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La Redazione

 

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PERCHE' QUELLI DI WALL STREET NON SONO IN PRIGIONE ?

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A cura di Truman
Il 28 Marzo 2011
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DI MATT TAIBBI
rollingstone.com

I truffatori finanziari hanno messo a terra l’economia mondiale, ma la FED si muove più per proteggerli che per perseguirli.

Tra un drink e l’altro, in una noiosa e nevosa serata a Washington il mese scorso, un ex investigatore del Senato scoppiò a ridere mentre finiva di sorseggiare la sua bibita.

“Tutto è finito a carte quarantotto, e nessuno va in prigione” disse. “Ecco il succo della storia. Al diavolo, non c’è bisogno di aggiungere niente altro. Basta questo”.

Misi giù il taccuino. “Solo questo?”

“Esattamente” aggiunse, mentre chiedeva il conto alla cameriera. “Tutto è finito a carte quarantotto, e nessuno va in prigione. Può concludere l’articolo a questo punto”.
Nessuno va in prigione. Ecco il vero mistero dell’era della crisi finanziaria, un’era che ha visto praticamente tutte le più importanti banche e istituzioni finanziarie di Wall Street invischiate in osceni scandali che hanno impoverito milioni di persone e, in totale, hanno distrutto centinaia di miliardi, anzi triliardi, di dollari di ricchezza mondiale. E nessuno è finito in prigione. O per meglio dire, nessuno tranne Bernie Madoff, le cui vittime, guarda caso, sono state altre persone ricche e famose.

Gli altri, tutti gli altri, sono restati liberi. Non uno solo dei dirigenti alla testa delle società che hanno messo a punto l’operazione e ne hanno approfittato durante il boom finanziario fasullo – una truffa di portata industriale che ha significato la vendita massiccia di titoli ipotecari falsamente valutati – è mai stato incriminato. I loro nomi sono oramai conosciuti anche dal più distratto consumatore medio americano di notizie: società come AIG, Goldman Sachs, Lehman Brothers, JP Morgan Chase, Bank of America e Morgan Stanley. In massima parte questi nomi hanno direttamente partecipato all’elaborata frode e al susseguente furto. Bank of America ha mentito su miliardi elargiti in bonus. Goldman Sachs si è astenuta dallo spiegare ai clienti come aveva messo assieme il meccanismo di ipoteche tossiche che stava vendendo. Peggio ancora, molte società avevano dirigenti aziendali le cui azioni sono costate miliardi agl’investitori: da Joe Cassano, responsabile derivati della AIG, che proprio pochi mesi prima dell’implosione della sua unità, aveva garantito agl’investitori che non avrebbero perso “nemmeno un dollaro”, a Dick “The Gorilla” Fuld, ex responsabile della Lehman, che opportunamente omise di dichiarare i 263 milioni di dollari in compensi. Nessuno di loro ha trascorso anche un solo giorno dietro le sbarre.

I legislatori e i giudici federali hanno invece permesso che le banche e società finanziarie che avevano cercato di distruggere l’economia mondiale si tirassero fuori dai guai con transazioni ben orchestrate: archiviare le azioni in cui le società erano state coinvolte dietro pagamento di multe pateticamente basse e senza nemmeno essere obbligate ad ammettere di aver agito male. Per aggiungere la beffa al danno, quelli che hanno realmente commesso gli atti criminali non pagano praticamente mai le multe di tasca propria; le banche sorprese a defraudare i propri azionisti spesso usano i soldi degli azionisti stessi per chiudere le pendenze con la giustizia. “Se le accuse sono vere” ha dichiarato Jed Rakoff, un giudice federale del Southern District di New York “i dirigenti se la stanno cavando a buon prezzo, coi soldi presi dalle tasche delle vittime”.

Per capire a fondo le conseguenze di tutto ciò, bisogna riflettere con attenzione sull’efficacia delle multe come castigo per imputati, tra gl’individui più ricchi al mondo, che hanno semplicemente chiesto alle proprie società di pagare le multe al loro posto. E, all’inverso, bisogna anche considerare a quale potente deterrente contro ulteriori comportamenti truffaldini lo Sto sta rinunciando per non aver provare a questa gente tanto speciale l’esperienza del carcere. “Schiaffate Lloyd Blankfein in un carcere duro per sei mesi e vedrete come queste stronzate finiranno, in tutta Wall Street” ha dichiarato un ex assistente del Congresso. “Basterebbe questo. Solo una volta”.

Ma non è successo. Perché l’intero sistema creato per controllare e regolamentare Wall Street è fottuto.

Chiedetelo a tutti quelli che hanno tentato di fare la cosa giusta.

Ecco come dovrebbe funzionare il sistema normativo di Wall Street. Tanto per cominciare, esiste una gigantesca lista di agenzie pubbliche o semipubbliche che sorvegliano ostensibilmente l’andamento economico, un denso manipolo di normatori bancari, assicurativi, azionari – ad esempio FED, FDIC, OCC e CFTC – oltre a sedicenti “organismi di autoregolamentazione” come la New York Stock Exchange. Tutte costoro devono per legge avviare le opportune indagini per mettere in luce i crimini finanziari, anche se nessuna dispone di poteri giudiziari.

