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La Redazione

 

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PERCHE’ NON ANDRO’ AL FAMILY DAY

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A cura di Davide
Il 11 Maggio 2007
66 Views

DI CLAUDIO UGHETTO
Opifice

We are family. I got all my sister with me. We are family. Come on everybody, sing.

Perché non dovrei andare al Family Day, la manifestazione in favore della famiglia che si terrà a Roma il 12 Maggio, organizzata dalle correnti politiche cattoliche e sostenuta indirettamente dalla Chiesa? Perché non ho manifestato neppure a favore dei Dico, direi d’istinto. Lo ammetto, non sono un fan della famiglia tradizionale, o almeno della sua rappresentazione: quando si comincia a idealizzare qualcosa, siano la Patria, l’identità o la famiglia ho come l’impressione che l’enfasi sia rivolta a qualcosa sicuramente d’importante, degno di dibattito, ma che proprio il rimetterlo in questione significhi considerarne gli aspetti critici e non quelli fondanti.

Tra un’idea di famiglia che starebbe bene nel Presepio, chiamata “tradizionale” ma che in realtà dovremmo definire giudaico-cristiana-occidentale, e quella di una famiglia caricaturale, all’interno di una cultura che della famiglia non sa più che farsene, ci sono le famiglie reali, traballanti e dinamiche, scoppiate, piene di conflitti (castranti o pieni di opportunità), di finzioni e tradimenti ora devastanti ed ora tollerati o ignorati in nome di del quieto vivere. Difficile pronunciarsi, ostentare certezze. Meglio raccontare al partner un tradimento, col rischio di far saltare l’istituzione consacrata, oppure tacere e far prevalere la concordia con buona pace di chi difende il nucleo a qualsiasi costo?Non mi piacciono gli assolutismi, né ciò che li emana. Neppure la Costituzione mi convince quando sentenzia che: “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”. Antropologicamente quest’affermazione non regge, poiché la natura non attiene mai completamente all’essere umano e tantomeno alla famiglia. Qualcuno può affermare che altri esseri viventi, oltre all’uomo, si sposano? Tra gli animali, le coppie monogame sono un’eccezione. L’accoppiamento è naturale. Il matrimonio no. E neppure la famiglia. Quell’affermazione può essere condivisa dai cattolici, in quanto convinti che la natura sia a misura d’uomo. Possono altresì condividerla i liberisti, piccati su questioni come il “Diritto naturale”. Da parte mia mi rallegro che la famiglia non sia una “società naturale”, bensì umana, poiché stando tra natura e cultura, essa ci ha distanziati dalla bestialità quando la natura matrigna avrebbe potuto minare il nostro destino.
Del diritto ognuno ha una sua opinione: quella di Papa Ratzinger concorda in parte con la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, ma dissente dagli abusi che ne fanno le società occidentali. E qui entriamo nella questione dei Dico: secondo il laici una semplice estensione del diritto di coppia, secondo il Papa e le frange cattoliche un lasciapassare per il riconoscimento dei matrimoni tra gay. Devo ammettere che, buttandola sul “diritto”, non avrei difficoltà a manifestare sia pro che contro i Dico, o meglio: sia per l’estensione dei diritti di coppia, sia per la difesa della famiglia tradizionale. Se è giusto estendere i diritti di chi li ha a chi non li ha, è altrettanto giusto difendere i diritti della famiglia tradizionale.

