrei, gli Arabi e gli Inglesi) e le false dichiarazioni sono i mezzi e uno stato leader l’obbiettivo.
Alla luce delle soprascritte considerazioni, è imperativo che la verità su Begin e il suo movimento sia resa nota a questo paese. E’ maggiormente tragico che i più alti comandi del Sionismo Americano si siano rifiutati di condurre una campagna contro le attività di Begin, o addirittura di svelare ai suoi membri i pericoli che deriveranno a Israele sostenendo Begin. I sottoscritti infine usano questi mezzi per presentare pubblicamente alcuni fatti salienti che riguardano Begin e il suo partito, e per sollecitare tutti gli sforzi possibili per non sostenere quest’ultima manifestazione di fascismo”.

Le autorità israeliane, che erano le stesse che capeggiavano o avevano capeggiato i gruppi terroristici, perseguitarono la stessa cultura araba, cercando di cancellarla uccidendo e distruggendo luoghi, moschee e persino alberi d’ulivo, simboli della Palestina.
Si trattava di personaggi crudeli e spietati, che consideravano gli arabi come inferiori e ritenevano di avere diritto a cacciarli dalle loro terre per far posto agli ebrei. Ad esempio, Ben Gurion sosteneva: “Noi dobbiamo espellere gli arabi e prenderci i loro posti… Dobbiamo usare il terrore, l’assassinio, l’intimidazione, la confisca delle terre e l’eliminazione di ogni servizio sociale per liberare la Galilea dalla sua popolazione araba”.(16)

Secondo un altro primo ministro israeliano, Menachem Begin (1977-1983), “(I palestinesi) sono bestie che camminano su due gambe”.(17)
Anche altri capi di governo israeliani mostrarono profondo disprezzo per i palestinesi. Ad esempio, Golda Meir negava persino che i palestinesi esistessero: “Non esiste una cosa come il popolo palestinese. Non è come se noi siamo venuti e li abbiamo cacciati e preso il loro paese. Essi non esistono.(18)
Ariel Sharon, in qualità di Ministro degli Esteri disse: “Non c’è sionismo, colonizzazione, o Stato Ebraico senza lo sradicamento degli arabi e l’espropriazione delle loro terre”.(19) E quando diventò Primo Ministro dichiarò: “Israele può avere il diritto di mettere altri sotto processo, ma certamente nessuno ha il diritto di mettere sotto processo il popolo ebraico e lo Stato d’Israele”.(20)

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SANGUE E ORRORE IN PALESTINA – PARTE SECONDA – Il genocidio palestinese

