SIRIA, LIBIA E ANCHE OLTRE, I GLOBALISTI SI PREPARANO ALLA SECONDA FASE
TERRORISMO – IRAN – USA – Uno studio sulle possibilità di invasione dell’Iran da parte degli Stati Uniti
DI TONY CARTALUCCI
Land Destroyer
Mentre le nazioni più “semplici”, Tunisia e Egitto, venivano spazzate via dalle rivoluzioni colorate finanziate dall’estero, gli oligarchi della finanza globale sapevano già in anticipo che con Libia, Siria e Iran le cose sarebbero andate diversamente. Nazioni quali Bielorussia, Pakistan, Myanmar e Thailandia arriveranno in un secondo momento con problemi simili, e naturalmente Russia e Cina rimarranno alla fine del percorso e avranno bisogno di operazioni più complesse per portare ai cambi di regime e per assimilarle all’interno della “comunità internazionale” dominata dalla finanza di Londra e di Wall Street.In ultima analisi questa è la battaglia finale tra gli Stati-nazione e l’obbrobriosa, illegittima “comunità internazionale”. La battaglia è quella di costruire quella che molti analisti geopolitici definiscono la Terza Guerra Mondiale, che può però avere esiti insidiosi. È una battaglia dove i mefitici network imperialisti operano con il nome di “società civile” e dove le “ONG” incitano le popolazioni contro i loro governi in modo da rimpiazzarli con i loro tirapiedi. Le istituzioni nazionali saranno soppiantate da questa “società civile” globale che, a sua volta, si interfaccerà con le affettate istituzioni internazionali quali il FMI, la Banca Mondiale e le sempre più farsesche Nazioni Unite.
Le rivoluzioni in Tunisia e in Egitto dovevano servire come motivazione retorica e moralistica per le ancor più violente e costose campagne contro Libia, Siria e Iran. Nel caso della Libia, quasi 30 anni di un’insurrezione armata con alti e bassi, sempre sostenuta da Stati Uniti, Regno Unito e dalla legione arabo-statunitense Al Qaeda, hanno plasmato lo scontro con Gheddafi. Quando il 17 febbraio è stato dato il segnale per il “Giorno della Rabbia” dai leader
libici in esilio a Londra, la guerra era già una conclusione scontata, già prevista.
E così anche le operazioni contro Siria e Iran. Queste sono certezze che vengono ammesse anche all’interno degli stessi think tank globalisti e ripetuti a pappagallo dai burattini senza coscienza che formano i governi dell’Occidente.
Per sgombrare il campo dai dubbi sui progetti che l’élite globalista ha nei riguardi degli Stati-nazione di tutto il mondo, è uscito il documento “Which Path to Persia?“, della Brookings Institution. In un primo momento secretato, il report oggi riveste una grandissima importanza per definire la condotta e le tattiche che ci possiamo attendere nel futuro prossimo, una fase ancor più violenta di riordino politico del pianeta.
Possiamo intravedere che gli stratagemmi e la metodologia delineati in questo documento sono stati messi in pratica non solo in Iran, ma anche in Libia e in Siria, paesi da usare come testa di ponte per gli obbiettivi situati lungo la “String of Pearls” della Cina e lungo i confini della Russia.
Mentre analizziamo questo sporco complotto, finanziato da alcuni dei più consistenti interessi delle banche e delle multinazionali, possiamo comprendere come il programma dell’élite globale sia stato messo in opera, iniziando dall’Iran per poi arrivare fino a Mosca
e Pechino. Analizzare questo documento, diffonderlo sia tra le persone che, alle spalle dei governi, lo stanno mettendo in opera che tra coloro che lo combattono, potrebbe impedire quello che è forse il più grande tentativo di riordino geopolitico della storia dell’uomo.
Qual è la via che porta alla Persia?
Un vademecum per rovesciare le nazioni, il report di 156 pagine si concentra sui cambi di regime che si possono effettuare in Iran. È abbastanza palese che si ispiri alla mole di conoscenze acquisite col tempo dall’impero anglo-americano nel fomentare rivolte, divisioni, insurrezioni, colpi di stato e cambi di regime in tutto il mondo. È un’evidenza irrefutabile che è l’élite globale, e non certo i nostri legislatori, l’arbitro della politica estera occidentale.
