DI GIANLUCA FREDA
comedonchisciotte.org
Nota della redazione: Con questo articolo inizia la collaborazione con “comedonchisciotte” di GIANLUCA FREDA che ringraziamo
“Il diritto signorile di imporre nomi si estende così lontano che ci si potrebbe permettere di concepire l’origine stessa del linguaggio come un’estrinsecazione di potenza da parte di coloro che esercitano il dominio: costoro dicono “questo è questo e questo”, costoro impongono con una parola il suggello definitivo a ogni cosa e a ogni evento e in tal modo, per così dire, se ne appropriano”.
(Friedrich Nietzsche, Genealogia della morale, I, 2)
Giunge inesorabile, con l’approssimarsi fatidico del 24 maggio, l’ora fatale della rutilante lezione su Giuseppe Ungaretti (nella foto, ndr) (“Modulo 5 del programma disciplinare, anno scolastico 2015-2016: l’Ermetismo e la poetica del Novecento”). Com’è d’uso, inizio a scandire deferente, dinanzi alla classe in quiescenza, il testo di “Veglia”, compitando con esaperante lentezza i rattratti versicoli, sillabando i participi passati con aspro stridor d’allitterazioni dentali e alveolari (“Butttttato! Massacrrrrratttto! Digrrrrignatttta! Penetrrrrrattta!”).
Ammutolisco ossequioso e repentino, per la canonica mezz’oretta, dinanzi alla pausa sublime tra la prima e seconda strofa, mentre gli allievi levano torpidamente verso la cattedra occhi ricolmi di speranza in un mio improvviso colpo apoplettico; come in quella leggenda metropolitana del maestro morto in piedi mentre leggeva lo “Zang Tumb Tumb” di Marinetti, senza che nessuno distinguesse i suoi rantoli dalle deflagrazioni futuriste della Battaglia di Adrianopoli.
Istrionicamente, provoco la classe assonnata, affermando che per offrire della lirica in esame un’interpretazione adeguata, occorrerebbe fermarsi in assoluto silenzio, per cinque o sei ore, dinanzi alla pausa strofica, prima di dare lettura degli ultimi, densissimi tre versi, esito di una lunga riflessione condotta nel più profondo silenzio. Ottengo in risposta il pianificato sghignazzo oligofrenico ed alcuni ilari nitriti (iiiiiii…). I più ribaldi propongono di andare a prendere la tenda da campeggio, la chitarra e le salsicce da arrostire, in attesa del lancinante explicit lirico.
Il silenzio è qualcosa che in Ungaretti assume un valore poderoso, un’intensità di significato inaudita, ma che risulta oggi impossibile da comunicare alla generazione della discoteca e del battibecco whatsappico. Comunicare il silenzio è, in effetti, più un ossimoro che un obiettivo didattico razionalmente concepibile.
Non si può capire una poesia come “Veglia”, se non si prova a immaginare come dev’essersi sentito Ungaretti in quell’antivigilia d’un Natale di guerra di più di cent’anni fa, nel buio della trincea, nel gelo del Monte San Michele, con la morte stesa al suo fianco e tutt’intorno il silenzio più profondo che si possa immaginare. A sprazzi qualche breve lamento dei compagni infreddoliti o feriti, qualche scoppio di artiglieria lontana o minacciosamente prossima, poi di nuovo silenzio assoluto, per ore ed ore. Unica luce quella della luna, che nel succedersi dei versicoli rivela, un pezzo alla volta, l’anatomia sconvolta del compagno straziato: la disarticolazione delle membra (“buttato”), le ferite orribili (“massacrato”), la bocca, i denti (“digrignata”), le mani contorte.
E’ in queste notti, è in questo gelo rischiarato dai razzi illuminanti, è in questo silenzio senza fine che termina, ciclicamente e inevitabilmente, il rumore assordante delle nostre fasi storiche. In esso tacciono i nostri discorsi. Qui finisce la prosopopea positivista sulle illimitate capacità dell’uomo di creare progresso e benessere attraverso la tecnologia. Qui tacciono tutte le chiacchiere rivoluzionarie sull’eguaglianza e sui diritti: si tocca ora con mano che qualcuno o qualcosa, come diceva Totò, aveva già provveduto a renderci uguali fin dall’alba dei tempi. Qui, alla presenza tangibile non solo della morte, ma della fragilità umana (eravamo come foglie, sugli alberi, d’autunno, e non lo vedevamo!) ammutolisce la retorica risorgimentale sul coraggio, sul valore, sugli eroi. Qui, in quest’oblio punteggiato da scoppi fugaci, alla starnazzante e secolare protervia dell’Europa parolaia viene staccato l’audio, viene tolto il microfono per sempre.
Ungaretti tenta come può di rendere graficamente queste inopinate sonorità della guerra, con le sue poche sillabe scarne che emergono dall’immenso bianco della pagina come piccoli e rari suoni immersi in un silenzio infinito. E’ questo che dà alla sua poesia quel ritmo e quella cadenza così peculiari.
Ma in quel silenzio, all’improvviso, si nota qualcosa di strano, mai visto prima. Le parole, così affondate in quella quiete, acquisiscono inaspettatamente una forza straordinaria, una capacità non solo evocativa, ma creativa, che nessuno poteva sospettare. Le parole “vita” e “morte” iniziano a risplendere di un significato diverso, così dissimile da quello limitante e ridicolo in cui lo squittìo della scienza medica le aveva confinate; la parola “fratelli”, udita pronunciare una notte nel buio della trincea, riesce a trasformare tanti singoli individui perduti nell’oscurità in un gruppo coeso, capace di ribellarsi alla propria fragilità e di resistervi; parole banali come “foglie”, “alberi”, “mare”, “nebbia”, acquisiscono improvvisamente un senso poderoso, quello che possedevano quando per la prima volta, all’alba dei tempi, un uomo utilizzò certi suoni per identificare sezioni specifiche della realtà, distinguendole così dal tutto e portandole ad esistenza. La potenza demiurgica delle parole, annichilita dal frastuono della comunicazione, umiliata dall’uso quotidiano, accuratamente disinnescata dai barbagianni preposti alla trasmissione del sapere, si riprende, nel silenzio, la sua funzione generatrice.
E la luce! Quando la vedi sorgere, quando, in trincea, la senti attenuare il freddo e dissipare il buio, capisci che non è più soltanto una parola, né il fenomeno astronomico d’imbarazzante prosaicità descritto nei libri grifagni delle accademie. Essa è invece una divinità che ti parla, che ti trasmette con un linguaggio misterioso il senso dell’appartenenza ad un’immensità sacra di cui sei parte, che t’illumina d’immenso. Una scoperta che ti riempie di una gioia folle, ultraterrena. La stessa gioia che ti farà intitolare, paradossalmente, “L’allegria” la raccolta delle tue liriche nate nel fumo e nel pianto della guerra.
In trincea i dogmi della scienza positivista perdono tutto il loro charme: non è più così semplice, adesso, chiamare “barbari” o “selvaggi” i cavernicoli che adoravano il sole, vero?
Ci si sente obbligati ad onorare questo miracolo, questa resurrezione delle parole, ponendo ciascuna di esse, con il suo immenso carico generativo, in posizione di spicco, incoronandola come unità metrica a sé, lasciandola risplendere, sola al centro del silenzio, del potere che ne emana.
“Veglia” non è altro che questo: un risveglio, sfolgorante e inarrestabile, della potenza creatrice delle parole nel singolo individuo, il quale riscopre, nella gestazione del silenzio, di contenere in sé la loro energia primordiale. Le sue parole, ridestate, “penetrano” ora come un fiume in piena nel balbettìo sconcio della comunicazione di massa e generano, da questa morte, un desiderio di vita incontenibile. Ricostruiscono una realtà nuova sulla frastornante tabula rasa di valori e certezze da cui ogni epoca storica cerca infine scampo, ricorrendo alla guerra come a una palingenesi: “Dopo tanta/ nebbia/ a una/ a una/ si svelano/ le stelle”.