Non tutti gli ebrei condivisero la violenza e la distruttività delle autorità israeliane, molti cittadini ebrei cercarono di opporsi ai crimini, ma senza successo.
Nel 1912 si formò in Palestina un gruppo di ebrei antisionisti, capeggiato da Agudas Israel. Nel tempo il gruppo aveva ridotto la sua azione, fino a quando, nel 1938, il piano sionista aveva raggiunto un certo livello di realizzazione. Quell’anno nacque a Gerusalemme il gruppo dei Neturei Karta (“Guardiani della città”), che riuniva gli ebrei che non accettavano il piano di formazione dello Stato di Israele, giudicandolo iniquo in riferimento alle interpretazioni della Torah e di alcuni passi del Talmud.
Gli ebrei antisionisti crebbero in tutto il mondo. Alcuni di essi subirono persecuzioni e torture e dovettero andare via dalla Palestina.
Durante la Seconda guerra mondiale i sionisti approfittarono del clima distruttivo per perseguitare ed uccidere tutti quegli ebrei che si rifiutavano di andare a vivere in Palestina, o che avversavano apertamente la formazione di Israele. Ad esempio, gli Judenräte (consigli ebraici sionisti) ebbero un ruolo importante nell’arresto, nella deportazione e nell’uccisione di migliaia di ebrei. Gli Judenräte istituirono un corpo di polizia costituito soprattutto da sionisti, che dotarono inizialmente di manganelli e, alla fine del 1942, di armi da fuoco.
Ad oggi i Neturei Karta vengono ancora perseguitati e criminalizzati, accusati di essere pericolosi estremisti e ultra-ortodossi. Essi però sono semplicemente consapevoli del livello di distruttività creato dalle autorità israeliane, e citano il Talmud per provare che la stessa religione ebraica è contraria all’uso della forza per creare uno Stato. I Neturei Karta sostengono che la Palestina appartiene alle persone che vi hanno sempre abitato, ossia ai palestinesi di ogni religione. Spesso i Neturei Karta protestano insieme ai palestinesi (con la bandiera palestinese), dimostrando che non è vero che la guerra sia dovuta all’odio fra i due gruppi, ma che tale odio è stato alimentato sapientemente da chi ha scatenato la guerra e continua ad aggredire il popolo palestinese.
Gli ebrei antisionisti sostengono che le autorità israeliane hanno utilizzato la religione ebraica per scopi politici, e pretendono di rappresentare tutti gli ebrei pur sapendo che non è così.
In seguito alle persecuzioni e alla criminalizzazione mediatica, oggi i Neturei karta sono diventati un gruppo minoritario. Tuttavia, essi continuano ad agire in coerenza con i loro valori, e nel 2006 hanno partecipato alla conferenza internazionale sull’Olocausto, per dire la loro.
Uno dei personaggi più importanti del movimento è stato il rabbino Amram Blau, secondo il quale il riconoscimento da parte dell’ONU allo stato di Israele si può ritenere un grave atto di ingiustizia verso gli stessi ebrei.
Nel 2005 il leader dei Neturei Karta, il rabbino Israel David Weiss, si schierò dalla parte del presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad, facendo notare che i media occidentali travisavano i suoi discorsi, che in realtà non manifestavano affatto “sentimenti antiebraici”.
Weiss, alla televisione iraniana disse di essere poco preoccupato per la negazione dell’Olocausto, perché “i sionisti utilizzano la questione dell’Olocausto per ottenerne benefici. Noi, ebrei che abbiamo subìto l’Olocausto, non lo utilizziamo per promuovere i nostri interessi. Noi affermiamo che ci sono centinaia di migliaia di ebrei nel mondo che identificano la nostra opposizione all’ideologia sionista e che pensano che il sionismo non sia uguale all’ebraismo, ma sia solo un’agenda politica”.
I Neturei Karta accusano il sionismo di fomentare l’antisemitismo, di aver utilizzato il nome di Israele per un progetto politico, e di continuare a provocare gravi sofferenze nella Terra Santa.