È anche irrefutabile il fatto che le élite globali siano capaci e desiderino fomentare le proteste popolari, di usare il terrorismo contro Stati-nazione sovrani, di corrompere schiere di traditori per portarli in un corpo militare straniero, tutto questo allo scopo di effettuare un colpo di stato e usare la violenza da loro provocata come pretesto per intervenire con la forza.
Sanzioni
In un contesto simile, qualsiasi operazione militare contro l’Iran sarebbe molto impopolare in tutto il mondo e richiederebbe un contesto internazionale appropriato, sia per assicurarsi il supporto logistico che l’operazione necessiterebbe che per affievolirne le conseguenze. Il modo migliore per minimizzare l’opposizione internazionale e massimizzare il sostegno (in ogni caso, forzato o non palese) sarebbe quello di colpire solo quando ci fosse una convinzione diffusa che agli iraniani sia stata data una possibilità allettante, che invece hanno rifiutato, una talmente buona che solo un regime che ha l’obbiettivo di avere le armi nucleari, e soprattutto per gli scopi sbagliati, non prenderebbe in considerazione. In questo caso gli Stati Uniti (o Israele) potrebbero evidenziare che la loro reazione è stata presa con rimpianto, e non con rabbia, e almeno alcuni nella comunità internazionale potrebbero arguire che gli iraniani “se la sono cercata” per aver rifiutato una trattativa molto buona.”
Il cambio del regime e forse anche operazioni militari. Tutti considerano che l’Iran abbia ormai il destino segnato, con il Brookings che usa il pretesto delle sanzioni come un semplice mezzo per avviare un’escalation per portare a poco a poco i governi del mondo a sostenere il cambio del regime, e persino una guerra se ce ne fosse bisogno.
Questo è proprio quello che è stato fatto in Libia, con false preoccupazioni umanitarie tradottesi in una no-fly zone, che poi si è trasformata negli attacchi contro le forze
di terra di Gheddafi, negli omicidi mirati contro lo stesso Gheddafi e ora si parla di distruggere le infrastrutture civili e di un’invasione di terra col massimo sforzo.
Un scenario simile si sta ripetendo in Siria dove la violenza finanziata dall’estero è stata usata come mezzo per poter intervenire in modo più deciso.
E mentre i governi occidentali simulano l’inazione e l’esitazione di fronte al bagno di sangue che loro stessi hanno istigato, in realtà fanno in modo che tutto questo venga realizzato anche in Siria così come il Brookings propone di farlo contro l’Iran.
L’Invasione
Sebbene non sia impossibile che Teheran possa compiere qualcosa che giustifichi un’invasione americana e questo sarebbe possibile se Washington cercasse una provocazione del genere, ci vorrebbero iniziative che potrebbero rendere più probabile che Teheran faccia questo (anche se fare cose ovvie potrebbe annullare la provocazione). Comunque, dovendo aspettare che sia l’Iran a fare la provocazione, con l’Iran che si è preoccupato più volte di non farla in passato, gli Stati Uniti non saprebbero mai con certezza quando potrebbe arrivare la giusta provocazione dall’Iran. In effetti, potrebbe non arrivare mai.”
Questo è quello di cui i politici americani discutono apertamente, ossia provocare di proposito una nazione per giustificare un’invasione su larga scala che altrimenti sarebbe indifendibile. Se un tale tradimento, a costo della vita di migliaia di americani e forse di milioni di iraniani, è sostenuto apertamente nelle stanze dei think tank globalisti, di cosa parlano a porte chiuse?
Per quelli che rigettano all’istante l’ipotesi che l’11 settembre sia stato un inside job, ritenendo che i politici occidentali non siano capaci di sotterfugi tanto meschini, la prova è qui davanti agli occhi, che si staglia dalle pagine di questo documento della Brookings Institution per permettere a tutti di capire e di venirne a capo.
