DI ELLEN BROWN
Web of Debt
Perché le banche non concedono prestiti agli imprenditori locali? La decisione della Fed di pagare gli interessi su 1,6 trilioni di dollari di riserve in “eccesso” è quella su cui si concentrano i sospetti.
Dove stanno andando tutti i posti di
lavoro? Piccole e medie imprese sono la maggior fonte di nuovi posti di lavoro, e non stanno assumendo. Gli avvii di impresa, che contribuiscono
per un quinto ai nuovi posti di lavoro della nazione, spesso non riescono
neppure a decollare. Perché?In un articolo
del 30 giugno del Wall
Street Journal intitolato “Le piccole imprese che cercano prestiti
ancora a bocca asciutta”, Emily Maltby ha riportato che i titolare
delle imprese considerano l’accesso al capitale la questione più
importante da affrontare in questo momento; e solo il 17% delle piccole
imprese ha detto che erano state capaci di ottenere il finanziamento
richiesto dalle banche. Le imprese devono pagare i dipendenti e i materiali
prima di venir pagate per quello che producono, e per questo necessitano
del credito bancario; ma stanno riferendo che le loro linee di credito
sono state tagliate. Sono state invece spinte verso i conti con le carte
di credito che hanno una media del 16 per cento di interesse, più del
doppio del tasso medio per i prestiti alle imprese. È uno dei molti
cambiamenti delle pratiche bancarie che sono state molto remunerative
per le banche di Wall Street, ma che stanno uccidendo le imprese nazionali.
Il perché le banche non stiano
concedendo prestiti è materia di dibattito, ma la decisione della
Fed di pagare gli interessi sulle riserve della banche è cima alla
lista dei sospetti. Bruce Bartlett, scrivendo
sul Fiscal Times nel luglio
del 2010, ha osservato:
Gli economisti sono
divisi sul perché le banche non stiano concedendo prestiti, ma
si stanno sempre più concentrando su una politica della Fed per il
pagamento degli interessi sulle riserve, un’iniziativa che fu avviata,
ed è interessante, il 9 ottobre del 2008, quasi nel momento più
acuto della crisi finanziaria.
[…] Storicamente,
la Fed non ha mai pagato niente alle banche per le riserve richieste.
Era come una tassa equivalente al tasso di interesse che le banche avrebbero
potuto guadagnare se gli fosse stato concesso di prestare quei fondi.
Ma nel 2006 la Fed ha chiesto il permesso per pagare gli interessi
sulle riserve perché credeva che avrebbe aiutato a tenere sotto controllo
la circolazione della moneta nel caso di ricomparsa dell’inflazione.
[…] molti economisti
credono che la Fed ha inconsapevolmente incoraggiato le banche
a sedersi sul proprio contante e non prestarlo per ricevere gli interessi
sulle proprie riserve.
Un tempo, le banche raccoglievano i
depositi dai loro clienti e li accantonavano per i loro bisogni di liquidità,
utilizzandoli per sostenere i prestiti e pagare gli assegni in uscita.
Ma oggi le banche in genere prendono a prestito (o “comprano”) liquidità,
anche da altre banche, per il mercato dei capitali, o dal mercato della
moneta elettronica. Il pagamento degli interessi da parte della Fed
sulle riserve è in concorrenza con tutti i mercati dei fondi aperti
a breve termine, creando una carenza di liquidità di cui le banche
hanno bisogno per concedere i prestiti.
Con l’inibizione del prestito interbancario,
la Fed sembra voler creare una tacita “stretta monetaria”,
la stessa cosa che portò alla crisi bancaria nel settembre del 2008.
Secondo Jeff Hummel, professore associato di economia alla San Jose
State University, potrebbe accadere di nuovo. Egli avverte che il pagamento degli interessi sulle riserve
“potrebbe avere lo stesso effetto del raddoppio dei requisiti di capitalizzazione
negli anni ’30 che portò alla recessione del 1937 nel mezzo della
Grande Depressione.”
La farsa del trilione e seicento
miliardi di dollari di “riserve in eccesso”
Il salvataggio delle banche e i due
programmi di alleggerimento quantitativo della Federal Reserve
si credeva che avessero lo scopo di mantenere il credito in circolo
nell’economia nazionale; invece, malgrado i trilioni di dollari gettati
in pasto alle banche di Wall Street, questi programmi sono riusciti
solamente a produrre montagne
di “riserve in eccesso” che
ora rimangono inattive sui conti bancari della Federal Reserve.
Un incredibile triliardo e sei di riserve in eccesso si è accumulato
dopo il collasso di Lehman Brothers del 15 settembre 2008.
La giustificazione per il TARP, il
Trouble Asset Relief Program che ha sussidiato le maggiori banche
del paese, era che fosse necessario per scongelare il mercato del credito.