Dal secondo dopoguerra, la situazione fu tenuta sotto controllo dalle autorità statunitensi ed europee, che risultavano particolarmente suscettibili verso il problema del riconoscimento dello Stato d’Israele e verso l’accusa di crimini tremendi contro il popolo palestinese, rivolta alle autorità del nuovo Stato. I mass media ufficiali cercavano in tutti i modi di insabbiare o minimizzare i crimini contro il popolo palestinese, mostrando Israele come una “democrazia” di tipo occidentale.
Ogni persona che si sospettava criticasse Israele, veniva perseguitata in vari modi. Ad esempio, negli anni Cinquanta, quando ancora la canzone italiana era famosa in tutto il mondo, il cantante Marino Marini fu messo sotto accusa perché cantava una canzone dal titolo “Innamorati a Tel Aviv”. Si trattava di una canzone melodica, cantata in un video in cui una donna velata, evidentemente araba, ballava all’orientale. Le autorità statunitensi considerarono il far apparire un’araba come abitante di Tel Aviv, un reato, e arrestarono Bruno Martino, che si trovava in tournée negli Usa. Martino era stato scambiato per Marini, e quando si accorsero dell’errore lo tennero in stato di arresto con l’accusa di aver scritto la canzone.
Questo ridicolo e paradossale episodio rende l’idea del clima di tensione che le autorità occidentali creavano verso la situazione in Palestina. Con gli anni questa tensione non si è mai allentata, e ha dato vita ad associazioni (come la Lega Antidiffamazione) che si occupano di accusare, e talvolta perseguitare, coloro che vengono ritenuti “nemici di Israele”.
Creare un clima di intimidazione sui fatti d’Israele sarebbe servito anche ad accrescere il rischio di indurre gli studiosi ad alterare l’attività di identificazione ed analisi dei fatti storici relativi ad Israele. Il pericolo, presente anche ai nostri giorni, è quello di adattare gli elementi fattuali a logiche precostituite, per avversare o avvalorare una tesi, nata da pregiudizi assunti sulla base della massiccia propaganda israeliana, oppure da elementi volti a seminare odio verso tutti gli israeliani. Anche eminenti studiosi rischiano di diventare apologeti oppure “sovvertitori”, partendo non dall’analisi indipendente e acritica dei fatti, ma dal bisogno emotivo di assumere una posizione ideologica. Chi vuole mantenere inalterata l’attuale situazione in Palestina sa molto bene che risulterà utile creare un clima emotivamente eccessivo, per produrre il paradosso di una realtà in cui sia coloro che occultano i crimini delle autorità israeliane che coloro che li denunciano possono avere la stessa reazione di rifiuto verso l’obiettività storica e verso la possibilità di giungere ad un miglior approccio risolutivo, vincendo l’odio e mostrando al mondo i responsabili del genocidio palestinese. Ad oggi, possono essere facilmente identificati numerosi studiosi condiscendenti verso i crimini delle autorità israeliane, per timore o convenienza. Al contrario, esistono anche persone o intellettuali che riconoscono i crimini delle autorità israeliane, e li estendono a tutti i cittadini ebrei, ritenendo tutti gli israeliani “pericolosi nemici”. Ciò equivarrebbe a ritenere che, dato che in Italia c’è la mafia, tutti gli italiani sarebbero da considerare come pericolosi mafiosi. Se è pur vero che le autorità israeliane, aiutate da quelle occidentali (specie inglesi e statunitensi) alimentano ampiamente, e spesso efficacemente, l’odio e le divisioni, è anche vero che la guerra e i crimini sono fonti di sofferenza per tutti gli esseri umani: per chi li subisce, per chi li fa su comando e per chi ne viene a conoscenza. La gente comune, sia essa ebrea, musulmana o cristiana, non trae alcun vantaggio dai crimini e dalle guerre, soltanto il sistema di potere ne trae vantaggio. In nessun caso l’odio e la creazione di un nemico possono costituire modi per contrastare il crimine, essendo essi stessi potenziali fonti di crimine.
Seguire l’impulso emotivo a generalizzare presenta almeno due pericoli: alimentare la figura del “nemico” da combattere (che è il fulcro della guerra) e rendere gravemente compromesso da fattori di squilibrio il naturale impeto di indignazione provocato dalla constatazione dei crimini. La giusta indignazione dovrebbe sfociare in un comportamento volto a condividere la verità e a generare unione fra gli umani, in modo tale che possano essere smascherati gli autori dei crimini e si possa rendere il loro operato (seminare odio, creare nemici, ingannare attraverso i media, creare divisioni, attuare crimini di vario genere, ecc.) sempre meno efficace, fino ad estrometterli dal potere e a trattarli per ciò che essi sono realmente: spietati criminali. Occorre tener presente che anche per ciò che riguarda la situazione palestinese, sono le divisioni, l’odio e gli inganni mediatici ad impedire ai popoli di vedere cosa realmente è nel loro interesse.

