DI JOHN MICHAEL GREER
Energy Bulletin
L’opzione migliore proprio adesso è di incoraggiare il disaccordo, per promuovere quanti più diversi approcci al futuro possibile
Per tutto il mese scorso o giù di lì, questi saggi hanno provato a presentare un’estesa critica della nozione molto comune che insieme possiamo pianificare, e ottenere, il futuro che decidiamo di volere. Ormai, però, quel punto è stato spinto al massimo. Quei miei lettori che hanno capito dove voglio arrivare ce l’hanno fatta, e probabilmente sono più che pronti nel procedere con qualcos’altro, mentre quelli che continuano a credere che possono decidere del loro futuro continueranno a crederlo indipendentemente da quello che viene detto qui.
Ancora, quella discussione conduce a un’altra questione, una che ragionevolmente qui non può essere evitata. Dato che non penso molto delle prospettive di pianificare un auspicabile futuro e poi di farlo avverare, cosa propongo invece? È più difficile farla questa domanda che rispondere, perché l’unica risposta che posso fornire presuppone certe cose che possiamo sapere sul futuro e devono essere chiarite all’inizio. La stessa cosa vale, di sicuro, per i tentativi di pianificare il futuro che ho criticato. Se potessimo sapere dov’è diretta la storia e quale influenza potrebbero avere su di essa le nostre azioni, sarebbe una sicurezza fare piani precisi sul futuro. Allo stesso modo, se ci è impossibile sapere qualcosa sul futuro, allora niente è più sicuro, nessuna azione ha più probabilità di successo di altre, e l’unica opzione rimasta sarebbe improvvisare al momento.
Ancora, mi sembra che nessuno di questi estremi si adatti alla nostra situazione. Ci sono certamente cose davanti che non ci aspetteremo mai finché non si presentano alla porta, ma non tutto quello che riguarda il futuro cade in questa categoria. Un’altra distinzione interessante è quella tra le molte cose che possiamo sapere e le molte che non possiamo sapere: molto spesso non abbiamo modo di sapere cosa succederà, ma possiamo prevedere molto accuratamente che certe cose non accadranno, e possiamo anche prevedere con accuratezza il tipo di cose che accadrà.
Un esempio specifico può aiutare a mostrare come funziona. Qualche anno fa, quando l’ultima bolla immobiliare ha messo la quinta, un bel po’ di gente – io ero tra quelli, solo che non avevo una piattaforma pubblica per le mie previsioni a quei tempi – ha notato l’accelerazione nei prezzi degli immobili e tirato due conclusioni. La prima era che quelli che insistevano che il mercato immobiliare potesse crescere in valore per sempre si sbagliavano: non solo un po’, ma si sbagliavano completamente, catastroficamente. La seconda era che se il mercato immobiliare avesse continuato a crescere, ci sarebbe stato un enorme crollo. (Quelli che lo vedono col senno di poi possono visitare il blog The Housing Panic, dove erano apparse queste previsioni).
Entrambe le previsioni, vale la pena notare, si basavano su evidenza storica. Fin da quando le economie di mercato hanno sviluppato la capacità di sostenere bolle speculative, la gente è andata fuori di senno ad intervalli per un investimento o un altro: tulipani, azioni, mercato immobiliare, metalli preziosi, prodotti, chiamateli come volete. Il segnale infallibile che questo è successo è la rivendicazione che l’investimento in questione sia esente da domanda e offerta e continui solo ad aumentare di valore. Credo che la maggior parte di noi ricordi quando proprio queste cose furono dette riguardo ai titoli azionari nel settore tecnologico, ed è da meno di un anno che molta gente insisteva che le stesse cose valevano per il petrolio: sbagliato in entrambi i casi, e in ogni altro caso nella storia dell’umanità. Così possiamo sapere qualcosa sul futuro: possiamo predire accuratamente che nessun investimento speculativo crescerà di valore all’infinito.
La seconda previsione ha seguito le orme della prima. Siccome milioni di persone si stavano avventurando nel mercato immobiliare, e i prezzi stavano aumentando velocemente, era certo che i prezzi sarebbero finalmente crollati, le persone avrebbero liquidato i loro investimenti, e il risultato sarebbe stato un crollo; questo è il modo in cui tutte le bolle speculative nella storia sono finite. Così i blogger di Housing Panic conoscevano il tipo di cose che avrebbe riservato il futuro: un crollo nei prezzi del mercato immobiliare in cui molte persone avrebbero perso una enorme quantità di soldi. Quelli che hanno notato che le banche stavano prestando soldi a speculatori in modo sconsiderato sapevano anche che molte banche sarebbero fallite; ancora, questo è il tipo di cose che succede quando l’ingordigia vince la cautela e le banche dimenticano che i soldi dovrebbero essere prestati solo alle persone che possono restituirli.
