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La Redazione

 

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ORDER 81

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A cura di Davide
Il 14 Marzo 2005
50 Views

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Con il pretesto di aiutare l’Iraq a camminare con le proprie gambe, gli Stati Uniti stanno riconvertendo il sistema agricolo tradizionale del paese in un apparato corporativo stile americano.
È stata addirittura creata una legge – l’Order 81 – per far sì che ciò avvenga.

Carbone a quelli di Newcastle. Ghiaccio agli Eschimesi. Thé ai Cinesi. Queste per antonomasia le astuzie del perfetto commerciante, dello scaltro venditore capace di vendere persino a coloro che non hanno necessità di acquistare. A questa lista possiamo ora aggiungere – grano agli Iracheni.
L’Iraq è parte della “mezzaluna fertile” della Mesopotamia. È qui che, dall’8500 all’8000 avanti Cristo circa, l’uomo ha cominciato a coltivare grano, è qui che l’agricoltura è iniziata. In tempi recenti, tuttavia, la culla dell’agricoltura ha avuto seri problemi. La produzione di grano è precipitata dal 1.236.000 di tonnellate nel 1005 alle 384.000 tonnellate del 2000. Le ragioni per le quali ciò è successo variano in base alla persona a cui rivolgi la domanda.Un comunicato stampa dal Comando Generale degli Stati Uniti riporta che “Negli scorsi 10 anni, questa regione non è stata capace di far fronte alla domanda di grano dell’Iraq. Durante il regime di Saddam Hussein, si supponeva che i contadini dovessero produrre continuamente grano, senza lasciare i campi a maggese. Questa tattica degradò il suolo, lasciando poche sostanze nutritive per i raccolti degli anni successivi, aumentando la probabilità di scarsezza del raccolto e di parassiti, che alla fine si tradusse in una resa minore. Per i militari americani, la colpa è chiaramente delle “tattiche” del regime di Saddam.

Tuttavia, nel 1997 l’Organizzazione per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO) scoprì che: “I raccolti … rimangono bassi a causa della scarsa preparazione del terreno, dovuta a una mancanza di macchinari, basso uso di input produttivi, una qualità del suolo e strumenti di irrigazione in deterioramento” e che “La fauna è diminuita enormemente a causa di gravi carenze di cibo e vaccini durante gli anni dell’embargo”. Probabilmente meno interessata a puntare il dito sulla guerra, la FAO vede le deprivazioni dell’agricoltura irachena come il risultato della mancanza di macchinari e fattori produttivi, essi stessi mancanti a causa della penuria “durante gli anni dell’embargo”.

Oppure il quadro potrebbe essere più semplice. Secondo una relazione del 2003 dell’USDA (US Department of Agriculture, ndt), “L’attuale produzione totale di grano è stimata essere la metà rispetto al livello del 1990/91. Tre anni di siccità dal 1999 al 2001 hanno ridotto significativamente la produzione.

A chiunque crediate, la produzione di grano iracheno è precipitata negli anni recenti. La domanda successiva quindi, è come ricominciare a camminare con le proprie gambe.

Nonostante i suoi problemi recenti, la lunga storia dell’agricoltura irachena implica che i contadini iracheni abbiano selezionato naturalmente, negli scorsi diecimila anni, le varietà di grano che meglio si adattano al loro clima. Ogni anno hanno messo da parte i semi per dei raccolti che fioriscono meglio sotto certe condizioni atmosferiche e li hanno ripiantati e incrociati con altri in quantità maggiore negli anni successivi, così che i raccolti migliorassero continuamente. Nel 2002, la FAO calcola che il 97% dei contadini iracheni hanno utilizzato i loro stessi semi o li hanno acquistati sul mercato locale. Il fatto che ci siano oggi più di 200.000 varietà conosciute di grano nel mondo è dovuto in gran parte al lavoro mai valorizzato abbastanza di contadini come questi e dei loro sistemi informali di scambio di conoscenze e commercio. Sarebbe più che ragionevole presupporre che da qualche parte in mezzo ai molti appezzamenti e riserve di grano dell’Iraq ci siano degli esemplari delle varietà del grano indigeno forte, che possano essere sviluppate e distribuite nel paese al fine di sostenere ancora una volta la produzione.

Allo stesso modo Abu Ghraib, molto prima di diventare la prigione più malfamata del mondo, era conosciuta per il fatto di ospitare non detenuti, bensì sementi. Nei primi anni ’70, si cominciò a conservare i campioni delle molte varietà utilizzate dai contadini iracheni nella banca genetica nazionale del paese, situata nella città di Abu Ghraib. Invero una delle varietà indigene di grano più note dell’Iraq si chiama “Abu Ghraib”.

Sfortunatamente, questa base vitale di eredità e conoscenza è considerata perduta, vittima dell’attuale campagna militare e dei molti anni di guerra che l’hanno preceduta. Ma esiste anche un’altra fonte vitale.
All’International Centre for Agricultural Research in Dry Areas (ICARDA) in Siria, ci sono ancora dei campioni di molte varietà di grano iracheno. Come rivela un report di Focus on the Global South e GRAIN : “Questi costituiscono l’eredità agricola dell’Iraq, appartengono ai contadini iracheni e dovrebbero essere restituiti alla loro patria.”

Se la nuova amministrazione irachena volesse davvero ripristinare l’agricoltura irachena a vantaggio del popolo iracheno, cercherebbe i frutti della loro conoscenza. Andrebbe in giro per il paese a cercare gli agricoltori con le migliori coltivazioni, e se miracolosamente non ne trovasse nemmeno uno, potrebbe riportare le sementi dall’ICARDA e usarle in quanto base del programma inteso a restituire agli iracheni l’agricoltura che una volta metteva a disposizione del mondo.

Gli USA, tuttavia, hanno deciso che, malgrado i diecimila anni di tradizione, gli Iracheni non sanno quale frumento dà migliori rese sul loro stesso terreno, e che sarebbe meglio per loro importare qualche nuova varietà americana. Con la scusa, quindi, di aiutare l’Iraq a camminare di nuovo con le proprie gambe, gli Stati Uniti stanno riconvertendo il sistema agricolo tradizionale del paese in un apparato corporativo stile americano. O, come il summenzionato comunicato stampa del Quartier Generale del Comando Statunitense afferma: “Forze Multi-Nazionali stanno attualmente piantando le sementi per il futuro dell’agricoltura nella Provincia del Ninevah”.

Innanzitutto, si stanno re-istruendo i contadini. Un articolo del Land and Livestock Post rivela che grazie ad un progetto intrapreso dall’International Agriculture Office dell’Università texana A&M ci sono oggi 900 acri di appezzamenti dimostrativi sparsi in tutto l’Iraq, dove si insegna ai contadini iracheni come far crescere “varietà di semi ad alta resa” di raccolti che includono orzo, ceci, lenticchie e grano.

I capi del progetto da 107 milioni di dollari hanno l’obiettivo statutario di raddoppiare la produzione di 30.000 fattorie irachene entro il primo anno. Dopo un anno, i contadini vedranno balzare i livelli di produzione. Molti saranno desiderosi di abbandonare i loro metodi tradizionali, che scompariranno. Faranno la comparsa sementi americane importate (molto probabilmente modificate geneticamente, dal momento che il Texas A&M’s Agriculture Program si considera un “riconosciuto leader mondiale nell’uso della biotecnologia”). E con i nuovi semi verranno nuovi prodotti chimici – pesticidi, erbicidi, fungicidi, tutti venduti agli Iracheni da corporation come la Monsanto, la Cargill e la Dow.

Un altro articolo, questa volta nel The Business Journal of Phoenix, dichiara: “Una ditta dell’Arizona specializzata nella ricerca agricola sta fornendo sementi di grano a quei contadini iracheni che desiderano incrementare le loro riserve di cibo locali”. Questa azienda si chiama World Wide Wheat Company, e in partnership con tre università (fra cui ancora la Texas A&M) sta “fornendo 1000 libbre di sementi di grano che i contadini del nord di Baghdad utilizzeranno”.

Secondo Seedquest (descritto come “il sito internet principale riguardo all’industria globale delle sementi”), la WWWC è uno dei leader nello sviluppo di varietà proprietarie di cereali – cioè le varietà che appartengono a una società particolare. Secondo il sito dell’azienda, ogni “cliente” (o contadino come veniva chiamato una volta) che desidera coltivare uno delle sue sementi, “paga una licenza per ogni varietà”.

Tutto ad un tratto la donazione non sembra così altruista. La WWWC dà agli Iracheni alcune sementi. Viene loro insegnato come coltivarle, mostrato come siano di gran lunga “migliori” dei loro semi, e gli si dice che se ne vogliono ancora, devono pagare.

Un altro punto in uno degli articoli getta dubbi sulle intenzioni americane. Secondo il Business Journal, “sei tipi di sementi di grano sono state sviluppate per le specie irachene. Tre saranno utilizzate per i contadini al fine di coltivare grano per la produzione di pasta, tre per la produzione del pane.”

Pasta? Secondo il report del World Food Programme del 2001 sull’Iraq, “Fra le abitudini e le preferenze alimentari troviamo il consumo di grandi quantità e varietà di carne, così come di pollo, legumi, grano, vegetali, frutta e prodotti caseari”. Nessun riferimento alle lasagne. Similmente, un controllo veloce al mio libro di cucina mediorientale sopra la credenza, sebbene non riguardante esclusivamente l’Iraq, mostra una somma totale di zero portate a base di pasta.

Ci possono essere solo due ragioni per cui il 50% delle sementi sviluppate sono destinate alla produzione di pasta. Per prima cosa, gli Stati Uniti intendono avere così tanti soldati americani e uomini d’affari in Iraq che stanno orientando l’agricoltura del paese verso l’alimentazione non degli “Iracheni che muoiono di fame” ma degli “Americani sovralimentati”. Oppure, più verosimilmente, perché si pensa che il cibo non debba essere consumato in Iraq affatto.

I contadini iracheni vengono istruiti su come coltivare il raccolto per l’esportazione. Con i soldi così guadagnati (dopo aver finito di pagare semi e prodotti chimici per l’anno successivo) potranno acquistare cibo per sfamare le loro famiglie. Con la scusa dell’aiuto, Gli USA li hanno incorporati nell’economia globalizzata.

Ciò che gli Stati Uniti stanno facendo attualmente in Iraq ha un precedente significativo. La Rivoluzione Verde degli anni ’50 e ’60 si presentava come la nuova era per i contadini dei PVS. Come ora in Iraq, gli scienziati occidentali e le corporation vennero ad agguantare nuovi “super raccolti”, promettendo ai contadini che se avessero piantato nuovi semi sarebbero diventati presto ricchi.

Il risultato è stato alquanto diverso. Come scrive Vandana Shiva in “Biopirateria – il saccheggio della natura e della conoscenza” : “Le varietà miracolose hanno sostituito la biodiversità dei raccolti tradizionali, e attraverso l’erosione della biodiversità le nuove sementi sono diventate un meccanismo per introdurre e promuovere i pesticidi. Le varietà indigene sono resistenti ai pesticidi e alle malattie locali. Anche se si verificano certe malattie, alcune varietà saranno colpite, ma altre avranno resistenza tale da sopravvivere.”

Nel mondo, migliaia di varietà tradizionali sviluppate attraverso i millenni sono state abbandonate in favore di pochi nuovi ibridi, tutti di proprietà di un numero ancora minore di giganti multinazionali. Come conseguenza, il Messico ha perso l’80% delle sue specie di frumento dal 1930. Almeno 9.000 varietà di grano cresciuto in Cina sono andate perse dal 1949. Poi nel 1970 negli Stati Uniti, l’uniformità genetica ha causato la perdita di granoturco stimato in almeno un miliardo di dollari poiché l’80% delle varietà cresciute erano predisposte ad una malattia nota come “ruggine meridionale delle foglie.”

In totale, la FAO stima che circa il 75% della diversità genetica dei raccolti è andata perduta nello scorso secolo. L’impatto sui piccoli contadini in tutto il mondo è stato devastante. Richiedendo grosse somme di capitale e alti quantitativi di diserbanti, un’agricoltura del genere favorisce massicciamente un sistema estensivo, industriale. Gli svariati milioni di contadini espropriati in Asia e altrove sono in gran parte il risultato di questa iniquità. Non si possono permettere più di lavorare la terra, vengono deportati o negli slum delle grandi città o nelle zone costiere, a bussare alla porta di quelli che una volta avevano offerto loro un calice avvelenato di false speranze.

La differenza fra lo schema attuale degli Usa rispetto a quelli della Rivoluzione Verde è che questi furono, almeno in parte, il frutto di decisioni dei governi eletti nei paesi in questione. Il piano iracheno è stato imposto agli abitanti senza che questi potessero dire niente in proposito. Avendo espulso Saddam, l’America si sta ora comportando come un dittatore essa stessa. Ha deciso che ciò che ne sarà dell’Iraq, e si sta impegnando per farlo, senza minimamente chiedersi ciò che gli Iracheni vogliono.

Quando il precedente amministratore dell’Autorità Provvisoria della Coalizione Paul Bremer è partito dall’Iraq nel Giugno 2004 si è lasciato alle spalle un’eredità di cento “decreti” sulla ristrutturazione del sistema legale iracheno. Di questi decreti, uno è particolarmente pertinente al problema delle sementi. L’Order 81 copre le questioni di “Brevetti, Design Industriale, Informazioni Segrete, Circuiti Integrati e Diversità delle Piante”. Emenda la precedente normativa irachena sui brevetti, emanata nel 1970, ed è giuridicamente vincolante a meno che un successivo governo iracheno non la abroghi.

La parte più significativa dell’Order 81 è il nuovo capitolo che introduce la PVP, “Plant Variety Protection”. Questa non si occupa della protezione della biodiversità, bensì della protezione degli interessi commerciali delle grandi corporation dell’agro-business.

Per essere conformi alla PVP, le sementi devono soddisfare i seguenti criteri: devono essere “nuove, distinte, uniformi e stabili”. Sotto le nuove direttive imposte dall’Order 81, pertanto, i tipi di sementi che i contadini iracheni sono ora incoraggiati a far crescere da parte di multinazionali come la WWWC saranno quelle registrate sotto la PVP.

Dall’altro lato, è impossibile per le sementi sviluppate dagli Iracheni soddisfare questi criteri. Queste sementi non sono “nuove” poiché sono il frutto di millenni di sviluppo. Né tantomeno sono “distinte”. Il libero scambio di sementi praticato per secoli assicura che le caratteristiche siano diffuse e condivise fra le varietà locali. E sono l’opposto dell'”uniformità e della “stabilità” per la loro intrinseca natura della biodiversità. Queste si incrociano con le altre varietà prossime a loro, assicurando un continuo cambiamento e adattamento.

L’impollinazione incrociata è un importante fattore per un altro motivo. In anni recenti diversi agricoltori sono stati denunciati per aver piantato e fatto crescere dei semi geneticamente modificati di qualche multinazionale. I contadini hanno affermato di averlo fatto inconsapevolmente, che le sementi dovevano essere state trasportate dal vento da una fattoria nelle vicinanze, per esempio. Tutta sono stati portati ugualmente davanti a un tribunale. Lo stesso succederà in Iraq. Sotto la nuova normativa, se si potrà dimostrare che una semente di un contadino è stata contaminata con una di quelle registrate nel PVP, questo potrà essere multato. Non importa se costui ha piantato questi semi per anni, anche generazioni, ma se si mescola con una semente di proprietà di una multinazionale, magari creando un ibrido, potrà ritrovarsi un giorno davanti a un giudice.

Si ricordi che il 97% dei contadini iracheni conservano le proprie sementi. L’Order 81 li obbliga a pagare per questo. È stata aggiunta una nuova riga alla legge che recita: “È fatto divieto ai contadini di riutilizzare sementi di varietà protette o di altre varietà menzionate nel comma 1 e 2 del paragrafo (C) dell’articolo 14 del presente Capitolo.”

Le altre varietà a cui ci si riferisce sono quelle che mostrano caratteristiche simili a quelle delle varietà PVP. Se una corporation sviluppasse una varietà resistente a un particolare pesticida iracheno, e da qualche parte un contadino iracheno stesse crescendo un’altra varietà che produce lo stesso effetto, diventerebbe illegale per costui conservare quella semente. Sembra assurdo, ma è già successo. Pochi anni fa una corporation di nome SunGene brevettò una varietà di girasole con un altissimo contenuto di acido oleico. Tuttavia non brevettò solamente la struttura genetica, ne brevettò le caratteristiche. Successivamente la SunGene informò gli altri allevatori che se avessero sviluppato una varietà ad alto contenuto di acido oleico questa sarebbe stata considerata una violazione del brevetto.

Dunque è possibile che il contadino iracheno sarà entusiasmato dalla promessa di un raccolto eccezionale alla fine di quest’anno. Ma diversamente da prima non potrà conservare le sementi per il prossimo. Una tradizione di diecimila anni è stata sostituita con un colpo di spazzola da un contratto di licenza.

I contadini iracheni sono stati fatti vassalli delle corporation americane. Il fatto di aver cotto pane per 9.500 anni prima che l’America esistesse non ha alcun peso quando si tratta di decidere a chi appartiene il grano iracheno. Eppure per ogni contadino che smette di crescere la sua unica specie di semente conservata, il mondo perde un’altra varietà, la quale sarebbe stata potenzialmente utile in tempo di malattia o siccità.

In breve ciò che l’America ha fatto non è stato ristrutturare l’agricoltura irachena, ma smantellarla. Tutte quelle persone i cui avi hanno padroneggiato la coltivazione del grano saranno costrette a pagare per garantirsi il privilegio di coltivarlo per qualcun altro. E con questo l’eredità più antica del mondo diventerà soltanto un altro
ingranaggio della vasta catena di rifornimento statunitense

Fonte:www.theecologist.it
Link:http://www.theecologist.org/article.html?article=487
Da:www.peacelink.it
febbraio 2005

Traduzione per Peacelink a cura di Agostino Tasca

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