PENSANDO L’IMPENSABILE: CHE SUCCEDER SE LA CINA SVALUTA IL RENMINBI?

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DI MARSHALL AUERBACK
Naked Capitalism

Secondo il luogo comune per i Cinesi sarebbe ora (ovvero lo è già da tempo) di rivalutare la loro moneta, il Renminbi. Per esempio, una recente relazione della Goldman sostiene che la Cina aumenterà il valore del RMB contro il dollaro del 5% quest’anno. La teoria è che questa mossa sarebbe necessaria a rallentare un surriscaldamento dell’economia.

Ma in grande misura, essere o meno d’accordo se questo è un rimedio, dipende dall’interpretazione individuale non solo delle statistiche notoriamente fuorvianti della Cina, ma delle dinamiche fondamentali della crescita, che sono fuori da qualsiasi altro schema precedente, e non in modo positivo.

Ci domandiamo se una rivalutazione sia la risposta giusta per la Cina, e più importante, se gli stessi Cinesi vedano una rivalutazione come una cosa positiva. Il governo ha ingegnerizzato un enorme aumento del denaro [in circolazione] e del credito nell’anno passato. Infatti, sembra che ammonti ad una crescita di credito pari a 5 anni di crescita nella precedente “bolla” cinese. L’aumento del denaro e del credito è talmente grande e improvviso che si tende ad avere un aumento dell’inflazione piuttosto rapidamente, persino se ci sono risorse sottoutilizzate. Si aggiunga a questo il fatto che la Cina sta dando simultaneamente un impulso fiscale massiccio. Questa combinazione è la ricetta per una situazione molto confusa. Se la Cina cerca di sostenere la domanda attraverso una politica fiscale, il risultato sarà probabilmente un grosso problema di inflazione. I numerosi studenti cinesi che fanno ritorno in patria imbevuti della teoria monetaria della scuola di Chicago e che assumono posizioni di autorità, potrebbero fare pressione in favore di uno sforzo aggressivo, stile Paul Volcker, per fermare l’inflazione.

E se non lo facessero? L’inflazione può decollare e poi iniziare ad ERODERE la competitività delle esportazioni cinesi. Nouriel Rubini ha indicato questa questione nel 2007: se la Cina non rivalutasse la propria moneta, l’inflazione produrrebbe comunque lo stesso effetto. Un tasso di inflazione persistentemente alto in relazione ai suoi partner commerciali spingerebbe il prezzo della merce a salire in termini di valuta nazionale, cosa che a sua volta, si tradurrebbe in prezzi di esportazione più alti. Questa potrebbe essere la vera ragione per cui la Cina è così reticente a rivalutare la propria valuta. Gli Americani potrebbero diventare pazzi se i Cinesi svalutassero [la propria moneta], ma se l’inflazione fosse abbastanza elevata, potrebbero essere costretti a farlo, dato che eroderebbe gravemente i loro termini di vendita, causando il crollo del settore dei beni di scambio.

Oppure [sarebbe] il trionfo dei monetaristi di linea dura contro l’inflazione, e il risultato sarebbero le sommosse mentre aumenta la disoccupazione.

La situazione potrebbe farsi davvero brutta.

Questo potrebbe succedere ora in Cina, anche se è l’opposto delle opinioni che prevalgono. Il consenso è che l’inflazione sia intorno al due per cento e che persino questo è dovuto in gran parte ai prezzi più alti della carne di maiale, grazie ad un pessimo raccolto di mais.

Tuttavia, gli economisti come quelli di Lombard Street, nel Regno Unito, Jim Walzer, Simon Hunt e via dicendo, cercano di comprendere i cambiamenti di trimestre in trimestre del PIL nominale cinese, che viene riportato solo di anno in anno. E hanno calcolato tassi di crescita giganteschi a due cifre per la seconda parte dello scorso anno.

Ora questo è complicato dal fatto che i Cinesi hanno rivisto e corretto le loro cifre sul PIL, e mettono tutte le revisioni nel trimestre finale dell’anno. Ma [anche] quando questi analisti cercano di aggiustare un tale casino statistico calcolano aumenti giganteschi del PIL nominale. Lombard Street crede che fosse intorno al venticinque per cento nella seconda metà dell’anno scorso. Credono che fosse venti per cento reale, e cinque per cento inflazione.

Le economie di qualunque dimensione non crescono mai ad un tasso reale del venti per cento. E Simon Hunt dice che se si considerano le variabili sostitutive come la produzione energetica e il traffico ferroviario non si ottengono quei generi di cifre per la crescita reale, cosa che suggerirebbe che l’inflazione debba essere più alta del quattro o cinque per cento. In generale, se una cifra di PIL reale sembra sospetta, la prima cifra che si esamina criticamente è il deflatore del PIL.

Ma alcune prove suggeriscono che l’inflazione cinese potrebbe già essere a livelli di numeri a due cifre. Difficile da dirsi. Ma se è così alta, allora l’inflazione risultante causerà una reale rivalutazione dei tassi di cambio commerciali ponderati.

E ancor di più se si riprendesse il dollaro. Ciò potrebbe facilmente schiacciare il volume delle esportazioni e la redditività del settore industriale dei prodotti di scambio. Le esportazioni sono l’unica area in cui la Cina faccia alcun profitto, perché possono vendere questi prodotti ad un prezzo 10 volte maggiore di quello che otterrebbero per un simile prodotto nell’economia nazionale (dove i profitti sono letteralmente zero). Il settore delle esportazioni contribuisce fortemente al generale investimento fisso super-eccessivo in Cina. Una rivalutazione del dollaro vuol dire che l’investimento diretto estero andrà allo zero netto.

Ci saranno forti pressioni per una riduzione dell’investimento fisso in questo grande settore. Pertanto ci sono buone probabilità che persino senza contrazioni monetarie da parte delle autorità cinesi, il generale “boom” dell’investimento fisso in Cina si ridurrà.

Nessuno pensa a questo scenario, ma è una reale possibilità. E con l’investimento fisso ora al cinquanta per cento del PIL (senza precedenti in nessuna economia) e le esportazioni a oltre il trenta, abbiamo a che fare con rapporti mai raggiunti prima in combinazione. Prima che i lettori controbattano che la Cina può sostenere un tale livello di investimento, consideriamo le opinioni del professor Yu Yongding, considerato da alcuni analisti come il miglior macroeconomista cinese. Come riportato dal Sydney Morning Herald:


Yu, ex direttore recentemente andato in pensione dell’Istituto di Economia e Politica Mondiale presso l’Accademia Cinese di Scienze Sociali, non ha detto espressamente che stessi parlando come un pazzo. Ma la sua e-mail continuava così: “quando un paese ha un tasso di investimento superiore al 50 per cento del PIL, e in crescita, dici che tale paese non soffre di sovreccedenza della capacità produttiva! … dici sul serio? per giudicare se c’è o meno una sovreccedenza della capacità produttiva non si può fare solo un resoconto delle teste. Con una popolazione di 1,3 miliardi [di persone] e l’avidità umana, le necessità della Cina sono illimitate, si potrebbe dire che la Cina non soffrirà mai di sovreccedenza produttiva!”

La e-mail notava che secondo la mia logica, nessun paese in via di sviluppo potrebbe mai soffrire di sovreccedenza della capacità produttiva finché non diventasse ricco e che il mondo non avrebbe mai dovuto avere la Grande Depressione del 1929.

Da quella salutare critica, Yu ha ulteriormente elaborato le sue vedute.

Crede che la Cina sia intrappolata in un circolo in cui la crescita costantemente in aumento dell’investimento accresce costantemente la produzione cinese, ma in modo spiccato il consumo non è cresciuto abbastanza velocemente da assorbirla. Quindi la Cina è costretta ad aumentare l’investimento per poter fornire una domanda sufficiente per assorbire il precedente aumento dell’offerta, creando quindi circoli sempre più grandi di offerta eccedente.

In questa maniera la quota dell’investimento del prodotto interno lordo è aumentata da un quarto del PIL nel 2001 ad almeno la metà. “C’è una specie di rincorsa – la domanda che rincorre l’offerta e poi più domanda è necessaria per tener testa a più offerta,” dice “questo ovviamente è un processo insostenibile”.

A partire dal 2005 il problema della capacità produttiva sovreccedente della Cina è stato “mascherato” incrementando come mai prima le esportazioni nette – ma questa strategia è stata interrotta dalla crisi finanziaria. Poi è arrivata l’abbuffata senza precedenti al mondo di investimento-stimolato dell’anno scorso, che non sarebbe poi stata così preoccupante se avesse portato le cose di cui la gente ha bisogno. Ma la mano del governo nella destinazione delle risorse si è fatta più pesante dal momento della crisi senza riforme che rendano i funzionari più responsabili per quello che spendono.

“Come risultato delle disposizioni istituzionali in Cina, i governi locali hanno un appetito insaziabile per i grandiosi progetti di investimento e per la destinazione subottimale delle risorse,” come ha detto in precedenza Yu nella sua Richard Snape lecture per la Productivity Commission di novembre.

Quindi ci sono ora aeroporti senza città, autostrade e ferrovie ad alta velocità che corrono parallele e città dove i contadini costruiscono case per nessun altra ragione se non per demolirle nuovamente, perché sanno che riceveranno un risarcimento superiore quando il governo locale inevitabilmente esproprierà i loro terreni.

La riduzione dell’investimento e delle esportazioni potrebbe creare una grave recessione in Cina. La Cina è andata troppo oltre questa volta. Sembrano essere dentro una scatola che nessun altro riesce a vedere. L’evento stile “cigno nero” quest’anno, per quanto concerne i veri credenti della Cina, potrebbe essere una svalutazione del renminbi. Se ciò dovesse accadere, le conseguenze politiche sarebbero altrettanto importanti di quelle economiche.

Marshall Auerback è un fund manager e stratega degli investimenti che scrive per New Deal 2.0 e Yves Smith.

Titolo originale: “Thinking the Unthinkable: What if China Devalues the Renminbi?

Fonte: http://www.nakedcapitalism.com/
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18.02.2010

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di MICAELA MARRI

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