La più importante agenzia federale che si occupa di Wall Street è la Securities and Exchange Commission. La SEC sorveglia reati quali l’insider trading o le cosiddette “violazioni della trasparenza” – in pratica controlla che tutte le informazioni finanziarie che le aziende quotate debbono rendere pubbliche corrispondano alla realtà. Ma la SEC non ha poteri giudiziari, quindi quando decide che qualcuno dovrebbe finire in carcere non può fare altro che trasmettere il caso al Dipartimento della giustizia. E siccome la quasi totalità dei crimini finanziari avvengono in Lower Manhattan, gl’incartamenti trasmessi dalla SEC finiscono spesso sul tavolo del procuratore generale per il Southern District di New York. Il procuratore generale – un ruolo ricoperto da eclatanti personaggi quali Robert Morgenthau e Rudy Giuliani – e il direttore della SEC responsabile dell’applicazione della normativa vengono dunque considerati i due principali poliziotti che vigilano su Wall Street.

Il rapporto tra SEC e Dipartimento della Giustizia è ovviamente molto stretto, quasi simbiotico. Dal momento che combattere i crimini finanziari richiede un elevato livello di conoscenze finanziarie, e che il tipico agente FBI ossessionato da droga e terrorismo non riesce nemmeno a svolgere tutti i suoi compiti e meno ancora ad occuparsi di problemi legati agli strumenti finanziari, il Dipartimento della Giustizia finisce col dipendere totalmente dall’armata di oltre 1100 analisti che passano il tempo scavando tra numeri e dati. In teoria si tratta di un meccanismo ben oleato: il miliardario di Wall Street Asshole commette una serie di frodi, il NYSE lo scopre e allerta la SEC, la SEC prepara un dossier sul caso e lo trasmette alla Giustizia, e la Giustizia porta via Asshole dal Nobu in una lucente auto della polizia e gli offre 36 mesi di ginnastica, lavori manuali e hamburger in una prigione statale.

Così dovrebbero andare le cose. Ma è più che evidente che quando si tratta di Wall Street, il sistema giudiziario non solo evita di punire i criminali finanziari ma si è trasformato in effetti in un efficientissimo sistema per proteggerli. La realtà non ha niente a che vedere con la politica o le ideologie: funziona indipendentemente da chi o da quale partito è al potere. Per capire come funziona il meccanismo bisogna risalire di almeno un decennio indietro, quando un caso di frode finanziaria dopo l’altro veniva perseguito con estrema lentezza, o non lo era affatto, a causa di una burocrazia statale troppo spesso in sintonia con i colpevoli. La sconvolgente pratica di non applicazione della normativa nei confronti di Wall Street è così radicata a Washington da far nascere seri dubbi sulla reale natura della nostra società: abbiamo forse creato una classe sociale i cui crimini non vengono più percepiti come tali, indipendentemente dalla loro stessa natura? SEC e Dipartimento della Giustizia si sono trasformati in una strana specie di chirurghi sociali al servizio di una classe che non può finire in prigione, e invece di amministrare giustizia e castighi si occupano di allontanare e rimuovere ogni responsabilità penale dagli accusati.

La sistematica assenza di norme ha frustrato anche i più decisi legislatori del paese. Lynn Turner, ex capocontabile della SEC, scoppia a ridere all’idea che la giustizia si fermi quando arriva a Wall Street. “Penso che siate partiti da una premessa sbagliata: che esista un organismo responsabile dell’applicazione della normativa per Wall Street” dice.

Nella struttura gerarchica della SEC, il capocontabile svolge un ruolo fondamentale nel denunciare i comportamenti fraudolenti e le violazioni della trasparenza. Turner rinunciò all’incarico una decina di anni orsono, quando uno dei casi più significativi venne vanificato dalla burocrazia della SEC. Nei tardi anni ’90 l’agenzia aprì una procedura, poi rapidamente chiusa, sulla catena di negozi Rite Aid, che stava utilizzando diabolici trucchi contabili. Ma invece di agire rapidamente per bloccare queste frodi la SEC parcheggiò il caso su un binario morto. “L’ufficio di Filadelfia non fece assolutamente nulla per oltre un anno” ricorda Turner “Lo stesso comportamento dell’ufficio di New York nei confronti di Madoff”. Il caso Rite Aid languì per anni, fino a quando non morì di morte naturale. Lo stesso successe in un altro caso che lasciava presagire il disastro dell’Enron. L’agenzia scoprì che il fabbricante Sunbeam stava usando lo stesso genere di trucchi contabili per nascondere sistematicamente le proprie perdite agl’investitori. Ma alla fine la SEC si limitò a condannare il direttore generale dell’azienda, Al “Chainsaw” Dunlap — universalmente considerato uno dei peggiori truffatori della storia finanziaria americana – a una multa di 500.000 dollari (secondo le stime dell’epoca, i guadagni netti di Dunlap ammontavano a 100 milioni di dollari) e al divieto di dirigere in futuro un’azienda pubblica (cosa che lo obbligò ad andare in pensione con appena 99,5 milioni di dollari). Dunlap passò il resto del tempo a raccoglie gli utili del suo libro di memorie Mean Business.

La passività nei confronti del comportamento scorretto di Wall Street divenne sempre più grave dopo le dimissioni di Turner, con casi che languivano per anni o dormivano in un cassetto. L’esempio più noto è forse quello di Gary Aguirre, un analista finanziario della SEC che venne estromesso dopo essersi interrogato sulle ragioni della mancata denuncia per insider-trading di John Mack, ora presidente della Morgan Stanley e uno dei più potenti banchieri statunitensi.

