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La Redazione

 

I piu' letti degli ultimi 30 giorni

OFFSHORE: IL FLAGELLO ASSOLUTO

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A cura di supervice
Il 2 Settembre 2011
104 Views
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DI DAVID KERANS
Strategic Culture

Chiunque tu sia, ovunque tu viva

e qualunque cosa tu faccia, l’offshore lavora vicino a te […] minando

le basi del governo che hai eletto, svuotando la sua base fiscale e

corrompendo i politici […] sostenendo una vasta economia criminale e creando una nuova

aristocrazia di potere finanziari e aziendali che non deve rendere conto

di niente a nessuno.

Nicholas Shaxson, Treasure Islands

(1)

Il mondo sembra essere percorso da

crisi, che vanno dalle rivoluzionarie alle finanziarie, e dalle economiche

alle apocalittiche: pensate, rispettivamente, al Medio Oriente, alla

debacle del debito pubblico europeo, al disagio perdurante in America

e al riscaldamento climatico. Tensioni di ogni tipo sono state incrementate

per diversi anni e sarebbe imprudente prevedere un ritorno a una calma

relativa e alla stabilità in gran parte del globo in un periodo rapido.

Invece, ci sono buone ragione per credere che un cambio strutturale

specifico, durevole e in accelerazione nel sistema politica ed economico

mondiale stia perpetuando la gran parte delle crisi odierne. Questo

cambiamento è dato dalla crescita dei sistemi offshore. Sono

rovinosi per i mercati e anche per i governi. Vengono poco discussi

e ancor meno compresi. Ed è giunta l’ora che il mondo decida di affrontarli.Può essere di aiuto il concepire

il sistema offshore come un aspiratore che porta i capitali a

distanza dai governi. Tre aspetti di questo sistema attirano i capitali:

l’evitare le tasse, la segretezza e la regolazione finanziaria permissiva.

Le grandi aziende e le persone ricche si sono accalcate nei paradisi

fiscali da quando sono aumentata le tasse sui redditi personali e aziendali

nel primo quarto del ventesimo secolo, e il massimo è stato raggiunto

con la globalizzazione e l’electronic banking

negli ultimi due o tre decenni. Legioni di contabili e di avvocati specializzati

nell’escogitare metodi legali per assegnare profitti e beni verso

giurisdizioni a tassazione uguale o prossima allo zero, di modo che

venisse svuotato l’imponibile fiscale di quei paesi dove veniva prodotta

la ricchezza. Per dare un esempio stilizzato, parlando delle pratiche

comuni delle multinazionali, considerate il “trasferimento dei prezzi”.

Nel trasferimento dei prezzi, le compagnie separano artificialmente

alcune delle funzioni – diciamo, la logistica – e ne attribuiscono

la responsabilità a una sussidiaria ubicata in un paradiso fiscale.

Poi manipolano i prezzi di trasferimento di beni e servizi tra la compagnia

madre e la sussidiaria in modo da attribuire i profitti alla sussidiaria

logistica, quando il resto della compagnia non produce profitti, e quindi

non paga tasse.

Il trasferimento dei prezzi e le tecniche

conseguenti di elusione fiscale si sono sparse a macchia d’olio nel

mondo commerciale, scavalcando qualsiasi scrupolo i top manager

potessero provare. Come indicato dal giornalista d’indagine Nicholas

Shaxson: “Nei mercati competitivi, quello che è possibile diventa

necessario” (2). Il volume dei profitti delle grandi aziende USA veicolato

nelle strutture offshore è salito del 60 per cento dal 1999 al 2007

(3). Delle 100 maggiori aziende USA, 83 stanno utilizzando sussidiarie

offshore (4) e, in base a un piccolo campione di prove dal 1998

al 2005, la maggioranza delle compagnie statunitensi e straniere che

fanno affari negli USA non pagano imposte federali (5).

Il peso dell’elusione fiscale realizzata

legalmente delle grandi aziende e dagli eserciti di contribuenti in

tutto il mondo è soverchiante. Il trasferimento dei prezzi e simili

pratiche per diminuire le proprie aliquote di imposta ora costano al

Tesoro USA fino a 60 miliardi di dollari l’anno (6). L’Egitto ha

persino una stima di 57 miliardi di dollari tra il 2000 e il 2008 (7).

