DI JOHN CAHN
Mondialization.ca
I sempre maggiori squilibri allarmano
gli analisti internazionali: si teme che un nuovo choc possa colpire
il capitalismo mondiale.
Un indicatore molto chiaro della preoccupazione del
mondo intero riguardo una possibile crisi cinese è dato dall’aumento del
valore assoluto dei CDS [Credit Default Swaps, delle assicurazioni
sulla possibilità che uno stato non riesca a rimborsare i propri debiti.
Ora ammontano a 8, 3 miliardi di dollari], in totale il decimo ° più
elevato in tutto il mondo, prima del Portogallo e della Bank of America. Soltanto
due anni fa il totale di CDS sulla Cina non era che di 1,6 miliardi di
dollari ed era al 227° posto al mondo.
Un editoriale di Bloomberg News
del 3 ottobre intitolato “Il crollo della Cina, e non la sua ascesa, costituisce
una minaccia mondiale” riassume questo sentimento. L’articolo prevedeva
che l’espansione della Cina, appoggiandosi sul “lavoro a buon
mercato, la svalutazione della moneta, i forti investimenti nell’industria e
la concentrazione sulle esportazioni“, aveva superato il suo
limite, con “conseguenze a lungo termine per gli Stati Uniti
e l’ Europa, entrambi sempre più dipendenti dalla Cina”.
L’ articolo faceva l’elenco delle tensioni
alle quali è sottoposta l’economia cinese. In primo luogo, “i
costi del lavoro aumentano“, i giovani operai dell’industria richiedono
ora un livello di vita e di salario più alti e questo rimette in discussione
il ruolo di più grande piattaforma mondiale di lavoro a basso costo.
In secondo luogo, le misure di salvataggio economico prese a partire
dal 2008 hanno liberato migliaia di miliardi di dollari di crediti accordati a
tassi d’interesse molto bassi dalle banche pubbliche, ciò che “ha
provocato un sovrainvestimento ed ha spinto verso l’aumento dei prezzi
nel settore immobiliare, fino a dei livelli che numerose famiglie non
possono sostenere, provocando un aumento delle tensioni sociali
e un maggior pericolo di fallimenti“.
La risposta convenzionale degli economisti
e dei politici occidentali di fronte alla crisi cinese in corso è il
ricorrere a un “riequilibrio” dell’economia : poiché gli investimenti
sul capitale fisso [mezzi di produzione e beni immobili, ndr] hanno raggiunto
un livello grottesco e insostenibile a lungo termine (quasi la metà
del PIL del paese), il consumo nazionale deve essere aumentato per assorbire
la sovrapproduzione dell’industria e compensare le esportazioni in declino.
In realtà la Cina non ha un lungo
margine di manovra per aumentare il consumo nazionale. Durante gli ultimi
due anni o limitati i limitati aumenti salariali che sono seguiti all’ondata di
scioperi hanno provocato una rapida erosione della quota cinese del
mercato, poiché le aziende hanno spostato la produzione verso paesi concorrenti
meno cari, come Vietnam e India. Bloomberg ha osservato che lo sviluppo
dei consumi è “delicato“: i consumatori hanno ugualmente
bisogno di una moneta forte per sostenere il loro potere d’acquisto,
dunque gli esportatori perderanno una parte del loro vantaggio con la
concorrenza. I risparmiatori hanno bisogno di tassi d’interesse molto
alti sui loro investimenti per garantirsi una pensione; quindi, le banche
e le imprese vedranno i costi dei loro prestiti aumentare.
Prosegue Bloomberg: “Di conseguenza,
vasti settori dell’industria cinese possono diventare non redditizi. Dei
cattivi prestiti potrebbero forzare il governo a intervenire e a ricapitalizzare
le banche. L’investimento sul capitale fisso, che rappresenta il 46% dell’
economia contro il 12% degli Stati Uniti, potrebbe diminuire vertiginosamente, minacciando
di conseguenza la crescita dei posti di lavoro di cui invece il paese
ha bisogno per sostenere i consumi. In breve, il modello cinese orientato all’esportazione potrebbe
sgretolarsi prima ancora che i consumatori siano in grado di trarne
vantaggio. In questo genere di crisi, il peso economico della Cina diventerebbe
un problema.”
L’effetto sarebbe particolarmente grave
sulle economie fondate sulle materie prime, come quella dell’Australia,
le cui esportazioni di minerali e di altre materie prime verso la Cina
sono esplose negli ultimi anni.
Esprimendo l’inquietudine del mondo degli
affari australiano, David Potts ha scritto nel Sidney Morning Herald:
“La nostra dipendenza dalla Cina
è indiscutibile; d’altra parte, Wayne Swann dovrebbe condividere il
suo premio come miglior ministro dell’ economia con il suo omologo cinese
che ha investito nella sua economia più
di quanto non abbia fatto lui stesso per evitare la recessione.”
Ha inoltre osservato che nella crisi mondiale del 2008 il piano di salvataggio
cinese aveva fatto crescere la domanda di merci, proteggendo così l’economia australiana
e preservandola dalla recessione.
Questa volta la Cina non potrà
salvare l’Australia, ha preannunciato Potts. Il “problema”
per l’Australia non è soltanto che la Cina sta rallentando, ma che questa
non può più appoggiarsi per crescere né sulle esportazioni né sugli
investimenti nell’industria, nei mezzi di produzione e nelle infrastrutture: tutto
ciò richiedeva infatti delle enormi quantità d’ acciaio, che stimolava a
sua volta l’importazione di ferro, nickel e carbone provenienti dall’Australia.