Nel 1957, Yasser Arafat fondò l’organizzazione Al Fatah, e nel 1964 nacque L’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp), con l’obiettivo di combattere l’occupazione e il sionismo. Nel 1968 Al Fatah si unì all’Olp.
Nel 1967 scoppiò la guerra dei Sei giorni, durante la quale Israele occupò il Sinai, il Golan, la Gisgiordania e la striscia di Gaza. Nello stesso anno, la risoluzione 242 dell’Onu chiedeva ad Israele di ritirarsi dai territori occupati.
Nel 1975, l’Onu approvò la risoluzione n. 3379 in cui il sionismo veniva definito come una “forma di razzismo e discriminazione razziale”.
Nonostante le numerose risoluzioni dell’Onu, Israele non si ritirerà dai territori occupati, e continuerà ad opprimere e a massacrare i palestinesi. Nel 1987 iniziò la prima Intifada (in arabo “scrollarsi di dosso”, “sollevazione” o “rivolta”), come protesta palestinese alle violenze dell’esercito israeliano. Per le strade, i giovani palestinesi gettavano sassi contro i soldati israeliani, che rispondevano sparando e uccidendo.
Nel 1993 si riaprì il dialogo fra il governo israeliano e l’Olp, che portò alla firma dell’Accordo di Oslo, in cui Israele prometteva il ritiro delle sue truppe dai territori occupati dopo la guerra dei Sei giorni. Ma gli accordi non saranno mai rispettati e il governo israeliano riprenderà le azioni terroristiche contro i palestinesi. Si ebbero numerosi attentati terroristici organizzati allo scopo di impedire un vero processo di pace, ad esempio, nel 1994, un israeliano sparò contro i fedeli riuniti in una moschea ad Hebron (Cisgiordania) e uccise 50 palestinesi.
Nel settembre del 2000, Ariel Sharon, un crudele generale diventato capo di governo, si recò con 1000 soldati alla spianata delle moschee di Al-Aqsa, luogo considerato sacro e inviolabile dai musulmani. In questo modo le autorità israeliane intendevano far capire ai palestinesi che il loro dominio poteva essere imposto ovunque. In seguito a questa azione, iniziò la seconda Intifada, a cui l’esercito israeliano rispose in modo pesante, uccidendo moltissime persone, la maggior parte delle quali erano bambini e adolescenti. Dalla seconda Intifada fino al 2004, morirono oltre 8400 palestinesi, per l’82% civili. Inoltre, nello stesso periodo, le autorità israeliane organizzarono altri attentati terroristici ed esecuzioni mirate, uccidendo almeno 308 palestinesi, in violazione della IV Convenzione di Ginevra, macchiandosi di crimini di guerra. Su questi crimini non sono mai state fatte inchieste, come se i soldati israeliani avessero la totale immunità, ovvero il potere di uccidere impunemente qualsiasi palestinese.
Nel 2002 il governo israeliano approvò un documento per la costruzione di un muro che avrebbe separato la Cisgiordania da Israele. Il muro, di 750 chilometri per 8 metri, separa i palestinesi dagli stessi palestinesi, e sottrae loro parte delle terre coltivate, pozzi d’acqua, impedendo l’accesso ai luoghi di lavoro. Inoltre, per costruire il muro sono state distrutte oltre 2.500 case.
I territori assegnati allo stato palestinese dall’Onu, erano, nel 1967, il 45% della regione, mentre nel 2003 erano diventati, a causa delle occupazioni israeliane e del muro, soltanto l’11%.
Lo sgombero della Striscia di Gaza, attuato da Sharon nel 2005, aveva lo scopo di mostrare all’opinione pubblica che era intenzione delle autorità israeliane liberare le zone palestinesi dai coloni. Si trattava di un’operazione propagandistica, per occupare la Cisgiordania e togliere ai palestinesi il 45% del territorio assegnato, impedendo la nascita dello Stato palestinese. Nella Striscia di Gaza si insediarono un milione e duecentomila palestinesi, ma gran parte del territorio rimase sotto stretto controllo delle truppe israeliane.
Oggi Gaza è per i palestinesi come una prigione a cielo aperto, dove vengono controllati giorno e notte e di tanto in tanto subiscono bombardamenti, violenze e distruzioni. Le fabbriche abbandonate dai coloni israeliani sono state chiuse ed è vietato ai palestinesi prenderne possesso. L’economia di Gaza è stata volutamente distrutta dal governo israeliano, per costringere la quasi totalità dei palestinesi a rimanere disoccupati.
La vittoria elettorale di Hamas, del gennaio 2006, scatenerà un’altra furia distruttiva delle autorità israeliane. Per impedire la creazione di un legittimo governo eletto dal popolo, verranno sequestrati 64 parlamentari di Hamas e sarà bombardata per l’ennesima volta la Striscia di Gaza. Le autorità israeliane, in seguito all’aver appreso che i leader di Hamas e di Al Fatah detenuti nelle carceri israeliane avevano fatto sapere di essere disponibili ad accettare lo stato d’Israele, purché venissero istituiti due Stati, scatenarono un’altra ondata di violenza. L’élite israeliana, nella propaganda mediatica, giustificò le violenze dicendo che era obbligata a lottare contro Hamas perché “non accettava l’esistenza di Israele”, mentre in realtà si trattava di impedire la formazione dello Stato palestinese.

