Qualcuno pensi ai bambini

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DI

nowherevilleblog

Ho la sensazione che il clima di insicurezza e precarietà che le continue stragi americane stanno generando, stia predisponendo le condizioni ideali per una nuova campagna populista da parte di Trump. Il tema della sicurezza è infatti uno di quei temi a cui la popolazione è spesso più sensibile, e la possibilità di cavalcare un’onda così ghiotta, pur se terribilmente pericolosa, credo stia risvegliando le brame del presidente.

All’incontro con studenti superstiti di alcune stragi vediamo un Trump commosso e attento, che prende nota e pianifica le domande da fare, che vuole capire ed essere vicino al dolore e alla preoccupazione attorno a lui. “Vi ascolto.” dice l’ultimo punto delle sue note.

Le sue recenti dichiarazioni, per certi versi spiazzanti per la loro apertura, vanno tuttavia lette in controluce, mettendo a raffronto il Trump passato, il presente, e soprattutto il futuro(1):

“Ho firmato una circolare diretta al Procuratore Generale per proporre delle norme per vietare tutti i devices capaci di trasformare delle armi legali in mitragliatrici. […] Dobbiamo abbandonare gli stereotipi del passato e i logori dibattiti, per focalizzarci su soluzioni basate sull’evidenza e su misure di sicurezza che funzionino veramente e che rendano più semplice agli uomini e alle donne della Polizia proteggere i nostri bambini!”

Appare ragionevole la proposta di impedire il potenziamento delle armi, tuttavia non si prende in considerazione il numero enorme di stragi commesse con armi semi-automatiche (non automatiche come le mitragliatrici che sparano in maniera continua senza alzare il dito dal grilletto).

Tipi di armi usate nelle sparatorie di massa negli USA dal 1982 al 2017 (https://www.statista.com/statistics/476409/mass-shootings-in-the-us-by-weapon-types-used/)

Inoltre, per quanto ragionevole, Trump non accenna minimamente a delle misure che incidano su quelle armi attualmente legali, le quali non vanno minimamente messe in discussione. Come ha sempre affermato ad ogni strage, anche qui vale il motto “si è trattato di un pazzo”. Ovvero, le armi legali vanno bene, soltanto dobbiamo prendere atto che in giro esistono degli svitati che possono trasformarle in pericolosi mitragliatori. Per cui bisogna agire sui devices – capri espiatori ideali della strage (sarebbe interessante vedere chi li produce) – e sui “pazzi”, sui quali proprio Trump ha rinnovato l’impegno a che venga loro preclusa la possibilità di acquisto (2).

Ma il vero cuore del messaggio di Trump, quello che in fondo colpisce davvero – indipendentemente dai contenuti reali espressi – è quel riferimento conclusivo ai bambini: “protect our children”. Stereotipo diffusissimo nella tattica politica (i Simpson di una volta, graffianti e precisi, ne hanno reso una magnifica trasposizione nella moglie del reverendo Lovejoy), il “Think of the children” rappresenta una forma di errore logico, adoperato ad arte per far saltare la discussione e infuocare gli animi. A questo scopo, i bambini rappresentano l’elemento più facilmente manipolabile per finalità mediatiche (pensiamo alle foto kitsch che pullulano sul web).

Eppure i bambini – e più in in generale i ragazzi – rappresentano anche uno specchio fedele dell’irrazionalità di una politica dominata da istanze opposte quali il puritanesimo e il liberalismo. Da un canto sono idealizzati fino a forme di astratta purezza, dall’altra sono percepiti come minaccia per l’ordine costituito, come elemento imprevedibile e sovversivo. Pensiamo, per restare nell’ambito dei Simpson, al personaggio di Bart, oppure alle numerose rappresentazioni cinematografiche che vedono i bambini come carnefici piuttosto che come vittime indifese. Si può leggere, come fa Phillip Cole nel suo libro The Myth of Evil (3), questa contraddizione come la misura dell’incapacità da parte della società americana a confrontarsi con le nuove generazioni? E’ un’ipotesi interessante che meriterebbe un’analisi a parte, e spero di poterci ritornare in prossimi interventi. Tuttavia, ciò che è certo è che si stenta a capire ed accettare che quegli stessi ragazzi carnefici erano in mezzo alle “potenziali vittime” fino al giorno prima, così come all’interno di queste ultime può nascondersi già il futuro attentatore.

Village of the Damned (1962)

Per ritornare a Trump e alla sua agenda sulle armi, sempre muovendoci sul tema della protezione ai bambini, dopo l’apparente iniziale apertura arriva la doccia gelata: armare gli insegnanti potrebbe risolvere il problema, perché induce i possibili attentatori a “pensarci due volte” prima di fare il folle gesto (4) (5).