Ricordo, da bambino, di aver sperimentato questo potere delle parole in certi pomeriggi silenti e pieni di sole – più montaliani che ungarettiani, in verità – in cui, mentre il mondo giaceva addormentato, davo un nome alle mie sensazioni e ai miei pensieri. Fu in questi pomeriggi che riconobbi in me – nominandoli e facendoli così esistere – la malinconia, il rimorso, il dolore. Fu in questi pomeriggi che, col potere della parola, decisi che Dio (intendo: il Dio terribile e vendicativo delle Sacre Scritture) non esisteva e non poteva minacciarmi, scacciandolo così per sempre dal mio paradiso terrestre. Fu in quei pomeriggi che costruii la mia realtà, come fanno tutti i bambini che si avviano a diventare adulti: ed era una realtà ricca di significati, complessa, che connetteva strettamente universo esterno e universo interiore. Una realtà in cui, tutto sommato, ho vissuto abbastanza felice.
Se quanto detto fin qui sembra soltanto il delirio di un folle, chiedo scusa ai lettori, nonché ai miei allievi, ai quali, anno dopo anno, propino questa solfa. Lo faccio nella segreta speranza di produrre, anche in loro, il “risveglio” che una vita fa salvò me (e Ungaretti) dalla schiavitù verso quei signori del rumore (potremmo chiamarli “dei del tuono”), i quali, appropriatisi delle parole, ne gestiscono il significato e il potere creativo, affogandole nel bailamme mediatico, mutilandone e stravolgendone l’accezione, costringendoci tutti ad abitare nella realtà rarefatta e distorta che essi stessi hanno progettato per noi.
Osservo i messaggi che piovono sul mio gruppo Whatsapp: parole ridotte a scheletri, a resti consonantici ossificati (xkè, tnt, nn…), ad orribili spettri senz’anima, composti di solo significante, che ululano telematicamente i loro lugubri sogghigni (Eheheheh, ahahahah…); oppure rimpiazzate, dopo morte, da miserande faccine giallastre che, in un gesto d’estremo oltraggio, si producono in pernacchie, linguacce e strabuzzo d’occhi, là dove un tempo regnava il calore vibrante del senso compiuto.
Osservo le prime pagine dei giornali ed è un’esibizione degli orrori: parole come pesci morti, distese con pupille spente nella loro bara di sale refrigerata. “Addio a Tizio”, “Addio a Caio”… Ogni giorno che Dio manda in terra si dà l’addio a qualche idiota. La parola “addio”, così privata, così evocativa, così semanticamente densa, degradata a barboso necrologio, a coccodrillo piagnucolento di celebrità insulse. Parole un tempo vitali come “violenza”, “immigrati”, “donne”, “razzismo”, sterilizzate, separate dal loro significante concreto e poi ricomposte in mille e mille configurazioni ideologiche contronatura, come agghiaccianti mostri di Frankenstein. Parole cancellate per sempre, come “negro”, “giudeo”, “handicappato”, “minorato”, “vecchio”. Parole che si dibattono come mosche nella tela del ragno, come “bimbi”, un tempo evocativa di giochi e sorrisi, oggi effigie di cadaverini straziati dalle bombe. Sarà per questo che sento ormai, negli asili nido, definire “ragazzi” anche i lattanti? I bimbi evocano ormai solo immagini di morte…
Su tutto incombe l’oscena macedonia di serio e faceto, di tragico e frivolo, di eccidio e musica rap, che appiattisce, tritura, mutila le parole, riducendole a suoni semanticamente neutri e dunque tinteggiabili, all’occorrenza, della sfumatura preferita dai loro manipolatori.
I fabbricanti di mondi erigono per noi sontuosi templi del rumore (reality show, talent show, talk show, discoteche), ben sapendo che il potere demiurgico della parola nasce nel silenzio e muore nello strepito. “Non gridate più, non gridate / Se li volete ancora udire / Se sperate di non perire”, supplicava inascoltato l’Ungaretti del secondo dopoguerra, quando la macchina della propaganda stava rimettendosi in moto come una schiacciasassi, con una pervasività mai vista prima.
Non so più come spiegare, ai miei alunni e al mondo, che questa è un’immensa tragedia.
Dove non ci sono più parole, non ci sono idee, e dove non ci sono idee non è più possibile costruire nessuna realtà, se non quella rarefatta e disadorna che può scaturire dalle poche, storte e macilente sillabe di cui ancora i media non si sono appropriati. Senza parole siamo nudi, impotenti, inquilini con sfratto esecutivo di una realtà in affitto. Senza parole, siamo servi degli dei del tuono.
Riuscite a capire di che cosa siete prigionieri?
Riuscite a capire chi vi ha tolto l’audio, chi vi ha strappato la voce?
Gianluca Freda
Fonte: www.comedonchisciotte.org
1.06.2016
Con questo articolo inizia la collaborazione con "comedonchisciotte" di GIANLUCA FREDA che ringraziamo
Gran bella notizia.
Ampiezza mentale e bella penna.
Ciao Gianluca, ti leggevo fin dagli inizi, felice di risentirti.
"Dove non ci sono più parole, non ci sono idee, e dove non ci sono idee non è più possibile costruire nessuna realtà"
Al contrario: la postmodernità si fonda sulla ridondanza, proprio per questo il digitale esiste creando la iperrealtà. Simulacri digitalizzati, questo è Matrix. La luce non è più analogica, la luna è diventata poca roba rispetto ai pixel che quotidianamente illuminano la Via dell’uomo postmoderno.
Lo scontro tra digitale ed analogico vede sconfitta la parola, trasformata da simbolo a simulacro comunicativo. De Saussure non se l’aspettava….
Quale tragedia? L’apologetica della guerra che illude l’ingenuo di turno all’affratellamento "universale", coprendosi gli occhi e le orecchie di fronte alla immensa stupidaggine e orrore che e’ essa stessa la guerra? (come tutte le guerre). Che e’ "bella" solo agli occhi di chi non deve morire e ne può fare la "narrazione" apologetica? O la tragedia e’ il messaggino what’s up o la musica Rap che "appiattisce" il guerra fondaio che non si sente più "heroes" nei suoi deliri di anima bella con la penna?
NON C’E’ PIU’ AUDIO
Ben tornato a un grande e onesto comunicatore.
Suvvia, tragedia…. Diciamo che è un pollaio, da dove il bravo pollo deve saper uscire….
Mamma mia che palle di articolo lamentoso, mieloso, ricattatorio e piccolo borghesemente autocompiaciuto.
Rottura di cazzopoesia (già solo per questa frase si capisce quale sublime genio didattico lei sia. Si è dimenticato però di prescrivere che mentre tacciono devono inginocchiarsi con il capo cosparso di cenere). Li faccia parlare, con lei e fra loro. Piano piano si accorgerà che prenderà finalmente forma qualcosa che è il sentimento di inutilità e impotenza che attanaglia tutti i giovani delle classi subalterne.OSTENTANDO non osteggiando.
Ecco perché mio figlio odia la scuola… Intellettuali senza intelligenza, che palle… Blablabla compiaciuti e fini se stessi… Quindi inutili…
cito
"Riuscite a capire di che cosa siete prigionieri?
Riuscite a capire chi vi ha tolto l’audio, chi vi ha strappato la voce?"