Lo Stato d’Israele è stato creato con l’obiettivo principale di destabilizzare il Medio Oriente. Gli Usa e i paesi europei hanno finanziato il terrorismo israeliano fin dall’inizio, e ad oggi forniscono ingenti quantità di armi e di finanziamenti. Israele riceve almeno due miliardi di dollari ogni anno per “aiuti militari”. Si tratta di denaro che sarà utilizzato per realizzare il progetto di sterminio del popolo palestinese.
Molti ebrei hanno lottato e continuano a lottare contro i crimini delle autorità israeliane. I movimenti dei “refusnik” israeliani sono sempre più organizzati e determinati a fare in modo che la guerra finisca, e attuano numerose iniziative. Ad esempio, nel settembre del 2004, a Tel Aviv, 700 persone parteciparono ad una protesta contro la costruzione del muro. Furono distribuiti volantini che dicevano:

“Dobbiamo abbattere il muro. Comprereste un tostapane usato da Dani Nave (ministro israeliano della salute)? Comprereste una macchina usata da Zahi Hanegbi (ministro per la polizia, sospeso dal servizio)? E allora, come mai comprate dei progetti disastrosi che avranno un’influenza negativa sulle nostre vite per anni da loro e dai loro amici Arik, Bibi, Ehud, e Limor [nomi di vari ministri] e da tutti gli altri interessati da tutte le parti fino ad includere il comitato centrale del Likud? Vi fidate di loro quando dicono che la soluzione ai nostri problemi consiste in recinti, muri, apartheid?”

I resfunik vengono arrestati o perseguitati in vari modi, e descritti dai media ufficiali come persone “pericolose” o “estremiste”.
Alcuni militari dell’esercito israeliano hanno scelto di non combattere più, e hanno denunciato gli orribili crimini commessi dalle forze israeliane. Zohar Shapira, ex comandante dell’esercito, così racconta la sua protesta:

“Dopo l’inizio della seconda Intifada, nel 2002, ero impegnato nell’operazione Shield of defence e dopo l’attacco a Jenin ho deciso che non potevo più continuare a fare quello che facevo, era immorale, soprattutto dopo aver sparato sopra la testa di una bambina sbucata improvvisamente da dietro una casa. Entravamo nelle abitazioni dei palestinesi e quando uscivamo portando via qualcuno di loro sospettato di essere un terrorista vedevo gli occhi dei bambini che ci guardavano e capivo che ci avrebbero odiato per tutta la vita. Eravamo noi a seminare l’odio… allora eravamo 6-800 (refusnik) non c’erano più solo soldati di leva ma anche piloti, comandanti. Tanto che il movimento dei refusnik arrivò ad imporsi come un punto di discussione nell’agenda del governo israeliano. Non potevamo più essere indicati semplicemente come traditori da Sharon, i refusnik erano diventati una realtà accettata dalla gente. Ora circa il 40 per cento dei riservisti, quando richiamati, si rifiutano di andare a servire nei territori occupati. Il problema era però come andare al di là delle manifestazioni e diventare più incisivi. Non sapevamo se c’erano palestinesi disposti a parlare con noi, poi abbiamo contattato Tayush (un’organizzazione di palestinesi e arabi di Israele). All’inizio eravamo molto sospettosi, diffidenti, da entrambe le parti”.(22)

Il governo israeliano punta a convincere gli israeliani che non ci potrà essere alcuna pace con i palestinesi, perché essi sono “nemici”. Molti anni di terrore, di violenze e di guerra hanno fomentato odio da ambo le parti, rendendo sempre più difficili i rapporti. Ciò nonostante, i refusnik contribuiscono ad alimentare la speranza nella pace, come spiega Jeff Halper, coordinatore del Comitato israeliano contro la demolizione delle case (Icahd):

“Molti israeliani non pensano alla pace come a qualcosa di positivo, partono dal principio che gli arabi sono nemici e che non ci sarà mai pace. Per molti israeliani la pace è solo una sorta di ‘pacificazione’. In Israele le parole hanno un senso ‘orwelliano’: pace vuol dire suicidio, la guerra corrisponde alla pace, così come ritirarsi in realtà vuol dire espansione e rafforzamento… Penso che l’ingiustizia sia insostenibile a lungo andare perché contiene i semi della distruzione. Alla fine ci sarà il collasso, e questo non vuol dire che dopo l’ingiustizia ci sarà giustizia, ma che Israele non potrà mantenere a lungo questa situazione”.(23)

Aiuti militari massicci giungono in Israele anche dalla Gran Bretagna. Nel periodo luglio-agosto del 2006, l’esercito israeliano ha aggredito il sud del Libano, uccidendo almeno 1100 persone e ferendone 3600. L’attacco era diretto in gran parte contro la popolazione civile, come osservò Amnesty International: (Israele attuava) “una politica deliberata di distruzione delle infrastrutture civili libanesi che comportava crimini di guerra”.(24) La Gran Bretagna ha fornito a Israele numerose armi e il sostegno logistico per il rifornimento degli aerei americani carichi di armi.
Oggi Israele è l’unico Stato al mondo che rifiuta che vengano definite le proprie frontiere, eppure è stato accolto all’Onu. Il mancato riconoscimento delle frontiere indica che Israele ritiene di avere diritto ad occupare nuove terre e non si sente obbligato a rispettare le leggi internazionali e le risoluzioni dell’Onu. Le autorità israeliane hanno interesse a tenere sottomesso il popolo palestinese, per continuare ad esercitare sul territorio un dominio coloniale. Le autorità occidentali sono complici del piano criminale sionista per la sottomissione dei popoli islamici, architettato al fine di saccheggiare le risorse petrolifere e imporre il proprio modello economico-finanziario.

La situazione palestinese non è affatto avulsa dalla più generale situazione di dominio del gruppo di grandi stegocrati banchieri/imprenditori sul pianeta. Al contrario, lo sterminio del popolo palestinese è da ritenere parte del progetto criminale atto a mantenere il potere sui popoli. Gli artefici del progetto non sono da ritenere come appartenenti ad una precisa razza o religione. Essi possono professarsi ebrei o cristiani, tuttavia, dai fatti, possiamo comprendere che la loro unica religione è il crimine contro l’umanità. Si tratta di persone affette da gravi patologie che li inducono a creare una realtà di distruzione, guerra e morte. Esse vogliono controllare l’umanità, e utilizzano le religioni o le ideologie per dividere e per seminare odio e scatenare guerre.
Queste persone sono esperte nel male e nella distruzione. Il loro potere si basa sull’inganno, sull’odio e sulla paura. La loro forza risiede nell’indurre gli esseri umani a credere di avere un “nemico”, e dunque a sviluppare odio. L’odio è il sentimento dell’impotenza, della distruttività (etero o auto), fomenta divisioni e guerre, e non rende possibile per l’uomo una realtà migliore di quella in cui impera la sofferenza e la distruttività.
Le persone che oggi dominano sul pianeta non sono “nemiche”, esse sono soltanto un gruppo di criminali, non occorre dunque odiarli, che sarebbe la cosa più semplice e immediata, ma si deve fare in modo che esse vengano individuate da tutti come criminali e rese inoffensive. Per fare questo bisogna amare: amare i propri simili, e non permettere che le religioni o le ideologie possano creare divisioni e conflitti. Si deve sentire il dolore del prossimo come fosse proprio. Se abbiamo il giusto senso di noi stessi riconosciamo che l’umanità intera è la nostra famiglia. I palestinesi sono parte di noi, e la loro sofferenza non ci è estranea. Così come la sofferenza degli iracheni, dei somali, degli afghani, dei birmani e di tutti i popoli che oggi stanno soffrendo a causa della criminalità di questo gruppo di persone.
Se i popoli fossero uniti, e se ogni individuo vincesse l’odio, nessun gruppo criminale potrebbe mai mantenere la supremazia.

Antonella Randazzo
Fonte: http://antonellarandazzo.blogspot.com/
Link http://antonellarandazzo.blogspot.com/2008/04/sangue-e-orrore-in-palestina-parte_30.html
30.04.08

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NOTE

1) http://www.larivistadelmanifesto.it/archivio/56/56A20041219.html
2) Documenti di politica estera britannica, 1919-1939, prima serie, volume IV, pp. 245-247.
3) Nicosia Francis R., “The Third Reich and the Palestine Question”, Tauris, London 1985, p. 57.
4) Edwin Black, “The Transfer Agreement – The Untold Story of the Secret Pact between the Third Reich and Jewish Palestine”, New York, 1984.
5) Edwin Black, op. cit.
6) “New York Herald Tribune,” 13 giugno 1938.
7) Il Jüdische Rundschau (Berlino) fu pubblicato dal 1900 al 1938. “Rassegna ebraica” del 13 giugno 1933.
8) Journal of Palestine Studies, “i contatti segreti tra sionismo e Germania nazista tra 1933 e 1941” numero primavera/estate 1976.
9) Black Edwin, “The Transfer Agreement – The Untold Story of the Secret Pact between the Third Reich and Jewish Palestine”, New York, 1984.
10) “Daily News”, 27 marzo 1933.
11) http://www.jewsagainstzionism.com/holocaust/holocaustpics.htm
12) Herzl Theodor, “Diario”, Berlino 1922, p. 16.
13) http://www.jewsagainstzionism.com/holocaust/holocaustpics.htm
14) Per approfondire, http://www.jewsagainstzionism.com/onlinebooks/IraqiJews1.htm
15) Intervista al quotidiano israeliano “Ha’aretz”, pubblicata da “Internazionale”, 6 febbraio 2004.
16) Shabtai Teveth, “Ben Gurion and the Palestine Arabs”, Oxford University Press, 1985.
17) Discorso alla Knesset di Menachem Begin, in Amnon Kapeliouk, “Begin and the ‘Beasts’”, su “New Statesman”, 25 giugno 1982.
18) Dichiarazione al “The Sunday Times”, 15 giugno 1969.
19) Agenzia France Presse, 15 novembre 1998.
20) BBC News Ondine, 25 marzo 2001.
21) http://www.ainfos.ca/04/sep/ainfos00444.html
22) “Il manifesto”, 4 giugno 2006.
23) “Il manifesto”, 4 giugno 2006.
24) “Lebanon: Destruction of civilian infrastructure”, Amnesty International, Agosto 2006.

PER APPROFONDIRE

Black Edwin, “The Transfer Agreement – The Untold Story of the Secret Pact between the Third Reich and Jewish Palestine”, New York, 1984.
Cockburn Andrew, Cockburn Leslei, “Amicizie pericolose. Storia segreta dei rapporti tra Cia e Mossad, dalla fondazione dello Stato d’Israele alla guerra del Golfo”, Gamberetti, Roma 1993.
Filkelstein Norman G., “L’industria dell’Olocausto”, BUR, Milano 2002.
Nicosia Francis R., “The Third Reich and the Palestine Question”, Tauris, London 1985.
Shabtai Teveth, “Ben Gurion and the Palestine Arabs”, Oxford University Press, 1985.

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