Aguirre, entrato nella SEC nel settembre 2004, venne incaricato di esaminare una denuncia per insider-trading contro Art Samberg, una figura di primo piano nei fondi speculativi. Senza analisi o discussioni previe, Samberg aveva improvvisamente cominciato a comprare grandi quantità di azioni di una società chiamata Heller Financial. “Sembrava come se un giorno Art Samberg si fosse svegliato e una voce dall’oltretomba gli avesse detto di cominciare a comprare Heller” ricorda Aguirre “E non si limitava a comprare azioni, c’erano giorni in cui tentava di comprarne in quantità tre volte superiore a quelle commercializzate”. Poche settimane dopo la Heller venne comprata dalla General Electric, facendo guadagnare a Samberg 18 milioni di dollari.

Dopo aver scavato a fondo, Aguirre finì col concentrarsi su un sospetto che sembrava essere la probabile fonte dell’informazioni passate a Samberg: John Mack, un suo amico intimo che si era appena dimesso da presidente della Morgan Stanley.

Una settimana dopo Mack volava in Svizzera per negoziare un posto di alta responsabilità con la Credit Suisse First Boston. Tra i clienti della banca d’investimenti c’era la Heller Financial. Non possiamo sapere con sicurezza quello che Mack apprese nel suo giro svizzero (un anno dopo dichiarerà di aver buttato gli appunti della riunione), ma sappiamo che non appena tornato in patria contattò il suo amicone Samberg. Il giorno dopo Mack entrò nell’affare Lucent, un favore che gli fece guadagnare più di 10 milioni di dollari. E alla riapertura dei mercati dopo il fine settimana, Samberg cominciò a comprare ogni azione Heller su cui riusciva a mettere le mani, proprio prima che l’azienda venisse comprata dalla GE… una tempistica alquanto sospetta che in pochi minuti gli fece guadagnare l’equivalente del salario annuo di Derek Jeter.

L’operazione sembrava un classico caso di insider trading. Ma nell’estate del 2005, quando Aguirre disse al suo superiore che prevedeva di convocare Mack, le cose cominciarono ad andare in modo bizzarro. Ad Aguirre venne detto che il caso non aveva molte possibilità di andare avanti, perché Mack aveva “potenti contatti politici” (la banca d’investimenti si era distinta nella raccolta di fondi per la campagna 2004 di George Bush e sarebbe stata fondamentale nella campagna 2008 di Hillary Clinton).

Aguirre cominciò a esser messo sotto pressione dalla Morgan Stanley, che stava cercando di riassumere Mack come direttore generale. In un primo tempo venne contattato da Eric Dinallo, uomo di contatto della banca per i problemi normativi ed ex assistente principale di Eliot Spitzer. Ma ben presto la Morgan Stanley si rivolse direttamente ai livelli gerarchici più alti. Tre giorni dopo un altro legale dell’azienda, Mary Jo White, parlò direttamente col direttore della SEC responsabile dell’applicazione della normativa. Con un gesto incredibile che venne più tardi censurato dagl’investigatori del Senato, il direttore si premurò di rassicurare White, etichettando il caso contro Mack come “tutto fumo e niente arrosto” (per inciso White era l’ex procuratore generale del Southern District di New York, uno dei poliziotti che dovevano sorvegliare Wall Street).

Fermatevi un momento a riflettere su quanto detto. Aguirre, un combattente della SEC, sta cercando d’interrogare un importante esecutivo di Wall Street (non per ammanettarlo o sequestrargli lo yacht, badate bene, solo per parlargli). Scopre che l’azienda sotto inchiesta è rappresentata non solo dall’ex aiutante di Eliot Spitzer ma anche dall’ex procuratore generale che sorvegliava Wall Street, che scavalca quattro livelli gerarchici della SEC per parlare direttamente col responsabile dell’applicazione della normativa. Non il superiore di Aguirre, ma il superiore del superiore del superiore del superiore. Nel frattempo Mack si faceva rappresentare da Gary Lynch, un ex direttore della SEC responsabile dell’applicazione della normativa.

Aguirre non aveva una sola possibilità. Un mese dopo essersi lamentato col suo superiore del fatto che gli era stato permesso di convocare Mack, venne improvvisamente licenziato senza motivo. L’accusa contro Mack venne immediatamente ritirata, le deposizioni archiviate e le convocazioni annullate. “Successe tutto talmente in fretta che avrei avuto bisogno di una cintura di sicurezza” ricorda Aguirre, che ha appena ricevuto dai suoi capi un rapporto estremamente elogiativo ed è stato indennizzato con 755.000 dollari dalla SEC per licenziamento ingiustificato.

Invece di perseguire Mack, la SEC si mise alla ricerca di un capro espiatorio da denunciare come complice di Samberg. Solo un anno più tardi l’agenzia si decise a convocare Mack, che respinse ogni addebito. La deposizione di 4 ore ebbe luogo il 1° agosto 2006, pochi giorni dopo che era scaduto il limite di 5 anni di perseguibilità per insider trading.

“A voler essere ottimisti, l’accaduto è un caso di applicazione della normativa estremamente lassista” affermeranno più tardi gl’investigatori del Senato “Nel caso peggiore, mostra chiari segni di depistaggio”.