SI ma non posso dire chi sono perché mi hanno strappato la voce
Chapeau all’autore di questo articolo
Pure io vorrei citarne un brano:
Mmmmhhh…. potevi startene zitto. Non sempre poi gli intelligentissimi odiano la scuola… a dire il vero quasi mai.
Mi dispiace che lei viva così male. E’ perché anche lei non ha più audio. Non se ne accorge? "Ribellione", "antimperialismo", "borghesia": sono parole non sue, che altri hanno coniato e riempito del loro senso per lei. Lei ha un disperato bisogno di Ungaretti, stramorto o non stramorto.
Non avere paura, lotto anche per te, pover’uomo.
Molto generoso, ma mi serve più gente che sappia pensare. A lottare riesco anche da solo.
A proposito, nell’articolo ho commesso una grave dimenticanza: mi sono scordato di citare, nella mia minima crestomazia, le "parole zombie", cioè quelle parole morte, che non significano assolutamente niente, ma che vengono coniate e fatte muovere dai media come se straripassero di vitalità e di senso sublime. Parole, appunto, come "ribellione", "imperialismo" e i loro derivati. Ulteriori piccoli mattoni della cella di non-pensiero che ci hanno edificato intorno. L’unica "ribellione" che riesco a concepire in questo momento è quella contro questi morti semantici che camminano, propedeutica a qualunque altra azione.
Lo so poverino, sei uno che sa lottare ma che non sa pensare.
Ahahah…ma sei il poverino lamentoso che ha scritto l’articolo.
Si dà il caso che io insegni anche letteratura latina. L’istinto sarebbe quello di difendere il povero Catullo dagli squilibrati così privi di parole (dunque di idee) da scorgere simboli fallici e imperialismi perfino nella sua poesia. Mi torna però in mente il vecchio adagio: "Absentem laedit, cum ebrio qui litigat".
Qualcuno qui aspetta ancora l’annunciata lettura critica de Las meninas, ma fa lo stesso: e’ gia riuscito comunque a recitare il suo monologo da ‘attimo fuggente’ alla Robin Williams.
"NO HAI BANDA" diceva David Linch nel suo splendido film Mulholland Drive.
Anche in quel caso era il silenzio, ma un silenzio terrificante perché era visto dalla prospettiva di personaggi immersi nella realtà di Hollywood, dove essere "in" significava partecipare al gioco e essere "out" era la tragedia di una vita da barboni e di un silenzio assordante. L’esclusione sociale. "No hai banda".
Ungaretti e David Linch, un accostamento azzardato, magari un’idea per un tema…
"Tutti sono capaci di parlare il Troll. Tutto ciò che bisogna fare è puntare il dito e grugnire".
Ahahah…ecco l’uomo con il QI più basso di ComeDonChisciotte.
Ma sta zitto pirlotto che sono cose che pubblica JSTOR che non sai nemmeno cos’è.
Mi cita Harry Potter…
Catullo non fa allusioni, è molto esplicito nel suo erotismo. Se deve dare del testa di minchia a qualcuno, lo fa senza mezzi termini, come nel carme CXV. Chissà se fosse qui cosa penserebbe di uno che non sa riconoscere l’erotismo da un "simbolo fallico". Quando dico che vi mancano parole non elaborate da altri, caro signor Mentula, è questo che intendo: de te fabula narratur.
Può darsi, ma se io faccio l’insegnante di letteratura italiana e latina e lei invece è ridotto a fare il troll ci sarà pure un motivo. Probabilmente è un complotto borghese imperialista.
Non si capisce esattamente a chi o di chi parli.
Comunque, giusto per la cronaca:
1. Ungaretti nelle trincee del Carso ci stette, come una foglia d’autunno che non sa quando è il suo turno di cadere. Eppur non volendo, contro ogni logica e contro la natura, che il suo turno arrivi, la foglia si trova impotente, anche solo a contemplare la speranza (il miracolo?) di non doversi staccare dal ramo.
2. Era dunque contro la guerra. Proprio perché ci ha sbattuto il grugno contro. Cioé radicalmente contro, non "di principio". E nessuno può riuscire a usarlo per farne una narrazione apologetica. Con tutta la cattiva volontà del mondo.
3. La tragedia è che qualcuno pensi che, siccome le classi dominanti ambiscono al controllo del linguaggio, non ci sia possibilità di sfuggire a questo controllo, e proprio per mezzo del linguaggio. E questa è un tipo di guerra. Una che non ci si può permettere di perdere. Che tuttavia stiamo perdendo, ma non sul campo: la perdiamo traditi da personalità vili e depresse, dotate di troppa autostima per sporcarsi le mani e combattere.
Whatsapp non è una tragedia in sé, più di quanto lo sia un cercapersone (per chi si ricorda ancora cos’era). Lo diventa solo perché è sommata al resto del nostro mondo. Quello in cui si viene addestrati a esprimersi in 150 caratteri anche quando si potrebbe andare oltre, perdendo così di vista l’obiettivo del linguaggio, che è trasferire i pensieri fra gli uomini, costi quel che costi in termini di parole.
È arrivato l’ebefrenico.
Ahah…poverello di Assisi, io uno stipendio di merda basso come il tuo non lo accettavo nemmeno il primo giorno di lavoro della mia vita.
Senta, qui l’insegnante sono io e lei è l’alunno che straparla di sciocchezze leggiucchiate su internet senza avere studiato. Il mio voto è 2, ora vada al posto e faccia silenzio, che ho da far lezione.
Io non credo che lei lavori. Penso che sia uno dei tanti disoccupati che ingannano i morsi della fame trollando qua e là sui forum. Lo si deduce dal suo eloquio, di livello assai misero, dalla sua totale mancanza di cultura e di pensiero complesso, nonché dal fatto che abbia così tanto tempo da perdere in tentativi di nascondere ciò che realmente è (e che un insegnante vede benissimo).
Ma che lezioni pipparolo, da voi è mezzanotte e stai su con i filmini pornografici.
"A proposito, nell’articolo ho commesso una grave dimenticanza: mi sono scordato di citare, nella mia minima crestomazia, le "parole zombie", cioè quelle parole morte, che non significano assolutamente niente, ma che vengono coniate e fatte muovere dai media come se straripassero di vitalità e di senso sublime. Parole, appunto, come "ribellione", "imperialismo" e i loro derivati. Ulteriori piccoli mattoni della cella di non-pensiero che ci hanno edificato intorno. L’unica "ribellione" che riesco a concepire in questo momento è quella contro questi morti semantici che camminano, propedeutica a qualunque altra azione.
(GF) "
Ciao Gianluca. Naturalmente ho letto anche il tuo scritto. Pero’ e’ in questo commento che riesci a darne una sintesi. E poi piu’ sopra anche nell’altro commento: "Ho bisogno di gente che sappia pensare".
Credo che la realta’ oggi piu’ generale e’ che tutte quelle parole zombie siano appunto prive della matrice delle Idee, ma ferreamente ormai codificate, quelle parole, in un duro meccanicismo dialettico. Apprezzo molto Hegel, ma oso affermare che le Idee abbiano a loro volta origine dal pensiero, o meglio da un giusto e vero pensare. Spesso si identifica l’Idea col pensare, in realta’ essa viene colta dal pensare.
Sai scrivere molto bene. E quando dimentichi di metterci qualche parolaccia il risultato e’ ancora migliore. Non fraintendere, non sono una bacchettona, mi piace anche dare il giusto risalto alla forma. E rimane sempre che il concetto-contenuto di fondo, ossia la sostanza di cio’ che vuoi comunicare in questo articolo, e nei commenti, sia veramente cosa rara di questi tempi. Grazie.
Credo che i tuoi alunni siano fortunati. Non demordere, amali sempre e comunque, vivono in un’epoca cruciale. E continua ad insegnare la tua “ribellione”.
