OBAMA E LA PALESTINA – UNA DELUSIONE PREVEDIBILE

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DI CHRISTOPHER VASILLOPULOS
todayszaman.com

Siccome sono stato un convinto sostenitore della prima ora di Barack Obama nonché un professore di relazioni internazionali che si interessa di Medio Oriente e di politica estera degli Stati Uniti, mi sono sentito spesso chiedere, durante i corsi e i seminari pubblici: “cosa pensi che farà Obama riguardo alla Palestina?”
Le mie risposte sull’argomento hanno sostenuto che molto probabilmente ci sarebbe stato un evidente cambiamento nei toni delle relazioni arabo-americane e con il mondo islamico in generale, ma solo nei limiti della continuazione della situazione di stallo in Palestina.
Questa previsione, per quanto siano benvenute le migliorate relazioni generali, si è dimostrata fin troppo vera. Oggi, dopo nove mesi di amministrazione Obama, sono ancora più pessimista. Direi ora che, anche se e quando i problemi interni si calmeranno, ad esempio con l’approvazione della riforma sanitaria, con una ripresa economica e il ritiro delle truppe dall’Iraq, non ci sarà alcun sostanziale miglioramento nella questione palestinese.

Israele continuerà con la sua politica di cambiare le carte in tavola, facendo sempre più concessioni agli insediamenti dei coloni, su Gerusalemme, il Muro e su una moltitudine di attività anti-palestinesi.

Ho due motivi per questa convinzione – una diretta, l’altra indiretta. La guerra in Afghanistan, sebbene sia ben lontana dalla Palestina, è diventata ormai la guerra di Obama. Questo crescente senso di inutilità – perché siamo lì? – per stanare Al Qaeda? Per portare la democrazia nel paese? Per mettere in sicurezza il Pakistan? La lista cresce ad ogni titolo di giornale. Mi rendo conto che la volontà di neutralizzare le basi terroriste è stata una promessa essenzialmente dovuta alla spinta della campagna elettorale. I Democratici sono ansiosi di dimostrare di essere altrettanto guerrafondai dei Repubblicani, quando si tratta di questioni legate alla sicurezza nazionale, specialmente durante il periodo di campagna elettorale. Obama tuttavia, sembra sinceramente impegnato in questa strategia. “La guerra giusta, al tempo giusto. Non è una guerra di scelta ma una guerra di necessità”. Così cantilena la retorica. Dopotutto, quale presidente direbbe che la guerra che sta combattendo è la guerra sbagliata, nel momento sbagliato e che non era necessaria? E al contempo la guerra in Afghanistan rimane un modo politicamente poco costoso per stabilire le credenziali di Obama come difensore della sicurezza nazionale.

Quanti americani si oppongono al massacro di musulmani, fintanto che si riesce a mantenere un collegamento, benché tenue, con il terrorismo? Dato che le questioni politiche sono strettamente interconnesse, Obama non può permettersi di perdere il consenso interno. I musulmani, quindi, continueranno a costituire la carne da macello richiesta dagli squali della “sicurezza nazionale”.

L’elite della politica estera mantiene il controllo della questione palestinese

Sebbene io abbia più o meno anticipato questi sviluppi, mi era rimasta un po’ di speranza per la politica di Obama nei riguardi della Palestina. Pensavo: forse dimostrando “forza e risolutezza” in Afghanistan, sarebbe riuscito a farsi strada anche sulla Palestina? Una speranza già esile, che ora sembra definitivamente crollata. Nonostante la nomina di George Mitchell, il gruppo di potere di politica estera che ha dominato l’atteggiamento americano sulla questione mediorientale per decenni rimane al suo posto. A parte alcune novità nella retorica, prontamente messe da parte o comunque inserite del contesto del “nostro continuativo impegno nei confronti del nostro alleato più importante: Israele”, non è cambiato nulla.

Gli insediamenti si espandono, nonostante la loro manifesta illegalità e la condanna ufficiale di tutti i paesi delle Nazioni Unite, Stati Uniti inclusi. Il Muro continua ad allungarsi, creando ancora più miseria per i palestinesi. Le incursioni militari continuano, utilizzando le scuse più banali, continuando ad uccidere e mutilare civili, donne e bambini.

Riconosco che Obama è molto più circospetto nei confronti della destra ultranazionalista di Israele rispetto ai suoi predecessori. Ma ciò non fa molta differenza, dal momento in cui l’unica possibile opposizione è anch’essa un partito di destra, la quale piattaforma politica nei confronti dei palestinesi è praticamente indistinguibile da quella dell’attuale governo estremista che ha incluso al suo interno dei razzisti anti-palestinesi come Avigdor Lieberman.

Lasciatemi spiegare perché sostengo che l’amministrazione Obama non è impegnata in un cambiamento sostanziale della politica statunitense nei confronti di Israele, la quale è al momento un sostanziale assorbimento della visione israeliana del conflitto e del Medio Oriente in generale. Dobbiamo di nuovo fare una precisazione, in quanto sarebbe inutile procedere seguendo il filo logico della retorica statunitense: per avere dei cambiamenti in senso positivo in Palestina e per far si che gli USA siano considerati l’ “onesto sensale” nella regione, credo sia imperativo che Obama inizi a discutere del pericolo delle armi nucleari di Israele.

La ragione principale del mio pessimismo è che ogni volta che Obama o Hillary Clinton si riferiscono all’inaccettabilità della presenza di armi nucleari in Medio Oriente, essi si riferiscono alle non-esistenti armi nucleari iraniane, ignorando a piè pari le centinaia di testate nucleari israeliane. Il leitmotiv americano, riconfermato dal binomio Obama-Clinton è “no alle armi nucleari in Medio Oriente”. Chi può essere in disaccordo con questa affermazione? Chi vuole le armi nucleari in Medio Oriente, o in ogni altro luogo? Il problema con questo leitmotiv è tuttavia molto semplice: è falso nelle sue premesse e falso nei fatti. Gli Stati Uniti hanno di fatto già accettato l’esistenza di armi nucleari in Medio Oriente, fintanto che sono di Israele. E Israele possiede tali armi ormai da 30 anni, centinaia di testate e di missili capaci di raggiungere qualunque altra capitale nella regione. Ogni volta che un esponente della politica estera americana intona il ritornello dell’inaccettabilità delle armi nucleari nella regione mediorientale, la campanella dell’ipocrisia risuona. Perciò, il mio indicatore critico del cambio della politica estera americana è questo: Obama sarebbe disposto a dire con forza che tutte le armi nucleari in Medio Oriente sono inaccettabili, incluse quelle di Israele? Fino ad ora c’è stato nient’altro che un assordante silenzio, eccetto che per il suono della campanella dell’ipocrisia.

Oltre alla coerenza politica e la relativa credibilità, c’è molto altro in gioco. Il problema è molto più grande che non il semplice “due pesi, due misure”. La stabilità della regione, uno dei principali obiettivi della politica estera statunitense, è tenuta ostaggio dal citato assurdo leitmotiv. Finché l’arsenale atomico israeliano sarà ignorato, non ci potrà essere alcuna stabilità nella regione. Come qualunque strategista nucleare sa, un sistema dove un solo attore possiede armi nucleari è fisiologicamente instabile. La deterrenza nucleare, ossia la stabilità nucleare, ha come requisito la possibilità della “reciproca distruzione” (Mutual Assured Destruction: MAD. ndt). Questa teoria prevede che ogni potenza nucleare abbia la capacità di rispondere con efficacia anche dopo il più devastante attacco. Ciò viene definita la “capacità di secondo colpo”. Per essere efficace, deve poter infliggere un danno inaccettabile alla potenza che ha colpito per prima. Questa è stata la logica della stabilità nucleare fin da quando l’Unione Sovietica sviluppò la capacità di colpire il territorio degli Stati Uniti. Il suo unico assunto logico è la fede nel buonsenso di coloro i quali hanno in mano il telecomando che può innescare il lancio di armi nucleari. Che piaccia o no, che sia un equilibrio precario o no, si deve costatare che il MAD ha funzionato. Non c’è motivo di dubitare che la logica che sta alla sua base non sia più applicabile. Oltre che a livello globale, tale teoria si è dimostrata valida anche a livello regionale, come dimostra il caso di India-Pakistan.

Ovviamente, l’assunto del buonsenso è giustamente messo in discussione quando abbiamo a che fare con fanatici religiosi o di altro genere. Nessuno si sentirebbe a suo agio sapendo che tali individui hanno il controllo su delle testate nucleari. “Aha! Quindi dobbiamo fermare gli iraniani!” – Il problema di questo corollario al ritornello statunitense è che ignora i fanatici israeliani, i quali hanno maggiore controllo di Israele e delle sue testate atomiche di non quanto ne abbiano i fondamentalisti islamici sull’Iran e le sue inesistenti armi nucleari. Nessuno nutre alcun dubbio sul fatto che Israele non avrebbe scrupoli ad usare le armi nucleari sugli arabi, piuttosto che essere sconfitta, e ciò a prescindere dal fatto che venga attaccata con armi nucleari o con armi convenzionali. Tutti temono che Israele, piuttosto di lasciarsi sconfiggere, scateni una catastrofe nucleare. Infatti, questa è una delle principali ragioni per cui gli Stati Uniti fanno tutto ciò che possono per evitare tale sconfitta. Ciò è vero fino al punto che la politica estera degli Stati Uniti è tenuta ostaggio dall’esistenza del monopolio nucleare di Israele e, ancora di più, quando Israele è governata da fanatici di destra, come nel momento attuale.

Ci sono delle alternative al semplice arrendersi davanti alla minaccia di una nuova Masada (il riferimento è alla fortezza elevate di Masada, dove il mito vuole che gli ebrei, assediati dai romani, preferirono suicidarsi in massa piuttosto che arrendersi, ndt). Una, ad esempio, è il rifiuto del leitmotiv ipocrita del “nessuna arma nucleare in Medio Oriente”. Ciò riconoscerebbe la logica della deterrenza, dando la possibilità all’Iran di sviluppare una capacità di “secondo colpo” nei confronti di Israele. Oppure gli stati Uniti potrebbero dare la forza del secondo colpo garantendo la sicurezza nucleare a tutti i paesi della regione. Gli Stati Uniti, dopotutto, hanno garantito la deterrenza nucleare al Giappone per 60 anni; hanno chiarito in modo inequivocabile che un attacco sovietico all’Europa sarebbe stato considerato come un attacco agli Stati Uniti. Ci si chiede tuttavia se questa protezione si applica alla Turchia, musulmana. Se lo è, c’è da dire che è sempre stata tenuta in sordina. Una terza opzione sarebbe quella di disarmare Israele.

Ognuna di queste opzioni parte dal riconoscimento dell’esistenza delle armi nucleari israeliane e del pericolo da loro rappresentato.

Instabilità nucleare a rischio

La mancanza di tale riconoscimento condanna la regione all’instabilità nucleare, in quanto dà mano libera ad Israele e dà alle altre potenze regionali un fortissimo incentivo a sviluppare il proprio arsenale nucleare in funzione di deterrenza. Il ritornello americano che “le armi nucleari sono inaccettabili in Medio Oriente” è per questo ancora più ipocrita. Esso mina alle basi gli interessi americani nella regione, soprattutto riguardanti il petrolio. E mette in pericolo la vita e la proprietà di centinaia di migliaia di persone. Come realista politico, nessuno di questi fattori potrebbe, da solo o in combinazione, condannare la politica estera americana, se ci fosse una valida ragione per prendersi tali rischi. Ma qual è la ragione? La sopravvivenza di Israele?

Ci sono due grossi errori nel rendere la sopravvivenza di Israele l’obbiettivo principale della politica estera mediorientale degli Stati Uniti. Essa dà per scontato che la vita di 5 milioni di ebrei israeliani sia molto più importante di quella di 200 milioni di arabi, per non includere i turchi e gli iraniani. Ciò non viene nemmeno detto pubblicamente, eccetto che per i fanatici del Popolo Eletto. Inoltre, mettendo da parte le vite umane, essa dà per scontato che Israele, che è senza risorse, sia più importante dei paesi arabi, ricchi di risorse petrolifere. Vi immaginereste un capitalista americano che cerca di dimostrare una tale ipotesi? O un costruttore di automobili? Da una prospettiva puramente realista, a meno che non si riesca a dimostrare razionalmente che Israele aiuta gli Stati Uniti a raggiungere i suoi obiettivi strategici in Medio Oriente, il supporto incondizionato nei confronti di Israele è assurdo.

Non si deve nemmeno entrare nel campo della moralità, il massacro e l’oppressione di milioni di palestinesi, per concludere che l’alleanza degli Stati Uniti con Israele ha un costo troppo alto.

E’ importante notare che questa conclusione non ha nemmeno sfiorato i difficili argomenti sulla creazione di uno stato palestinese autosufficiente. Ciò che intendo dire è che, finchè non viene riconosciuta l’esistenza del monopolio nucleare israeliano, nessuno di questi argomenti potrà essere trattato seriamente. Ciò perché le armi nucleari israeliane danno la forza a questo governo di destra nell’approfondire e rafforzare l’oppressione nei confronti dei palestinesi. E le stesse armi intimidiscono i responsabili della politica estera statunitense che credono che uno stato palestinese sia non solo giusto ma anche necessario per la creazione di buone relazioni con il mondo arabo.

Sono costretto ad avvertire che la prossima volta che sentiremo Obama intonare il ritornello del “le armi nucleari in Medio Oriente sono inaccettabili”, sentiremo ancora di più il suono della campanella dell’ipocrisia. Vorremmo sentire il suono della campana della razionalità. E cosa prenderà il suo posto, se non le forze irrazionali dell’ odio, del fanatismo e del razzismo?

Christopher Vasillopulos (Professore di Relazioni Internazionali alla Eastern Connecticut State University)

Fonte: www.todayszaman.com/
Link: http://www.todayszaman.com/tz-web/news-189576-109-obama-and-palestine-predictable-disappointment-by-christopher-vasillopulos.html
12.10.2009

Scelto e tradotto per www.comedonchisciotte.org da GIOVANNI PICCIRILLO

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