Inoltre, “una bolla ancora più
grande di quella delle merci“, secondo Potts, riguarda le obbligazioni
del Tesoro americano in possesso della Cina. Ha aggiunto: “Senza
volerlo, [la Cina] è vittima della sua stessa politica che consiste
nel mantenere un tasso di cambio molto basso con il dollaro americano”
per conservare la sua competitività come esportatore. Attualmente,
Pechino non potrebbe più rivendere il suo massiccio stock di 100 miliardi
di obbligazioni del Tesoro americano. “Comprandoli
è caduta in trappola, e se ora cercherà
di venderli, metterà in ginocchio l’intero sistema finanziario mondiale“,
ha spiegato Potts.
Potts ha osservato che i 3 trilioni
di dollari in monete straniere posseduti dalla Cina non significano
che sia senza debiti. Se il livello di indebitamento ufficiale non è
che del 27% del PIL, “gli economisti sospettano che potrebbe
aumentare al 90% in realtà, poiché
una gran parte è stata amministrata dai comuni usando i terreni come
garanzie, fatto che non appare nei bilanci ufficiali. Com’è
facile immaginare, quando un consiglio comunale riceve carta bianca,
un gran numero di prestiti viene perduto in progetti senza scopo di
lucro.”
Non molto tempo fa, gli analisti come
Potts parlavano dello scoppio di una crisi dei subprime alla
cinese dovuti ai municipi pesantemente indebitati che non potevano più
rimborsare i loro prestiti. Attualmente, questo rischio di cattivi prestiti
si è immediatamente propagato alle imprese di piccola e media taglia
che avevano effettuato molti investimenti. Quando Pechino ha proclamato
il suo successo di fronte all’aumento dei prezzi, la sua politica di
restringimento dei prestiti ha portato le piccole e medie imprese a
rivolgersi verso finanziatori non ufficiali che praticavano tassi d’interesse
fino al 180%. Il punto dove si concentra quest’ultima crisi è Wenzhou
[1 milione d’abitanti al Sud di Shangai, ndr], che è stata nel passato
il modello dell’espansione cinese orientata all’esportazione. Dopo aprile,
più di novanta imprese hanno chiuso, mentre i proprietari sono fuggiti
o si sono suicidati e i lavoratori protestano contro i salari non versati.
I problemi hanno spinto il primo ministro Wen Jiabao a visitare la città
questa settimana e a ordinare alla polizia di attaccare duramente gli
squali della finanza parallela.
I commentatori hanno previsto che queste
non sono nient’altro che le punte dell’iceberg. Il mercato parallelo
dei prestiti ha cominciato a far parlare di sé l’anno scorso con un capitale totale
stimato di 2500 miliardi di yen (391 milioni di dollari). Più della
metà di questi prestiti erano accordati da istituzioni pubbliche a
scopo commerciale che riprestavano il denaro che ottenevano a dei tassi
da usurai, e il resto era del capitale privato.
Ci sono dei problemi economici ancora
più profondi. Considerato il basso rendimento dell’industria,
numerosi gruppi utilizzano le loro stesse imprese come garanzie dei
prestiti che richiedono a fonti parallele, e in seguito in certi casi
queste imprese riprestano il denaro a dei tassi più elevati o si lanciano
nella speculazione immobiliare. Come ha dichiarato l’economista capo
della Societé Générale in Asia, Yao Wei, il fatto che queste
piccole e medie imprese “siano pronte a prestare soldi a tassi
così elevati dimostra sia che sono in totale mancanza di liquidità
sia che sono implicate nella speculazione, perché
nessuna attività economica reale può
generare un ritorno su investimenti abbastanza elevati per rimborsare
i prestiti.”
Il centro industriale di Wenzhou è
diventato un’economia “fittizia” di speculazione, come si
sostiene in un articolo di Shangahai Morning Post di martedì.
Nel 2001, per esempio, c’erano 4000 imprese a Wenzhou che producevano
mattoni, l’80% della produzione mondiale. Dieci anni più tardi non
ne restano che 100. I capitali sono stati reinvestiti nella speculazione
immobiliare. Un uomo d’affari che mantiene l’anonimato ha dichiarato
al giornale che la sua fabbrica di 1000 operai produceva meno di un
milione di yuan [117.000 euro] all’anno attraverso il “vero lavoro”,
mentre la sua compagnia, investendo in sole dieci proprietà a Shanghai,
aveva guadagnato trenta milioni di yuan in otto anni.
Con la caduta dei prezzi nel settore
immobiliare e degli ordini d’esportazione in conseguenza della depressione
economica globale, le garanzie offerte dalle piccole e medie imprese
per i loro prestiti vedranno ugualmente abbassarsi il loro valore, e
ciò sarà causa di numerosi fallimenti e di perdita di posti di lavoro.
Lontano dall’indicare una qualsiasi
soluzione, l’editoriale di Bloomberg ammette che “ci sono poche
cose che i dirigenti del mondo sviluppato possono fare per influenzare
le sorti della Cina“. Ha continuato: “Sarebbe meglio
per gli Stati Uniti e per il mondo concentrarsi sulla limitazione della
loro propria vulnerabilità. Più conserveranno una crescita appena
a ridosso dello zero, più rischieranno di cadere nella recessione in
caso di choc improvviso, come una sindrome cinese“.
Questo commento sottolinea il fatto
che invece di essere capace di salvare il capitalismo mondiale, la Cina
stessa sta diventando rapidamente una fonte di grande instabilità
economica, alimentando la crisi mondiale in continuo aumento.
Fonte: Craintes d’un effondrement économique de la Chine
14.10.2011
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di FRANCESCA IPPOLITI