Certo che non lavoro. Ma ci mancherebbe.
Come no, io invece sto scrivendo da Copacabana Beach. Deve avere molta fame, poveretto, per avere simili allucinazioni… se voleva i soldi per un panino bastava chiedere, senza scomodare Shakespeare e Catullo, che hanno cose più importanti a cui badare.
Professor Keating, che abbia voglia di salire in cattedra, coi piedi o no, mi sembra manifesto. Non so perche’ ci abbia ripensato a proposito del saggio su las meninas: avra’ patito un po’ di menefreghismo da queste capre. Ma non se la prenda con nessuno se ho colto l’occasione per rammentare il suo annuncio di tempo fa, quando ci preparava al disvelamento del misterioso personaggio del pianerottolo. Galeotto (si dice cosi’?) e’ stato il suo excursus artistico.
Ma no cretino, ci sto veramente.
Ti ho detto: leggi il libro e dimmi cosa (cazzo) ne pensi.
La questione del personaggio sta scritta nel libro, se ti interessa.
Pensare per le mente è fatica e dolore. Qui su CDC sono in tanti che urtano contro il muro della fatica di credere e di comprendere, credere a un futuro diverso dalla disgrazia che è loro stata promessa, una disgrazia che lo spioncino dentro cui gli è concesso onore di gettare l’occhio di tanto in tanto, internet e il resto del telemondo, fornisce anche modo di battere tre volte annunciandosi come i fantasmi e persino a volte dire qualcosa di scomposto come reincarnazioni della Pizia.
Tutto ciò fa stare loro forse un po’ meglio, ma non sempre: è un analgesico per l’anima perduta nelle fitte trame della rete, quella dei Maghi oscuri del futuro e quando non fa quel che deve, lenire il dolore, diventa l’agghiacciante urlo dei dannati.
Maghi che intrecciano continuamente significati virtuali, dentro mondi virtuali, perfettamente coerenti a se stessi, non fanno altro che produrre Prigioni per la mente dei teleutenti: pringioni confortevoli, dolci, tristemente desiderabili.
Il ricatto è semplice: se non vuoi dolore allora non devi fare altro che eseguire l’ordine di tradire. Tradire te stesso, tradire il bene tuo e quello del tuo prossimo. Come? Ancora più semplice, dato che l’emozione batte sempre la ragione, la domina, allora dovrai solo lasciarti andare al piacere, che però (che peccato) già Socrate notava che è vicino al dolore: tanto più soffri, tanto più dipendi dal piacere. Semplice, no? Così non è necessario dominare la sofferenza, basta avere le chiavi del piacere e affondare il mondo (indiscriminatamente) in un mare di dolore. Qualunque dolore, da quello banale del teleutente a quello del terrore seminato dalla pura follia. Prendi un branco di persone, le addestri al dolore perpetuo, cancelli loro la ragione e li mandi nel mondo a replicare il verbo del terrore. Anche questo non è complicato da capire. Solo che non serve.
Perché l’emozione batte sempre la ragione. Peccato che la formula del mago, sia sempre tagliata in due dalla spada. La spada ha due faccie, come le monete: non è bene guardarla di taglio, potrebbe essere doloroso o persino la tua fine … anche se le due facce così diventano UNA: l’arma puntata contro di te. Come internet (fa pure un po’ rima!).
Allora dov’è l’altra metà della formula? Eccola: senza ragione non c’è l’emozione. Per ciò è la ragione che genera emozione. Ma quanti sono disposti a manipolare le loro ragioni più ragionevoli per il solo scopo di convertire il dolore in amore? Qualcuno ci ha provato nel tempo, ma sfortunatamente la storia ci dice che due sono le strade che rimangono a questi eroi e nessuna delle due è desiderabile: divenire solitari, cercatori spersi nel nulla cosmico di un esistenza anonima, minuta più del fotone, oppure per gli altri, per chi s’azzarda a rimettersi al pubblico … beh, davanti c’è una strada lastricata di sofferenza e mai costui potra dire se ad ogni passo non cederà in ginocchio innanzi alla spietata Dea del destino e morire per Lei.
Una Dea di struggente bellezza che ci offre tanta più ricompensa, tanto più si avanza indomiti dentro la via della corruzione. L’indomabilità la eccita. Per ciò non dovremmo temere la corruzione becera materialista, quella viene sempre dopo. La corruzione è data dall’essere travolti dalle emozioni, essere dominati dal piacere.
Non perchè sia ingiusto (il piacere) o perché non siamo fatti anche per il benessere, ma perché banalmente è così che si diventa schiavi andorando la propria schiavitù, difendendo accanitamente il padrone (persino) spesso senza nemmeno capire ciò che si sta facendo. Altro mezzo non c’è: allora penso che Ungaretti, caro professore, avesse come molti le orecchie fini ma gli occhi velati come tutti i veggenti.
Non si può guardare le stelle con le orecchie, questo gli Dei o i demiurghi del nostro destino, lo sanno bene. Così rendono ciechi i poeti e ci offrono per tramite della loro bocca il piatto della spada, che fa meno male del taglio. Anzi, spesso sembrano burlarsi di noi e per un attimo, ci paiono quasi umani (queste divinità).
La folla è cieca, resa tale dal troppo dolore (più che altro quello interiore, del vuoto di significati) a volte persino aggiunto a quello fisico (dell’indigenza) e mentale (dell’angoscia) e si fa "long playing" umano della disgrazia. Che disastro (in quel caso).
Solo le anime oscure possono sguazzare nel mare nero dell’incoscienza, traendone vantaggio: per ciò sono in tanti in fila davanti ai botteghini scolastici dei Maghi Oscuri. Vogliono briciole, sono disperati, sia chiaro, vogliono solo giusto ciò che occorre per stare in pace e i Maghi sono sempre generosi, li accontentano tutti. Per le altre anime perdute, quale coraggio dovranno coltivare se non quello ultraterreno? Ma pure lì è facile perdersi, forse persino più facile. Non c’è scampo.
Non sono un eroe, non mi vergogno a dire che temo di guardare l’arma per il taglio, chiunque sia a reggerla, persino se fosse in mano mia. Non lo faccio spesso in pubblico e in genere non mi attardo con puntiglioso cipiglio a spaccarmici il capello. Giusto un’occhiata fugace con il batticuore di perderci l’irreparabile. Non sono mai certo che sia un bene. Ma veniamo a Ungaretti che sennò si fa tardi, tanto ormai questa ho deciso di concederla al mio demone socratico che mi perseguita.
Come per il Mago, forse più come sciamano, Ungaretti ci dice quant’è prezioso il silenzio a metà, senza per ciò dimenticare "quale" silenzio, vediamo "perchè" affermo che la sua è metà della formula: il tuono (come il rullo del tamburo) è il rumore che cancella le parole, quando le parole hanno bisogno di essere cancellate. Sennò è solo l’annuncio della pioggia che rende feconda la terra.
Quindi possiamo vedere il mondo come dominato dal rumore interiore (e non dai silenzi) oppure possiamo vedere quel rumore come il mal di testa del malato, la giusta difesa spirituale all’assalto interiore dell’esercito oscuro: il muro della disperazione. Possiamo curare il dolore con un analgesico e abbattere il muro offrendo il fianco alla sterminata moltitudine degli abomini, per diventare schiavi, posseduti, oppure imparare a sopportare senza farci spezzare la volontà, forgiando lo spirito sull’incudine delle divine maledizioni. Senza cedere al suadente abbandono emotivo.