L’oggetto del contendere era che le banche si stavano rifiutando di
prestarsi soldi l’un l’altra, limitando la liquidità che era essenziale
alla concessione dei prestiti. Ma come
ha riportato una ricerca del MIT nel
settembre del 2010 realizzato subito dopo il collasso di Lehman, il
mercato dei prestiti interbancari stava funzionando normalmente. Si
sono bloccati non quando Lehman è morta, ma quando la Fed ha
iniziato a pagare gli interessi sugli eccessi delle riserve nell’ottobre
del 2008. Secondo lo studio, come
riassunto nel Daily
Bail:
[…] i dati comunicati
dalla Fed di New York mostrano che il prestito interbancario
nel periodo che va da settembre a novembre non si
è “congelato”, collassato o distrutto e così
via. Infatti, nel corso di ogni singola giornata in questo periodo,
centinaia di miliardi sono stati prestati e rimborsati. Il declino nel
prestito interbancario giornaliero
è avvenuto solo quando la Fed ha gonfiato i suoi bilanci e ha
iniziato a pagare gli interessi sulle riserve in eccesso.
Il 9 ottobre del la Fed ha iniziato a pagare gli
interessi, non sulle riserve
richieste (che ammontano al 10% dei depositi per le banche più grandi),
ma sulle riserve in “eccesso”. La quantità delle riserve si è
da subito innalzata e sono salite verticalmente da quel momento in poi.
Nel marzo del 2011 le dimensioni dei prestiti
interbancari erano solamente
a un terzo del livello del maggio 2008, prima della crisi del settore
bancario. E il 29 giugno del 2011 la Fed ha riportato riserve in
eccesso per quasi 1,57 trilioni
di dollari, venti volte quello di cui le banche avevano bisogno per
soddisfare i propri requisiti.
Perché pagare gli interessi sulle
riserve?
la Fed abbia deciso di pagare gli interessi sulle
riserve è una questione complicata, ma è stato un tentativo disperato
di mantenere il controllo delle “politiche monetarie”. La Fed
in teoria regola l’emissione di moneta controllando il tasso dei fondi
Fed. La cosa non ha funzionato nell’aspetto pratico, ma neppure
ci sono riuscite altre iniziative, e la Fed sembra essere determinata
ad affidarsi all’ultima freccia della sua faretra regolatoria.
Nello sforzo di venire in soccorso
del mercato del credito in condizioni comatose dopo il collasso di Lehman,
la Fed ha fissato il tasso obbiettivo per i fondi Fed,
quelli che le banche si prestano tra loro – a un misero 0,25%. Il
pagamento degli interessi sulle riserve a quel tasso aveva lo scopo
di assicurare che il tasso dei fondi Fed non cadesse sotto quel
minimo. La
motivazione era che le banche
non avrebbero concesso le proprie riserve in prestito ad altre banche
per meno, visto che avrebbero avuto uno 0,25% garantito dalla Fed.
La cura ha funzionato, ma ha avuto l’effetto contrario di uccidere
il mercato dei fondi Fed, sul quale i prestatori nazionali si
affidano per i loro bisogni di liquidità.
È stato argomentato che le banche
non hanno bisogno di ottenere fondi dalle altre, visto che ora
sguazzano nelle riserve, ma queste riserve non
sono equamente distribuite.
I conti delle venticinque maggiori banche USA ammontano a più della
metà delle riserve aggregate, con il 21% delle riserve detenuto da
solo tre banche; e le banche più grandi hanno
tagliato i prestiti alle
piccole imprese di oltre il 50%. Le grandi banche di Wall Street riescono
a ottenere maggiori profitti con il credito facile reso disponibile
dalla Fed rispetto a prestarlo alle imprese e ai consumatori,
che è diventato un affare caro e rischioso per l’imposizione di requisiti
di capitalizzazioni più alti e per le regolamentazioni più rigide.
In ogni caso, come ho evidenziato in un
precedente articolo, le
riserve in eccesso dai fondi del QE2 si sono accumulate all’estero
più che nelle banche nazionali. John Mason, professore di finanza alla
Penn State University ed ex esperto di economia alla Federal
Reserve, ha
scritto il 27 giugno nel suo blog che,
malgrado il QE2:
I livelli di cassa nelle
banche più piccole [negli USA] rimangono relativamente piatti.
[…] Di conseguenza, le riserve che la Fed stava pompando nel sistema
bancario non sono andate nelle banche più
piccole […] i prestiti alle imprese continuano a scarseggiare presso
le istituzioni bancarie minori.
I prestiti alle imprese del
posto dipendono dal rapido accesso alla liquidità
Senza l’accesso al mercato dei prestiti
interbancari, le banche locali sono riluttanti a estendere le linee
di credito alle imprese. La ragione è
stata spiegata dall’economista
Ronald McKinnon in un articolo di maggio del Wall Street Journal:
Le banche con buone
opportunità per i prestiti al dettaglio generalmente prestano
aprendo linee di credito ai clienti non collegati alle banche. Ma queste
linee di credito sono senza limitazioni, nel senso che chi ha preso
somme a prestito può scegliere per quanto tempo, e a che prezzo, potrà
proseguire su quella linea di credito. Questo crea incertezza per la
banca che non può sapere quali saranno i propri livelli di cassa nel
futuro. Una banca illiquida potrebbe essere nei guai se i propri clienti
contemporaneamente decidessero di ritirarsi dalle proprie linee di credito.
