DI CARLO GAMBESCIA
Sono circa trent’anni che si discute di rivoluzioni liberiste. Di volta in volta vengono citati dagli analisti, come esempi positivi, le riforme thatcheriane, reaganiane, quelle dei paesi dell’Est Europa (come Russia, Polonia e Ungheria), e persino le riforme cinesi. Il che è sbagliato (oltre che intellettualmente disonesto) perché in quelle società, come provano numerosi studi, è cresciuta solo la povertà.
Qual è il postulato filosofico, antropologico e sociologico su cui si regge la progetto liberista? Semplice: la libertà umana, o meglio, il liberalismo. Introdurre riforme economiche liberiste in una società significa dunque – secondo i suoi seguaci – far crescere la libertà economica e di riflesso la libertà tout court. Che esiste di più bello!
Il punto critico purtroppo è che libertà (pura e semplice) e libertà economica non tengono conto dell’uomo in carne e ossa.
Ad esempio la libertà di scegliersi il lavoro che piace non collima con la necessità di dover lavorare per vivere. La libertà di scegliersi il cibo che preferiamo poco si concilia con la necessità di doversi nutrire per vivere. E così via.
La libertà, come principio (la libertà pura e semplice) collide con la necessità umana di doversi riprodurre fisicamente. E a maggior ragione , questo conflitto nasce, tra libertà economica e necessità biologiche dell’uomo. Che significa libertà di lavoro, e dunque di nutrirsi, vestirsi, eccetera, se il lavoro viene negato per ragioni di “mercato” (o meglio, di sviluppo capitalistico)?
Perciò il liberalismo e, a maggior ragione, il liberismo economico, se considerati come principi, puri e semplici, da applicare rigidamente alla realtà, rischiano di condurre i popoli alla rovina. O comunque dividono sempre in due le società: da una parte i “ricchi”, che si sviluppano economicamente, agitando il vessillo dei diritti di libertà (anche economica), dall’altra i “poveri” che subiscono lo sviluppo, pagando con la povertà, la miseria e il rischio della scomparsa fisica. Si tratta di uno schema di differenziazione sociale, che si ripete meccanicamente, ogni volta, che con l’introduzione dei principi di libertà, si mette in discussione la stessa riproduzione fisica dell’uomo. Come mostra la storia dello sviluppo capitalistico, dalla rivoluzione industriale ai nostri giorni.
Questo non significa che la libertà sia un fattore negativo nell’evoluzione umana. Però lo può divenire – come nel caso della libertà economica, e del conseguente contrasto tra libertà teorica e pratica sociale – se viene meno la regolazione politica della libertà, attraverso la graduale parificazione non solo formale ma sostanziale delle condizioni di partenza (o quantomeno garantendo a “tutti” l’autoconservazione biologica). Affidarsi totalmente al mercato capitalistico, come attualmente sostengono i politici di destra come di sinistra, significa rendere solo più affilati i denti di quel meccanismo di differenziazione sociale di cui sopra.
Anche perché, la premessa su cui i liberali e liberisti basano i propri ragionamenti (quella dello sviluppo economico infinito, e della conseguente redistribuzione “collettiva” del prodotto sociale, operata spontaneamente dal mercato…), si sta rivelando infondata, proprio sul piano dei tassi medi effettivi di crescita del sistema capitalistico. Inferiori a quelli ottocenteschi, e soprattutto, a quelli del “glorioso trentennio” (1945-1975). Per non parlare del degrado ambientale. E della crescente povertà mondiale (sia relativa che assoluta).
Stranamente, come è accaduto altre volte nella storia con altre classi dominanti, sembra che liberali e liberisti, e il grumo di potere sociale che li sorregge, stiano facendo di tutto per affrettare la propria fine.
Ma fino a un certo punto.
Infatti, quanto appena detto, non esclude, che questi gruppi di potere, possano gettare la maschera, e puntare su una specie di liberal-liberismo militare, capace di conciliare con la forza le “libertà dell’Occidente” e il controllo politico delle materie prime.
Il che, per alcuni, sta già accadendo.
Carlo Gambescia
Fonte: http://carlogambesciametapolitics.blogspot.com/
4.06.07
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