DI IAN BIRRELL
Neonati tenuti in ostaggio per le spese del parto non pagate, barellieri come paramedici, 19 sterline su 20 di spesa tagliate: Un resoconto bruciante dagli insanguinati ospedali Ateniesi ci mostra come la Grecia sta letteralmente ‘’morendo’’ dalla voglia di abbandonare l’euro
Come muore una nazione ? Questa settimana, negli ospedali sotto assedio di Atene, ho potuto intuire la scioccante risposta a questa domanda. Muore quando migliaia di persone sono lasciate morire soltanto perchè lo Stato non può permettersi di curarle.
Al Reichstag di Berlino si dice ormai chiaro e tondo che la Merkel è disponibile a discutere della possibilità di uscita dall’euro, consentire il “Grexit” e lasciare la Grecia libera dal peso del suo colossale debito europeo, fatto che potrebbe avere grandi conseguenze di portata mondiale.
Allo scopo di ripagare questo debito la Grecia è stata letteralmente bastonata con misure di austerità che rendono le lamentele del partito Labour inglese sui tagli decisi da George Osborne uno scherzo.
Non si potrebbe trovare metafora migliore per parlare dello stato di salute di una Nazione che il suo sistema sanitario. Ed è soltanto quando assisti con i tuoi occhi agli orrori nei quali si contorce il sistema sanitario nazionale greco che realizzi quanto sarebbe folle, per questa nazione un tempo fiera continuare con lo stato attuale delle cose. Se fosse il vostro Stato, vedere queste cose vi farebbe piangere dal dolore e dalla vergogna.
Nelle corsie ospedaliere sovraccariche di pazienti, ho visto e mi è stato riferito di bambini tenuti in ostaggio in attesa del pagamento delle spese del parto, pazienti in punto di morte lasciati senza assistenza; barellieri mandati allo sbaraglio come paramedici, pazienti che devono portarsi le lenzuola da casa, freni di vecchissime ambulanze che si rompono in corsa, strutture sanitarie prive di medicine e bendaggi.
Alcune strutture sono state chiuse del tutto e il personale gravemente ridotto semplicemente perchè non c’erano più i soldi per pagarlo. Cinque anni fa la Grecia spendeva 13 miliardi di sterline per la salute dei suoi 11 milioni di cittadini, cifra superiore alla media Europea. Al momento ne spende circa la metà. Ma c’è di peggio: nei primi quattro mesi di quest’anno i 140 ospedali statali hanno ricevuto soltanto 31 milioni, una riduzione del 94% rispetto all’anno precedente.
E per rendere il quadro ancora più oscuro, tutte le riserve di bilancio delle strutture pubbliche sono state trattenute dal Governo nella sua disperata rincorsa per pagare i dipendenti pubblici ed il debito estero.
Le stime sostengono una scioccante caduta pari a 3 anni dell’aspettativa di vita media dei Greci, dopo soltanto 5 anni dall’inizio del crack della sua economia. Se il dato fosse confermato sarebbe qualcosa senza precedenti nell’Europa moderna.
E le singole storie delle persone sono pietose, al limite del macabro.
Ho incontrato Kostas, un cameriere di 37 anni di Corfù che camminava sulla strada verso l’ospedale, faticando a spingere una sedia a rotelle rotta, rattoppata alla buona con un po’ di nastro adesivo. Il suo sforzo reso più faticoso dal fatto di portarsi sottobraccio un oggetto ingombrante avvolto in stoffa nera.
Mi ha detto che dopo un grave incidente in moto hanno dovuto amputargli la gamba destra. Dovrebbe essere ancora ricoverato all’ospedale, mi ha spiegato, ma i letti non bastavano; ha provato a protestare ma hanno insistito che doveva andarsene. “Mi hanno detto soltanto adesso vattene a casa”, “Ho paura perchè non ho i soldi per sopravvivere”.
Mentre si spingeva a fatica avanti, gli ho chiesto cosa aveva nell’involucro nero, “la mia gamba” mi ha risposto, aprendo l’involto per mostrarmi la sua protesi.
Nei diversi ospedali che ho visitato nella capitale, praticamente ogni dottore, ogni infermiera e ogni autista di ambulanze avevano per me storie terrificanti che descrivono un sistema a meno di un passo dal collasso totale.
“Qui non siamo più in Europa” mi ha detto un chirurgo con amarezza.
La crisi è diventata grave al punto che l’associazione umanitaria Medici senza frontiere sta preparando un piano d’azione per intervenire nel paese qualora la situazione si aggravasse ulteriormente, piano del tutto simile a quelli che si mettono in atto nelle peggiori zone di guerra al mondo.
“E’ una zona di guerra senza i proiettili che volano” mi ha detto un lavoratore di una associazione di carità intervistato: “Di questo passo il sistema di assistenza sanitaria collasserà completamente”.
Mentre il nuovo Governo di sinistra è impegnato a cincischiare sulle condizioni di un altro bailout finora lo stesso, aldilà dei proclami, non ha fatto nulla per il sistema sanitario se non qualche blando tentativo di estendere l’accesso alle cure.
