DI JOHN T. HARVEY
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Attenzione a non commettere errori: nonostante il nuovo Ministro greco delle Finanze, Yanis Varoufakis, si auto-definisca un marxista (Confessions of an Erratic Marxist in the Midst of a Repugnant European Crisis), egli potrebbe rappresentare, allo stesso tempo, la speranza migliore perché l’Unione Europea ed il suo sottostante sistema capitalistico possano sopravvivere.
Per capire la ragione per cui quest’affermazione non è affatto contraddittoria, è necessario spiegare cos’è che Marx ha veramente detto.
La maggior parte delle persone associano il suo lavoro o con l’Unione Sovietica, o con il fatto che [in un sistema marxista] tutti dovrebbero condividere tutto. Nessuna delle due opinioni riesce finanche ad avvicinarsi [all’ideale marxista].
Quello che è successo in Russia nel 1917, innanzitutto, era in realtà solo un’estensione della tradizione autocratica del paese, con l’aristocrazia fondiaria che, semplicemente, condivideva i terreni con i contadini, o con loro membri selezionati. Era marxista “nel senso che era stata progettata da rivoluzionari che si consideravano marxisti” (Black 1957, p. 411).
Ed inoltre, se c’è comunque una qualche verità nel sostenere che [il marxismo] aveva immaginato un mondo in cui la distribuzione di ricchezza potesse essere ancor più ampia, questa, però, doveva essere il risultato naturale dell’evoluzione della società, piuttosto che uno specifico progetto o comunque una forma di costrizione. Questi concetti non rappresentano il marxismo e non riflettono le opinioni del nuovo Ministro delle Finanze greco.
Prima di spiegare quello che Marx ha veramente detto, permettetemi una prefazione: io non sono uno studioso di Marx. Ho conseguito, però, un “Dottorato di Ricerca” [Phd field] in “Storia della Dottrina Economica”, il che vuol dire che ho studiato i classici, da “Wealth of Nations” di Adam Smith alla “General Theory” di John Maynard Keynes, almeno quanto basta per passare il mio esame!
Il programma di studi comprendeva, naturalmente, il massiccio lavoro di Marx, “Il Capitale”, nel cui ambito egli ha cercato di definire, in modo attento e, spesso, con dettagli matematici, il funzionamento di un sistema capitalistico.
Una delle mie attuali aree di ricerca, inoltre, è sulle scuole contemporanee di pensiero. Il Neoclassicismo, ad esempio, ed inoltre la Scuola Austriaca, il Post-keynesismo, il Marxismo, l’Istituzionalismo ed il Femminismo. Mi son così formato un’idea su ciò che i marxisti moderni stanno scrivendo, in aggiunta a ciò che lo stesso Marx aveva detto.
Non c’è verso di poter offrire una spiegazione esauriente della teoria economica di Marx con un semplice post pubblicato su un blog, non è questo il mio obiettivo, che invece è quello di offrire uno spaccato sufficientemente ampio del suo lavoro, per poter far luce su quello che nella realtà la Grecia è in questo momento.
L’attenzione sarà focalizzata su quegli aspetti del marxismo che la gente trova più sorprendenti – o almeno quelli che hanno sorpreso me, quando ho cominciato a studiare per la prima volta la storia del pensiero economico, nel 1980!
• Marx era un ammiratore della teoria economica classica (Adam Smith ed i suoi seguaci). Invece che rigettarlo, egli adottò il loro quadro di riferimento su cui lavorò per poterlo estendere – ed esporre di conseguenza ciò che egli pensava fossero le loro logiche fallimentari, e le reali implicazioni di lungo termine.
• Marx era un ammiratore del capitalismo, un termine che egli stesso aveva coniato. Lo vedeva come un miglioramento, rispetto ai precedenti sistemi economici, e un importante motore di crescita tecnologica.
• Marx non pensava che il capitalismo fosse ingiusto. Egli scrisse, ad esempio, che “il plusvalore è di sua proprietà; non è mai appartenuto a nessun altro” – dove per “plusvalore” egli intende il profitto, e con “sua” si riferisce ad un generico capitalista (Marx 1867 [1977], p. 732).
• Il capitalismo, tuttavia, è imperfetto, nel senso che limita la libertà individuale, che è al centro del suo senso di giustizia. E’ qui, per inciso, che più è evidente l’incoerenza con il “marxismo” dell’Unione Sovietica. Quello che Marx più voleva era che le persone potessero essere libere di perseguire i loro sogni e raggiungere il loro vero potenziale, e non di essere sottoposte, nel suo nome [il marxismo], ad una schiavitù totalitaria.