Grazie principalmente alla crescita dei sistemi offshore, negli ultimi cinquanta

anni la quota delle imposte federali corrisposte dalle grandi aziende statunitensi

si è ristretta dal 30 a solo il 6,6 per cento (8).

Oltre al facilitare l’elusione fiscale,

la giurisdizione offshore assicura la segretezza. Riesce in genere

a coprire i dati in modo tale da precludere persino la divulgazione

delle identità dei proprietari delle aziende e i detentori delle azioni,

e ciò costituisce un palese invito dato alle persone ricche a portare

i propri soldi offshore per evadere le tasse e la sorveglianza.

Le tecniche di evasione fiscale offshore praticate dalle persone

agiate privano il Tesoro USA di qualcosa che va dai 40 ai 70 miliardi

di dollari l’anno (9). Globalmente, per quanto riguarda il 2005, i

ricchi uomini d’affari, i funzionari corrotti, i dittatori rapaci,

i boss criminali e altri detenevano una stima di 11,5 triliardi di dollari

in varie giurisdizioni offshore (10). Si tratta di circa un quarto di

tutta la ricchezza globale. Considerando un modesto 7 per cento annuo

di ritorno su questi capitali e un’aliquota fiscale del 30 per cento,

questa somma (per difetto persino per il 2005, lo ripeto) priva ogni anno i governi

mondiali di 240 miliardi di dollari in imposte.

Il costo reale della segretezza è

comunque molto più alto. La segretezza facilita il crimine e la corruzione.

Favorisce la fuga di capitali, che è stata particolarmente debilitante

per i paesi in via di sviluppo. La fuga dei capitali ha assunto proporzioni

epiche negli ultimi due decenni, raggiungendo 1 trilione di dollari

l’anno alla metà degli anni ‘00, e saltando a 1,26 trilioni di

dollari già nel 2008: questa recente accelerazione si è riverberata

sui prezzi al rialzo delle commodities, un fenomeno sinistro

già di per sé (11). Le élite cinesi stanno capitalizzando soprattutto

nelle strutture offshore. L’ex economista del FMI Dev Kar ha

stimato le uscite illecite provenienti dalla Cina nel periodo dal 2000

al 2008 in quasi 2,2 trilioni di dollari; appena sotto nella classifica

la Russia, con 427 miliardi, e il Messico, con 416 miliardi. Kar ha

anche stabilito che le politiche di segretezza dei sistemi offshore

sono ancor di più dannose rispetto ai flussi illeciti dai paesi in

via di sviluppo, e che il loro volume potrebbe sorpassare quello

delle manipolazioni commerciali come il trasferimento dei prezzi (12).

E, ovviamente, il crimine e la corruzione alimentati dalla segretezza

offshore mette a repentaglio la fiducia dei cittadini nel governo,

con ulteriori effetti a cascata.

La terza attrattiva dell’offshore

sono le leggi fiscali permissive. La legislazione dei territori oscuri

e remoti è fortemente influenzabile dalle lusinghe degli interessi

stranieri che vogliono evitare le regole imposte alle attività finanziarie.

Con una contropartita appropriata (nascosta o indiretta), questi legislatori

sono disposti ad autorizzare tutti quei comportamenti che i vari parlamenti

hanno combattuto per tenere il controllo fin dalla Grande Depressione.

Possono decidere di allentare o moderare o dispensare dai requisiti

di capitalizzazione, per consentire l’emissione di nuovi strumenti

finanziari senza una preliminare ispezione, per immunizzare le ditte

contabili da accuse di frode da parte dei loro clienti, eccetera.

Non è un caso che, per questi e altri aspetti, le strutture offshore

siano in prima linea nelle recenti crisi finanziarie (13).

Visti gli straordinari costi dei sistemi

offshore per i governi e i mercati stessi, ci si aspetterebbe che

i dipartimenti del tesoro li stiano combattendo e li reprimano. Ma la

storia ha giocato un cattivo scherzo alla società. Grazie alla crescita

dei sistemi offshore, si sono arricchiti immensamente i settori

finanziari del Regno Unito e degli Stati Uniti. Per questo, le azioni del settore

finanziario nel Regno Unito hanno scavalcato le performance del

mercato azionario di una media superiore al 16 per cento l’anno dal

1986 al 2006, grazie fondamentalmente alle attività offshore

(14). Gli interessi delle banche sono diventati presto abbastanza potenti

da influenzare i governi e contrastare ogni sforzo per riformare i loro

tesori offshore (le ultime iniziative serie furono realizzate

da John F. Kennedy). Invece di neutralizzare le strutture offshore,

il Regno Unito e gli Stati Uniti li hanno alla fine incorporati nei

propri sistemi nazionali. Hanno portato l’offshore

in casa, consentendo l’elusione fiscale e le prerogative di segretezza,

soprattutto agli stranieri. Il più recente (2009) Indice di Segretezza

Finanziaria del Tax Justice Network colloca lo stato del Delaware

(sede del numero incongruo di 882.000 aziende nel 2008) all’ignominioso

No. 1 mondiale (15).

I trilioni di dollari di capitali che

sono stati distratti dai paesi in via di sviluppo negli ultimi anni finiscono

(o almeno transitano) nelle banche occidentali, e questo serve ad intensificare

la resistenza del settore finanziario a riformare le pratiche offshore.

Mentre le analisi delle iniziative di riforma morte sul nascere meritano

un articolo a parte, bisogna però dire che il sistema offshore

è oggi vivo e vegeto, malgrado i costi sempre maggiori che impone alla

società. Il silenzio dei media sui sistemi offshore,

nel corso delle lotte più dure per i bilanci delle nazioni e dei programmi

proposti di austerità, è l’evidenza più chiara della morsa che

il settore bancario occidentale esercita sulla vita politica.

Note:

1) Nicholas Shaxson, Treasure Islands:

Uncovering the Damage of Offshore Banking and Tax Havens, Palgrave

MacMillan, 2011, p. 231. Il profondo lavoro di Shaxson ha ispirato gran parte di questo articolo.

2) Shaxson, op. cit., p. 113.

3) Vedi Testimony of Martin A. Sullivan…

Before the Committee on Ways and Means, U.S. House of Representatives,

22 luglio 2010, audizione su “Transfer Pricing Issues and the Global Economy”, pp. 1-2.

4) Per quanto riguarda il 2008, Government Accountability Office, “International Taxation: Large U.S. Corporations and Federal Contractors with Subsidiaries In

Jurisdictions Listed as Tax Havens or Financial Secrecy Jurisdictions”,

dicembre 2008.

5) Citato in Shaxson, op. cit., p. 15.

6) Jane Gravelle, “Tax Havens: International Tax Avoidance and Evasion”, Congressional Research Service, luglio 2009, p. 2.

7) Tax

Justice Network, p. 1.

8) David Kocieniewski, “G.E.’s

Strategies Let it Avoid Taxes Altogether”, New York Times, 24

marzo 2011.

9) Jane Gravelle, “Tax Havens:

International Tax Avoidance and Evasion”, Congressional Research

Service, luglio 2009, p. 2.

10) Tax Justice Network, “The Price

of Offshore”, marzo 2005, p. 1.

11) Kar, Dev e Curcio, Karly, Illicit

Financial Flows from Developing Countries 2000-2009, Global Financial

Integrity, gennaio 2011, p. 1. Sulle forze che hanno alzato i prezzi

delle commodity negli ultimi anni, leggete il pezzo recente su questo

forum, “US-Led Commodity Boom: Fake Prices, Global Crises”,

29 giugno 2011.

12) Kar e Karly, op. cit., pp. 15-16,

64.

13) Il riassunto dell’intervista

su Economic

Crisis + Offshore” from the Tax Justice Network. Per ulteriori discussioni, vedi Shaxson, op. cit., cap. 10.

(14) Andrew G. Haldane, Banca di Inghilterra,

“Small Lessons From a Big Crisis”, discorso alla 45esima conferenza

annuale della Federal Reserve Bank di Chicago, maggio 2009, p.

1.

(15) http://www.financialsecrecyindex.com/2009results.html

************************************************

Fonte: Offshore:

The Overarching Scourge

31.08.2011

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE

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