REQUIEM PER IL SOGNO, LA FINE DELLA GRANDEZZA

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DI SCOTT PRESTON
Longsworde.wordpress.com

Mi sono sentito attratto
questa mattina da un articolo interessante di Craig Silverman sul Toronto Star.
“The Truth about Public Untruths” è stato pubblicato sul Columbia Journalism Review e cerca di articolare una strategia pubblica di “controllo dei fatti” per contrastare l’epidemia di falsità sulla nostra “fine della storia”, come se davvero se ce ne potesse essere una.

Ma per me, la parte più attinente dell’articolo è stato il primo commento di un certo “Thimbles” che compare immediatamente al di sotto dell’articolo, che va davvero a fondo nel riconoscere il problema essenziale della situazione post-Illuminazione. Non sarebbe molto utile affrontare solo per gradi la veracità, o della mancanza di questa, dei fattoidi, se i problemi che stanno alla radice vengono tenuti nell’ombra del sovrastante
contesto narrativo – il collasso del grande mito culturale – che fornisce il significato a questi fattoidi, e anche alla funzione della pubblica menzogna.

Proprio così. E sono grato sia a Silverman che a Thimbles per aver contribuito a evidenziare il perché la nostra “cultura della menzogna” post-Illuminazione, come è stata definita dall’opinionista di Maclean Andrew Coyne, è diventata un problema così disturbante. Nessuna società può sopravvivere a lungo quando le menzogne e la prassi della falsità hanno infettato e inquinato il dibattito pubblico a livelli tali da poterne parlare come una “cultura”.

Thimbles ha osservato nel suo commento al pezzo di Silverman che il cuore a sostegno della narrativa/mito/storia si sta disintegrando, e che ciò viene riflesso nella “cultura della menzogna” e nella sequela di black-ops
pubbliche, nella gestione della percezione, nella fabbricazione deliberata
delle non-verità (disinformazione), eccetera. La disintegrazione o la decadenza del gran mito culturale (diventato “fiaba”, con le sue parole) comporta che questo diventi un fattore di morte, invece che un qualcosa che sostenga e rafforzi la vita. La cultura della menzogna, che fa parte degli effetti storici consueti nei periodi di declino e decadenza, può essere considerata un sintomo disperato di quella disintegrazione o degenerazione della vecchia narrativa. Il mentire è diventato una strategia perversa designata per conservare e preservare la sua significatività anche a fronte della sua palese degenerazione. Quando però viene infangato dall’aura dell’“assurdo”, il mito non viene più ritenuto fondante o capace di fornire ispirazione. Non corrisponde più, o non fornisce più significato, alla nostra esperienza o attività, e neppure può costituire le fondamenta della nostra identità personale e collettiva.

Dire che il grande mito è diventato “degenere” significa che non serve più a ispirare nuovamente le generazioni o a darci uno scopo e un significato personale e collettivo, o a fornirci un orientamento, una direzione e un senso di identità nello spazio e nel tempo. Il mito in sé non è una bugia, ma un modo di simbolizzare il significato, lo scopo e le verità della nostre esperienze all’interno di una “gestalt”, una narrativa universale coerente. Quando questo grande mito diventa incoerente nel servire i nostri scopi – comincia a disfarsi, come viene detto -, inizia a prendere piede l’”assurdità” del senso della nostra vita e della nostra esperienza. Quando cominciamo a percepire quest’esperienza nella vita quotidiana, allora sappiamo che la grande guida narrativa si sta disintegrando; sta diventando incoerente. Non ci sembra più la nostra storia.

Nel contesto statunitense, questo grande mito è stato chiamato “il Sogno Americano”, ma ha altri nomi in altri contesti e può essere generalmente definito come “il mito della Modernità” (in qualche modo, la stessa “nobile menzogna” di Platone e il “raggiro” collettivo di Adam Smith). Persino molti fisici parlano oggi delle loro teorie come “miti” descrittivi, modi per adattare i fattoidi all’interno di una storia narrante che abbia un significato (The Matter Myth di Davies e Gribbins, ad esempio).

È quella che chiamiamo “disillusione”. La funzione pubblica del mentire in questo contesto serve a conservare l’illusione o l’inganno contro la frammentazione del grande mito. Tutto questo tende a divenire reazionario. Tendiamo a pensare che la disillusione sia una cosa pessima. La chiamiamo anche “malessere” e questa parola “malessere” (mancanza di ispirazione) è una delle parole più comunemente utilizzate per descrivere la nostra condizione post-moderna. (The Malaise of Modernity era il titolo di un’importante serie di lezioni della CBC e di un libro del filosofo Charles Taylor). Il malessere ha lo stesso significato della disillusione.

In ogni caso, la storia dei progressi dell’umanità è anche la storia delle sue successive disillusioni. La disillusione può essere considerata “dirompente”. Ma questo è anche il significato della parola “apocalisse”, la rivelazione o il disvelamento della verità. Quelle che vengono squarciate sono solo le nostre illusioni e i nostri inganni su noi stessi e la nostra realtà. Questo è il paradosso della parola “apocalisse”, perché è simultaneamente una morte e una nascita, un’alba e un tramonto, una fine e un inizio.

(Questo senso di “devastazione”
può fornire un qualche contesto all’indicativa dichiarazione di Jason Howard sul movimento Occupy, “
Occupying the Prevailing Political Discourse“, una delle affermazioni più interessanti che sono uscite dal movimento).

E, in questo senso, stiamo davvero vivendo tempi apocalittici. L’inganno di cui facciamo esperienza oggi è, in effetti, un modo per prevenire o trattenere la rivelazione di una nuova verità su chi e cosa siamo davvero.

Quanto meno una buona parte dell’ossessione odierna per la “sicurezza” è collegata alla disintegrazione del grande racconto, e per questo coloro che cercano il potere allontanano chi cerca la verità. La “sicurezza” della vecchia narrativa è
davvero il punto cardine. E credo che siamo prossimi a politiche brutalmente reazionarie (o forse quello che Bertram Gross una volta ha definito “
Fascismo
Amichevole
“). Ultimamente
ho notato una tendenza deprecabile in chi parla di “valori assoluti” (ad esempio, democrazia, libertà di parola) come se fossero un fine in sé, invece che dei portatori di significato, e di solito si tratta delle stesse persone che si presentano in modo petulante come difensori e campioni di questi stessi “valori assoluti”. Dei veri dottor Jekyll e Mr. Hyde.

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Fonte: Requiem for the Dream, End of the Grand Narrative

03.12.2011

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE

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