Per vederne le conseguenze tragiche basta ad esempio visitare l’ospedale Nikaia, presso il porto del Pireo, dove uno sparuto gruppo di personale notturno fa fatica a stare dietro alle interminabili urgenze di pronto soccorso.
Una anziana signora con un contegno funereo lasciata immobile e sola su una barella nel corridoio, abbandonata lì per le intere quattro ore che ho passato all’ospedale perchè non aveva parenti che potessero insistere per trovargli un angolo più dignitoso.
Altri cinque pazienti anziani in barella, due con dolori visibilmente atroci, uno col il collare ortopedico ammassati in mezzo ad altri pazienti con fratture facciali, escoriazioni e arti fratturati aiutati da parenti. A un certo punto entra la polizia scortando un progioniero incatenato e coperto di sangue.
La figlia di una signora ottantaquattrenne avvolta in agonia dentro una coperta mi dice che sono lì che aspettano da quattro ore, le carenze di staff la forzano a trascinarsi la madre per eseguire i raggi X o i test del sangue quando arriva il suo turno. “Gli ospedali greci sono l’inferno”, mi disse.
Un altro uomo che accompagnava il cognato affetto da Alzheimer e con dolori di stomaco acuti mi ha detto che il sistema è odioso.
“Mi montano la rabbia e la tristezza quando vedo cose così”, ha detto, aggiungendo che il padre ha avuto un infarto a Creta e dopo 8 ore che l’ambulanza ancora non arrivava fu costretto a prendere un taxi per attraversare tutta l’isola pagandolo 108 sterline.
Un’altra donna cercava di intubare da sola la madre per alimentarla. Un’altra veniva spinta fuori nell’angoscia dicendole che non c’era posto. Poi, mentre avevo appena iniziato a parlare con un consulente è arrivato un paramedico gridandogli di correre a intervenire per medicare una donna pesantemente percossa con ferite gravi alla testa.
Panos Papanikolau, un esperto neurochirurgo, mi ha detto che a causa delle carenze di personale dovute a un congelamento ormai quadriennale delle assunzioni l’ospedale, stracarico di lavoro, era in grado di mantenere operative solo 5 sale operatorie sulle 11 disponibili. La carenza peggiore è nel numero di infermiere, soltanto 450 rimaste, 300 in meno del necessario.
E dal momento che le infermiere rimaste avevano da tempo diritto alle ferie, sempre procrastinate, solo 3 sale operatorie saranno funzionali nei 2 mesi a venire, poi nessuna eccetto che una per le estreme urgenze in Agosto, mese del picco turistico.
“La decisione di bloccare tutte le assunzioni di personale sanitario è un atto criminale per come la vedo io”, ha detto Papanikolau.
“I Medici internisti sostengono che circa 2000 persone all’anno tra i pazienti sotto cure intensive che non dovrebbero morire muoiono a causa di questa situazione”.
Le Infermiere mi hanno detto che non c’erano più lenzuola e i pazienti devono portarsele da casa; la notte devono mettere panni di stoffa o materassini sopra i letti in caso che i pazienti sanguinano o sono incontinenti perchè non ci sono rimpiazzi.
In una corsia hanno fatto una colletta per comprare un misuratore della pressione ed i termometri a causa delle carenze di mezzi. Le paghe tagliate di un terzo mentre la pressione ed il carico di lavoro continuano a salire dimostrano l’eroismo del personale sanitario che soffre per mantenere un minimo di servizio in funzione.
Ho trovato Panayota Conti, 35, unica infermiera di servizio la notte per 20 pazienti in degenza al reparto di urologia chirurgica, nove dei quali avevano passato il tavolo operatorio quel giorno stesso.
“Troppo spesso troppe persone hanno bisogno nello stesso momento e sono costretta a decidere chi devo aiutare e lasciare gli altri senza soccorso”, ha detto, “i pazienti mi capiscono ma in ogni caso continuano a non ricevere l’attenzione che dovrebbero”.
O, come mi ha detto un’altra infermiera: “capita che ci sono due persone che stanno morendo e arriviamo ad aiutarne solo una. Il livello di gravità è questo”.
Quando ho chiesto come ci si sente a lavorare in queste condizioni, l’infermiera Conti mi ha detto che vorrebbe buttarsi dalla finestra certe volte e poi ha aggiunto: “l’unico modo è amare questo lavoro”. Mi ha detto che sette dei suoi colleghi che prima lavoravano in questo ospedale, 2 dottori e 5 infermiere, erano così depressi che hanno deciso di trasferirsi in Inghilterra. Un cardiochirurgo mi ha detto che sono 59 i cardiochirurgi Greci emigrati per lavorare per il servizio sanitario nazionale del Regno Unito.