Comunque impareremo la legge del ferro: che sia con le buone o con le cattive. Che sia per strisciare come le serpi o camminare eretti, come gli Uomini e solo per sfidare gli Dei. Comunque impareremo che non c’è orgoglio in nessuna vittoria e non c’è tragedia per nessuna perdita. Ma per il Dio o chi per esso, ogni volta per farlo avremo la sola certezza di essere obbligati a guardare il filo della spada, per essere divisi da una parte o dall’altra, inesorabilmente. Per ciò questa è l’era del ferro e qui domina il fuoco della fucina di Efesto: la tecnologia.
Ne ho però anche un altra a margine e per qualcun’altro che di classicismo ha imbevuto solo una piccola parte dello Spirito. Si legge nei Vangelo secondo Matteo "margaritas ante porcos, non dare le perle ai porci. Allora io chiedo, cosa accade se ti svegli nel porcile della Maga Circe e con una perla incastrata tra le mani ungulate? Cosa accade se questa perla ti dice che eri Umano e provi a condividere questa con gli unici a cui "la perla" occorre, cioè gli altri resi porci e schiavi? Quelli che paiono ancora umani, nella migliore delle ipotesi servono la Maga, vai a dirlo a loro? Ecco è questo il dilemma del nostro tempo: abbiamo le perle, ma non c’è più nessuno a cui interessano e per c
iò chi le possiede non sa bene cosa farsele e oltrettutto proprio perché le possiede sa di sé solo di essere un pirla.
Mi sa che dal "francese" lei ha già bevuto troppo. Anche questo contribuisce a identificare, con una certa sicurezza, il suo status economico, il ceto sociale a cui appartiene e il suo stile di vita. Individui disastrati come lei ne ho visti spesso, quando ancora insegnavo all’ITIS. Mi dispiace molto per lei. Se solo, da ragazzo, avesse studiato!
Mai quanto in questo momento stanno ridendo di lei. Anche loro frequentano CDC, sa? E sanno riconoscere un insegnante di letteratura da un cretino, mi creda.
Intanto abbiamo appurato che sto effettivamente dal francese ed è già qualcosa.
Prima "Las Terrenas", poi il "francese", poi il "rajah bianco"!
Non ho capito…stai dicendo che mi invento di stare qui?
Sono basita di me stessa! Continuo ad essere d’accordo con lei.
Sono d’accordo con la disamina di BJ e ritengo lei fortunato perché, naturalmente è un mio limite, non scorgo gente che sia capace di pensare e tanto meno di lottare.
[quote]Ulteriori piccoli mattoni della cella di non-pensiero che ci hanno edificato intorno. [/quote] Più appropriato sarebbe che: "credono di averci edificato intorno", generalizzare è sempre e comunque sbagliato.
I toni e le offese reiterate del lettore Black_Jack in questa discussione hanno superato il limite.
I suoi commenti, per ora, saranno sottoposti a moderazione.
La redazione
Badrone, cosa se ne fa di una cotanta nozionistica classica a Santo Domingo?
Ed è lo stesso motivo che anch’io che sono nonna la odio.
Ma come asserisce mazzam non sono intelligentissima.
Per equità; non mi sembra che l’autore dell’articolo che ci posta sia da meno di BJ, perciò tutti e due dovrebbero essere moderati, perché quando si da dell’alcolizzato al proprio interlocutore non credo sia indice di bonomia o di buona educazione.
mmmmhhhh… mi sa tanto che difendi la categoria, e magari non sei nemmeno così disinteressato… gli intellettuali come il signore dell’articolo e come te evidentemente difendono quel mostro senza cervello che è il sistema scolastico basato sul pappagallismo ed il leccaculismo e non sull’intelligenza… intellettuali non intelligenti sono i frutti di questa pianta che forma solamente degli schiavi fieri del loro stato… la repubblica italiana è fondata sul lavoro invece che sull’uomo che compie il lavoro e dagli entusiasti come te viene definita senz’altro la più bella al mondo… a me fa cagare invece… ecco la differenza fra me e te senza che per questo io pretenda che tu taccia come invece fascisticamente fai tu con me… f.o.t.t.i.t.i…
mmmmhhhh… mi sa tanto che difendi la categoria, e magari non sei nemmeno così disinteressato… gli intellettuali come il signore dell’articolo e come te evidentemente difendono quel mostro senza cervello che è il sistema scolastico basato sul pappagallismo ed il leccaculismo e non sull’intelligenza… intellettuali non intelligenti sono i frutti di questa pianta che forma solamente degli schiavi fieri del loro stato… la repubblica italiana è fondata sul lavoro invece che sull’uomo che compie il lavoro e dagli entusiasti come te viene definita senz’altro la più bella al mondo… a me fa cagare invece… ecco la differenza fra me e te senza che per questo io pretenda che tu taccia come invece fascisticamente fai tu con me… f.o.t.t.i.t.i…
senz’altro non rientri nella categoria degli intelligenti che intende lui… lui parla di intellettuali però che con l’intelligenza non hanno nulla a che spartire… è un pappagallo addestrato fin dall’infanzia ad amare la sua gabbietta dorata… e a chi gli fa notare di essere in un simile stato lui lo zittisce… magari vota pure convinto, preghiamo per la sua anima gaia…
Rilevo che ha letto anche dell’altro!!
black jack dietro la lavagna…??? mah…??? ed i professoroni non offendono invece con il loro tono saccente e pieno di loro stessi…??? a me sinceramente urtano più di black…
una perla ad un porco non si da semplicemente perchè non sarebbe assolutamente in grado di giudicarne il giusto valore… il maiale vuole la ghianda come suo unico anelito e logicamente si incazza se gli viene invece posta sotto i denti una dura ed immangiabile perla…
CHE SCHIFO…!!!
l’insegnante gna gna… proprio azzeccato… che miseria…!!! poveri i nostri figli in mano a simili creature morte e sepolte nel loro orgoglio intellettuale…
Vi ringrazio, stavo per chiedervelo io. Del resto, ora che il post ha superato le 2000 letture e i 50 commenti, il buon dominicano non è più utile. Eventualmente potreste sdoganarlo il tempo necessario a far salire il rating, in occasione del mio prossimo intervento?
solitamente leggo molto e commento pochissimo gaia… quindi quel consiglio al silenzio di mazzam io già lo applico costantemente su me stesso… c’è da chiedersi quanto lo applichi mazzam su di se a questo punto… si dice pur che negli altri ti da fastidio quello che tu stesso sei… ecco… si è sputtanato da solo senza saperlo… il professore…
Non accelerare troppo le cose Black_Jack: capisco che sei stufo di mojito e di parlare di letteratura latina con "il francese", ma quando i professori morti di fame, gli alunni famelici, i disoccupati depressi, i pensionati traditi si saranno incazzati veramente, e non contro "l’impiegatuccio", ma contro i figli di puttana come te non ci sarà buco nel quale potrai nasconderti. Preferisci il classico decollamento o vedere i tuoi ori fusi piombarti in bocca?
Beh, no. Intendo tecnicamente.
L’insulto gratuito è offensivo per chiunque legga. Disturba quello che, in termini burolegali, si chiama "un numero indeterminato di persone".
Essere offesi dal contenuto di un articolo è invece personale, soggettivo: una questione di sensibilità individuale. A maggior ragione quando, come dici tu, ti offende non tanto il contenuto quanto il tono. Estremamente soggettivo.
L’aggressione deliberata (cioé con l’intento di offendere e umiliare) contro chi propone un articolo è sempre sgradevole. Anche se tutti incorriamo in questo rischio quando critichiamo un pensiero con cui siamo in disaccordo, tuttavia dovremmo cercare di risparmiare a noi stessi il compiacimento dell’insulto, il gusto infantile del tipo "hah! Glie l’ho fatta vedere!"
Questo può dissuadere dallo scrivere ulteriormente. Una forma di censura.