A queste affermazioni, in linea con la politica tagliata con l’accetta di cui Trump è campione indiscusso, fa eco Wayne LaPierre, vicepresidente della National Rifle Association (NRA), la potente lobby americana delle armi, che il 22 Febbraio rompe il silenzio per rilanciare un forte attacco contro le misure “eversive” di controllo sulle armi. Anche qui, il dito sta sempre puntato sui bambini: “Le scuole dovrebbero essere il bersaglio più difficile in questo paese. Il male dev’essere affrontato con tutte le forze necessarie per proteggere i nostri bambini”. Segue un’ovazione e poi il mantra finale, già andato in onda all’indomani della sparatoria alla Sandy Hook School di Newtown, Connecticut, nel 2012: “Per fermare un cattivo ragazzo armato, occorre un bravo ragazzo armato”, in un accesso di puritanesimo manicheo e di illogicità che non può dirsi ottusità solo perché orchestrata ad arte.

Segue poi la portavoce dell’NRA Dana Loesch, “ariete” mediatico dei conservatori statunitensi. Quest’ultima, interrogata sull’utilità di armare gli insegnanti, afferma che bisogna dare la possibilità a quegli insegnanti che se la sentono di difendere con le armi “loro stessi e i loro ragazzi”.

Suona inquietante il tatuaggio sul braccio di Dana Loesch che richiama il versetto 6:12 della Lettera agli Efesini di San Paolo: “poiché il nostro combattimento non è contro sangue e carne, ma contro i principati, contro le potestà, contro i dominatori del mondo di tenebre di questa età, contro gli spiriti malvagi nei luoghi celesti”.

Ma questa volta sembra che qualcosa si stia muovendo davvero: la società civile ha risposto con proteste di un’intensità raramente raggiunta, con sit-in di genitori e studenti davanti alla Casa Bianca e un dibattito più infuocato che mai(6) (7) . Siano i rumori di fondo crescenti, col conseguente rischio di una deflessione del mercato delle armi, o siano ragioni più complesse e occulte, fatto sta che qualche settimana fa il colosso BlackRock, tra le più grandi società di investimenti al mondo, ha deciso di mettere pressione ai produttori e ai rivenditori di armi, ricordandosi che “per prosperare nel tempo, ogni azienda deve perseguire non soltanto gli obiettivi finanziari, ma anche mostrare come questi contribuiscano positivamente alla società”, come ha affermato il fondatore Larry Fink (8). Non soltanto quindi la richiesta di misure atte a ridurre i rischi ma, cosa più importante, nuovi fondi di investimento che escludono queste società. Questa mossa potrebbe rilevarsi di portata epocale: per i produttori di armi, perdere la fiducia da parte della voce più autorevole d’America in materia di investimenti finanziari può significare l’inizio della fine. Sorge quindi spontanea la domanda: e se la risposta alla “crisi delle armi” arrivasse non dalla politica, ma dall’economia?

Difficile rispondere, ciò che è certo è che proprio ieri John Paul Stevens, giudice della Corte Suprema degli Stati Uniti, ha sferrato una critica diretta senza precedenti allo scoglio ideologico su cui NRA e conservatori si aggrappano, ovvero il Secondo Emendamento della Costituzione Americana (9). E’ infatti proprio dall’interpretazione di questo emendamento che si fonda il diritto americano di possedere un’arma, disposizione che aveva senso quando venne emanata – il 1791 – in quanto non esisteva ancora un esercito statunitense, ma che adesso risulta inutile e pericolosa. Inoltre, grazie ad alcune cavillose interpretazioni che non sto qui a raccontare (la più importante delle quali è stata la sentenza District of Columbia vs Heller del 2008), il Secondo Emendamento è diventato a tutti gli effetti un diritto inalienabile per la difesa della libertà e dell’indipendenza americana. Sempre più americani, nel corso degli ultimi decenni, hanno sviluppato una crescente preoccupazione circa la loro sicurezza; da un sondaggio telefonico è emerso che il 65% degli Americani ritiene fondamentale possedere le armi per proteggere la loro libertà (10). Ma a questa ragione, che potremmo definire “epica” o “eroica”, se ne associa una molto più incisiva (e a mio modo di vedere meno confessabile), e cioè che in America la pistola è diventata uno status symbol: i ragazzini la cominciano a sognare da piccoli e la ricevono per il loro compleanno come in Italia si può sognare il motorino. Ti conferisce libertà, potenza, ma soprattutto ti dà il riconoscimento e l’apprezzamento della cerchia di cui fai parte.