In Libia le provocazioni per i bombardamenti NATO sono venute da una ridda di report non verificati che venivano dagli stessi ribelli e dalle bugie, quelle sì verificate, sulle sparatorie
contro i dimostranti disarmati. Con l’obbiettivo
di uccidere Gheddafi che ha provocato la morte di suo figlio e di tre suoi nipoti, la NATO sembra aver preso “iniziative che possano rendere più probabile”
un senso di rabbia in Gheddafi che possa così portare a una provocazione, che a quel punto potrà giustificare un invasione di terra della NATO ancora più allargata. Se la sequela di bugie che hanno permesso l’avvio delle operazioni nell’attuale campagna NATO ci potrà essere di aiuto, anche se Gheddafi non facesse nulla, verrebbe comunque pianificata un’operazione che possa provocare una sua rappresaglia.
Mentre le operazioni in Siria sono ancora nella fase preparatoria, possiamo star sicuri che l’opzione militare è già stata messa sul tavolo, e così anche le giuste provocazioni, indotte o fabbricate.
Il fronte unito contro l’Iran
Visto che la situazione non permette di spingere il GCC verso il sostegno alle operazioni militari contro l’Iran, cosa potrebbe riuscirci? Certamente l’Iran che testa un ordigno nucleare, ma a quel punto sarebbe quasi certamente troppo tardi: se gli Stati Uniti invaderanno l’Iran, andrà fatto prima che l’Iran abbia elaborato armi nucleari, non dopo. È difficile sapere cosa potrebbe fare l’Iran per far cambiare l’attitudine del GCC sull’uso della forza senza che nuovi leader riescano a prendere il potere nella zona del Golfo che sarebbero molto più determinati a fermare l’Iran di quanto non lo vogliano quelli ora al potere.”
Ovviamente i “nuovi leader” stanno prendendo il potere fino al Golfo a seguito della ”Primavera
Araba” creata dagli USA, con l’Arabia Saudita che viene tacitamente minacciata con le sommosse in Bahrein e in Yemen, mentre l’asse dell’influenza iraniana verso la Siria e il Libano viene destabilizzato. Anche l’Egitto e l’Africa del Nord sono state gettati allo stesso modo nel caos, con i pupazzi globalisti che sono sempre d’accordo nell’acconsentire a qualsiasi imposizione che proviene da Washington. Questo conferma le peggiori paure degli analisti
geopolitici, come il dottor Webster Tarpley che ha previsto già alla metà di febbraio
del 2011 che la “Primavera Araba” creata dagli USA era una mossa per riordinare il Medio Oriente contro l’Iran e al termine contro Cina e Russia.
Come fabbricare le provocazioni
Questo ci suggerisce che quest’opzione potrebbe beneficiare dall’essere tenuta in sospeso fino al momento in cui gli iraniani faranno una mossa provocatoria appropriata, come succede di tanto in tanto. In quel caso, sarebbe una politica meno plausibile quella di effettuare bombardamenti e invece darebbe più speranze un’Iran che fornisca agli Stati Uniti quel tipo di provocazione che li potrebbe giustificare. Comunque, tutto questo comporta che l’uso dei bombardamenti non deve essere l’iniziativa principale contro l’Iran (anche se fosse l’assoluta preferenza di Washington), ma solamente un’iniziativa complementare a un’altra opzione fino a che l’Iran non fornisca il pretesto necessario.”
Si noti ancora l’elaborazione contorta di una macchinazione per portare una nazione sovrana in guerra, una nazione che il Brookings Institute ritiene già da tempo non avere nessun interesse a un conflitto armato con gli Stati Uniti. Da notare anche la prima menzione degli “impegni secretati per i cambi di regime” da usare come mezzo per esercitare una sufficiente pressione per obbligare una reazione di un certo tipo che verrà usata per un’escalation politica e il susseguente intervento militare.
Una macchinazione del genere è stata recentemente utilizzata in Libia e ora in Siria dove la violenza fomentata dall’estero ha provocato la dovuta reazione dei regimi al potere, che è poi servita per l’espansione dell’intervento degli Stati Uniti.