Episodi di questo genere spiegano perché nei primi anni del secolo tanti dirigenti di Wall Street si sono sentiti incoraggiati a ignorare la normativa. Sempre più spesso anche i casi più lampanti di frode e d’insider trading sono finiti in un niente, e i dirigenti non sono praticamente mai stati incriminati. Nel 2003 Freddie Mac pagò 125 milioni di dollari dopo essere stato riconosciuto colpevole di aver alterato i conto dei propri guadagni di 5 miliardi; nessuno finì in carcere. Nel 2006 Fannie Mae venne multata con 400 milioni di dollari, ma i dirigenti che avevano messo a punto tecniche contabili fraudolente per aumentare vertiginosamente i propri bonus non vennero incriminati. Quello stesso anno AIG pagò 1,6 miliardi dopo essere rimasta coinvolta in un enorme scandalo finanziario che porterà poi indirettamente al suo collasso, due anni più tardi; nessun dirigente del gigante assicurativo è stato però incriminato.

Comportamenti simili hanno preparato il terreno al crollo del 2008, quando Wall Street è finita in una catastrofica esplosione di frode e criminalità. Ancora una volta SEC e Dipartimento della Giustizia avevano mostrato una scarsissima voglia di perseguire i maggiori responsabili della catastrofe, anche se nelle due società la cui implosione ha fatto esplodere la crisi, Lehman Brothers e AIG, c’erano dipendenti che sarebbero stati ben felici di fornire le prove contro i dirigenti più importanti.

Nel caso della Lehman Brothers, la SEC aveva la possibilità, sei mesi prima del crollo d’indagare Dick Fuld, un uomo considerato dalla rivista Portfolio il peggior direttore generale di tutti i tempi. Una decina d’anni prima del crollo, un legale della Lehman di nome Oliver Budde stava riesaminando le dichiarazioni per delega della banca e scoprì un sistema di elusione che utilizzava RSU per consentire di nascondere decine di milioni di dollari dei compensi di Fuld. Budde segnalò ai superiori che l’uso da parte della Lehman delle RSU era quanto meno arrischiato, ma venne subito bloccato. “Capiamo le sue preoccupazioni” gli fu detto “ma lo stiamo facendo”. Disgustato da queste procedure, il legale lasciò la società nel.

Poi, solo pochi mesi dopo che Budde aveva lasciato la Lehman, la SEC cambiò le sue regole per obbligare le società a dichiarare con esattezza quanta parte del compenso i dirigenti avevano pagato in RSU. La SEC sembrava voler dire “Siamo stanchi di gente come voi che ci prende per il culo, vogliamo il quadro esatto di quanto guadagnate” afferma Budde. Ma invece di segnalare chiaramente 8 diversi RSU che Fuld aveva nascosto agl’investitori, la Lehman preparò una dichiarazione che era un capolavoro di cinismo legale. In una pagina un diagramma mostrava che Fuld aveva ricevuto un premio di 146 milioni di dollari in RSU, ma due pagine dopo una nota in caratteri piccolissimi dichiarava che il diagramma non indicava il valore reale, che sia detto per inciso era superiore di 263 milioni a quanto indicato. “Continuarono a prenderci per il culo ancora peggio di prima” dice Budde. (Lo studio legale che mise a punto il testo della nota in caratteri microscopici, Simpson Thacher & Bartlett, riceverà poi un lucrativo contratto federale per lavorare come consulente legale del programma TARP, Troubled Asset Relief Program).

Budde decise di andare avanti. Nell’aprile 2008 scrisse un dettagliato promemoria alla SEC sul caso delle azioni nascoste della Lehman. Poco dopo ricevette una lettera che cominciava con “Egregio

“Mi avevano messo da parte” dice Budde.
Nel corso dell’estate Budde cercò varie volte di contattare la SEC, ma venne sempre ignorato.
Infine, nella fatale settimana del 15 settembre 2008, quando Lehman Brothers crollò sotto il peso delle sconsiderate scommesse sul mercato dei subprime, Budde cominciò a preoccuparsi seriamente. Se il governo avesse tentato di far salvare la Lehman da un’altra società di Wall Street, come aveva fatto con la Bear Stearns, i contribuenti avrebbero dovuto pagare il conto per un’azienda con centinaia di milioni di dollari di compensi nascosti. Chiamò di nuovo la SEC, nel bel mezzo della crisi. “Vi ho dato un sacco di materiale. Dovreste proprio buttarci uno sguardo”.

Ma ancora una volta venne ignorato. Un giovane dipendente contattò Budde, e si fece rispedire una copia di tutti i promemoria. Budde non ebbe mai più notizie dall’agenzia.
“Fu come un Madoff a piccola scala” dice Budde. “Furono messi in guardia per sei buoni mesi. Avrebbero potuto fare qualcosa”.

Tre settimane dopo Budde fu scioccato nel vedere Fuld testimoniare dinanzi al House Government Oversight Committee e parlare di quanto era povero. “Non ho ricevuto nessuna buonuscita” si lamentò Fuld. Quando il repubblicano Henry Waxman, presidente del comitato, disse di credere che Fuld aveva messo da parte oltre 480 milioni di dollari, Fuld lo corresse e disse che a suo avviso la somma non superava i 310 milioni.

La cifra esatta era 529 milioni di dollari, calcolò Budde, che contattò gl’investigatori del Senato per segnalare che Fuld aveva mentito al Congresso, ma non ricevette alcuna risposta. Nel frattempo il Dipartimento della Giustizia ha mostrato chiaramente quali sono le sue priorità portando celermente avanti un’indagine su Roger Clemens, un giocatore di baseball in pensione, per aver mentito al Congresso a proposito dell’assunzione di steoridi. “Ma almeno Roger non ha fregato tutti” ha detto Budde, scuotendo la testa.

