RITORNO A FALLUJAH

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DI PATRICK COCKBURN
The independent

Tre anni dopo il devastante assalto USA, un nostro corrispondente entra in una città irachena assediata e lasciata senza acqua potabile, elettricità e medicinali

L’ultima volta che tentai di arrivare in auto a Fallujah, alcuni anni fa, mi imbattei in un agguato ad un convoglio americano di carburante e fui costretto a strisciare fuori dalla macchina e stendermi a lato della strada mentre i soldati americani e i guerriglieri avevano uno scontro a fuoco. Oggi la strada è molto più sicura ma nessuno può entrare a Fallujah a meno che non venga da lì e possa provarlo attraverso elaborati documenti d’identità. La città è stata isolata dal novembre 2004, quando i marine degli Stati Uniti la investirono con un attacco che lasciò la maggior parte della città in rovina.

Le sue strade, coi muri butterati dai proiettili e gli edifici ridotti a cumuli di piastre di cemento, danno ancora l’impressione che la battaglia sia finita poche settimane fa.
Andai a dare un’occhiata al vecchio ponte sull’Eufrate alle cui travi d’acciaio i cittadini di Fallujah avevano impiccato i corpi bruciati di due americani della sicurezza privata uccisi dai guerriglieri – l’incidente che aveva fatto scoppiare la prima battaglia di Fallujah. Il ponte a una sola corsia è ancora lì, dominato dai resti di un edificio bombardato o bersagliato, il cui tetto sfasciato penzola sulla strada e le traversine di cemento sono tenute a posto da reti metalliche arrugginite.

Il capo della polizia di Fallujah, il colonnello Feisal Ismail Hassan al-Zubai, stava tentando di far vedere che la sua città era in ripresa.

Mentre guardavamo il ponte una piccola folla si radunò e un uomo anziano con un cappotto marrone gridò: “Non abbiamo elettricità, non abbiamo acqua.”

Gli altri confermarono che Fallujah aveva un’ora di elettricità al giorno. Il colonnello Feisal disse che non c’era molto che lui potesse fare per l’acqua o l’elettricità, ma promise a un uomo che lo steccato di filo spinato all’esterno del suo ristorante sarebbe stato rimosso.

Fallujah potrà essere meglio di come era, ma c’è ancora molta strada da fare. I dottori negli ospedali confermano che stanno ricevendo poche vittime di armi da fuoco o esplosioni di bombe da quando il movimento del Risveglio ha cacciato al Quaida dalla città negli ultimi sei mesi, ma la gente cammina ancora con attenzione nelle strade come se si aspettasse che una sparatoria scoppi in qualunque istante.

Il colonnello Feisal, un ex ufficiale nelle forze speciali di Saddam Hussein, ammette di buon grado che prima di essere capo della polizia “combattevo gli americani”. Suo fratello Abu Marouf, un ex comandante della guerriglia, ha il controllo di 13.000 combattenti del Risveglio, il movimento anti al Quaida, a Fallujah e nei dintorni. Il colonnello sottolineava il fatto che le strade di Fallujah fossero ora totalmente sicure, ma il suo convoglio procedeva ad alta velocità guidato da un poliziotto, la sua faccia coperta da un passamontagna, sopra un veicolo che montava una mitragliatrice e intimando freneticamente ai veicoli che sopraggiungevano di spostarsi dalla strada.

La stazione di polizia è grande e protetta da barriere di terra e cemento. Proprio mentre entravamo nel cortile vedemmo i segni del fatto che la battaglia contro al Qaida può essere finita ma gli arresti vanno avanti. Da un’altra parte delle stazione emerse una fila di 20 prigionieri, ognuno dei quali con gli occhi coperti da una fascia bianca, aggrappati alla parte posteriore dei vestiti del prigioniero che lo precedeva. I prigionieri mi ricordarono delle foto di uomini accecati dal gas durante la prima Guerra Mondiale che incespicavano dietro il solo uomo che potesse vedere e che, in questo caso, era una guardia carceraria.

Ci sono dei nuovi edifici sulla strada principale. Ero solito mangiare in un ristorante kebab chiamato Haji Hussein, che era uno dei migliori in Iraq. Poi, mentre l’occupazione andava avanti, cominciai ad attirare molti sguardi ostili. Il gestore suggerì che sarebbe stato più sicuro se avessi mangiato al piano superiore in una sala vuota; poco dopo fu distrutto da una bomba americana. Ora è stato ricostruito con colori sgargianti e sembrava stesse facendo buoni affari.

Una volta Fallujah aveva una popolazione pari a 600.000 persone, ma nessuno dei funzionari in città sembrava sapere quanti ce ne sono ora. Il colonnello Feisal ha fiducia negli investimenti e ci ha portato a un nuovo edificio bianco chiamato Centro per lo Sviluppo Economico di Fallujah, che fu fondato in parte da un ramo del dipartimento di stato USA. Alti soldati americani erano a guardia di una conferenza sullo sviluppo economico. “Ha attirato un investitore americano finora,” disse fiduciosamente un consigliere americano in uniforme. “Il mio nome è Sarah e mi occupo di operazioni psicologiche,” disse un altro consigliere USA e orgogliosa ci fece vedere la nuova radio Fallujah.

All’altro capo della città attraversammo il ponte di ferro costruito nel 1930 ed ora unica via di comunicazione con l’altra parte dell’Eufrate. C’è un ponte moderno un chilometro più a valle, ma è stato preso dall’esercito americano e, dicono i locali, usato come parcheggio. Sul lato lontano del ponte, dove una volta crescevano alti giunchi tra cui la gente che scappava dalla città durante l’assedio del 2004 tentava di nascondersi, c’è un edificio sventrato dalle bombe su un lato della strada. Sull’altro lato c’è l’ospedale che gli ufficiali USA in comando erano soliti accusare di esagerare sistematicamente il numero dei morti causati dai bombardamenti americani.

Quando chiesi che cosa mancasse all’ospedale il dottor Kamal disse stancamente: “Medicinali, carburante, elettricità, generatori, un impianto di depurazione dell’acqua, ossigeno ed equipaggiamento medico.” Era difficile non pensare che l’assistenza americana sarebbe potuta andare all’ospedale piuttosto che al centro per lo sviluppo economico.

Il colonnello Feisal disse che le cose si stavano mettendo meglio ma fu accerchiato da donne vestite di nero che gridavano che i loro bambini non erano stati curati.

“Ogni giorno qui muoiono 20 bambini,” disse una. “Sette proprio in questa stanza.”

I dottori dissero di attendere i pazienti il meglio possibile. “Gli americani non ci forniscono niente,” disse una madre che cullava un bambino. “Ci portano solo distruzione.”

Titolo originale: “Return to Fallujah”

Fonte: http://www.independent.co.uk
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28.01.2008

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di DIEGO VARDANEGA

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