Il Brookings suggerisce che un disturbo del genere deve essere fatto in modo tale da non sollevare sospetti su quale sia il “gioco”. Con un po’ di speranza, se le persone leggeranno questa confessione – nient’altro che una cospirazione internazionale, con tanto di firma – non cadranno mai più nel “gioco”.
Le Rivoluzioni colorate finanziate dall’estero
Gli Stati Uniti possono ricoprire ruoli molteplici per facilitare una rivoluzione. Finanziando e aiutando le organizzazioni rivali del regime, gli Stati Uniti potrebbero creare una leadership alternativa per rilevare il potere. Con le parole di Raymond Tanter dell’Iran Policy Committee, gli studenti e gli altri gruppi
“hanno bisogno di un appoggio coperto durante le loro manifestazioni. Hanno bisogno di fax, di accesso a Internet, soldi per duplicare il materiale e per pagare il servizio d’ordine.”
Oltre a questo, le trasmissioni dei media appoggiati dagli Stati Uniti possono evidenziare le mancanze del regime e portare alla luce critiche tenute all’oscuro. Gli Stati Uniti hanno già sostenuto la televisione satellitare in lingua farsi (Voice of America Persian) e la radio (Radio Farda) che ha portato notizie non filtrate agli iraniani (negli ultimi anni, si sono prese la fetta più grossa dei finanziamenti degli Stati Uniti per la promozione della democrazia in Iran). La pressione economica degli Stati Uniti (e forse anche la pressione militare) possono screditare il regime, rendendo la popolazione convinta della necessità di un’altra leadership.”
Qui il Brookings fa dei richiami precisi per creare all’interno dell’Iran, o di qualsiasi altra nazione presa di mira, le condizioni che possano portare alle sommosse. Promuove il finanziamento
e l’organizzazione delle rivolte e, ovviamente, la manipolazione da parte dei media stranieri per plasmare l’opinione pubblica e perpetuare la propaganda sostenuta dagli Stati Uniti. Questo accade in quasi tutti i paesi che sono oggetto di destabilizzazione, quasi sempre finanziata da organizzazioni come il National Endowment for Democracy (NED) o dalle reti dei cosiddetti “media indipendenti” e delle ONG che operano in difesa dei diritti umani: sono quelli che “portano alla luce le critiche tenute all’oscuro”.
Il Project on Middle East Democracy finanziato dal NED è un megafono della propaganda che agisce in tutto il Medio Oriente per diffondere la narrativa ufficiale degli Stati Uniti con lo scopo di fomentare le rivolte dall’Egitto alla Siria. Voice Of America viene citata dal Brookings in questo documento e gli esempi nell’Europa dell’Est comprendono Radio Free Europe, una sussidiaria di Voice Of America sotto la Broadcasting Board of Governors
di cui il Segretario di Stato, Hillary Clinton, è membro. Degna di attenzione nel sud-est asiatico
il Prachatai of Thailand, anch’esso finanziato dal NED.
Questa nefasta rete globale nutre il mainstream e le analisi di questi media, di proprietà delle multinazionali, sono ripetuti parola per parola e considerati ovunque fonti affidabili. Dovrebbe essere ricordato il fatto che, all’interno delle 156 pagine di “Which Path to Persia?“, è esplicitamente e spesso sostenuto che questi sotterfugi hanno lo scopo di proteggere e espandere gli interessi degli Stati Uniti nella regione e quello di diminuire la capacità dell’Iran di sfidare questi stessi interessi in qualsiasi modo, forma o maniera, non certo per promuovere la democrazia, per proteggere la libertà o addirittura per proteggere gli USA da una reale minaccia alla propria sicurezza.
