PERCHE’ FERMARE IL GRANDE SATANA? STA ANDANDOSENE ALL’INFERNO DA SOLO!

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DI SIMON JENKINS
The Guardian

Teheran può rilassarsi e guardar sudare i suoi tormentatori. Ma gli Stati Uniti e l’Inghilterra devono ricominciare da zero con la loro diplomazia.

Per “asse del male” leggi “asse della speranza”. La frenetica ricerca di una strategia d’uscita dall’Iraq che sta divorando Washington e Londra va ben oltre l’ironia. Farsi aiutare dalla Siria e dall’Iran? Ma questi non erano i mostri che George Bush e Tony Blair volevano sopprimere nel 2003? Di sicuro l’intenzione dell’avventura irachena era di rovesciare questi fondamentalisti sponsorizzatori di terrorismo, soppressori delle libertà e dei diritti delle donne e finanziatori di milizie fanatiche, in cambio di stabilità, prosperità e “democrazia” occidentale?

Mi ricordo di quando, sei mesi dopo l’invasione americana, chiesi ad un agente dell’intelligence a Baghdad che cosa avrebbe suggerito di fare agli iraniani; sorridendo mi disse: “aspettare”. E l’Iran ha proprio fatto così. Se io fossi Teheran aspetterei ancora. Mi accomoderei con le braccia conserte e guarderei i miei tormentatori sudare. Godrei del panico di Washington e di Londra mentre vedono accumularsi i sacchi dei soldati caduti, i generali parlare di ammutinamento, alleanze smembrarsi ed elettori che battono in ritirata.
Se Sir Nigel Sheinwald, emissario di Blair, venisse mogio mogio da me, gli offrirei una tazza di the e poi scoppierei a ridere. Gli chiederei di ripetermi gli insulti avvelenati che i suoi superiori americani mi rinfacciano quotidianamente. Con Shylock [personaggio de Il Mercante di Veneziadi Shakespeare, n.d.t.], direi: “Ha del denaro un cane come me? E’ mai possibile che un can rognoso ha tremila ducati da prestare … Gentil signore, mercoldì scorso mi sputaste addosso, tal altro giorno mi prendeste a calci, un’altra volta mi chiamaste ‘cane’, ed in cambio di tante gentilezze vi presterò tutti questi denari”?

Mentre in Iraq si avvicina l’inizio della fine, molti saranno i pentimenti e ripensamenti prima che la realtà rimpiazzi il diniego. Per il momento il diniego governa ancora. Sono rimasto colpito la settimana scorsa in America nel vedere quanto persino i pacifisti americani (come molti tra gli inglesi) fossero inconsapevoli dell’abisso nel quale ci siamo cacciati in Iraq. Lo paragonano al Vietnam o ai Balcani, ma non è proprio così. Siamo all’anarchia totale. Tutte le frasi che iniziano “Cosa dovremmo fare ora in Iraq…” sono frasi senza senso. La nostra posizione non ci permette alcuno sbocco. Siamo impotenti; questa è la definizione di anarchia.

Ogni resoconto disponibile ci dice che l’Iraq a sud del confine con il Kurdistan è aldilà della giurisdizione dell’autorità centrale, ed è un miscuglio di bande armate, di sceiccati, di senzalegge. La provincia di Anbar e la maggior parte del triangolo sunnita è controllato da milizie sunnite indipendenti. Per gli stranieri gli unici spostamenti possibili sono di notte e in elicottero. Baghdad è diventata come Beirut nel 1983, con massacri notturni, blocchi stradali ovunque e quartieri misti che si svuotano in quartieri più sicuri. Portare l’uniforme è diventato un certificato di morte. Per quanto riguarda le cittadine del sud il controllo dipende da quale milizia sciita è riuscita ad impossessarsi del comando di polizia locale.

L’esercito iracheno, per quel che vale, non può essere dispiegato fuori della propria area di giurisdizione, ed è perciò inutile contro gli insorti. Non esiste una forza di polizia centrale. Non esiste una pubblica amministrazione. A malapena il governo di Nouri al-Maliki riesce a controllare la Zona Verde in cui è impantanato, e che le truppe americane presidiano manco fosse un avamposto della legione straniera nel Sahara. Non serve a nulla pattugliare una zona che non si può tenere sotto controllo, serve soltanto ad alienare la gente e trasformare i soldati in bersagli.