Fuld ha respinto ogni accusa di comportamento scorretto, ma i suoi compensi nascosti sono stati solo una goccia nell’oceano di frodi della Lehman. La banca d’investimenti ha usato un trucco contabile assurdo, chiamato “Repo 105” per far sparire 50 miliardi di dollari di prestiti dai libri contabili (avete capito bene, miliardi non milioni). Ma un anno dopo aver scoperto l’esistenza dei Repo 105 ancora nessuno è stato incriminato. Anche se c’è ancora del tempo per muovere accuse, corre voce che la SEC e il Dipartimento della Giustizia potrebbero non accusare la Lehman. Se la cosa risultasse vera e, non venisse incriminato nessuno in un caso talmente evidente (oltretutto la società è già fallita, il che significa che non può scaricare ulteriori perdite sugl’investitori o i contribuenti), beh allora sarebbe tempo di ammettere che la partita è persa.

Il più sorprendente caso non portato avanti, quello che veramente sfida le più elementari norme di giustizia per quel che concerne le supercanaglie di Wall Street, concerne l’AIG e Joe Cassano, ‘anima nera della crisi finanziaria. Come capo dell’AIGFP, la sussidiaria per i prodotti finanziari dell’AIG, nel 2007 Cassano ribadì pubblicamente a varie riprese che il suo portafoglio di derivati ipotecari non avrebbe “perso nemmeno un dollaro”, una esilarante falsa dichiarazione. ” Dio stesso non potrebbe gestire un portafoglio immobiliare di 60 miliardi di dollari senza perderne nemmeno uno”, dice Turner, ex capo contabile dell’agenzia. “Se la SEC non riesce a mettere in piedi un dossier contro l’AIG, allora farebbe meglio a chiudere bottega”.

Come nel caso Lehman, non solo gl’investigatori federali avevano un sacco di prove contro l’AIG, ma anche un testimone del modo di fare di Cassano, pronto a spifferare tutto. Nella sua qualità di contabile dell’AIGFP, Joseph St. Denis ebbe numerosi battibecchi con Cassano nell’estate 2007. All’epoca Cassano aveva già venduto circa 500 miliardi di dollari in derivati che avrebbero poi finito con l’esplodere, distruggere la più grande compagnia di assicurazioni al mondo e innescare il più grosso salvataggio governativo della storia USA a favore di una singola azienda. Cassano fece numerosi tragici errori, ma il più grave fu quello di ingaggiarsi in contratti che obbligavano l’AIG a spendere miliardi di dollari in collaterali in caso di riduzione del rating sul credito.

St. Denis non era al corrente delle clausole nei contratti di Cassano, scritte prima del suo ingresso nella società. Quel che sapeva era che Cassano s’infuriò quando St. Denis parlò con un contabile della casa madre sulla bomba a tempo montata da Cassano. St. Denis aveva appena finito di discutere per telefono con il suo corrispondente quando Cassano si precipitò nell’ufficio e cominciò ad urlare rimproverandogli di aver parlato con l’ufficio di New York. Poi annunciò che St. Denis era stato “deliberatamente escluso” da qualsiasi valutazione degli elementi tossici del portafoglio dei derivati, impedendo così al contabile di fare il suo lavoro. St. Denis rappresentava la trasparenza, e la trasparenza era l’ultima cosa di cui Cassano aveva bisogno.

Un’altra prova che c’era qualcosa di poco chiaro nel portafoglio dell’AIGFP si ebbe quando Goldman Sachs chiese alla società di pagare miliardi in collaterali, in base ai termini dei micidiali contratti di Cassano. Le “collateral calls” sono frequenti a Wall Street, ma raramente contro un partner d’affari apparentemente solvente come AIG. E quando succede, non vengono quasi mai pagate senza un’accanita resistenza. St. Denis fu quindi scioccato quando l’AIGFP accettò di sganciare a Goldman Sachs una montagna di soldi, pur contestando il ben fondato dei pagamenti, un segno che c’era qualcosa di decisamente marcio all’AIG. “Quando scoprii questa collateral call, dovetti letteralmente sedermi,” ricorda St. Denis “Quel giorno dovetti tornarmene a casa”.

Dopo che Cassano gli aveva impedito di valutare i contratti con derivati a St. Denis non restò altro da fare che dimettersi e cercarsi un nuovo lavoro. Ma qualche mese dopo apprese che nel dicembre 2007 Cassano aveva organizzato una riunione con gl’investitori, nel corso della quale l’AIGFP aveva nascosto il fatto di aver pagato 2 miliardi di dollari alla Goldman Sachs per le collateral call.
“Gl’investitori dunque non sapevano” concluderà più tardi la Financial Crisis Inquiry Commission “che i ricavi dell’AIG erano sovrastimati di 3,6 miliardi di dollari”.

“Ricordo di aver pensato che stavano ingannando la gente” afferma St. Denis “Io ero stato laggiù, ero al corrente delle collateral call”.

Un anno dopo il crollo, St. Denis scrisse una lettera sulle sue esperienze al House Government Oversight Committee, che stava indagando nel collasso dell’AIG, e incontrò gl’investigatori governativi, che stavano preparando un’accusa penale contro Cassano. Ma il caso non è mai arrivato in tribunale. Nel maggio scorso il Dipartimento della Giustizia ha confermato che non porterà avanti l’accusa contro i dirigenti dell’AIGFP. A Cassano, che aveva respinto ogni accusa di comportamento scorretto, venne comunicato che non era più sottoposto a indagini.

