DI ANONIMO NAPOLETANO
Nazione Indiana
Cronaca, di primissima mano, di una giornata di votazioni su un seggio delle Primarie in provincia di Napoli
Tre milioni e mezzo di votanti. La gente ci ha creduto davvero. Ma quanto ci hanno creduto i politici?
Questa è la cronaca di una giornata elettorale su un seggio della provincia di Napoli.
Già alle 06.45, un quarto d’ora prima che la giostra partisse, sembrava che il meccanismo cominciasse a sgretolarsi.
“Stai molto attento – mi avevano detto – queste elezioni non sono un gioco”.
Ma io sono ingenuo, e non ci credevo.
Pensavo che il peggio fossero quei fac-simile che giravano all’interno dei seggi, con i ragazzi che istruivano le persone su come votare.
Ma ancora una volta mi sbagliavo.
I baroni non potevano permettersi incidenti di percorso o inciampi, e così, come sempre, accoglievano gli elettori fuori al seggio, distribuivano abbracci, baci, pacche sulla spalla. Euro.È tutta gente perbene, li vedi fermarsi in piazza a prendere un caffé, hanno grossi sorrisi, sono gentili con tutti, sono professionisti, se non fossero politici sarebbero la tanta decantata società civile.
Passa qualche ora, le file si allungano, l’attesa per votare sale, prima dieci, poi venti, fino a un’ora e più. Lo vedo su una poltrona, un cellulare in mano, attorniato da elettori e faccendieri, gente che cerca lavoro, che deve sposare la figlia, che deve qualche favore o che in futuro farà pesare il suo voto. Roba che sembra uscita dritta dritta da un film di Merola.
“Guarda che ci sono voci di irregolarità” dico.
“Si vede che sei giovane – risponde – pensavamo di poterla fare pulita anche noi. Ci siamo sbagliati”.
Le file si allungano ancora, i più anziani protestano, ma c’è il nipote a cui dare il voto. Il gioco vale la candela. Alcuni sorpassano la fila. Qui siamo tutti uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri.
Altri non sono anziani, e non hanno nipoti, ma semplicemente bisogno di lavoro.
Gente con fogli in mano. Curriculum vitae.
CV…Chi Voti?
Entri, voti, prendi la ricevuta, dai il curriculum, saluti.
Questo seggio non è grandissimo, o almeno non tanto quanto gli energumeni che lo presidiano.
“Sai già per chi votare no?” dice a una ragazza bionda.
“Certo, è una settimana che me lo ricordate”.
“E tu?” domanda al ragazzo che l’accompagna.
“Ovvio, tranquillo”. Dopo una ventina di minuti i ragazzi escono, mostrano la ricevuta dell’euro donato, la danno all’energumeno, e lui dà loro indietro due euro.
I ragazzi in fila ridono, scherzano, i più grandi li prendono in giro, ci si conosce quasi tutti da queste parti, anche solo di vista. Le schede cominciano a mancare, si mandano ragazzi a fotocopiarle. Mi allontano dalla fila e vedo un ragazzo col cellulare. Mi avvicino fingendo di parlare al telefonino, ma a differenza sua non ho la mano davanti alla bocca.
“Sì la X la devi mettere lì”, forse suggerisce un risultato di qualche partita.
Dove non arriva il telefonino, però, arriva la persona. Lo stesso che parlava al telefonino, infatti, rientra nel seggio. Sono tutti intenti a controllare la fila, le firme, i registri e lui prova ad infilarsi nella stanza dove le persone stanno votando. Qualcuno lo nota e urla.
“Cercavo solo una matita” dice.
A tratti tutto diventa manifesto, sfacciato, esplicito, dichiarato, gli euro vengono distribuiti mentre le persone sono in fila. Un ragazzo parlotta con una coppia di anziani e con i nipoti, ha il famoso fac-simile in mano e spiega chi deve votare. La signora anziana dice qualcosa, il ragazzo fa sì con la testa e manda un amico in macchina. Pochi secondi ed è di ritorno. Ha dieci euro in mano. Li passa alla coppia.
Sono le venti, i seggi dovrebbero chiudere, ma alle otto e mezzo qualcuno ha ancora parenti da far votare. I rappresentanti delle altre liste provano a far chiudere, ma ci riescono, con gran fatica, solo un’ora dopo, alle nove. Prima però c’è ancora il tempo di un ultimo voto. Un signore sulla quarantina, una giacca di pelle marrone e l’affanno dovuto alla corsa, arriva davanti al banco. Il presidente é vistosamente stanco. Comincia a dare nome e cognome, finché il ragazzo che controllava la scatola delle schede grigie si gira, lo squadra tre secondi e quasi gli si scaglia addosso. Ne nasce una mezza rissa.
“Tu hai già votato stronzo, ma per chi ci hai preso, per fessi?”.
Il signore con la giacca di pelle fa in tempo a riprendere la carta d’identità e scappa via.
Il padrone del seggio sorride, sornione. “Su, su, vogliamo fare casino proprio alla fine?”
Anonimo Napoletano
Fonte: www.nazioneindiana.com
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16.10.2007