'NOT IN MY NAME'

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Un’analisi della condotta etica ebraica

DI GILAD ATZMON

Non ci sono ebrei inglesi, francesi, tedeschi o americani, ma solo ebrei che vivono in Inghilterra, Francia, Germania o in America.’
Chaim Weizman, Agosto 1897, al Primo Congresso Sionista

Conosco i sionisti, penso che costituiscano la più grande minaccia alla pace mondiale, sostengo che sono criminali di guerra, li combatto e cerco di contribuire al loro fallimento. Scrivo su di loro, compongo della musica contro di loro, ma conosco la loro logica. Conosco i loro trucchi, e so esattamente dove stanno puntando e faccio del mio meglio per fermarli.Per contro, non comprendo davvero coloro che combattono il sionismo in nome della loro secolare identità ebraica. Non li ho mai capiti. Non ho mai veramente compreso che cosa il secolarismo significhi per il popolo ebraico. Si riferiscono forse a un nucleo centrale nascosto della filosofia etica secolare ebraica? Non sono mai riuscito a capire quegli ebrei secolaristi che dicono ‘not in my name’, quelli che sostengono di essere ‘atei’ e ‘umanisti illuminati’ ma che, allo stesso tempo, parlano in nome di una strana fratellanza tribale. Ce ne sono molti tra di loro: ebrei per la pace, ebrei per la Palestina, ebrei contro l’oppressione, ebrei in favore dei diritti umani, ebrei marxisti, ebrei per questo ed ebrei per quello. Molto sovente mi avvicinano e chiedono il mio sostegno. Naturalmente, condivido molti se non tutti i loro punti di vista umanistici ma alla fine mi ritrovo sempre a respingerli. Non riesco a capire perché scelgano di agire sotto le spoglie di una specie di “ombrello esclusivista”. Se la pace è così importante, allora perché farla diventare un affare marginale? Se i diritti umani sono un fine universale, allora perché non difenderli assieme al resto dell’umanità?

Per far fronte alle mie osservazioni, tirano fuori sempre i due soliti argomenti:

1. Che essere ebrei permette alle loro opinioni di avere maggiore consistenza

2. Che, alla luce dei crimini commessi dal sionismo nel nome del popolo ebraico, ha più senso dimostrare al mondo che, di fatto, vi è ben più che una semplice manciata di ‘ebrei buoni’

La prima osservazione è debole e controproducente alla sua stessa causa. Infatti, esporre un’argomentazione simile significa ammettere, in una certa misura, disonestà intellettuale. Se crediamo nell’oggettività di un discorso razionale, dovremmo ammettere che le origini etniche di chi propone una questione non dovrebbero minimamente influenzare la sua validità. E conseguentemente, essere ebrei non conferisce la capacità di rafforzare alcuna debolezza nelle proprie argomentazioni. Se il sionismo è insensato a tutti gli effetti, allora l’appartenenza razziale o etnica dei suoi critici è del tutto secondaria.

La seconda argomentazione è, a prima vista, più convincente della prima. Gli ebrei di sinistra talvolta affermano che il sionismo getta discredito sul popolo ebraico con la sua incessante attività criminosa. La logica che sta dietro una simile affermazione è decisamente chiara. Da una parte, il sionismo si presenta come voce ufficiale del popolo ebraico. Dall’altra, il sionismo è quotidianamente impegnato in crimini di guerra e atrocità. La sintesi dei due porta a concludere che il mondo ebraico è criminalmente responsabile per i crimini commessi dai sionisti.
Teoricamente parlando, quegli ebrei che si rifiutano di accollarsi delle responsabilità, hanno più che il dovere di prendere posizione contro il sionismo. Normalmente, costoro fanno appello alla strategia del ‘not in my name’; qualche volta si definiscono degli ‘ebrei umanisti’ o addirittura ‘ebrei per la pace’. All’apparenza, le loro azioni sembrano nobili; di fatto, è proprio con queste azioni che comincia il vero problema. Dicendo “not in ‘my’ name”, etichettano il resto degli ebrei come criminalmente responsabili del crimine sionista.
Cercherò di fornire ulteriori delucidazioni su questo punto.