Tieni anche conto che spesso gli autori ospiti non possono (in effetti non hanno il dovere di) rispondere. E’ scorretto "riscrivergli" l’articolo come piace a noi. Una forma di maleducazione.
La critica è OK. L’accentramento ossessivo della discussione su sé stessi e su cosa si vorrebbe leggere al posto dell’articolo (le cose "giuste") è un po’ sciocco: ci si apre un topic proprio su "cosa penso dell’articolo X in home" e bona l’è.
ben detto,condivido e aggiungo:se l’ipotiposi del sentimento personale,postergando i prolegomeni della mia subcoscienza,fosse capace di reintegrare il proprio soggettivismo alla genesi delle concomitanze,allora io rappresenterei l’autofrasi della sintomatica contemporanea che non sarebbe altro che la trasmificazione esopolomaniaca.
Dunque si occupi di Petrolini e non di letteratura. Purtroppo (o per fortuna, nel suo caso) l’intelligenza non è ancora un obbligo legislativo.
Esagerato!
Black sarà lì, entusiasta, a proporre l’ermeneutica nelle classi.
E gli diranno "Ottimo! Da domani alle 8:00 la cattedra di italiano della Sezione C della borgata di Torre Angela è tua".
E il giorno dopo sarà la prima e l’ultima volta che ha a che fare con la scuola (quella vera, dove in un modo o nell’altro si cerca di dare uno straccio di istruzione ai ragazzi).
Perché le idee di Black_Jack non è che sono sbagliate. E’ che sono solo teoria da anime belle, senza la minima proiezione sulla realtà (qualsiasi realtà, escluso il paesino di 300 anime ristrutturato ad uso di benestanti stressati dalla città, con filippina al seguito).
Proprio come le teorie dei chiaccheroni che "la scuola andrebbe abolita".
E se fosse un equivoco?
Chiarisco un punto: quando dicevo "traditi da personalità vili e depresse, dotate di troppa autostima per sporcarsi le mani e combattere" non intendevo certo Gianluca Freda. Lui in trincea ci sta, tutti i giorni.
Hai ragione sull’esagerazione, ma quando sento parlare qualcuno che con tanta faciloneria giudica il lavoro e pure la persona altrui, ha "soluzioni" in tasca per tutti, da del vecchio ad Ungaretti per aggrapparsi poi a Catullo (solo 2000 anni in più), per finire col vantarsi di essere ricco, ai tropici mentre ciuccia mojito, mi scappa di esagerare.
riconosco i miei limiti. cerco, invano,una prosa essenziale,sintetica ,che miri di più a trasmettere concetti che a dare sfoggio di capacità nell’uso dello strumento linguistico da parte dell’autore.mi dichiaro suo umile scendiletto.
Si sollevi, dolce amico, e rifletta: sto cercando di trasmettere l’idea di quanto sia importante il linguaggio nella costruzione della realtà. Che linguaggio dovrei utilizzare, secondo lei, per rendere un concetto di questo tipo? Monosillabi? Rutti? Invettive gutturali in romanesco?
Il maiale @Gtx1965, siamo noi, quello allevato dai padroni per farci prima o dopo dei salami. Noi che ci arrabbiamo per qualcuno che oltre ogni evidenza tenta solo di invertire l’incantesimo che ci tiene incatenati, portando qualcosa che un tempo funzionava, per ciò aveva un valore.
Ungaretti in questi tempi moderni è di certo nessuno, davanti a un cantante dei vari gruppi Metal o ad un attore che abbia fatto uno dei tanti dark fantasy di successo, tanto in TV come al cinema. Come lui tante figure classiche sono ormai "nessuno": scagliarsi contro Freda o contro Ungaretti è oggi un opera per disperati o per vigliacchi, perchè nella fattoria dove ci sono solo bestie da allevamento, le pagine mitiche di un pensiero altro del tempo che fu, sono per il fango. L’Italia nel bene e nel male ha dato i natali a persone che hanno insegnato cos’è la vita al mondo, più spesso tramite l’arte, ma anche per altre vie: adesso la madre del pensiero umano moderno civile ed egualitario possibile, dove è nato il diritto, la bellezza e il concetto di legalità e dove è stata inventata l’istituzione del tribunale civile, oggi è ridotta a poco più di una baldracca abusata da tutti e del suo fascino sfiorito struggente ne rimane giusto qualche traccia qua e là … Siamo da sempre un popolo nato tra le macerie e abbiamo l’abitudine alle macerie, per ciò Ungaretti è orami come il circo massimo e il colosseo, parte inesorabile di un mucchio di macerie, destinate (bene che vada) al museo.
Fai bene @Gtx1965 a chiarire che il porco non può che mangiare la perla come fosse una ghianda trovandola indigesta e tuttavia davanti a un insegnante che cerca di invertire un incantesimo che sa per certo essere alla base del nostro apparire porci, perchè ci ha visto umani, davvero vogliamo scargliaci contro e farne anche lui maceria? Bene, allora per quanto mi riguarda, non partecipo.
Mi spiace dello scazzo tra Freda e
Black jack.
Il primo è una delle più belle e
interessanti penne della blogsfera, non si discute, e il secondo è
uno che nella sezione Musica ha postato chicche interessantissime, le
più diverse e affascinanti.
Perché in quel paese di merda che si
chiama “italia”, e che non dovrebbe esistere, e di cui oggi
celebrano la truffa del referendum, non riusciamo a far funzionare
mai un cazzo? Neanche una conversazione?
Certamente non guardo CDC per leggere
noiosi sloganisti moralisti e insignificanti come Bertani, Spadini,
Colla, Berardi, Barnard, Martinez e bla bla bla.
Cosa sarà? la maledizione cristiana e
anticlassica per cui tutto ciò che è mediocre e degenere deve
prendere il sopravvento sulle eccellenze?
Oppure è tutta colpa delle mamme
italiane che per loro fiacchezza abituano i propri figli ad essere il
centro del mondo, non hanno il coraggio di scontrarsi, di tenere il
broncio, di fare brutto col figlioletto; adorano consolarlo umido di
lacrime, farsi abbracciare… Così che poi si crea tutta una
genia di uomini bambini che cercano solo la attenzione degli altri,
che combattono per il primato dell’attenzione, cultura da talk
show…
Non potrebbe CDC nella sua seconda
forma istituire un limitatore di interventi per ogni nick? Un numero
massimo per giorno, o per forum, o in qualsiasi altra maniera?
La Polemica è fondamentale, lo Scontro
è fondamentale: la non violenza pacifica e cristianoide è una
degenerazione dell’anima coltivata dai deboli e dai furbi. Ma anche
la Polemica come qualsiasi altra cosa necessita di un’Arte, di una
Disciplina.
Massimo di tre botte il giorno per
topic, non più di sessanta/ottanta righe per intervento: e secondo
me ci divertiamo di più; e vaffanculo libero, a mio modesto avviso,
oppure lista di espressioni proibite.
Non eliminiamo gli scontri,
regoliamoli.
Però non bisogna essere nonviolenti,
animalisti buonisti, femministi frignanti, immigrazionisti proni….
Bisogna apprezzarla la Violenza per
regolarla.
E riusciamo a passare dalla scontro sbracato al dibattito
dialettico.
Del mio infelice post me ne scuso molto.
Ti ho toccato il santino Makkia? Quello impegnato con la penna nera a correggere "la grammatica" simbolo del "valore" che gli hanno inculcato le classi di oppressori?
Poi se all’ "autore", gli piace paragonare la "tragedia" delle guerre sempre buone alle classi di oppressori" con le bambinate odierne del messaggino what’s up, e l’infantilizzazione (che e’ un male certo, ma e’ nell’abuso, non nel messaggino in se’) delle persone ai fini di controllo, buon per lui.
Bellissimi e pregnanti gli squarci di luce che Freda, attraverso Ungaretti, riesce a darci trafiggendo la falsità della nostra epoca. Paradossale però che il suo primo intervento sia come dire: la parola è divenuta chiacchera, slavata nell’oblio dell’Essere ( qui filosofeggio io … ! ) e dunque non serve a nulla: dunque anche intervenire su CDC lo è o no ? Chissà…
Sorvoliamo sul fatto che termini come "sistema" sono stati banditi da tempo, in quanto ignobilmente dozzinali, non solo dal mio pensiero, ma dal mio stesso lessico (come "destra" e "sinistra" intese in senso politico, del resto: le "parole zombie" di cui parlavo altrove). Sorvolando su ciò, lungi da me il desiderio di scatenare un altro flame, però sarei curioso di capire che diavolo s’intenda per "libera ermeneutica interpretativa". Spero che non intenda anche lei riferirsi al metodo esemplificato dal tracannatore di mojito dell’altro thread; e cioè il bel sistema per cui si prendono Shakespeare e Catullo, li si infila nello shaker con condimento di lemmi squillanti e à la page ("Imperialismo! Borghesia! Simbolo fallico!"), ricavandone così uno squisito cocktail analcolico di nonsense. Questo è un lavoro da barman, non da insegnante, né da studioso di letteratura. "Libera ermeneutica" non significa infilare un cibreo di parole nel sacchetto della tombola, estrarne un po’ a caso e disporle come capita l’una accanto all’altra. Perfino Gadamer (che non è il mio idolo) riconosceva che la "libera ermeneutica" deve trovare il suo preciso limite nella struttura letterale del testo. Io insegno (cioè cerco di insegnare) ai miei studenti a non ciarlare a vanvera. Insegno che un testo va letto più volte e va compreso, prima di pronunciare su di esso una singola parola. Insegno che per "comprendere" un testo occorre analizzarlo ed essere profondi nell’analisi. Occorre porsi nell’ottica della persona che lo ha scritto, immaginarsi i suoi valori, la società e l’epoca storica in cui viveva, imedesimarsi nel suo modo di pensare. L’utilità immensa della letteratura sta proprio nel far capire agli studenti che non sono affatto il prodotto più puro e perfetto dell’evoluzione umana, bensì semplici anelli di una catena di significato che si estende a ritroso da qui all’alba dei tempi e che presenta, in ogni suo tratto, diverse strutture, diverse configurazioni, diverse e strane significanze che occorre esplorare. E’ nella letteratura che avviene il vero "contatto col diverso", cioè con modi di pensare e di approcciare la realtà assolutamente alieni. E’ nella letteratura che l’orribile "schiacciamento sul presente" (cioè quella forma di pensiero che tende a ricondurrre l’intera storia umana al qui e ora, come se le epoche passate non fossero che un’appendice senza valore dell’attualità querula) può essere superata e sconfitta. Per fare questo, però, occorre avere un profondo rispetto per il testo, non già infilarlo nel frullatore e ricavarne una spremuta di ciarle a cazzo. Questo rispetto non vuol dire, ovviamente, che il testo – come diceva Bachtin – non possa e anzi non debba colorarsi di significati nuovi col mutare delle epoche: è vero che i classici vivono nel "tempo grande", cioè che la loro immortalità consiste anche nell’acquisire nuovo senso a contatto con le trasformazioni storiche. Vuol dire però che il testo va rispettato e ascoltato, se si vuole che ci comunichi questi nuovi significati; se invece si tenta, anziché di "dialogare" con esso, di sopraffarlo, di zittirlo con la nostra voce, di ruttargli in faccia le nostre ossessioni falliche mentre ci strafacciamo di tequila, allora non è più il testo a parlare, è la nostra bocca che, come spesso accade, si bea dell’aria che le passa tra i denti. Imparare a rispettare un testo, non significa affatto "abbassare il capo" di fronte a chicchessia; significa, al contrario, riprendersi quelle capacità di ascolto, di approfondimento, di riflessione su diverse prospettive visuali, la cui assenza è proprio ciò che rende la generazione attuale così impotente e schiava dell’autorità (qualunque cosa essa sia).
Georgejefferson ha scritto:
"Un insegnante che non e’ capace di "coinvolgere" i giovani e da la colpa "al sistema", e che gli insegna ad abbassare il capo di fronte alla possibilita della libera ermeneutica interpretativa a favore dell’autorità che solo lei puo "interpretare" non e’ un insegnante, e’ un dispositivo di controllo anch’esso che replica la sudditanza verso i padroni, una cosa ben oliata dal sistema, nel mondo accademico".
Sorvoliamo sul fatto che termini come "sistema" sono stati banditi da tempo, in quanto ignobilmente dozzinali, non solo dal mio pensiero, ma dal mio stesso lessico (come "destra" e "sinistra" intese in senso politico, del resto: le "parole zombie" di cui parlavo altrove). Sorvolando su ciò, lungi da me il desiderio di finire nel mezzo di un altro flame, però sarei curioso di capire che diavolo s’intenda per "libera ermeneutica interpretativa". Spero che non intenda anche lei riferirsi al metodo esemplificato dal tracannatore di mojito dell’altro thread; e cioè il bel sistema per cui si prendono Shakespeare e Catullo, li si infila nello shaker con condimento di lemmi squillanti e à la page ("Imperialismo! Borghesia! Simbolo fallico!"), ricavandone così uno squisito cocktail analcolico di nonsense. Questo è un lavoro da barman, non da insegnante, né da studioso di letteratura. "Libera ermeneutica" non significa infilare un cibreo di parole nel sacchetto della tombola, estrarne un po’ a caso e disporle come capita l’una accanto all’altra. Perfino Gadamer (che non è il mio idolo) riconosceva che la "libera ermeneutica" deve trovare il suo preciso limite nella struttura letterale del testo. Io insegno (cioè cerco di insegnare) ai miei studenti a non ciarlare a vanvera. Insegno che un testo va letto più volte e va compreso, prima di pronunciare su di esso una singola parola. Insegno che per "comprendere" un testo occorre analizzarlo ed essere profondi nell’analisi. Occorre porsi nell’ottica della persona che lo ha scritto, immaginarsi i suoi valori, la società e l’epoca storica in cui viveva, imedesimarsi nel suo modo di pensare. L’utilità immensa della letteratura sta proprio nel far capire agli studenti che non sono affatto il prodotto più puro e perfetto dell’evoluzione umana, bensì semplici anelli di una catena di significato che si estende a ritroso da qui all’alba dei tempi e che presenta, in ogni suo tratto, diverse strutture, diverse configurazioni, diverse e strane significanze che occorre esplorare. E’ nella letteratura che avviene il vero "contatto col diverso", cioè con modi di pensare e di approcciare la realtà assolutamente alieni. E’ nella letteratura che l’orribile "schiacciamento sul presente" (cioè quella forma di pensiero che tende a ricondurrre l’intera storia umana al qui e ora, come se le epoche passate non fossero che un’appendice senza valore dell’attualità querula) può essere superata e sconfitta. Per fare questo, però, occorre avere un profondo rispetto per il testo, non già infilarlo nel frullatore e ricavarne una spremuta di ciarle a cazzo. Questo rispetto non vuol dire, ovviamente, che il testo – come diceva Bachtin – non possa e anzi non debba colorarsi di significati nuovi col mutare delle epoche: è vero che i classici vivono nel "tempo grande", cioè che la loro immortalità consiste anche nell’acquisire nuovo senso a contatto con le trasformazioni storiche. Vuol dire però che il testo va rispettato e ascoltato, se si vuole che ci comunichi questi nuovi significati; se invece si tenta, anziché di "dialogare" con esso, di sopraffarlo, di zittirlo con la nostra voce, di ruttargli in faccia le nostre ossessioni falliche mentre ci strafacciamo di tequila, allora non è più il testo a parlare, è la nostra bocca che, come spesso accade, si bea dell’aria che le passa tra i denti. Imparare a rispettare un testo, non significa affatto "abbassare il capo" di fronte a chicchessia; significa, al contrario, riprendersi quelle capacità di ascolto, di approfondimento, di riflessione su diverse prospettive visuali, la cui assenza è proprio ciò che rende la generazione attuale così impotente e schiava dell’autorità (qualunque cosa essa sia).