Conseguentemente, se gli Stati Uniti riuscissero a scatenare una rivolta contro il regime clericale, Washington deve prendere considerare se sostenerla con qualche forma di supporto militare per impedire a Teheran di soffocarla.” “Questo requisito significa che una rivoluzione popolare in Iran non rientra nel modello delle “rivoluzioni di velluto” avvenute in altri luoghi. Il punto è che il regime iraniano potrebbe non voler uscire di scena in silenzio; al contrario di ciò che è avvenuto nei regimi dell’Europa
dell’Est, potrebbe decidere di lottare fino alla morte. In queste circostanze, se non ci fosse un’assistenza militare esterna ai rivoluzionari, non solo verrebbero sconfitti ma massacrati.
Conseguentemente, se gli Stati Uniti perseguiranno questa politica, Washington dovrà prendere in considerazione quest’evenienza. E questo aggiunge altri requisiti alla lista: l’iniziativa dovrà includere un sistema per indebolire le forze armate iraniane o la volontà dei capi del regime di affidarsi alle forze armate, altrimenti gli Stati Uniti dovranno essere pronti a intervenire per sconfiggerli.”
Con estrema chiarezza, dopo aver cospirato la messa in opera delle rivolte finanziate dall’estero, le prevedibili misure restrittive attuate dalle forze di sicurezza iraniane, allo scopo di ristabilire l’ordine, “richiedono” una qualche forma di deterrenza o di sostegno militare per prevenire che il movimento venga sbaragliato. Comprendiamo che questo è proprio lo scenario che è stato recitato alla lettera in Libia, dove i “manifestanti” erano in effetti ribelli armati fin dall’inizio, i destinatari del supporto fornito per decenni da Stati Uniti e Regno Unito e, poco dopo l’inizio della ribellione, le forze NATO hanno costruito tutta una serie di falsi pretesti per prevenire che le forze di Gheddafi schiacciassero le forze ribelli.
Un processo che porta alle stesse conseguenze si sta verificando in Siria, dove le marionette al governo di Stati Uniti e Regno Unito stanno minacciando il governo siriano con un intervento militare sulla stessa falsa riga della Libia. Vediamo, in realtà, che questa “falsa riga” è stata chiaramente illustrata in questo report del 2009 ed è basata sulla metodologia
“Problema, Reazione, Soluzione” usata dagli imperialisti nel corso della storia dell’uomo.
Sia in Libia, che in Siria e Yemen, e in altre nazioni da sempre sotto scacco come la Thailandia, i militanti armati confluiscono nei gruppi dell’opposizione per aumentare le proteste di strada. Spesso questi elementi armati si infiltrano senza che i manifestanti ne siano a conoscenza e in qualche caso, specialmente
in Siria e nello Yemen, sembra che gruppi di “banditi misteriosi” si stiano scontrando sia con le forze di sicurezza che con i manifestanti per portare a un’escalation della violenza e delle rivolte. Se l’aumento del tasso di violenza
fallirà nel portare il piatto della bilancia dalla parte dei manifestanti, la violenza stessa diventerà il pretesto per il livello successivo d’intervento degli Stati Uniti.
Gli Stati Uniti hanno sostenuto il terrorismo e le insurrezioni armate
Agenti Potenziali sul Posto”, pagg. 117-118 (pagg. 130-131 del PDF): Forse il più importante (e certamente più controverso) gruppo d’opposizione che ha è preso in considerazione come potenziale intermediario per gli Stati Uniti è il NCRI (National Council of Resistance of Iran), il movimento politico formato dai MEK (Mujahedin-e Khalq). I critici credono che il gruppo non sia democratico, oltre che impopolare e veramente anti-americano.
I sostenitori del gruppo controbattono che il movimento, grazie all’opposizione di lungo periodo contro il regime iraniano, alla serie di attacchi culminati dal successo e alle operazioni in collaborazione con
l’intelligence americana, meriti di essere supportato dagli Stati Uniti. Affermano inoltre che il gruppo non è più anti-americano, volendo mettere in discussione il merito di tali accuse. Raymond Tanter, uno dei sostenitori del gruppo negli Stati Uniti, argomenta che il MEK e il NCRI sono alleati per il cambio di regime a Teheran e operano come un proficuo raccordo delle operazioni d’intelligence.