Qualche tempo dopo, Cassano si recò a Washington per testimoniare dinanzi alla Financial Crisis Inquiry Commission, nella sua prima apparizione in pubblico dopo il crollo. Non aveva dovuto restituire nemmeno un centesimo delle centinaia di milioni di dollari guadagnati vendendo pseudoassicurazioni sui contratti di mutui subprime. Ora, non più inquisito, in presenza della FCIC ebbe la faccia di bronzo di autoincensarsi per il proprio acume finanziario, affermando che in retrospettiva il suo portafoglio non era poi così mal strutturato, e aggiungendo “Penso che i portafogli stanno resistendo alla prova del tempo”.

“Gli offrirono un’eccellente opportunità di riscatto” ironizza St. Denis.

Alla fine, naturalmente, non furono solo i dirigenti della Lehman e dell’AIGFP a farla franca. Praticamente tutti i più importanti protagonisti di Wall Street si sono trovati coinvolti nello scandalo anche se i loro dirigenti sono rimasti a godersi il sole, senza essere incriminati o multati. L’anno scorso la Goldman Sachs ha pagato 550 milioni di dollari, quando è stata colta a frodare gl’investitori con mutui schifosi, ma nessun dirigente è stato multato o imprigionato, neppure Fabrice “Fabulous Fab” Tourre,

Un’altra grande azienda, la Bank of America, fu scoperta a nascondere 5,8 miliardi di dollari in bonus come parte dell’acquisizione della Merrill Lynch. La SEC cercò di lasciar fuori la banca con una multa di soli 33 milioni di dollari, ma il giudice Jed Rakoff respinse l’operazione come “simulazione di applicazione delle norme”, e l’agenzia fu obbligata a quintuplicare la multa, senza però richiedere alla Merrill o alla Bank of America un’ammissione di colpevolezza. A differenza dei processi penali, nei quali gli atti illegali vengono registrati e resi pubblici, gli accordi con Wall Street non richiedono quasi mai alle banche di fare dichiarazioni sugli avvenimenti, seppellendo per sempre le vicende. “Tutto ciò avviene a spese non solo degli azionisti, ma anche della verità” afferma Rakoff. Goldman, Deutsche, Merrill, Lehman, Bank of America … chi abbiamo lasciato fuori? Oh, c’è Citigroup, inchiodata per aver nascosto agl’investitori circa 40 miliardi di dollari di debiti. Nel giugno scorso, la SEC ha raggiunto un accordo con Citigroup per 75 milioni. Con una decisione piuttosto rara, ha anche multato due suoi dirigenti, l’ex direttore finanziario Gary Crittenden e il responsabile delle relazioni con gl’investitori Arthur Tildesley Jr. Le multe inflitte ammontano complessivamente a 180.000 dollari.

Durante l’intera crisi, in effetti, in un solo caso il governo ha agito con durezza contro i dirigenti di una grande banca, accusando due tipi della Bear Stearns di frode per un paio di fondi subprime tossici che nel 2007 distrussero l’azienda e defraudarono gl’investitori di oltre 1,6 miliardi di dollari. I giurati scoprirono uno scambio di email tra gl’imputati secondo cui “non c’è possibilità per noi di far soldi, mai” tre giorni prima di assicurare agl’investitori che “non ci sono motivi di credere che l’operazione sia un disastro”. Sta di fatto che il caso finì con un’assoluzione, e da allora il Dipartimento della Giustizia non ha trascinato in tribunale nessuna grande banca.

E questo ci porta a una domanda ovvia: perché diavolo no?

Gary Aguirre, l’investigatore della SEC che perse il suo lavoro quando scatenò l’ira di Morgan Stanley, pensa di conoscere la risposta.

L’anno scorso Aguirre seppe che il 12 novembre di sarebbe svolta all’Hilton di New York una conferenza sul rafforzamento delle leggi finanziarie. La lista dei partecipanti includeva circa 1500 tra i più importanti avvocati che rappresentano Wall Street, oltre ad alcuni tra i più importanti investigatori governativi della SEC e del Dipartimento della Giustizia.

La giustizia penale, quando si parla dei Goldman e dei Morgan Stanley di tutto il mondo, non è un avversario da combattere, con investigatori e farabutti faccia a faccia al posto di polizia e nell’aula del tribunale. È un cocktail party tra amici e colleghi che mese dopo mese e anno dopo anno continuano a passare da una parte all’altra della barricata. Alla conferenza dell’Hilton, normatori e avvocati delle banche si scambiarono complimenti in una serie di discorsi e gruppi di discussione, lontani dalla plebaglia. “Erano più a loro agio in questo ambiente” afferma Aguirre, che sganciò 2200 dollari per partecipare alla conferenza.

Aguirre vide un sacco di facce note: molti legislatori della SEC con cui aveva lavorato quando tentava d’indagare su John Mack, che aveva fatto sgusciar fuori un milione di dollari lavorando per la stessa società alla quale rilasciavano polizze. Non vide Paul Berger, il codirettore dell’applicazione delle norme che aveva censurato i suoi tentativi di convocare Mack (forse perché Berger era preso dal suo nuovo lucroso lavoro alla Debevoise & Plimpton, lo stesso studio legale che Morgan Stanley aveva usato per intervenire nel caso Mack). Vide invece Mary Jo White, l’ex procuratore ancora alla Debevoise & Plimpton. E vide Linda Thomsen, l’ex direttore della SEC che era stato di tanto aiuto alla White. Thomsen era passato a rappresentare Wall Street come partner della prestigiosa società Davis Polk & Wardwell.