Se la banca ha un facile
accesso all’intero mercato interbancario, la sua liquidità
non può che migliorare. Per coprire carenze improvvise di liquidità,
può prendere a prestito dalle banche che hanno riserve in eccesso con
controlli sul credito scarsi o assenti. Ma se il tasso prevalente di
prestiti interbancari è prossimo allo zero (com’è ora), allora le
banche più grandi con surplus di riserve diventano poco inclini
a dividerle con altre per un guadagno così
basso. E le banche più piccole, che collettivamente sono i più
grandi prestatori alle piccole e medie imprese, non possono facilmente
fare offerte per i fondi a un tasso di interesse significativamente
più alto di quello interbancario prevalente senza segnalare indirettamente
che potrebbero essere nei guai. In effetti, il rischio per le piccole
banche rimane cospicuo, visto che ne sono fallite cinquanta nel corso
di quest’anno.
Le banche locali potrebbero affidarsi
alla finestra di sconto della Fed per ottenere prestiti, ma anche
quello potrebbe
segnalare che le banche
abbiano qualche problema, e per le banche deboli, la finestra di sconto
della Fed potrebbe
venire chiusa. Inoltre,
il tasso di sconto è il triplo del tasso dei fondi Fed.
Come evidenziato
da Warren
Mosler, autore di “The
7 Deadly Innocent Frauds of Economic Policy”, i regolatori del
settore bancario hanno peggiorato le cose ponendo dei limiti all’ammontare
del finanziamento “totale” che le piccole banche possono ottenere.
Ciò significa che sono limitate nell’ammontare di liquidità che
possono acquistare (ad esempio, sotto forma di CDs). Una certa percentuale
dei depositi di una banca potrebbe essere costituita dai depositi “retail”,
i depositi dei propri clienti. Questo forzerebbe le piccole banche a
competere sul mercato più ristretto dei correntisti, facendo alzare
i costi per il finanziamento e rendendo i prestiti concessi alle imprese
del posto non remunerativi. Mosler considera che la Fed potrebbe
sistemare la cosa (a) prestando i fondi Fed per quanto necessario
a tutte le banche membri al tasso dei fondi Fed, e (b) abbassando
le percentuali richieste nei fondi bancari rispetto alle somme depositate
dai propri clienti.
Trovare le alternative a un
modello bancario fallimentare
Pagare gli interessi sulle riserve
aveva lo scopo di impedire “l’inflazione”, ma ha avuto l’effetto
opposto, contraendo la moneta e il credito che sono la linfa di un’economia
viva. L’intero modello economico è sbagliato. La paura dell’inflazione
dei prezzi ha impedito ai governi di usare il potere sovrano per creare
moneta e il credito che serve alle necessità delle proprie economie
nazionali. Invece, devono servire gli interessi di un’industria bancaria
privata che profitta della propria forza monopolistica su questi aspetti
essenziali dell’economia.
Che sia per caso o in modo intenzionale,
i legislatori federali ancora capito come fare. Nell’attesa che alla
fine ci riescano, gli stati possono far crescere e proteggere le loco
economie locali con le banche pubbliche, sul modello della Bank of
North Dakota (BND). Al momento l’unica banca della nazione
di proprietà di uno Stato, la BND soddisfa i bisogni di liquidità
delle banche locale e mantiene il credito in circolo all’interno dello
stato. Altri benefici portati all’economia locale vengono dettagliati
in un resoconto su Demos di Jason Judd e Heather McGhee, intitolato Le banche in America: come
la collaborazione tra le banche può migliorare l’economia locale. Hanno scritto:
Tra i singoli stati,
il North Dakota ha i mezzi finanziari per tenere il credito in circolo
tra le piccole imprese che ne hanno il bisogno maggiore. Il prestito
alle imprese della BND è cresciuto dal 2007 al 2009 (i mesi più difficile
per la crisi del credito) del 35 per cento. […] l’ammontare dei
prestiti pro capite per le piccole banche nel North Dakota è del 175%
superiore alla media U.S. negli ultimi cinque anni, e le sue banche
hanno coefficienti tra prestiti e asset più robusti rispetto a stati
simili come il Wyoming, il South Dakota e il Montana.
stati hanno iniziato a proporre
leggi per introdurre banche di proprietà dello stato o per studiare
la loro fattibilità. Oltre a servire le necessità del prestito locale,
le banche di stato possono fornire agli stati a corto di denaro nuove
entrate, evitando così di dover aumentare le tasse, tagliare i servizi
e svendere i beni pubblici.
15.07.2011
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE