I segni del cambiamento climatico non confermano che siamo giunti al punto di non ritorno.
DI TONY JUNIPER
Le affermazioni piuttosto avvilenti di James Lovelock, pubblicate su queste pagine lunedì scorso, (The Independent, 17 gennaio 2006. NdT) e cioè che è stato raggiunto il punto di non ritorno per quanto riguarda i cambiamenti climatici, ha avuto un effetto deprimente su chi si accingeva a consumare la prima colazione. Anche se sono d’accordo sull’opportunità di ricorrere a questo tipo di sveglia penso però che ci sia ancora spazio per l’ottimismo.
Ormai è chiaro a tutti che stiamo vivendo una fase di cambiamenti climatici. L’Independent è stato in prima linea a lanciare i segnali di allarme riguardo ai fenomeni naturali, che si possono sommare in modo pesante agli effetti del riscaldamento globale provocati dall’attività umana, come lo scioglimento del permafrost siberiano con la sua pericolosa fuoriuscita di grandi quantità di gas nocivi nell’atmosfera. Tuttavia questi segnali non confermano, come viene suggerito da Lovelock, che sia stato raggiunto il punto di non ritorno.
Certamente, se non facciamo nulla, ci troveremo di fronte a una grave crisi, però non c’è niente da guadagnare presupponendo che siamo già al peggio, specialmente quando la scienza stessa afferma che esiste ancora una finestra di opportunità.
I modelli di ricerca più recenti calcolano che per evitare i peggiori effetti del cambiamento climatico l’equivalente massimo di gas serra in biossido di carbonio immesso nell’atmosfera debba essere di 450 parti per milione. Adesso è ancora possibile evitare di raggiungere tale soglia mettendo in atto rapidamente le tecnologie e le politiche attualmente disponibili. Se ci si decide politicamente le soluzioni spunteranno da sole.
In Gran Bretagna ci possiamo mettere sulla giusta strada riducendo le emissioni di biossido di carbonio del 3 per cento annuo, tutti gli anni. Si tratta di una misura fattibile e abbordabile. Si può raggiungere questo obiettivo attraverso le fonti energetiche rinnovabili, la ricerca dell’efficienza nell’suo dell’energia, un uso più pulito dei combustibili fossili e, soprattutto, con la riduzione delle emissioni dovute al trasporto, compreso quello aereo.
Una grande fonte potenziale ancora inesplorata è costituita dalle fonti di energia rinnovabili. Non si tratta soltanto delle fonti eoliche, sulla costa e sul mare, ma anche di un ampio spettro costituito da altre tecnologie, come quello solare, delle maree e del moto ondoso.
Un uso più efficiente dell’energia deve essere in prima linea nel tentativo di ridurre le emissioni. Una ricerca dell Oxford University Environmental Change Institute ha mostrato come si possono ridurre del 60 per cento le emissioni delle nostre abitazioni mediante un miglioramento delle tecniche di costruzioni e dell’efficienza energetica nelle abitazioni esistenti, notoriamente versate allo spreco. Solo il 18 per cento delle abitazioni inglesi risultano ben isolate termicamente, eppure esse consumano il 30 per cento dell’energia nazionale.
Si può, e si deve, usare il nostro combustibile fossile con il 40 per cento in più di efficienza. Per esempio combinando assieme le centrali di riscaldamento e quelle energetiche. Come misura temporanea possiamo anche riutilizzare stazioni energetiche a carbone con impianti di riscaldamento a più grande efficienza. Considerate tutte queste piccole cose che possiamo fare subito, in modo relativamente agevole, non c’è da meravigliarsi che i grandi gruppi ambientalisti siano uniti nell’opporsi al nucleare. Questa fonte costosa e screditata di elettricità ha bisogno di oltre 15 anni prima di portare il suo contributo, si tratta di anni cruciali durante i quali dovremmo ridurre le emissioni, e non aspettare che il nucleare si faccia vivo con le false premesse di oltre cinquanta anni prima.
Anche le emissioni dovute ai trasporti possono essere affrontate. Anche se il Department for Transport è famoso per aver ignorato i cambiamenti climatici e per aver permesso che le emissioni continuassero a aumentare sempre più, tuttavia proprio le sue ricerche hanno dimostrato come l’uso di macchine ibride e un trasporto pubblico migliore possano ridurre le emissioni del trasporto di superficie di circa la metà.
La grande sfida è quella di riuscire a mettere in pratica tutte queste tecnologie e fonti alternative. Non soltanto qui da noi ma anche nei paesi che contribuiscono di più all’inquinamento. Qui, come altrove, è la volontà politica che manca. Però persino negli USA vi sono segnali di speranza. La pressione interna ha contribuito a bloccare il tentativo dell’amministrazione Bush di far fallire i colloqui internazionali a Montreal dicembre scorso, mentre molti stati e città degli USA stanno prendendo le loro proprie iniziative per ridurre le emissioni. Perfino la destra religiosa si sta muovendo.
La Cina, il Brasile, l’India e gli altri paesi che si stanno sviluppando a ritmi veloci costituiscono delle sfide molto diverse. Essi devono chiedere aiuto ai paesi sviluppati se vogliono passare all’utilizzo energetico con basse emissioni nocive invece di passare automaticamente alla fase di spreco primitiva. Intanto in Gran Bretagna la campagna degli Amici della Terra a favore di una legge sul Cambiamento Climatico, che obbligherebbe il governo a rendere operativo la riduzione delle emissioni anno per anno, ha ottenuto l’appoggio di 319 parlamentari.
Certamente Lovelock ha ragione quando pone in risalto il fatto che Gaia si può vendicare, ma non è ancora il momento di scrivere la guida di come sopravvivere agli effetti del riscaldamento globale. Una cosa è certa: cessare di combattere contro il cambiamento climatico in questa momento sarebbe pura pazzia. E’ rimasto poco tempo, però ce n’è ancora.
Tony Juniper è il direttore dell’associazione Friends of the Earth (Amici della Terra) (Inghilterra, Galles e Irlanda del Nord.)
Fonte:www.commondreams.org
Link:http://www.commondreams.org/views06/0117-24.htm
20.01.06
Scelto e tradotto per www.comedonchisciotte.org da VICHI