• Il capitalismo, secondo Marx, limita la libertà in parecchi modi. A titolo di esempio, poiché per sopravvivere i lavoratori devono poter accedere ai mezzi di produzione, e considerando che i capitalisti possiedono i mezzi di produzione, questo pone i primi in una posizione indesiderata rispetto ai secondi.
Sì, [è vero] che il lavoratore ha libertà di scegliere un datore di lavoro piuttosto che un altro, ma questo equivale a consentire ad uno schiavo di poter scegliere tra le diverse piantagioni – egli resta comunque uno schiavo e non vi è alcun dubbio che non sarà retribuito in maniera commisurata al suo contributo. Succede la stessa cosa con il capitalismo.
In secondo luogo, le caratteristiche del capitalismo causano danni psicologici al lavoratore. Le persone dovrebbero essere libere di poter scegliere ciò che producono, di stabilire com’è che verrà utilizzato quel prodotto, di cooperare, piuttosto che competere, con i loro compagni di lavoro e decidere, infine, quali sono le competenze che vorrebbero sviluppare.
Marx pensava che questo è ciò che gli esseri umani avrebbero realmente voluto. Ma il capitalismo ci costringe a sottometterci alla volontà del capitalista in ciascuna di queste aree, sacrificando la nostra individualità e facendoci diventare l’ingranaggio di una macchina che crea profitti per il proprietario della fabbrica.
• Marx, tuttavia, sosteneva che, in quella fase della storia, tutto ciò rappresentava il meglio che si potesse fare. Il capitalismo era in linea con il livello tecnologico dell’epoca e, finché quest’ultimo non fosse progredito in modo sufficiente (il capitalismo, in effetti, incoraggia il progresso), non saremmo stati in grado di respingere la rigida e disumanizzante divisione del lavoro.
Parallelamente all’aumento della produttività, ogni persona sarebbe stata in grado di raggiungere un maggior grado di libertà. Mille anni fa lo stato dell’agricoltura era tale che la stragrande maggioranza degli “homo sapiens” non aveva altra scelta che fare l’agricoltore. Ma, non appena la tecnologia è migliorata, si sono ampliate di conseguenza le possibilità di scelta.
Siamo quindi più liberi, oggi, di quanto lo fossimo un millennio fa e Marx sosteneva che, in questo senso, il capitalismo rappresentava un passo in avanti nella creazione di una società libera. Gli aumenti della produttività, inoltre, sono uno stimolo che, in tempi successivi, ci avrebbe permesso di godere di una maggiore libertà.
• Per riassumere quanto detto fino a questo punto, libertà [secondo Marx] significa poter scegliere di vivere la nostra vita come meglio vogliamo e, nonostante il capitalismo costituisca, in questo senso, un miglioramento rispetto ai sistemi economici precedenti – ed anche se l’incoraggiamento al miglioramento della tecnologia pone le condizioni per una maggiore libertà futura – nel presente esso è ancora repressivo. I lavoratori sono costretti a quei percorsi che meglio servono le esigenze del capitalista, anche se con una maggiore libertà di scelta rispetto, ad esempio, al feudalesimo.
Per continuare nell’analogia, gli schiavi sono ancora schiavi, ma con la possibilità di poter scegliere tra le varie piantagioni e, forse, anche di competere tra di loro per le attività che offrono compensi migliori. I proprietari di schiavi li incoraggeranno, più o meno sinceramente, con l’idea che questo sistema è in realtà molto progressista, e funziona a vantaggio del loro miglior interesse.
Gli schiavi possono così essere tra i più grandi sostenitori del sistema, soprattutto se il proprietario di schiavi è in grado di offrir loro le opportune distrazioni: “panem et circenses”. Ma il sistema è indubitabilmente orientato verso il miglior interesse dei proprietari di schiavi.
• A queste condizioni è probabile che il capitalismo possa conseguire un grande successo, diffondendosi in tutto il mondo e in ogni angolo della nostra vita. Ma è il successo stesso del capitalismo che, secondo Marx, finirà con il creare problemi a sé stesso. I capitalisti perseguiranno attivamente l’utilizzo di tecnologie sempre più avanzate, che permettono un risparmio di manodopera, al fine di aumentare i profitti. Anche se questo, nel breve periodo, può essere un successo, nel lungo periodo il vantaggio va a perdersi, perché sarà copiato dagli altri capitalisti.