Il più grosso successo ottenuto dall’intelligence del MEK fu lo spionaggio che nel 2002 portò alla scoperta di un sito segreto per l’arricchimento dell’uranio.
Malgrado le difese portate dai suoi sostenitori, il MEK rimane nella lista delle organizzazioni terroristiche del governo degli Stati Uniti. Negli anni ’70 il gruppo uccise tre ufficiali degli Stati Uniti e tre contractor civili in Iran. Nel corso della crisi degli ostaggi nel 1979-1980 il gruppo appoggiò la decisione di prendere in ostaggio gli americani e Elaine Sciolino ha riportato che, mentre i leader del gruppo hanno condannato pubblicamente gli attacchi dell’11 settembre, all’interno
tutti hanno festeggiato.
Senza dubbio il gruppo ha portato a compimento attacchi terroristici, spesso scusati da coloro che sostengono la causa del MEK perché indirizzati contro il governo iraniano. Ad esempio, nel 1982 il gruppo piazzò degli ordigni nel quartier generale del Partito Repubblicano Islamico, che era all’epoca la principale organizzazione politica della leadership clericale, uccidendo 70 dirigenti. Più di recente il gruppo si è attribuito più di una dozzina di assalti con mortai, omicidi e altri attacchi a civili iraniani e a obbiettivi militari tra il 1998 e il 2001. In ultima analisi, per lavorare più a contatto con il gruppo (almeno in modo palese), Washington dovrà rimuoverlo dalla lista delle organizzazioni terroristiche.”
Se gli Stati Uniti dovessero iniziare a armare e finanziare il MEK (e sembra che lo stiano già facendo), diventerebbero anche loro uno “stato che sponsorizza
il terrorismo”, mentre sta combattendo da un decennio proprio contro questi paesi. Il MEK è un’organizzazione terroristica che uccide e massacra i civili in modo indiscriminato insieme agli oppositori politici. È oramai assodato che il MEK ha preso di mira e ucciso cittadini americani. Ma per qualche ragione va presa in considerazione la possibilità di utilizzarlo come intermediario e di rimuoverlo dalla lista delle “organizzazioni terroristiche straniere”, lista che, a quanto pare, viene stilata tenendo conto dell’utilità o meno nel sostenere le politiche degli Stati Uniti.
Abbiamo sondato lo spessore della depravazione che ispira l’operato dell’élite globale. Abbiamo verificato che i degenerati che sono dietro a “Which Path to Persia?”, tra cui Kenneth Pollack, Daniel Byman, Martin Indyk, Susanne Maloney, Michael O’Hanlon e Bruce Riedel – la maggior parte dei quali scrive per i quotidiani più diffusi negli Stati Uniti -, potrebbero vedere realizzati i loro progetti. Secondo l’articolo del New Yorker, “Preparing the Battlefield di Seymour Hersh, il MEK sta ricevendo dal 2008 armi e finanziamenti con gli scopi descritti dal report del Brookings uscito un anno più tardi.
Sembra proprio che molte delle opzioni elencate da “Which Path to Persia?” sono già state rese operative. I ribelli baluci che sono nell’est dell’Iran e del Pakistan occidentale vengono menzionati sia nel documento del Brookings che nell’articolo di Hersh. Il sostegno che gli Stati Uniti vogliono fornire a questo gruppo è molto ambizioso. Oltre a usarli in operazioni terroristiche contro Teheran, sono anche formati e diretti verso la destabilizzazione e la balcanizzazione del Pakistan.
Fomentare un colpo di stato militare
Allestire un colpo di stato è un compito difficile, specialmente in uno stato che è paranoico riguardo le influenze e le intromissioni che provengono dall’estero, come lo è l’Iran. Gli Stati Uniti dovrebbero prima prendere contatti con membri delle forze armate irachene (e anche dei suoi servizi di sicurezza). Già questo è molto difficoltoso. A causa dell’ipersensibilità degli iraniani nei confronti degli americani, gli Stati Uniti dovrebbero fare affidamento su degli intermediari, terze persone del posto che lavorano per conto degli Stati Uniti, la qual cosa che aggiunge ulteriore complessità. Poi gli Stati Uniti dovrebbero utilizzare questi contatti per cercare di identificare il personale militare iraniano che sia in grado e voglia realizzare un colpo di stato, cosa ancora più difficile; sarebbe già complicato per gli americani prendere contatto con ufficiali militari iraniani, lasciarli poi da soli a vedersela con queste persone che dovrebbero rischiare la propria vita e quella dei loro familiari per tentare il colpo di stato.