Dobbiamo chiederci se il fatto che il sionismo si autoproclami voce ufficiale del popolo ebraico sia sufficiente per trasformare tutti gli ebrei in una massa di criminali.
Il fatto che X sostenga di essere la voce ufficiale di Y è bel lungi dall’essere sufficiente per renderlo tale. Parimenti, il fatto che X commetta dei crimini, non è sufficiente per rendere Y criminalmente responsabile. Similmente, il fatto che il presidente Bush Junior affermi di rappresentare la voce della democrazia non l’ha reso automaticamente un individuo democratico. Quindi, i cittadini dell’Europa occidentale non possono essere ritenuti criminalmente responsabili per le atrocità di Bush in Iraq o in Afghanistan. In pratica, è stato il silenzio imposto dalle democrazie europee più influenti che hanno reso l’auto-nomina di Bush una farsa. Il mondo occidentale si è guadagnato la sua innocenza evitando di entrare in un dibattito con il mondo anglosassone legato al male. Mentre il sionismo si è fatto carico fin dai suoi primi giorni di parlare e agire in nome del popolo ebraico, di fatto sono i ribelli sporadici che criticano il sionismo in nome della loro secolare identità ebraica che confermano l’impegno ‘totalitario’ sionista. Strano abbastanza, ma è proprio la sinistra ebraica che rende il sionismo una voce ufficiale del popolo ebraico.

Ciò potrà sembrare strano, ma cercherò di far luce su questo punto. Vi sono due fatti evidenti nella dichiarazione ‘not in my name’ :

1. E’ una dichiarazione personale. Dicendo ‘not in my name’, si afferma la totalità di ciò a cui uno cerca di opporsi. Infatti, quello che di fatto si dice è: ‘Sebbene X [sionismo, governo di Blair, America bushiana, ecc.] sia autorizzato ad agire per conto mio, io personalmente chiedo di esserne lasciato fuori’. Questa logica è universale; non è specifica del sionismo. Quando un cittadino britannico dice ‘not in my name’, di fatto rende responsabile l’intera popolazione britannica per i crimini di Blair in Iraq. ‘Not in my name’ è una pretesa naif per non sentirsi responsabili. È un tentativo per starne fuori. Considerata l’entità dei crimini sionisti e di Blair, è comprensibile. Tuttavia, sembra una manovra un po’ opportunista più che un’opposizione ideologica ragionata.

2. Poiché l’affermazione ‘not in my name’ è un appello personale, non potrà mai generare l’impeto politico necessario per provocare un reale cambiamento politico. Nel caso del sionismo, garantisce che i ribelli ebrei di sinistra rimangano sempre ai margini. Mentre il sionismo si impegna per parlare in nome del popolo ebraico, gli ebrei all’opposizione formeranno al massimo una fazione isolata di resistenza teorica e ideologica. L’individualismo illuminato potrà anche avere qualcosa di eroico in sé, ma non raggiungerà mai lo scopo di rovesciare un movimento politico di successo.

Dunque non ci rimane che un quadro deprimente. Sono proprio gli ebrei di sinistra illuminati a coronare il sionismo come voce del popolo ebraico. Siamo quindi autorizzati a pensare che tutte le persone ebree – tranne Moishe’l, Yitzchak’l and Yanke’l che apparentemente hanno dimostrato essere ‘attivisti per la pace ebraica’, ‘entusiasti dei diritti umani ebraici’, ‘ebrei marxisti’ ecc. – sostengono o almeno sono responsabili per i crimini sionisti. Benché possa dare l’impressione di incolpare i ‘buoni ebrei’ per sostenere il sionismo, sono al contempo abbastanza sicuro che coloro che reclamano questi metodi di resistenza sono ben lungi dall’essere pericolosi. Sono semplicemente naif. Probabilmente non si rendono conto delle implicazioni della loro attitudine umanistica marginale. Di certo non si rendono conto che, combattendo il sionismo in nome della loro identità ebraica, approvano il sionismo. A quanto pare non arrivano a capire che la loro forma di resistenza contribuisce ad etichettare l’intera comunità ebraica come criminale.