Dire che l’Iraq cadrebbe in una guerra civile “se ce ne andiamo” significa non comprendere il caos in cui questo Paese è precipitato sotto il nostro governo. Implica la presenza di un modello d’ordine che non esiste sul posto. I soldati stranieri possono rimanere nelle loro basi, ma di sicuro non possono “prevenire la guerra civile” come non possono “importare la democrazia”. Servono soltanto da tiro al bersaglio per gli insorti e a reclutare nuovi adepti per al-Qaida. L’occupazione dell’Iraq è passata dalla brutalità alla pura idiozia.

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Nouri al-Maliki, premier fantoccio dell’Iraq (sinistra), e l’ambasciatore USA a Baghdad, Zalmay Khalilzad (destra)

E’ possibile che un astuto proconsole come Zalmay Khalilzad possa mediare tra le fazioni in guerra e farle accordare su di un confine provvisorio per poi farlo presidiare dalle sue milizie, ma la mia impressione è che l’Iraq sia sfuggito anche al suo controllo, che non ha più poteri di ripartizione. Se guerra civile significa eserciti che invadono il territorio, non ce n’è bisogno in Iraq. Se significa pulizia etnica e popolazioni che fuggono in enclavi, di questo ce n’è già in abbondanza.

La ritirata occidentale sta già prendendo forma. Se tutte le politiche sono locali, nessuna è più locale della politica dell’anarchia. L’Inghilterra sta già ritirandosi da città come Amara e dalle basi di Bassora, lasciando che a combattere sui territori evacuati sia la milizia locale e che siano i capi regionali a disciplinarli. Questo potrà iniziare solo quando le truppe straniere se ne andranno.

Il ritiro degli americani avverrà allo stesso modo nel nord e nell’ovest. Al momento la causa principale dei caduti inglesi e americani si può attribuire a nuovi comandanti che per vanagloria li mandano in pattugliamenti inutili.

L’inchiesta Baker/Hamilton del mese prossimo – sicuramente la più strana maniera con cui un esercito abbia mai negoziato il proprio ritiro – urgerà un “riposizionamento” lontano da centri abitati e dentro gigantesche basi nel deserto. Possono rimanere lì per salvarsi la faccia mentre le fazioni e province irachene cercheranno di riordinarsi in paesi e città. Le unità militari straniere potranno quindi scivolare via alla chetichella nel Qatar già il prossimo mese.

Aiuterebbe molto sia Bush sia Blair se questo riposizionamento fosse coperto da una qualche conferenza internazionale. Ma pensare che la baathista, sunnita Damasco e la clericale, shiita Teheran garantiscano unitamente la sicurezza di un regime condiviso a Baghdad è semplicemente incredibile. Potrebbero, sì, acquisire prestigio nel partecipare a tale conferenza, spingendosi a fingere di imbrigliare le loro rispettive milizie, ma l’idea che questo possa fermare la sponsorizzazione di Hezbollah da una parte o di fermare l’arricchimento dell’uranio dall’altra come parte di un qualche accordo è molto bizzarra. Per ciò che concerne la promessa di Bush di “far qualcosa” riguardo ad Israele e Palestina, beh, lo ha già fatto nel 2003 e non ha cavato un ragno dal buco. Certo, i due leader in questione vorrebbero avere buoni rapporti con l’occidente, ma possono benissimo sopravvivere senza. L’asse del male non ha fatto loro alcun danno.

Bush e Blair vanno di fretta, e uomini così perdono le guerre. Se esiste una strategia a Teheran può essere quella di “giocarsi” a lungo l’Iraq. Perché fermare il Grande Satana mentre sta andandosene all’inferno in carrozza? Se Washington e Londra veramente vogliono essere aiutati in questa parte del mondo devono ricominciare da zero con la diplomazia. Devono smetterla di presentarsi come “paladini del bene” e di fingere di avere tutte le carte in mano. Devono rendersi conto che questa guerra è stata una perdita di faccia. Possono insultare, sanzionare, minacciare, ma per loro non c’è più nulla da “fare” se non andarsene. Non sono più il soggetto di quel grande verbo, solo il suo doloroso oggetto.

Simon Jenkins
Fonte: http://www.guardian.co.uk/
Link: http://www.guardian.co.uk/Columnists/Column/0,,1948074,00.html
15.11.2006

Scelto e tradotto da GIANNI ELLENA per www.comedonchisciotte.org

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