Cosa ci insegna l’impero che fu
DI JAMES CARROLL
Stare a Roma è come stare in mezzo a un canyon sulle cui pareti non ci sono i segni del vento, del sole e della pioggia, ma i segni formati della mano dell’uomo. Il mondo che fu rivive nelle rovine del Foro, sui mattoni a vista dei templi, dei teatri, degli archi che una volta sostenevano gli ormai scomparsi, da tempo, acquedotti o palazzi imperiali.
L’eredità di quella civiltà è una ‘forma mentis’ cui si ispirano direttamente le parole di questo foglio, con il quale cerchiamo di applicare alle idee quello che i parafulmini ottengono con l’elettricità dell’aria. Le polarità fra repubblica e impero, fra bellezza e rovina, fra ordine e tirannia, fra espressione e silenzio, queste sono le tensioni che hanno trovato il loro equilibrio nell’antica Roma e che mantengono ancora i pilastri della cultura.
Nella Roma cristiana dopo Costantino, la santità ha trovato il suo corrispondente nel potere, che non è ancora finito. La sua forma archeologica la troviamo nelle strade. Le basiliche, nate come palazzi, sono diventate cattedrali, senza che venisse demolito un solo mattone. Gli imperatori sono diventati papi, e come si dice a Roma, vice-versa. Le tombe monumentali ne sono la dimostrazione. Il messaggio dell’amore ha trovato la sua strada nella pietra. Come si fa a non credere al nuovo vangelo di Roma davanti all’“Estasi di Santa Teresa” del Bernini. Nessuna critica religiosa ha saputo superare il fervore umanistico del “Giudizio Universale” di Michelangelo, al cui cospetto ancora oggi si eleggono i papi.
A Roma, cioè, la corruzione di tutto ciò che si intende per “chiesa” è ovvia. Però anche la grazia, non vinta, di queste corruzioni è magnifica. Infatti, che cos’è il Rinascimento se non il momento in cui la corruzione stessa è diventata occasione di grazia, quando tutto l’essere umano completo è finalmente emerso dal lucido involucro della volontà di essere divino? Il mondo che amiamo e che conosciamo è venuto dopo.
Roma può anche essere l’ultima rappresentazione della memoria, ma è anche la capitale mondiale dello stile. Uomini eleganti, donne dal portamento ricercato, automobili di stile, le pelli brunite di scarpe e borsette, l’avanguardia dell’invenzione individuale, qui il mondo moderno si congratula con sé stesso. Il futuro è visibile fra la gente come il passato è visibile nelle pietre. Il viaggiatore che si reca a Roma deve rivedere i propri concetti, perché qui il contrasto fra il presente e il passato è molto forte. Ma questo ripensamento è precisamente il lavoro senza fine della storia. Il passato non è morto, come ha detto Faulkner, anzi non è nemmeno passato. La memoria, anzi, riguarda più il presente che il passato, questo è il motivo per il quale vogliamo visitare, non appena possibile, i cosiddetti paesi esteri del passato.
I ragazzi a scuola imparano a pensare in questa maniera leggendo Cesare e poi, forse, studiando Lutero. La lezione, attraverso i millenni, è assoluta. Il valore educativo della gloria di Roma consiste nel fatto che è crollata, e poi è crollata ancora. E ogni volta che questo è successo, ecco sorgere da sotto le rovine la gente che aveva sopportato tutto il peso della struttura imperiale, quegli stessi che avevano pavimentato le strade famose, che avevano trasportato le infinite quantità di marmo, che avevano rifornito di carbone le fredde stanze dei palazzi imperiali; gli stessi che si sono trovati di fronte agli inquisitori, che hanno messo in questione l’ortodossia, che hanno scelto la coscienza al posto dell’obbedienza.
Dalla politica alla religione al nuovo globalismo dello stile, qui viene narrata la storia dell’impero sia dal punto di vista di quelli che ne hanno sofferto sia dal punto di vista di quelli che l’hanno costruito. A Roma è impossibile pensare che le ambizioni imperiali siano semplicemente benigne, ecco perché, forse, gli americani dovrebbero visitare la città. Il valore educativo del turismo consiste nell’accorgersi che Roma, caduta una volta e poi ancora ricaduta, vive la propria decadenza come base di una nuova gloria più umile. Una gloria più umana.
Quello che oggi colpisce di più gli americani a Roma, ancora più dei resti di un passato stratificato, sono i segni arrabbiati dei graffiti. Sulle vecchie pietre compare la scritta “No war!”. “No war!” sugli autobus, sui manifesti, dappertutto. Che queste parole siano in inglese è molto significativo. In questa che fu la prima sede del nuovo ordine mondiale, i segni idealizzati della violenza sono anche troppo reali.
Sui muri in pietra dei palazzi o sui resti delle colonne, chi conosce la storia declama con la vernice a spruzzo, “Stop the war on Irak!” La parola “on” salta subito all’occhio di un americano. Non abbiamo imparato forse a scuola, studiando il latino, le sottigliezze delle preposizioni? Negli USA la guerra di Bush è chiamata “in” Irak, ma a Roma, come sempre, la più dura realtà dell’impulso imperiale diventa subito chiara.
(NdT, Per i meno esperti. “ON” in inglese, significa: addosso, sopra, anche contro, quindi ON, in questo contesto, dà l’idea di qualcosa contro qualcuno, contro una popolazione; “IN”, invece, significa da qualche parte, dà l’idea di un territorio non di una popolazione. Si sta facendo qualcosa da qualche parte, non contro qualcuno.)
Fonte: www.commondreams.org/
http://www.commondreams.org/views05/0926-20.htm
26.10.05
Scelto e tradotto per www.comedonchisciotte.org da VICHI
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