Chi ci rimette in questo dialogo tra sordi? Tutti, probabilmente. Per me il “diritto” è non essere arrestato o ucciso senza motivo, non essere licenziato per futili motivi, non essere discriminato perché sono uomo o donna, bianco o nero, etero od omosessuale; è essere curato in una sanità pubblica e che i miei figli abbiano le possibilità d’istruzione di tutti i bambini europei. Di per sé non ho nulla in contrario che si riconoscano alle coppie di fatto, etero e gay, diritti di successione, ma questo non ha nulla a che vedere col matrimonio. Per contro, stento a capire perché dovrei manifestare per difendere l’idea di famiglia, quando è noto che la famiglia continua ad esistere ma in svariate forme e “strutture” (citando Lévi- Strauss). I politici che manifesteranno in nome di un’astrazione sono perlopiù divorziati, quindi con il beneplacito della Chiesa cattolica hanno ben poco a che vedere; fanno i conservatori ma incarnano tutti paradigmi dell’emancipazione, i loro elettori stessi sono cresciuti fregandosene delle proibizioni ecclesiastiche sul sesso prematrimoniale e sull’uso degli anticoncezionali. Ben venga quest’emancipazione, ma un po’ di coerenza non guasterebbe: della famiglia tradizionale andranno a rivendicare ben poco, perché è palese che quella famiglia non piaceva a nessuno. Si manifesti pure, a patto di riconoscere che non si sta manifestando per la famiglia. Quello di sabato non sarà il “Family Day”, ma il NO-DICO Day – meglio ancora: il NO-GAY MARRIAGE.

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Sarà pure così, dirà qualcuno, fatto sta che almeno si va a manifestare per la famiglia intesa come unione dell’uomo e della donna, e su questo non c’è cultura, occidentale od orientale, che tenga: gli uomini e le donne di qualsiasi etnia e cultura, intendano la famiglia monogama o poligama, allargata o nucleare, patriarcale o nucleare, alla fine devono essere di sessi opposti per generare posterità. E siamo al punto di prima: dei conviventi, maschio e femmina, atei e contrari al matrimonio, sono o no una famiglia nel momento in cui hanno un figlio? Si sposino, dirà quel qualcuno, perché è immorale che chiedano il riconoscimento dello Stato se non contraggono matrimonio davanti ad esso. Facile a dirsi. Poiché è proprio la cultura liberale e capitalista su cui si fonda la nostra società a privilegiare la libertà negativa (quindi dallo Stato) contro la libertà positiva (garantita dallo Stato). In nome della libertà individuale, la cultura dell’emancipazione ha stabilito che la società non può condizionare le scelte sessuali e di convivenza all’interno del matrimonio. Quindi perché limitare i diritti delle coppie di fatto?

We are family. I got all my sister with me. We are family. Come on everybody, sing.

Sembra strano, ma attualmente il mio rifiuto a stare in questo dibattito è condizionata da questa canzone delle Sister Sledge del 1979. Diventata una specie di inno al sentimento della famiglia (visto che di famiglia vera non si parla, bensì di sentimento di gruppo e di aggregazione) essa è stata adottata in almeno due spot pubblicitari: anni fa per una pellicceria, ovvero una macelleria di lusso, in questi mesi da una compagnia telefonica. Alla fine è a questa famiglia che punta la sinistra: un’aggregazione di consumatori che chiede di essere riconosciuta nelle sue variabili, in quanto la possibilità di consumare è il principale requisito per ogni rivendicazione. Esisto perché consumo, e chiedo che sia sancito legalmente. Da parte sua, la destra dovrebbe lasciar perdere gli assoluti e riconoscere che la famiglia da essa idealizzata non è poi così diversa: sarà pure etero, monogama e democratica, però assomiglia tanto a quella degli spot pubblicitari, stereotipata e finta, e sembra esistere in nome del mercato, giustificata e legittimata in base ad esso. Da entrambe le parti mi chiedono di scendere in piazza in nome del diritto al consumo, a scegliere in nome del PIL.

“Famiglie vi odio”, scriveva il grande André Gide, un omosessuale che non credeva nel matrimonio. Io non la penso come lui, però diffido di chiunque si richiami a Dio, alla Patria e alla Famiglia. In questo inizio di millennio questa triade è servita a compiere massacri ovunque, supportata dal podio della Democrazia. Pur deluso dagli ex sessantottini, ma non dalle istanze del ’68 e del ’77, credo troppo nella libertà per lasciarmi condizionare da una battaglia che ha per posta in gioco non il futuro della famiglia, ma solo un’idea di acquirente.

Claudio Ughetto
Fonte: http://www.opifice.it/
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10.05.2007

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