Quello che nessuno sapeva era quando sarebbe avvenuto il crollo, cosa lo avrebbe scatenato, e come si sarebbe messo in atto. Questa è la differenza tra sapere che tipo di cose succederanno e sapere cosa succederà. Niente è più difficile di calcolare il momento di una bolla. Isaac Newton, probabilmente uno degli esseri umani più intelligenti mai esistiti, ha provato a programmare il mercato durante la South Sea Bubble [bolla speculativa creatasi attorno al 1720, ndt.] e perse la maggior parte dei suoi soldi. (I miei lettori che si considerano più intelligenti di Newton sono invitati a provare a predire la svolta nell’attuale bolla nei buoni del Tesoro statunitense. Visto che l’esplosione di questa bolla probabilmente farà andare in arresto cardiaco quello che rimane dell’economia globale, questo non è assolutamente un esercizio puramente accademico).
Le stesse considerazioni si possono applicare ad ogni tentativo di predire il futuro, e in particolare al tema centrale di questo blog, il crepuscolo della civiltà industriale e la lunga discesa in una nuova era buia. Le civiltà, come le bolle speculative, hanno sostenitori che insistono che possono andare avanti per sempre; proprio come con le bolle, questi tipi di annunci sono storicamente un chiaro segno che seri problemi non sono troppo lontani. È certo, ad ogni modo, che ogni bolla scoppierà e ogni civiltà andrà in declino e cadrà. Quelli che hanno investito molto in una particolare bolla o civiltà ovviamente insisteranno che questa volta è diverso, proprio come hanno fatto i loro predecessori; quelle rivendicazioni sono state finora sbagliate, e l’evidenza non li favorisce neanche questa volta.
È piuttosto probabile, a sua volta, predire il tipo di cose che succederà man mano che la civiltà industriale barcolla giù dall’irregolare pendio del declino. Tante civiltà l’hanno fatto prima, e le somiglianze emergono chiaramente dalla storia; alcuni di questi tratti comuni sono già visibili nel caso attuale – è educativo sfogliare Spengler o Toynbee e notare quanti aspetti di una civiltà in declino non si erano ancora presentate a loro tempi, ma sono emersi puntuali nei nostri. Quello che nessuno può sapere in anticipo è proprio come queste tendenze si evolveranno in dettaglio.
Questa è la prospettiva sul futuro che formula le proposte che ho fatto qui e altrove per affrontare la lunga discesa davanti a noi. È sicuramente possibile sapere in anticipo alcune delle cose che non succederanno. Per esempio, sembra sempre che le civiltà in declino abbiano profeti che insistono che una grande e improbabile trasformazione rimpiazzerà all’improvviso la loro civiltà con il tipo di società in cui preferirebbero vivere. Si sbagliano sempre, e tali profezie dovrebbero essere viste come segni del tempo piuttosto che consapevolezza su quello che in realtà accadrà.
Mettete da parte queste fantasie e non è tanto difficile predire il tipo di cose che succederà man mano che la nostra civiltà si esaurisce. Le migrazioni di massa, per esempio, normalmente avvengono quando le civiltà crollano; la forza di marea dei lavoratori e rifugiati migranti che scorrono lungo i confini di oggi sta già facendo titolo, quindi è certo che questo processo metterà un’alta marcia in futuro. D’altro canto, Dio solo sa come quelle migrazioni colpiranno singoli e comunità in ogni angolo del mondo. Ho suggerito in questi saggi, per esempio, che le coste occidentali del Nord America possono finire col ricevere qualche milione di rifugiati via mare dal Giappone. Le isole giapponesi possono supportare solo una piccola frazione della loro attuale popolazione con le risorse locali; le correnti del Pacifico settentrionale vanno nella giusta direzione, e il Giappone ha una enorme e capace marina mercantile e flotta da pesca, quindi i mezzi, il movente e l’opportunità ci sono.
Niente di tutto ciò rende sicuro l’arrivo di questa arrugginita nave porta-container piena di rifugiati su una spiaggia dell’Oregon. Per quanto ne sappiamo, da qui a trent’anni il Giappone può comprare la Siberia dell’Est da una Russia in disintegrazione, e stabilire la sua popolazione in eccesso lì; potrebbe andare in guerra contro la Cina e avere perdite così drastiche che questo punto diventerà controverso; o altre inaspettate serie di eventi potrebbero avviare la storia in un’altra direzione. Quello che sappiamo è che man mano che i combustibili fossili diminuiscono e importare cibo diventa una strategia senza futuro, una larga frazione della popolazione del Giappone si trasferirà o morirà; quale sceglieranno tra le due opzioni è meno prevedibile.