In seguito ho parlato con un autista di ambulanza che mi ha raccontato come di recente i freni della sua ambulanza, vecchia di 11 anni, hanno smesso di funzionare in corsa, mentre correva per portare all’ospedale la vittima di un incidente stradale. E’ riuscito ad evitare di schiantarsi soltanto distruggendo la scatola del cambio, “abbiamo sempre incidenti con questi veicoli” ha detto, “ma almeno i pazienti che riescono ad arrivare in ambulanza ricevono trattamento prioritario”.
Ci sono stati persino casi recenti di ospedali che non potevano comprare la benzina per le ambulanze, persino antidolorifici per i pazienti. In un altro reparto un altro autista d’ambulanze mi ha confessato che era soltanto un barelliere, poi gli hanno dato 15 giorni di “addestramento” e lo hanno mandato come paramedico ad affrontare gli incidenti più gravi. “E’ folle”, ha detto, “non abbiamo nessuna preparazione adeguata”.
Tra le vittime che pagano il prezzo più alto ci sono i pazienti affetti da cancro, che possono aspettare fino a quattro mesi per una diagnosi e 6 mesi per trattamenti decisivi. Rappresentanti sindacali ad Agios Savvas, Atene, il più grande centro oncologico in Grecia, mi hanno detto che il personale è ormai meno della metà di quello che servirebbe a funzionare.
“Se ti chiedono di aspettare 6 mesi prima di potere iniziare una radioterapia ormai non ha più senso fare niente, o muori direttamente o comunque il cancro ha raggiunto uno stadio così avanzato che la terapia non serve più a nulla”, mi dice Petros Athanasiades, un radiografo.
Dopo aver assistito a un paziente che stava per morire perchè aveva perso il lavoro, e con il lavoro il diritto alle cure, il cardiologo George Vichas ha messo in piedi 39 cliniche popolari gestite da volontari.
Il consulente mi ha pure riferito che hanno riscontrato ben 5 casi nei reparti maternità di bambini appena nati tenuti in ostaggio in reparto finchè i genitori non tornavano a saldare il conto. “Siamo al collasso completo della sanità statale”, mi ha detto.
Come si può arrivare a questo punto? E cosa vuol dire per il futuro della Grecia come paese dell’eurozona, e dell’intera eurozona? Prima del crack, il sistema sanitario Greco era inefficiente, gestito male e corrotto come tutto il resto del settore pubblico, ma nonostante tutto aveva personale ben qualificato e vantava uno dei sistemi di sanità pubblica più ampi al mondo.
Ma dopo che la crisi ha colpito e i creditori internazionali hanno intimato alla Grecia di tagliare i costi, nuove leggi sui diritti alle cure e la disoccupazione crescente hanno fatto schizzare il numero di persone senza diritto all’assistenza medica da 500.000 a 2,5 milioni.
L’aumento della disoccupazione e il crollo delle stato del servizio sanitario hanno portato all’insaprirsi di tutti problemi, dal diabete alle depressioni, dipendenza dalla droga, problemi cardiaci, HIV e tubercolosi. Sia la mortalità infantile che il numero di suicidi sono aumentati di netto.
Allo stesso tempo, i pazienti non potendosi permettere più cure private hanno affollato il servizio pubblico, appesantendo il carico assistenziale dello Stato, posticipando comunque la necessità di cercare cure e lasciando che i loro mali peggiorano per i costi elevati di specialisti e farmaci, molti dei quali ottenibili soltanto con pagamenti sottobanco, anche nel settore pubblico.
L’UE e l’Eurozona erano progetti immaginati come modi di avvicinare tra loro gli Stati Europei, ma al contrario hanno generato solo povertà e decadenza ed hanno inasprito le divisioni.
Nonostante tutta questa evidenza gli Zeloti dell’euro chiedono più austerità, mentre l’ultimo set di politici greci sembra tanto incapace di trovare una via di uscita alla crisi quanto i loro infausti predecessori. Il paese e la sua sfortunata popolazione sono in trappola tra molti anni ancora di lenta stagnazione o lo schock netto di una uscita dall’euro. Non c’è da stupirsi se la seconda ipotesi sembra sempre di più la più appetibile.
E’ facile vedere come una Grecia che dichiara default, su parte o sul totale del debito, che ammonta a 320 miliardi di euro è una possibilità temuta in Europa: potrebbe scatenare un effetto domino, con Portogallo e Spagna a seguire, che potrebbe mettere la parola fine al “sogno” dell’euro.
Inizialmente la crisi greca si inasprirebbe, ma poi senza più debiti da ripagare, la Grecia potrebbe ritrovarsi a amministrare un avanzo di bilancio, una volta fuori dall’euro. Se non altro sarebbe una calamita per grossi investimenti esteri, il suo export ne gioverebbe e potrebbe iniziare a ricostruirsi.
Potrebbe insomma, finalmente essere in grado di fare proprio ciò che definisce il compito di una Nazione moderna: potrebbe curare i mali della sua gente.
In ultima analisi, la rinascita della Grecia potrebbe coincidere con la morte del “sogno” europeo originario.
Ian Birrell
Fonte: www.dailymail.co.uk
23.06.2015
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di CONZI