Naturalmente è possibile che, nel caso Washington rendesse palese il tentativo di sostegno di un colpo di stato in Iran, i golpisti possano raggiungere gli Stati Uniti. Ma questo accade raramente: la storia ci mostra che i golpisti che si sono esposti a un altro governo nazionale stati quasi sempre scoperti e uccisi; per di più, molti di quelli che sono venuti negli Stati Uniti a chiedere aiuto per il rovesciamento di questo o quel governo di solito sono impostori o addirittura agenti del controspionaggio dei governi che vengono presi di mira.”
Se i lettori si stessero chiedendo se c’è un precedente storico di un allestimento da parte degli Stati Uniti di un colpo di stato, il documento del Brookings ci fornisce un perfetto esempio con l’Operazione Ajax:
Le rivolte in Tunisia e in Egitto sono state all’apparenza supportate da membri delle forze armate, con defezioni simili che si sono viste in Libia e in Siria per contribuire al collasso dei regimi da combattere.
Le nazioni occidentali potrebbero voler prendere tempo per tenere nuovamente contatti con gli ufficiali militari che hanno avuto nel passato legami con gli Stati Uniti, che hanno ragione o intime motivazioni per mettere in subbuglio il paese con una serie di agitazioni pianificate all’estero.
Dovrebbe essere notato che il documento del Brookings suggerisce che tutte queste opzioni, rivoluzione popolare, insurrezione e colpo di stato, possono essere usate simultaneamente nella speranza che almeno una di queste abbia successo. Ci dice anche che dovrebbero formare “fruttuose sinergie” per mettere ancora più nei guai il regime da colpire (pag. 150, pag. 163 del PDF.)
Conclusione
È inconcepibile, dopo aver letto le pagine di “Which Path to Persia?”, che non si riesca a comprendere che la “comunità internazionale” è un qualcosa che non ha un minimo di legittimità. Elabora una serie di leggi con l’unico scopo di impedire la loro efficacia, indifferente alle conseguenze del proprio atteggiamento criminale. Dobbiamo anche sapere che gli Stati Uniti non si stanno
relazionando con le nazioni del mondo come era stato previsto dai Padri Fondatori d’America, piuttosto con scopi estorsivi e per costringere il mondo a conformarsi ai suoi “interessi”.
Questo report presenta un ampio ventaglio di azioni da usare non solo in Iran, ma in tutto il pianeta. Guardando a quello che è successo con la “Primavera Araba” finanziata dagli USA, è abbastanza ovvio che la metodologia contenuta nel report sia stata messa in pratica per destabilizzare, deporre regimi e per istigare le guerre d’aggressione. Studiando questo documento e le sue implicazioni per l’Iran e le regioni limitrofe, potremo meglio comprendere i conflitti che, dal Nord Africa al Golfo, non hanno ancora esaurito la propria spinta. È essenziale che documenti come questo vengano resi pubblici,
che la loro metodologia sia messa a nudo e che sia rivelata la vera identità degli architetti che guidano la politica estera occidentale. Come il report afferma in vari punti, la grande parte dei loro sotterfugi richiede segretezza, un “diniego plausibile” e che vengano posti in essere “senza che il resto del mondo riesca a comprendere il gioco.”
Il mondo deve capire chi è che veramente ha il potere in mano e, una volta compresa la loro agenda, si potrà rifiutarla e sostituirla con una locale, autosufficiente, indipendente e totalmente libera.
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Fonte: http://landdestroyer.blogspot.com/2011/05/which-path-to-persia-redux.html
18.05.2011
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE