DI MASSIMO FINI
Il Gazzettino
Come ogni anno, dal 1945, il Primo Maggio abbiamo celebrata la Festa del Lavoro. E che il lavoro, oggi, sia un valore, anzi forse “il valore” è fuori discussione tanto che il primo articolo della nostra Costituzione recita: “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”. Concezione che non sarebbe mai venuta in mente a nessuno prima della Rivoluzione industriale. È infatti solo con la Rivoluzione industriale che il lavoro diventa un valore, sia per i liberali che per i marxisti.
Per Marx è «l’essenza del valore», per i liberali è esattamente quel fattore che, combinandosi col capitale, dà il famoso “plusvalore”. E si capisce facilmente perchè: sia i marxisti che i liberali sono degli industralisti, convinti che industria e tecnologia produrranno una tale cornucopia di beni da rendere felici tutti gli uomini (Marx) o quantomeno, più realisticamente per i liberali, la maggioranza di essi. Ma per ottenere questa cornucopia bisogna produrre e quindi lavorare.In precedenza il lavoro non era un valore. C’è addirittura chi, come Robert Kurz («La fine della politica e l’apoteosi del denaro», 1997), dubita che nella società preindustriale esistesse il concetto stesso, e astratto di lavoro come noi modernamente lo intendiamo, ma piuttosto quello di “mestiere”, che è cosa diversa. Comunque sia, nella società medioevale e feudale il lavoro non è un valore, tanto che è nobile chi non lavora. E gli artigiani e i contadini lavorano solo per quanto gli basta. Il resto è vita. Non che il contadino e l’artigiano non amino il loro mestiere – certamente lo amano di più, perchè maggiormente personale e creativo, dell’odierno operaio industriale o dell’impiegato o dell’operatore di un call center – ma non sono disposti a sacrificargli più di tanto. Perchè per quella gente il vero valore è il tempo che Benjamin Franklin definisce «Il tessuto della vita» e che, nella concezione medioevale, «appartiene a Dio», quindi a tutti (fu invocando questa ragione che Tommaso D’Aquino e gli Scolastici combatterono non solo l’usura ma anche l’interesse perchè di ciò che “è di Dio” non si può fare mercato).
Con la Rivoluzione industriale cambia anche il modo di concepire, di pensare e di sentire il lavoratore. Il signore, il maestro artigiano, il padrone della bottega non considera i propri dipendenti una merce che si può vendere e comprare, nè essi si sentono tali. I rapporti sono talmente intrecciati, complessi, personali che il valore economico delle reciproche prestazioni ne rimane inglobato. Il feudatario può considerare il servo casato addirittura una sua proprietà, ma sempre come persona non come oggetto, come merce. L’attività del dipendente è incorporata nella sua persona e non ne può essere scissa.
Oggi invece il lavoratore (o quantomeno la sua energia) è una merce come un’altra, tanto che esiste un mercato del lavoro così come c’è un mercato delle vacche o dell’abbigliamento o dei prodotti derivati o di qualsiasi altra cosa (Per mascherare un pò la mercificazione oggi i lavoratori vengono ipocritamente chiamati “risorse”. Ma se sono tali come mai ce ne si libera così volentieri?).
Ma la società del lavoro e della produttività realizza anche altri paradossi. Ha inventato macchine straordinarie che possono lavorare al nostro posto. E vivere senza dover lavorare, senza dover spremere questo «spiacevole sudore della fronte» come lo chiama Paolo, che pure è un santo, è sempre stato il sogno dell’uomo. Almeno fino a quando ha avuto la testa. E’ l’Eden ritrovato. E invece noi abbiamo usato questa chance non per liberare l’uomo dal lavoro ma, espellendolo da tutta una serie di attività affidate alle macchine, per costringerlo a trovarsene, sempre più affannosamente, un altro, pena l’annientamento.
Mi ha sempre fatto sorridere che noi il Primo Maggio si celebri allegramente la Festa della nostra schiavitù. Ma il sospetto deve essere generale se la Festa del Lavoro, di questo indiscusso valore moderno, si celebra non lavorando.
Massimo Fini (www.massimofini.it)
Fonte: http://gazzettino.quinordest.it
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04.05.2007
VEDI ANCHE: FESTA DEL LAVORO (SCHIAVISTA)