La Nascita del Male

Qui ci confrontiamo direttamente con una trappola concepita con estrema attenzione dai primi ideologi sionisti. I sionisti diranno che ogni ebreo è un sionista finché non si prova il contrario. Fino a poco tempo fa pure io sono caduto in questa trappola. Dicevo che ogni ebreo che non si sentiva a posto con la sua coscienza per i crimini sionisti doveva dirlo chiaramente ed esporsi in pubblico. Solo ultimamente mi sono reso conto di essere completamente nel torto. Chiedere che degli ebrei disapprovino il sionismo in nome della loro identità ebraica è come accettare la filosofia sionista. Resistere al sionismo in qualità di ebreo secolare comporta un’accettazione della terminologia sionista di base, vale a dire, un arrendersi alla filosofia ebraica razzista e nazionalista. Parlare come un ebreo è arrendersi alla filosofia sionista di Weizman. Secondo Weizman, ‘Non ci sono ebrei inglesi’ ma ‘ebrei che vivono in Inghilterra’.
In altre parole, siete prima e innanzitutto un ebreo in virtù della vostra razza e nazione; ogni altra etichetta diventa secondaria.

Dobbiamo riconoscere che non ci è mai capitato di incontrare un tedesco che si definisse un ‘ariano per la pace’; né sappiamo di russi che si considerano ‘slavi per i diritti umani’. Non conosciamo nemmeno molti “marxisti celtici’. Queste coincidenze suonano piuttosto strane, per non dire insolite. In qualche modo, le etichette politiche o umanistiche sembrano un po’ fuori di proposito quando precedono o seguono delle etichette razziali. Di conseguenza, definirsi come ‘ebrei marxisti’ o come ‘ebrei per la pace’ suona alquanto particolare. Non sempre, tuttavia. Nessuno alza il sopracciglio quando ha a che fare con un ‘ebreo per i diritti umani’. Presumibilmente, questo ha a che fare col fatto che, per quanto riguarda gli ebrei, la demarcazione tra l’identità razziale e l’identità nazionalista è molto ambigua. Se vogliamo attenuare le peculiarità specifiche di queste etichette, dobbiamo lasciare da parte le interpretazioni e riesaminare questi titoli come etichette nazionaliste. Per lo meno, linguisticamente parlando, avrebbe più senso. Si può facilmente concepire un marxista tedesco o un attivista per la pace serbo. Ergo, se consideriamo l’identità ebraica come una definizione nazionale allora l’etichetta ‘ebreo per la pace’ o ‘ebreo per i diritti umani’ ha un significato. Potremmo riferirci a questa colombella sopracitata come a un uomo che sostiene delle idee di sinistra e che si ritrova ad essere ebreo per appartenenza etnica. Tuttavia, non ci vuole un genio per rendersi conto che, così facendo, accettiamo la definizione di nazionalismo ebraico. In altri termini, diventiamo dei sionisti devoti.

Gli ebrei non possono criticare il sionismo in nome della loro appartenenza etnica perché un tale atto rappresenta di per sé un’approvazione del sionismo. Praticamente parlando, gli ebrei non potranno opporsi realmente al sionismo finché non adotteranno una prospettiva diversa che metta in dubbio l’intero complesso sionista.

Il Complesso Sionista

Là dove il nazionalismo è una celebrazione delle differenze tra i popoli, il nazionalismo ebraico fa un passo in più. Oltre ad essere diversi da tutte le altre nazioni, gli ebrei devono essere diversi pure tra di loro. Essendo un’ideologia totale, il sionismo classifica e da’ un nome a qualunque forma di ebraismo. Ogni ebreo ha un ruolo nell’emergente rivoluzione nazionalista ebraica. Sostanzialmente, abbiamo due poli:

1. L’ultimo tipo di sionista: un ebreo di razza, un nazionalista, un colonialista, un essere ispirato biblicamente, che vive nella terra confiscata della Palestina, possibilmente in un insediamento del West Bank

2. Quello che si disprezza: un amante della pace secolare, cosmopolita, ispirato da ideali umanistici, e con un matrimonio misto alle spalle, che vive nella Diaspora.

Mentre il primo rappresenta il pioniere del nucleo centrale di tutti gli attuali piani sionisti – che invade le terre della Palestina e si rende partecipe delle atrocità quotidiane – è il secondo che di fatto rende il sionismo un movimento dinamico. È proprio quello che si autodisprezza che fa le veci del nemico interiore. Sarà colui che si convertirà (al sionismo) alla prossima ondata antisemita. È lui che trasforma il sionismo in una lotta eterna per la ‘salvezza ebraica’. E, come se questo non bastasse, è lui, l’amante della pace, che dimostra al di là di ogni dubbio che, nel profondo della loro anima, gli ebrei sono entusiasti per la pace e dei grandi umanisti.

Osservando questi due poli distinti, vediamo come il popolo ebraico si ritrovi in una condizione alquanto schizofrenica. Questo malessere rappresenta il carburante della rivoluzione sionista; garantisce una lotta ininterrotta per la propria autoproclamazione. All’interno di questa lotta il sionismo, come portatore della voce ebraica, si posiziona al di là del dibattito stesso. Il sionismo diventa una forma di ideologia metadialettica. È un mezzo d’azione più che un insieme di manovre politiche.

Le ragioni dell’importanza di questo tema

Sento così spesso persone che fanno rilevare come sia proprio la sinistra ebraica a dominare la ‘campagna di solidarietà per la Palestina’. Posso confermare io stesso che spesso sono stato avvicinato da degli ebrei secolari che sono ferventi sostenitori della Palestina. E molti di loro ammetterebbero con orgoglio di farlo in nome della loro ebraicità. Qualche giorno fa mi ritrovavo ad un meeting per la solidarietà in Palestina a Londra. È stato alquanto deprimente notare che in teatro, la maggior parte delle persone parlavano in ebraico. All’apparenza, la situazione poteva sembrare anche incoraggiante, come se insomma si avesse a che fare con persone d’integrità e colme di alti valori umani. Ma la verità è un po’ meno brillante. L’ho appreso molto bene dai palestinesi e dagli altri sostenitori della causa palestinese, che è la sinistra ebraica e israeliana a definire i limiti delle discussioni. Che non devono essere oltrepassati. È la sinistra ebraica che stabilisce cosa è giusto e cosa è sbagliato. Per esempio, la critica politica al sionismo è più che benvenuta, finché vi limitate a delle questioni prettamente sociopolitiche. Gli ebrei di sinistra sono felici di poter denunciare Sharon o Peres, ma qualunque confronto tra il sionismo e altre manifestazioni del male sono vietate. Appena si postula il sionismo in termini ‘metafisici’ si viene subito fermati dalla polizia ebrea di sinistra. Immediatamente. Quindi, gli intellettuali e gli artisti palestinesi vengono paralizzati sul nascere. Molti di loro sono terrorizzati all’idea di dire qualcosa su quello che pensano degli ‘ebrei buoni’ ed essere automaticamente etichettati come antisemiti. Approfitterò di questa occasione per dichiarare personalmente che l’unico modo per proseguire oltre nella comprensione del sionismo è quello di gettare luce sull’identità ebraica contemporanea. L’identità sionista ed ebraica non sono così diverse come gli ebrei di sinistra insistono nel sostenere. Il sionismo rappresenta l’apparenza estrema dell’identità ebraica. È l’incarnazione di ogni aspetto dannoso del pensiero ebraico secolare. È razzista, è nazionalista, ed è ispirato biblicamente (ovvero non proprio ispirato spiritualmente…). Essendo un movimento fondamentalista, il sionismo non appartiene a una categoria diversa da quella del nazismo. Solo quando comprendiamo il sionismo nel suo contesto nazionalista e razzista, cominceremo a comprendere in profondità le sue atrocità. Solo allora ci renderemo conto di come la Nakba (la pulizia etnica del popolo palestinese nel 1948) ha avuto luogo (solo tre anni dopo la fine dell’olocausto ebraico). Comprenderemo allora le motivazioni di Ben Gurion, la popolarità di Sharon e l’impegno di Peres alla nozione pacifista di Sharon. Potremo anche farci un’idea delle cause della moralità decaduta del ‘buon ebreo’ Prof. Benny Morris da poco ritiratosi.

Non metto in dubbio le buone, genuine intenzioni di coloro che combattono il sionismo in nome della loro identità ebraica. Ma sono tuttavia convinto della fallacità del loro ideale. In pratica, gli ebrei di sinistra fanno la foglia di fico dei sionisti contro la loro stessa volontà. Nella terminologia sionista odierna, offrono a Israele un potente muro di difesa intellettuale.

Dunque, che fare?

Molto spesso mi chiedono qual’è la differenza tra gli ebrei e i sionisti. Molto spesso vengo accusato perché critico gli ebrei quando si presume che io critichi i sionisti. La linea di demarcazione tra ebrei e sionisti è molto importante, per gli ebrei. La ragione è semplice:
vogliono mantenere la loro identità secolare e nel contempo dissociarsi dal male sionista.

Per anni non sono riuscito a capire quale fosse questa identità ebraica che volevano mantenere. Era forse la loro identità razziale, quella nazionalista, o magari semplicemente l’amore per la zuppa di pollo con gli gnocchi di pasta fatti a mano? Dall’altro canto, comprendo i gruppi religiosi ebraici che basano la loro critica sul sionismo sulle leggi religiose ebraiche e le loro linee guida. Sostengo pienamente le idee politiche antisioniste di Neturei Karta. Ma quando si parla di ebrei secolari mi sento disorientato. Alcuni di loro diranno, socchiudendo gli occhi con sufficienza, che è stato Hitler più che Mosé a renderli ebrei. Ciò che cercano di dire è che, per loro, essere ebrei è un’etichetta etnica più che una rivendicazione spirituale – ha piuttosto a che fare con la cucina yiddish, con il loro amore per l’umore ebraico o l’accendere le candele una volta all’anno. Solo ultimamente mi sono reso conto di dove giace il vero problema. Gli ebrei del genere ‘not in my name’ sono convinti che ebreo/sionista sia un’opposizione binaria. Cercano di convincerci che c’è una specie di contraddizione tra questi due termini. Sulla base di questo discorso improduttivo e politicamente corretto, nessuno contesta questa affermazione. Ma dobbiamo dire la verità: hanno torto. Gli ebrei e i sionisti non costituiscono un’opposizione binaria. Come minimo, sono categorie complementari. L’unica e sola alternativa ebraica al sionismo è l’assimilazione. Quelli che hanno familiarità con la storia del movimento sionista sanno che sono gli assimilazionisti ad essere considerati dai sionisti stessi come la più grande minaccia.

Alla fine del diciannovesimo secolo, il movimento sionista fu generato come reazione all’emancipazione del popolo ebraico. Il sionismo era lì, pronto ad impedire agli ebrei di ‘perdersi’ nell’assimilazione. Vediamo un po’ cosa aveva da dire Max Nordau in merito alla questione, durante il Primo Congresso Sionista del 1897:

Il termine ‘ghetto’ viene oggigiorno associato a dei sentimenti di colpa e umiliazione,. Ma il Ghetto, quali che possano essere state le intenzioni delle persone che hanno creato questo termine, era per gli ebrei del passato non una prigione, ma un rifugio … Nel Ghetto, l’ebreo aveva il suo mondo; per lui era un rifugio sicuro, che poteva considerare come simbolo spirituale e morale della sua casa parentale … La loro condizione al di fuori del Ghetto era insicura, spesso messa seriamente in pericolo. Ma internamente, potevano raggiungere e maturare le loro qualità specifiche … Questa era la psicologia del Ghetto ebraico. Poi arriva l’Emancipazione. La legge assicurava agli ebrei di essere cittadini a pieno titolo del loro paese … Ora avevano un’altra casa; non avevano più bisogno di un Ghetto; ora avevano dei legami più vasti e non erano più obbligati a coabitare esclusivamente con dei correligionari … Ora avevano bisogno di sentirsi integrati e assimilati in altre associazioni più grandi, a discapito della distinzione, che rappresentava la loro salvezza.
Ne conseguì una vera e propria parodia, e per un certo periodo di tempo relativamente lungo venne concesso all’ebreo di ritenersi esclusivamente tedesco, o francese, o italiano, e così via… Ma l’ebreo ‘emancipato’ è insicuro nei suoi rapporti con i suoi simili, timido con gli stranieri, sospettoso pure verso i sentimenti dei suoi amici. La sua forza viene stemperata dalla soppressione data dall’assimilazione, o comunque nel difficile occultamento della sua vera natura.
C’è ben poco spazio per l’ambiguità. Nordau deprecava l’ebreo emancipato-assimilato, che considerava come essere umano deteriorato e non più autentico.

Moses Hess, il famoso socialista che fu il primo ebreo assimilato a convertirsi al sionismo, avvertì i suoi fratelli ebrei nel 1862 che tutti i loro sforzi per dimenticare e soffocare le loro radici ebraiche sarebbero stati vani. Le sue argomentazioni erano a dir poco razziste: ‘I nasi ebrei non possono essere rimodellati, e i capelli neri e ondulati non potranno mai diventare biondi convertendosi, o mischiandosi continuamente con gli altri.’ Secondo Hess, l’assimilazione era impossibile, principalmente perché ‘ogni ebreo è, che gli piaccia o meno, legato indissolubilmente all’intera nazione’. Nachman Sirkin, il socialista sionista, diresse il suo attacco esclusivamente contro gli ebrei socialisti cosmopolitani. Secondo Sirkin, ‘il socialismo significa, innanzitutto, l’abbandono della propria ebraicità, esattamente come la borghesia ebraica portò all’assimilazione’.

La paura sionista dell’assimilazione non si è mai attenuata. Golad Meir soleva dire che la più grande minaccia per l’esistenza ebraica era data dai matrimoni misti in America. Quindi non erano gli arabi, gli antisemiti o i palestinesi ai quali sempre si oppose nella sua carriera, ma…. i matrimoni misti in America. Fondamentalmente, Meir era terrorizzata dall’idea della contaminazione della razza ebraica. Come possiamo vedere, il sionismo è sempre stato chiaro in merito alle sue posizioni sull’assimilazione.

L’ebreo assimilato è sempre stato il primo nemico. È un nemico perché, a differenza degli ebrei di sinistra, non è impegnato nel gioco sionista. Ai suoi albori, quando il sionismo era ancora un movimento marginale, questo approccio veniva accettato. A quei tempi, l’assimilazione era cosa appetibile. La maggioranza degli ebrei europei cercavano in tutti i modi di confluire, di mischiarsi con la realtà circostante. Molti di loro cercavano nuove opportunità al di fuori del ghetto. I sionisti, nella loro disperata ricerca, si ritrovarono a negoziare con personaggi europei dell’epoca palesemente antisemiti. Nell’interminabile lista possiamo ritrovare nomi come Vyacheslav von Plevhe, il ministro russo dietro il programma di Kshenev, il nazionalista ucraino S.M. Petlura, e naturalmente molto è stato scritto sulla collaborazione tra il WZO e i nazisti. I sionisti promisero il loro aiuto nel pulire l’Europa dai loro ebrei (sia sionisti che ebrei assimilati). Quelli assimilati, venivano considerati dai sionisti come dei nemici. Questo peraltro è divertente, considerando che gli ebrei assimilati non si organizzarono mai politicamente. L’unico movimento ebraico non sionista degno di nota era il Bund ebreo, un’organizzazione ebrea socialista che sosteneva che gli ebrei dovevano prendere parte alla rivoluzione mondiale socialista anziché emigrare in Palestina.

Considerando la storia dell’animosità sionista verso gli ebrei assimilati, è alquanto sorprendente che di questi tempi siano così tanti gli ebrei secolari ad opporsi al sionismo in nome della loro identità ebraica secolare. In pratica, tutti loro adottano la prospettiva sionista. Ora – mentre gli israeliani e i sionisti sanno che il loro sogno di salvezza della nazione è destinato a fallire, intanto che la pulizia etnica operata in Palestina è in atto – è tempo per combattere il sionismo con ogni mezzo e metodo possibile.
E per quanto riguarda i progetti secolari ebraici, una vera e propria strategia di assimilazione è la cosa più sensata e appropriata in termini assoluti. È necessario combattere il sionismo come fosse un essere umano; più come ‘ebreo inglese’ che come ‘ebreo che vive in Inghilterra’; più come ‘essere umano che sembra essere ebreo’ che come ‘ebreo che si dichiara umanista’. Gli ebrei di tutto il mondo e quelli di Israele devono far sapere ai sionisti che il mondo là fuori è molto più attraente e piacevole di quello che il sogno sionista razzista, colonialista e assassino ha da offrire. Se l’ala di sinistra ebraica fosse davvero genuina nella sua lotta contro il sionismo, dovrebbe allora evitare completamente il concetto di identità ebraica come baluardo dei loro argomenti. Se invece continuano a rimanere nascosti dietro la loro identità ebraica, allora ci sentiamo autorizzati a considerare i loro ideali come una forma di sionismo moderato di sinistra.

La critica secolare ebraica comincerà ad avere un senso solo quando la questione dell’etnìa ebraica verrà completamente abbandonata in tutti i temi proposti. Gli ebrei offrono il massimo di se stessi quando abbandonano l’idea del ghetto, fisicamente e mentalmente; quando parlando al cuore dei loro ascoltatori senza fare le vittime, tali o autoproclamate; quando si uniranno alla famiglia umana senza pregiudizi. Questa è l’assimilazione.

Gilad Atzmon
Fonte:www.gilad.co.uk
Link:http://www.gilad.co.uk/html%20files/notin.html
13.06.04

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di RUGGERO

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