C’erano anche due alti rappresentanti del governo: Preet Bharara, procuratore per il Southern District of New York, e Robert Khuzami, l’attuale direttore della SEC. Bharara era stato raccomandato per il posto che occupava da Chuck Schumer, il senatore prediletto da Wall Street. E sia lui che Khuzami avevano lavorato con Mary Jo White nell’ufficio del procuratore federale, prima che Mary Jo diventasse partner della Debevoise. E inoltre, quando lavorava come consigliere generale della Deutsche Bank, Khuzami era stato assunto da Dick Walker, ex direttore della SEC quando il caso di frode del Rite Aid era stato bloccato.

“Non era un giro di giostra” dice Aguirre. “Era una trottola. Ognuno di loro era passato alternativamente dal governo alle società private”.

Non si tratta di un piccolo episodio nell’applicazione della normativa finanziaria; negli ultimi dieci anni più di una dozzina di alti responsabili della SEC erano passati a lucrativi incarichi nelle banche di Wall Street o nei blasonati studi legali. I funzionari della SEC come Paul Berger e Linda Thomsen sono l’equivalente di giocatori di seconda divisione che aspettano il loro contratto in una squadra di prima divisione. Si può veramente pensare di indagare su una società finanziaria Street per poi restare esclusi quando un boss di Wall Street viene incolpato di insider trading? “Prendete uno di questo lavori” dice Turner “e siete a posto per tutta la vita”.

A posto e felice. Le battute tra oratori nella conferenza di New York ci dicono tutto quello che c’è da sapere sul livello di amicizia e mutua ammirazione che esiste tra questi supposti avversari. A un certo punto della conferenza, Mary Jo White presentò Bharara, il suo vecchio amico dell’ufficio del procuratore. “Per cominciare, voglio dirvi quanto sono felice di essere qui” rispose Bharara. Rivolgendosi a White aggiunse “Hai plasmato noi tutti. Sono quasi 11 anni che Mary Jo White mi chiamava per chiedermi se volevo diventare assistente procuratore. Grazie dottor Frankenstein”.

Poi, parlando alla folla di stimati avvocati di Wall Street, Bharara fece un’interessante battuta. “Voglio fermarmi un momento per applaudire tutto lo staff della SEC per le cose strabilianti che hanno fatto negli anni passati. Hanno reso grandi servigi al paese, alla comunità finanziaria, e non dimentichiamo il lavoro che hanno dato a voi avvocati”.
La battuta suonò ironica in una conferenza di avvocati milionari. Ma il meglio venne quando Khuzami, il direttore della SEC per l’applicazione delle norme, parlò di “un’iniziativa di cooperazione” da poco pubblicizzata dall’agenzia, che offriva incentivi ai dirigenti che avessero segnalato frodi di cui erano stati testimoni o autori. Da oggi in poi, aveva detto Khuzami, i legali come quelli cui si stava dirigendo avrebbero potuto sapere, prima di andare avanti, se i loro clienti di Wall Street sarebbero stati incriminati dal Dipartimento della giustizia semplicemente contattando la SEC.

“Cercheremo di dare risposte personalizzate” annunciò Khuzami “come ad esempio se il caso presenta risvolti criminali o no, in modo da fornire al consiglio di difesa il massimo possibile d’informazioni per decidere se accettare o no il cliente”.

Ascoltando insieme agli altri, Aguirre non riusciva a credere alla sfacciataggine di Khuzami. Il direttore della SEC per l’applicazione della normativa stava in sintesi dicendo che società come Goldman Sachs, AIG e Lehman Brothers sarebbero state in grado di usare la SEC come intermediaria tra loro e il Dipartimento della giustizia, negoziando il pagamento di ammende per sfuggire alla prigione. Khuzami delineava un sistema in quattro tappe che avrebbe consentito a banche e dirigenti di pagarsi la libertà. “Dapprima SEC e Wall Street si accordano sull’ammontare dell’ammenda da pagare. Poi il Dipartimento della giustizia s’impegna a rinunciare all’incriminazione, e l’interessato a questo punto sa di essere salvo. Successivamente viene pagata la multa alla SEC. E infine il Dipartimento della giustizia chiude la pratica” spiega Aguirre.

Quando ho chiesto a un ex investigatore federale spiegazioni sulla correttezza di un direttore in funzione della SEC che dichiara apertamente di voler aiutare lo studio legale degl’incriminati a “trovare risposte” sullo stato dei casi penali, non mi voleva credere. E quando gli ho mandato la trascrizione dell’intervento mi ha detto “Sono estremamente sorpreso per la dichiarazione di Khuzami, che mi sembra contraria alle procedure in uso e molto negativa”.

All’inizio del mese, il senatore Chuck Grassley ha avuto conoscenza delle parole di Khuzami e ha inviato una lettera alla SEC ricordando che lo stesso manuale operativo della SEC proibisce non solo di fornire notizie ma anche di comunicare agl’imputati il numero telefonico del Dipartimento della giustizia. “Qualora lo studio legale o l’imputato chiedano quale ufficio del Dipartimento contattare” si legge nel manuale “lo staff deve rifiutarsi di rispondere, se non espressamente autorizzato dall’ufficio ministeriale”. SEC e Dipartimento della giustizia negano che in questa nuova politica ci sia qualcosa di scorretto. “Collaboriamo con la SEC, ma non veniamo consultati quando risolvono il loro casi” ha dichiarato a gennaio l’assistente procuratore generale Lanny Breuer dinanzi al Congresso “Agiscono in modo del tutto indipendente.”

Più o meno mentre Breuer testimoniava al Congresso, veniva però alla luce che, prima della ridicola multa di 75 milioni di dollari inflitta dalla SEC a Citigroup, Khuzami aveva ordinato allo staff di usare la mano leggera con i suoi più alti dirigenti. Secondo quanto detto in una lettera inviata all’ufficio del senatore Grassley’, Khuzami aveva avuto “senza avvertirne il suo staff, una conversazione segreta con un eminente avvocato della difesa, suo buon amico”. La lettera anonima, apparentemente inviata da un investigatore della SEC che lavorava al caso, spinse l’ispettore generale a lanciare un’indagine.

I fatti delineano un quadro malsano di un sistema chiuso e corrotto, un circolo infinito di amici che assicura un approccio collegiale alla politica dell’alta finanza. Ancora prima che cominci la corruzione, lo stato è bloccato dalla realtà economica: applicare la normativa a Wall Street richiede grandi capacità professionali, ma le banche si garantiscono un notevole vantaggio assumendo i migliori cervelli. Budde, l’ex avvocato della Lehman, afferma che la migrazione di tutti i migliori avvocati verso i migliori studi legali, mentre “il 20% più basso viene assunto dalla SEC”. E questo rende difficile all’agenzia riuscire a scoprire le macchinazioni legali, ad esempio lo schema per nascondere i 263 milioni di dollari di compenso a Dick Fuld’s.

“Un tale squilibrio non è certo divertente” conclude Budde.

Ma indipendentemente da tutto ciò, il sistema è falsato dall’insanabile miscuglio di ricchezza e potere. Se nella SEC o nel Dipartimento della giustizia spunta qualche talento, prima o poi salta su uno di quei consistenti contratti NBA. E, all’inverso, i quadri delle grande corporazioni si prendono un periodo sabbatico e abbandonano il loro fastoso stile di vita per passare uno o due anni nel servizio governativo. Molte nomine sono inevitabilmente prese dagli eterni lacchè di Wall Street, come Chuck Schumer, che ha accettato 14,6 milioni di dollari a titolo di contributo da Goldman Sachs, Morgan Stanley e altri importanti protagonisti dell’industria finanziaria o degli studi legali.

E cosa si può dire sul presidente Obama? La Goldman Sachs è stato il sostenitore privato numero uno della sua campagna, ha messo a capo del suo staff di transizione economica un dirigente Citigroup, ed ha da poco nominato come nuovo capo dello staff un dirigente della JP Morgan Chase, proprietario di 7,7 milioni di dollari di azione della Chase. “Il voltafaccia di Obama è incredibile, non riusciamo a crederci” dice Budde, compagno di classe del presidente alla Columbia. “Ci sta veramente prendendo tutti per il culo? Si tratta proprio di un tizio della JP Morgan, no?”

Questo non significa che l’era Obama abbia messo fine alla legalità. Al contrario, negli ultimi anni l’amministrazione ha destinato enormi somme dei fondi federali per dare la caccia ai delinquenti, di un certo tipo: l’anno scorso il governo ha deportato 393.000 persone, con una spesa di 5 miliardi di dollari. Dal 2007, le denunce per reati gravi legati all’immigrazione lungo la frontiera messicana sono cresciute del 77%, quelle per reati non gravi del 259%. Il mese scorso, in Ohio, una ragazza madre che aveva indicato una falsa residenza per poter mettere i suoi figli in una scuola migliore è stata condannata a 10 giorni di carcere per frode da un giudice, che si è rifiutato di rilasciarla considerata “la gravità del reato”.

I conti son presto fatti: immigranti illegali 393.000, madri bugiarde 1, banchieri zero. E la cosa si spiega: per vincere le elezioni bisogna dare addosso a chi può finire in prigione. Si costruiscono prigioni e le si riempie di gente che ha venduto borse contraffatte o rubato un riproduttore di CD. E quelli che hanno rubato miliardi di dollari e hanno costretto alla bancarotta milioni di persone? Non è un crimine; basta che dicano di essere dispiaciuti e sono a posto. Beh, un momento; non costringiamoli a dire che sono dispiaciuti. Sarebbe troppo: diamogli un pezzo di carta con un timbro statale che li esima dal dover chiedere scusa e appioppiamogli un piccola multa. Ma non obblighiamoli a pagare di tasca propria, e soprattutto non parliamo dei soldi che hanno sottratto. Lasciamo che si godano il crimine collettivo (135 miliardi di dollari in stipendi e benefici accessori, solo l’anno scorso).

Lo scoglio mentale, per la maggioranza degli americani, è che i crimini finanziari non sembrano reali: non vedete i colpevoli agitare pistole in un negozio di liquori o trascinare una ragazza nei cespugli. Ma le frodi finanziarie sono peggio dei furti ordinari. Sono crimini elaborati con un semplice e cinico calcolo dai cervelli di persone che già sono ricche e già profittano di tutti i possibili vantaggi sociali: rubiamo tutto quello che vogliamo e lasciamo che le vittime cerchino la strada per reclamare i loro soldi. Stanno attaccando le basi stesse della proprietà, che dopo tutto dipende in parte da un sistema giuridico che difende senza pregiudizi le affermazioni di proprietà. Quando la definizione diventa sfumata o condizionata l’intero sogno americano si allontana sempre più dalla realtà.

Matt Taibbi
Fonte: www.rollingstone.com
Link: http://www.rollingstone.com/politics/news/why-isnt-wall-street-in-jail-20110216
16.02.2011

Traduzione per www.comedonchisciotte.org acura di CARLO PAPPALARDO

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