DI GIANLUCA BIFOLCHI
Non mi piacciono molto gli atei e gli anticlericali, benché sia ateo e anticlericale io stesso. In primo luogo quella dell’attacco alla Chiesa mi sembra diventata la moda di “spiriti liberi” molto prudenti che si scelgono gli obiettivi polemici con il criterio delle battaglie facili. Mi piacerebbe vedere costoro non in una società altamente secolarizata come la nostra, ma qualche paio di secoli fa, quando la Compagnia di Gesù decideva anche cosa dovevi indossare. Penso che i loro furori iconoclasti sarebbero stati di assai più lieve entità. E che dire dei “liberisti, libertari, liberali”, alla Marco Pannella che vorrebbero abbattere il Dio dei Cristiani per sostituirlo con quello del mercato e degli eserciti? E in effetti, molto del fastidio che i Cristiani oggi ispirano, soprattutto in realtà del Terzo Mondo, ha a che fare con la loro irriducibilità all’ordine dei valori neoliberisti. Ovviamente anche la mia mitezza viene messa a dura prova dalla crescente inframettenza pretesca sulle questioni civili italiane. L’attacco alla 194, la legge sull’interruzione volontaria di gravidanza, ne è l’esempio più evidente e recente.
Una precisazione prima di tutto. Per me il problema non è l’invadenza della CEI, ma l’assoluta permeabilità delle forze politiche italiane al messaggio ecclesiale, che negli ultimi anni non ha fatto che crescere. Le ragioni di questo stato di cose non sono un mistero: la totale vuotezza culturale del dibattitto politico italiano pone i partiti, soprattutto quelli di destra, in una situazione di crisi di legittimità. L’abbraccio a Santa Romana Chiesa corrisponde proprio al tentativo a buon mercato di introdurre “idealità” nel dibattito pubblico.
Per quanto riguarda la 194 e l’attacco ai PACS, c’è anche un’altra motivazione: la destra berlusconiana ha bisogno di ideologizzare lo scontro politico a scopi di diversione tattica. Altrimenti di cosa si parla? Di economia? Dio ne scampi (è proprio il caso di dirlo). Le fumosità mistiche di Bertinotti e Fassino non promettono nulla di buono ai fini di una energica risposta laica, e infatti i risultati sono sotto gli occhi di tutti.
I termini del dibattito sull’aborto pongono la sinistra in una posizione di partenza perdente. Nei dibattitti televisivi è del tutto consueto che passi senza discussione il messaggio che la 194 fu approvata per “sconfiggere l’aborto clandestino”, e la formulazione gesuitica della legge aiuta molto questa deformazione propagandistica. La verità che è che l’aborto costituisce la conquista di un diritto della donna: quello di decidere se e quando avere un figlio, in una società ancora largamente maschile che pone ostacoli alla realizzazione personale delle donne.
E invece eccole lì le donne — e gli uomini — ammesse ai dibattiti in favore della legge: si proclamano contro l’aborto, in favore della vita, e riducono la difesa di quel diritto ad un “ma”, alla flebile protesta che un po’ di audeterminazione occorre garantirla per aggirare il problema di un preservativo difettoso. Salvo mugolare frasi inconcludenti quando il prete di turno — o anche solo Marcello Pera — tirano in ballo la tesi dell’infanticidio. Eppure è logico! Se un feto o addirittura un embrione è una vita umana, l’aborto, ipso facto, è un omicidio. E sul banco dell’accusa salgono quei difensori del diritto alla vita che compiacentemente occultano le cifre dei morti in Iraq (soprattutto civili), ed utilizzano il loro potere ricattatorio per sottrarsi alle responsabilità morali della macchina omicidiaria globale messa su dal potere delle armi e del denaro, e che loro servono con alacrità.
Ma un feto o un embrione non sono una vita umana. Sono solo la possibilità di una vita umana che per convertirsi in un fatto reale impegnerà la responsabilità dei genitori, a cui non può essere sottratta la libertà di scelta all’interno di una pianificazione familiare. Il resto è solo un’atroce metafisica che vuole legare il destino degli individui al determinismo biologico della generazione.
Perché i laici italiani non parlano chiaro? Perché hanno paura della libertà? Nel Nord Europa o in Francia, la gente riderebbe agli assurdi contorcimenti verbali cui serve ricorrere per sostenere la difesa della interruzione volontaria di gravidanza, dopo che si è accettata una nozione di vita umana elaborata nelle sagrestie. Non si accorgono che questo li obbliga a stare sempre sulla difensiva? Che cedono terreno giorno dopo giorno?
Siamo ancora il paese del Concilio di Trento. E’ questa la verità.
Gianluca Bifolchi
Fonte: http://anzetteln.splinder.com/
15.01.06