Gli effetti collaterali di questo processo sono l’aumento dei livelli di disoccupazione, salari sempre più bassi, aumento nella disparità dei redditi ed infine un tasso di profitto minore – c’è comunque una qualche polemica, tra i marxisti, sugli specifici processi che sono coinvolti ma, visto che portano tutti allo stesso luogo, non vi faccio perder tempo a descriverveli.
Il capitalismo diventa sempre più instabile man mano che la domanda di beni e servizi – la fonte ultima dei profitti – va ad asciugarsi. Subisce una serie di crisi che possono portare alla sua scomparsa e al naturale passaggio della società in una successiva fase della storia: il socialismo. Si noti che Marx scrisse estremamente poco sia su quest’ultimo che sul comunismo. La stragrande maggioranza dei suoi scritti riguarda il capitalismo.
Come ho detto in precedenza, io non sono uno studioso di Marx, ma spero che i miei sketches sulla sua economia siano ragionevolmente accurati. Sono abbastanza sicuro che essa sia più aderente a come io l’ho descritta, rispetto a quanto la concezione popolare vorrebbe che fosse, e ho il forte sospetto che [Marx] sia molto meno “radicale” di quanto la maggior parte delle persone sia disposta a credere.
Indipendentemente da quello che alcuni dei suoi seguaci hanno fatto, la sua preoccupazione principale era la libertà. Il suo atteggiamento verso il capitalismo, inoltre, era molto più complesso di quanto la maggior parte delle persone abbia capito. Il capitalismo rappresenta un progresso nella storia dell’umanità, ma limita la nostra libertà, e quest’aspetto è intrinsecamente portatore di instabilità.
Per coloro che vogliono capire quello che, in questo momento, sta succedendo in Grecia, la mia è una caratterizzazione molto più utile di quella che viene convogliata dalle dichiarazioni sensazionalistiche della stampa popolare. Yanis Varoufakis non ha intenzione di nazionalizzare l’industria o di distribuire forconi per espropriare gli espropriatori.
La grande ironia è che, nei fatti, invece di mettere il capitalismo in ginocchio, sembra che Varoufakis speri di salvarlo (i marxisti, dopo tutto, credono che il sistema generi da solo sia la propria instabilità che la propria crisi, senza bisogno d’aiuto da parte di chiunque altro!). Non è evidente che il collasso dell’UE, e una frammentazione dell’Europa, possa far bene a qualcuno, in questo momento.
Le tensioni etniche sono in aumento, i gruppi neo-nazisti e di estrema destra stanno diventando sempre più popolari, mentre la disoccupazione continua ad aumentare. Il caos economico e finanziario non invertirà queste tendenze. E’ probabile, piuttosto, che le acceleri.
Allo stesso tempo, però, Varoufakis crede (giustamente, a mio avviso – si veda: What The EU Can Learn From The National Football League) che il sistema, per come esso è attualmente concepito – con i paesi periferici intrappolati in un ciclo costituito dall’aumento sia del debito che della depressione – è insostenibile, e che si concluderà con quello stesso caos economico e finanziario che gli altri pensano egli stia cercando di creare.
Volete distruggere l’UE e il capitalismo europeo per vedere il ritorno del totalitarismo? Mantenete lo status quo, con la Grecia, il Portogallo, l’Irlanda e la Spagna che affondano nel buio più profondo e nella disperazione.
Volete salvarlo? Assicuratevi che sia sostenibile, che incorpori qualche mezzo per la reintroduzione di quella spesa che i tedeschi, insieme ad altri, stanno drenando con il loro surplus commerciale (per una spiegazione sul perché il sistema attuale sia instabile, si può vedere: What The EU Can Learn From The National Football League). E’ questo l’obiettivo di Varoufakis.
La grande ironia, in tutto questo, è che quelli che più probabilmente romperanno il sistema sono gli stessi “poteri forti”. Se UE, FMI, BCE, e i paesi “core” porteranno avanti la loro linea dura, rifiutandosi di negoziare, sarà proprio la loro intransigenza la principale responsabile della conseguente crisi del capitalismo, non la presunta radicalità di Varoufakis. I capitalisti faranno meglio a sperare che gli sforzi del marxista per convincerli abbiano successo.
John T. Harvey
Fonte: www.forbes.com
Link: http://www.forbes.com/sites/johntharvey/2015/02/02/can-marxist-save-capitalism/
2.02.2015
Traduzuione per www.comedonchisciotte.org a cura di FRANCO