Tuttavia, questa “corsa agli armamenti” non ha da sempre contraddistinto la storia americana. Fino al 1980 solo cinque stati permettevano di circolare in pubblico con un’arma nascosta. Questo numero, dal 1980 a oggi, è rapidamente cresciuto fino agli attuali 44 stati. Non si tratta di un caso, né di una normale evoluzione dei tempi. Per oltre un secolo la NRA (fondata nel 1871) ha mantenuto il profilo di associazione sportiva con cui era nata, collaborando col governo federale nel regolare il possesso di armi. Come afferma Adam Winkler nel suo testo Gunfight: The Battle Over the Right to Bear Arms in America: “Storicamente, la leadership dell’NRA era più aperta sul tema del controllo alle armi, in una maniera che nessuno che conosca la moderna NRA può immaginare” (11). A riprova di ciò si ricordi la firma dell’NRA al National Firearms Act del 1934, uno dei provvedimenti più incisivi nella storia del controllo delle armi negli Stati Uniti.
Con la presidenza Regan, primo presidente ad essere eletto col sostegno dell’NRA (di cui era membro), la situazione cambiò drasticamente. Solo allora iniziò a prendere corpo la retorica della libertà incentrata sul possesso delle armi e sulla difesa del secondo emendamento.

Occorre quindi ripercorrere a ritroso il processo di indottrinamento che l’NRA ha indotto nella società, superando le resistenze culturali e destrutturando l’intera mitologia dell’arma, e mettere finalmente un freno alle pesanti ingerenze che la lobby esercita sulla politica(12). Occorre poi indubbiamente rafforzare i controlli, di fatto blandi, inefficienti e lacunosi (basti pensare che sono richiesti solo per gli acquisti dai negozi ma non per quelli nelle numerose fiere delle armi).

Migliaia di americani hanno manifestato gridando “Never again” (http://www.firstpost.com/photos/world-gallery/march-for-our-lives-thousands-of-americans-rally-across-us-to-demand-tighter-gun-laws-4404581-5.html)

Ma anche dopo aver fatto tutto questo, non saremo che alla crosta del problema, quella più visibile, superficiale e (mediaticamente) appetibile. All’interno sta il nucleo caldo dei conflitti di una società iniqua e sempre meno equilibrata, gravata da conflitti di classe insanabili e governata da un ordoliberismo senza più limiti. E’ vero infatti, come ci dice la letteratura, che il numero di possessori di armi da fuoco correla con il tasso di omicidi (13), tuttavia dietro la carneficina delle sparatorie di massa americane (specie quelle nelle scuole, di cui l’America conserva un macabro primato(14)) andrebbero analizzate le disparità economiche, sanitarie ed educative. Un paese che curiosamente adotta legislazioni sulle armi simili agli Stati Uniti – senza tuttavia soffrire degli stessi problemi – è la Svizzera; con la differenza però che le armi non possono essere automatiche e devono essere tenute parzialmente smontate all’interno della casa(15). Credo che imputare solo a questo (pur importante) dettaglio l’enorme differenza fra i due paesi, sarebbe miope e oltremodo semplicistico. Mi auguro che le proteste cariche di speranze degli ultimi giorni, colgano finalmente l’occasione per puntare il dito alle reali criticità del problema, superando la voragine mediatica delle leggi sulle armi. Stiamo a vedere.

 

Fonte: nowherevilleblog.com

Link: https://nowherevilleblog.com/2018/03/28/qualcuno-pensi-ai-bambini/

28.03.2018


NOTE:

(1) http://www.nydailynews.com/newswires/news/national/fix-gun-violence-plea-trump-students-parents-article-1.3832979

(2) https://www.nytimes.com/2018/02/23/podcasts/the-daily/gun-access-mentally-ill.html?rref=collection%2Ftimestopic%2FTrump%2C%20Donald%20J.&action=click&contentCollection=timestopics&region=stream&module=stream_unit&version=latest&contentPlacement=1&pgtype=collection

(3) Phillip Cole, The Myth of Evil, p. 123-124.

(4) http://www.independent.co.uk/news/world/americas/us-politics/trump-cpac-school-shooters-arm-teachers-gunman-parkland-concealed-carry-students-gun-control-a8225621.html

(5) https://www.theguardian.com/us-news/video/2018/feb/21/trump-says-arming-teachers-with-concealed-weapons-could-prevent-school-massacres-video

(6) https://www.theguardian.com/us-news/2018/feb/21/florida-school-shooting-town-hall-cnn-students-nra-what-happened

(7) https://www.youtube.com/watch?v=4AtOU0dDXv8

(8) https://www.theguardian.com/us-news/2018/feb/28/gun-company-investors-florida-school-shooting

(9) https://www.nytimes.com/2018/03/27/opinion/john-paul-stevens-repeal-second-amendment.html

(10) Rasmussen Reports, 2013.

(11) http://time.com/4431356/nra-gun-control-history/

(12) Per un approfondimento sul tema: https://www.politico.com/interactives/2017/gun-lobbying-spending-in-america-congress/

(13)

Hemenway & Miller, 2000; Killias, 1993; Killias, Kesteren, & Rindlisbacher, 2001; Sloan et al., 1988.

(14) Nessun paese al mondo presenta un cosi’ alto numero di mass shooting, stando ad un recente lavoro (Lanford 2016) che conferma come le sparatorie di massa rappresentano una forma di violenza quasi esclusiva dell’America.

(15) https://www.ilpost.it/2012/12/17/armi-stati-uniti-2/3/

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