Così la conoscenza che possiamo avere non fornisce nessuna base per fare un futuro su misura, ma potenzialmente lascia spazio per qualcosa oltre l’improvvisazione. Visto che non ci sarà un miracolo a salvarci dai risultati dei nostri errori collettivi, non dobbiamo sprecare tempo aspettandone uno, e possiamo iniziare a lavorare in modi più pratici. Visto che il tipo di cose che accadono all’inizio del declino di una civiltà sono discretamente ben documentate, possiamo valutare tendenze già in corso nelle aree dove viviamo, e indovinare le sfide che dovremo probabilmente affrontare nel vicino futuro. Visto che anche il punto finale del processo di declino è abbastanza ben documentato, possiamo provare ad anticipare quali cose, ora facilmente disponibili, saranno scarse e utili ai nostri discendenti, e fare quello che possiamo per vedere che quelle cose attraversano la catena degli anni verso le mani del futuro in attesa.
È vero, naturalmente, che nessuna di queste opzioni sia infallibile. Perfino con la guida della storia, è possibile giudicare la forma del futuro in modo disastroso, e persino quelli che indovinano il futuro in anticipo potrebbero non essere capaci di evitare i suoi pericoli. Ecco perché il concetto di dissenso, introdotto la settimana scorsa, è cruciale proprio adesso: come vi direbbero tutti gli ecologisti, di fronte a un cambiamento imprevedibile, più grande è la gamma di variazioni in una specie, più è probabile che alcune abbiano quello che ci vuole per adattarsi. Una monocultura di idee, di stili organizzativi o paradigmi è vulnerabile proprio quanto una monocultura di cose vive, e quindi l’opzione migliore proprio adesso è di incoraggiare il disaccordo, per promuovere quanti più diversi approcci al futuro possibile.
Il bisogno del dissenso, dev’essere sottolineato, non riguarda semplicemente le tecnologie che i diversi individui e gruppi possono decidere di perseguire, le organizzazioni che possono decidere di fare o sostenere, o le strategie di sopravvivenza che sembrano loro più promettenti. Inoltre raggiunge il regno dei fini. L’ho detto molte volte negli articoli recenti, ma vale la pena ripeterlo: non abbiamo idea di che tipo di società vada meglio per un mondo dopo l’industrialismo. È molto più probabile, in realtà, che questa società avrà poco in comune con le nozioni che gli intellettuali della classe media nel mondo industriale di oggi possano avere di essa. Questo non significa che non dobbiamo provare a immaginare tale società; significa che tentativi di spingere diverse visioni verso un singolo consenso sono tanto improduttive quanto futili.
La diversità nel regno dei fini, infine, si applica anche alle più basilari decisioni sul modo in cui la nostra attuale difficile situazione è costruita. Per alcuni, la sfida più significativa si concentra nella ricostruzione delle comunità per aiutare loro e i loro abitanti ad arrivare alla fine dell’era dell’abbondanza. Per altri, si concentra nel costruire nuove società che sperano di rimpiazzare quella che abbiamo adesso. Per altri ancora si concentra nello sviluppo di nuove tecnologie, o nel salvare le vecchie, per sostituire quelle che smetteranno di funzionare quando le copiose scorte di energia di oggi finiscono. Ci sono quelli per cui la dolorosa sopravvivenza è la cosa più importante, e ci sono quelli che sono venuti a patti con l’inevitabilità della morte e stanno perseguendo altri obiettivi.
Quale di queste scelte è la migliore? Domanda sbagliata. Tutte, e altre, sono parti necessarie di un approccio basato sul dissenso alla crisi della civiltà industriale. Come leggete queste parole, i membri di un consiglio comunale in una cittadina universitaria nel medio occidente staranno rimuginando su un progetto che condurrà la loro comunità verso la fine dei tempi duri, mentre attivisti in una città, con le migliori intenzioni del mondo, escogitano un programma simile che fallirà e trascinerà il futuro della loro città con esso. Un eco-paese [paese sostenibile ecologicamente e socialmente, ndt.] in Ohio potrà inventare forme sociali che evolveranno in società neo-tribali del ventiduesimo secolo, mentre un altro tentativo sulla stessa linea provoca liti che fa a pezzi la comunità. Un hobbista nel Montana, guardando fotografie di una locomotiva solare del diciannovesimo secolo, potrebbe iniziare a creare il prototipo di una macchina che diventerà la fonte primaria di energia dell’era eco-tecnica, mentre altri mancano dell’intuito necessario e sprecano le loro vite in vicoli ciechi.
Quello che aggiunge pepe all’ironia è che non abbiamo modo di sapere in anticipo cosa è cosa. Tutto ciò che ognuno di noi può fare è perseguire il lavoro che ci richiama individualmente, collaborare con altri che condividono lo stesso impegno, prendere le misure per sopravvivere alla crisi che sembra abbiano senso da dove siamo, e ricordare che quelli che sono caldamente in disaccordo con noi potrebbero stare assemblando il proprio pezzo di un puzzle che, alla fine, è più grande di ognuno di noi.
Titolo originale: “Why dissensus matters”
Fonte: http://www.energybulletin.net
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18.12.2008
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di ANGELA CORRIAS