DI GIANFRANCO LA GRASSA
Ripensare Marx
Sarebbe da riportare integralmente l’articolo di oggi (11 dic.) di Geronimo (Cirino Pomicino) sul Giornale. Mi sento di approvare praticamente al completo la parte critica, molto dura e che mette sull’avviso circa un’implosione finale non troppo lontana, mentre tutti dormono e continuano a ballare come, a suo tempo, sul Titanic in agonia. La diagnosi economica è per l’essenziale corretta (come sempre). Il suddetto scrive in particolare che la colpa principale della pesante situazione è di “quell’intreccio tra finanza e informazione [soprattutto Corriere, Repubblica, Stampa e Sole24 ore; ndr] che in questi anni, in sintonia con alcuni circoli culturali americani, ha ritenuto di dover abbattere il primato della politica cancellando le sue radici e sostituendolo con l’oscuro potere dell’élite economico-finanziaria, senza rendersi conto che così il Paese andava alla rovina. E il tempo che ci resta, adesso, è veramente poco”.Negli anni ’50 e ’60, nei giornali di vari PC (in specie PCUS, PCI e PCF), si leggeva della torbida politica reazionaria di “alcuni circoli imperialistici americani”. Geronimo sostituisce semplicemente il termine culturali ad imperialistici. Vogliamo considerare uno di questi “circoli”? Prendiamo la Goldman Sachs, banca d’affari statunitense con un bilancio paragonabile a quello di uno Stato industrializzato (come, del resto, la sua concorrente, la Morgan Stanley). Tale banca ha piazzato suoi uomini alla segreteria del Tesoro negli USA sia sotto Clinton che sotto Bush (in modo quindi “equanime” e bipartisan); ha piazzato suoi uomini nelle più alte istituzioni economiche italiane (Banca centrale, ad es.), nel Governo attuale e in altri posti economico-politici di rilievo del nostro paese. Essa ha inoltre cointeressenze importanti in innumerevoli istituti finanziari europei, fra cui l’AbnAmro e il Bilbao che furono protagonisti nel (spero) ben noto risiko bancario del 2005. Nel settembre scorso, si verificò in tre giorni lo scatafascio di uno dei principali hedge fund americani, l’Amaranth Advisors, in cui la Goldman (come la Morgan Stanley) ci rimise “qualcosa”. In questi giorni, una bella botta ha preso un altro hedge fund, il Global Alpha Fund, che appartiene proprio alla grande Banca americana in oggetto; è anzi il più grosso dei molti hedge fund che essa ha (la Goldman è la più importante banca mondiale per quanto concerne questi fondi ad alto rischio speculativo; quelli di sua proprietà gestiscono complessivamente 29,5 miliardi di dollari, di cui 10 spettano al Global Alpha). Quest’ultimo ha perso il 12% dei fondi speculando sul rialzo della borsa di Tokio e sulla discesa di Wall Street, mentre è accaduto il contrario.
Non credo che istituti finanziari del genere corrispondano alla definizione di “circoli culturali” usata da Geronimo. In ogni caso, è evidente quali pericoli corriamo ad essere politicamente (e non solo, poiché l’operazione SanIntesa, le fondazioni bancarie, le manovre oggi in atto per l’acquisizione del 30% dell’Alitalia, ecc. vedono sempre “in mezzo ai piedi” questa enorme banca d’affari americana) condizionati da simili concentrazioni di potere finanziario, che compiono operazioni a rischio sempre maggiore (e più perdono e più giocano al rialzo come a poker).
Dove mi trovo in netto disaccordo con il suddetto lucido autore dell’articolo di cui sto parlando, è quando spezza una lancia in favore del ritorno del vecchio sistema politico; egli vorrebbe che si facesse una legge elettorale proporzionale con sbarramento, per tornare ad avere 5-6 partiti al massimo (e questo mi è indifferente), che dovrebbero essere collegati alla vecchia tradizione democristiana, socialista, liberale, ecc. ancora in voga negli altri paesi europei. Mi sbaglierò, ma credo che l’Europa sia quasi in pappe come l’Italia; diciamo che l’Italia ha tutti i “vizi” europei portati almeno al cubo. In un certo senso, dunque, l’Italia è all’avanguardia nello sfacelo dell’Europa. Quest’ultima, finché resterà impaniata in una UE del tipo che ha “costruito”, non avrà alcuna autonomia, resterà sotto la preponderante influenza americana, che politicamente si esprime ancora nell’Alleanza Atlantica (nata per altre esigenze ormai inesistenti). Non si tratta nemmeno di sollecitare una vocazione antimperialistica; basterebbe soltanto capire che una Europa non affrancata dagli USA – incapace di incrementare la ricerca scientifico-tecnica e di sviluppare i settori d’eccellenza della nuova rivoluzione industriale (per non disturbare i predominanti), in grado di giocare solo di rimessa in termini di “politica per le sfere di influenza” – sarà sempre in fase di ristagno, o al massimo di debole ripresa, con gravi rischi di crisi molto più acute in futuro.
L’Italia è ancora più stagnante dell’Europa – e soprattutto politicamente ormai in stato comatoso, con ceti dirigenti del tutto inetti e arretratissimi – ma non è certo portandosi “all’altezza” dei sistemi politici europei (anch’essi vecchi e declinanti) che si salverà. Essa dovrebbe semmai porsi come avanguardia nel processo di eliminazione delle superate strutture politiche (e partitiche) europee. Solo così, i “vizi” europei al cubo, tipici del nostro paese, sarebbero sostituiti da una ventata d’energia tesa ad aprire una nuova strada, che dovrebbe poi essere seguita da altri paesi europei e interessare, alla fine, almeno Francia e Germania. Certo, non sono in grado di indicare – solo soletto, senza che nasca ancora nulla di nuovo – la via che potrebbe essere seguita per spazzare via tutto il vecchio (destra e sinistra insieme). Sono però convinto che è illusorio sperare di ricostituire l’antico e cadente sistema partitico (senza comunisti, che erano essenziali, ma perché c’era il sedicente campo socialista), con magari i democristiani (più qualche appendice “di sinistra”) ad assicurare sul piano interno un bilanciamento e una stasi politiche, in altra epoca assai funzionali al predominio “atlantico” degli USA.
I tempi sono del tutto mutati. O restiamo subordinati agli USA, con i parassitari intrecci finanziari e gli inetti ceti politici che Geronimo denuncia con chiarezza e precisione; e con le industrie decotte, avanzi di una passata stagione, mentre prosperano le (relativamente poche) imprese cui è permesso di sopravvivere, con modalità di dipendenza, nell’ambito della sfera egemonica USA (per cui, fra le due dizioni: circoli imperialisti o circoli culturali, è più esatta la prima); oppure si riuscirà a sgominare questi potentati (subordinati agli USA) e a “sterminare” l’intero ceto politico attuale. Nel primo caso, non lamentiamoci del lento degrado, della strisciante crisi sempre incombente, con effetti di progressiva marcescenza sociale; nel secondo, si “ripulisce” l’ambiente, ci si libera dei “circoli” predominanti, e si rinasce in qualche modo. Resta il fatto, su questo sono d’accordo con Geronimo, che non vi è più molto tempo a disposizione (non sto parlando di pochi mesi, ma nemmeno di “epoche storiche”). Quello di cui non ci si rende conto è che si rischia ancora una volta l’ignobile gioco (degli specchi) tra destra e sinistra, o magari il tentativo di ritorno all’antico (come vorrebbe Geronimo); e alla fine qualcuno (non però “bello e gentile”, date le carenze o peggio di quelli che si fingono ancora “comunisti”) arriverà a placare la rabbia della “gente” e a estirpare il cancro in atto.
Gianfranco La Grassa
Fonte: http://ripensaremarx.splinder.com/
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11.12.2006