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FONTE: SOLLEVAZIONE (BLOG)

La posta in palio dello scontro Pdl

Il durissimo scontro in corso dentro il partito di Berlusconi, chi ci segue lo sa, non ci stupisce. L’11 aprile scorso, mentre i “sinistrati” si piangevano addosso sulla inesistente “vittoria” delle destre, nell’articolo “ADESSO VIENE IL BELLO”, scrivevamo:
«Malgrado le rassicurazioni leghiste Berlusconi sembra deciso a procedere a tappe forzate anche senza il consenso del centro-sinistra, ovvero con l’approvazione in Parlamento senza alcuna maggioranza qualificata per poi andare al redde rationem del Referendum. O tutto o niente! La stessa polemica con Fini sulla legge elettorale, la dice lunga. Berlusconi non solo vuole restare il protagonista assoluto e carismatico, vuole cucirsi addosso la “riforma istituzionale”, e se ne frega delle regole, facendo leva populisticamente sul suo indice di gradimento tra la plebaglia, nella quale si annovera la nuova borghesia padana. La “riforma” dev’essere funzionale all’obbiettivo, il suo: diventare Presidente incontrastato di una repubblica presidenzialista (delle banane).

A seguito, “Il suo è un gesto coraggioso” (Massimo Fini, il Fatto);Se così stanno le cose altro che tre anni di tranquilla legislatura! Avremo al contrario un periodo di turbolenze e di scompaginamenti, politici e istituzionali, ancor più seri di quello passato. Il tutto con l’aggravante di una crisi economica che potrebbe precipitare a causa dell’esplosione della “bolla” del debito pubblico.

Le consorterie e le oligarchie dominanti vorrebbero la pacificazione nazionale e un governo che goda del più ampio sostegno per approntare (prima ancora dei mutamenti della Costituzione formale) le misure antipopolari necessarie ad evitare un crollo dell’economia. Hanno un problema: l’ingombrante presenza di un primo ministro avventurista che fa girare la ruota politica e il destino del paese attorno a se stesso».
Non è detto che quello tra Fini e Berlusconi sia il redde rationem. Forse ha ragione Salvatore Merlo su IL FOGLIO di Ferrara in edicola oggi:
«Pace fatta, o quasi. Basterebbe l’immagine del funzionalista e prepolitico Silvio Berlusconi impegnato a convocare organi di partito per la prossima settimana e persino “un congresso entro l’anno” a rendere il quadro di un appeasement con Gianfranco Fini cui manca soltanto un ultimo sigillo. Lo schema in pubblico è ancora quello di gettare la palla nel campo avversario, il Cav. dice di non voler rompere (“è Fini che se ne vuole andare”) mentre il presidente della Camera fa intendere che dipenderà tutto dal Cav. Ma sotto la superficie entrambi sono interessati a trovare un accordo “definito e duraturo”, entrambi disponibili a cedere qualcosa».
Forse.

Poichè i problemi non consistono solo in un mero scontro per le poltrone, nella questione della collegialità nel PDL, nel contenzioso sul suo regime interno e su come vengono adottate le decisioni (ovvero il ruolo cesarista del Cavaliere), e nemmeno solo se il governo sia a “trazione leghista”. Ovvero, tutti questi sono effetti collaterali o rivestimenti del vero oggetto del contendere: la linea del governo per quanto attiene alle cosiddette riforme istituzionali e, noi riteniamo, sulla politica economica.

Solo i fessi possono credere ai messaggi tranquillizzanti di Berlusconi e Tremonti che il peggio della crisi economica ce l’avremmo alle spalle. Il Peggio l’Italia ce l’ha davanti, ma non in un lontano orizzonte, forse nei prossimi mesi, già in autunno.
I segnali che giungono dall’avvitamento della crisi del debito pubblico greco, la minaccia che vengano giù Portogallo e Spagna, e a catena il nostro paese, sono sempre più minacciosi.

Di fronte al fatto che l’Italia è sull’orlo di una catastrofe il berlusconismo ha oramai scelto il suo posizionamento, o il suo approccio. La cosiddetta “trazione leghista” simboleggia questa linea di fondo: un federalismo che rischia di spaccare il paese in due, il cavalcare i sentimenti più retrivi e xenofobi che covano nelle viscere del paese, la rotta di collisione con le grandi consorterie bancarie e finanziarie, la volontà di scardinare la repubblica parlamentare per un sistema bonapartista cucito addosso al magnate di Arcore.

Anche ove Fini e Berlusconi giungessero ad un compromesso esso sarebbe solo momentaneo. Tuttavia questo compromesso ci appare improbabile. Fini risponde ad interessi di frazioni del capitale potenti, che, spaventate da quello che questo governo potrebbe decidere nei prossimi mesi, possono aver deciso di togliersi definitivamente di mezzo Berlusconi. Farlo fuori ora, non aspettando le elezioni fra tre anni.

Fonte: http://sollevazione.blogspot.com
Link: http://sollevazione.blogspot.com/2010/04/quanto-durera-berlusconi.html
17.04.2010

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