Troppo materiale da discutere, castagna.
Potresti ricopiare il tuo commento qui sopra nel forum “opinioni”?
(Magari con il titolo “lo scazzo” o uno più politicamente corretto, tipo “duelli verbali”).
Molto volentieri, Truman.
Fatto sotto titolo : "Polemiche. Scontri. Dibattiti."
Non usa il linguaggio per propagandare la sua personalissima (di destra) visione del mondo?
Leopardi, con il suo beffardo "magnifiche sorti. E progressive", era di destra o di sinistra?
Perché a me sembra che Freda
"Qui finisce la prosopopea positivista sulle
illimitate capacità dell’uomo di creare progresso e benessere
attraverso la tecnologia.
lo eccheggi abbastanza, nel primo periodo
che hai citato come visione "personalissima" e "di destra" (salvo poi
dire che glie l’hanno inculcata, personalissimizzazione compresa).
Quanto al seguito del paragrafo:
Qui tacciono tutte le chiacchiere
rivoluzionarie sull’eguaglianza e sui diritti: si tocca ora con mano che
qualcuno o qualcosa, come diceva Totò, aveva già provveduto a renderci
uguali fin dall’alba dei tempi."
Beh… se non sapessi che è Gianluca Freda a scrivere, potrei anche azzardare che si tratta di un leninista puro, uno per cui la guerra è l’espressione ultima del capitalismo. Cioé mandare i proletari a crepare a migliaia, milioni, per conquistare la supremazia necessaria a far pendere dalla propria parte la bilancia di potere, ma in effetti con un solo, miserabile, scopo: controllare nuovi mercati, che siano fruttiferi per i propri capitali.
E di fronte a questa asciutta semplicità di fini, col loro sociopatico e orribile mezzo, l’egalité, la liberté e i diritti delle rivoluzioni borghesi sembrano piccinerie. Chiacchere vuote, appunto.
Non è così.
GF davvero non è di sinistra.
E’ solo per dire come l’enormità della guerra è tale che, a confronto, le differenze fra destra e sinistra svaporano, sono poco più che balocchi dialettici.
L’enormità della guerra è la lezione di Ungaretti. E GF parla di quello.
Ungaretti (o, per mezzo di lui, il mio "prof di ita") mi riconciliano col significato di "enorme", immiserito da un uso troppo frequente, banalizzato.
E me ne rappresentano la densità semantica (che include sia "grandissimo" che "stupidissimo"). E, in un utilizzo finalmente appropriato del lemma, me lo legano indissolubilmente alla guerra, in un’esperienza a un tempo intellettiva ed emotiva.
Se Ungaretti o il prof fanno questo per me, alunno delle superiori. Se mi arredano l’anima col senso profondo, essenziale, ultimo, della guerra… chissenefrega se GF è "fascio" o "zecca" (o se Ungaretti era stato interventista, poi fascista, poi antifascista).
E’ un uomo vero che parla a un uomo in divenire e cerca di aiutarlo a crescere più completo, mettendolo in contatto con un altro uomo vero del passato. Non è una questione di ideologia, ma di umanità.
p.s.:
Credevo anch’io che essere di sinistra facesse la differenza e che "i buoni" fossero tutti dal mio lato della barricata. Poi però ho compiuto 20 anni.
[dovere di cronaca: "esperienze che arredano l’anima" è una frase di Vattimo, non mia]
Non e’ la guerra, o l’indifferenza, piccolo Total, l’autentico contesto della possibile empatia umana che "affratella", quella e’ la menzogna eterna del potere che illude le corti. Le illude di potersi "salvare" da soli. E l’ermeneutica che veicoli senza averne accortezza (che pensi tua per il tuo ego, ma non lo e’, come quella di ognuno) e’ uguale schiavitu della "propaganda" delle classi opprimenti, in scala ridotta.Ma non lo puoi capire, tra una pettinata ai capelli in "disordine" e l’impegno a misurare il valore dalla grammatica.Non hai tempo per questo.
Ma tu pensa quello che vuoi Makkia.
E’ un tantino piu complesso il discorso in confronto alle "citazioni" che servono a giustificare l’annichilimento e triste autocompiacimento delle destre di ogni risma.
Ed e’ anche capibile, spesso tanti invecchiando, perdono la speranza pensando che il naso della loro vita sia l’unico metro di giudizio dei passi avanti (o dei libri storiografici), e passano armi e bagagli nelle file dei dispositivi di controllo (ormai interiorizzati come "natura umana"), ma il sentimento non si puo estorcere (ci provano da millenni) e i rimasugli della polvere rimasta, annichilita, ridondano crogiuolandosi nella disperazione.
Si vede anche dalla concezione di persona come una entita ontologica originale e non si coglie il millenario inganno in quel senso.Perche la vitalita, e’ il giudizio, non la "scoperta". Quella e’ buona per gli automi comandati. Quelli che servono al potere appunto.Se ne fregano le peggiori classi oppressive dei concetti dx sx ? E’ certo, e’ ovvio.Per quello che intendono in tanti come senso macchiettistico, sicuramente. Infatti ha bisogno dei termini bambineschi buoni e cattivi appunto per quello.
He he…vecchia retorica, introiettata per bene.
L’autorita che decide da se, il giusto intendimento o meno, e solo sulla base della "condivisione" accademica (gli esperti che hanno il "permesso" di pappagallare interpretazioni…forti del proprio ego e orgoglio di studiosi).
Peccato che la libera ermeneutica interpretativa non e’ affatto il "rutto" ribelle, quello e’ dello stolto ma piu spesso del senso di ribellione alle catene mentali imposte, proprio quelle del dotto che "sa" comprendere il testo solo perche gli hanno fatto credere che la condivisione dei dotti sia garanzia di "autenticita", ma non e’ la verita unica ontologica il "giudizio" e’ soggettiva decisione, la stessa che e’ negata alle persone facendogli credere che "non si puo", non e’ "reale", ma solo perche puo uscire dai binari e capire che il proprio giudizio non vale meno di quello di un’altro.E’ sempre un atto creativo.
Ed e’ dal libero atto creativo nascono e si decidono i codici di linguaggio ed interpretazioni, non e’ " cosa in se’ "da scoprire.La scoperta della cosa in se (da comprendere fuori dal proprio giudizio) non esiste, e’ una reificazione, un invenzione come dispositivo di controllo.
Nello specifico della apologia al cameratismo di guerra…(continua)
Non e’ la guerra, o l’indifferenza, piccolo Total, l’autentico contesto della possibile empatia umana che "affratella", quella e’ la menzogna eterna del potere che illude le corti. Le illude di potersi "salvare" da soli. E l’ermeneutica che veicoli senza averne accortezza (che pensi tua per il tuo ego, ma non lo e’, come quella di ognuno) e’ uguale schiavitu della "propaganda" delle classi opprimenti, in scala ridotta.Ma non lo puoi capire, tra una pettinata ai capelli in "disordine" e l’impegno a misurare il valore dalla grammatica.Non hai tempo per questo.
Ps.No Makkia, non intendo "tutto",
non intendo che la tazzina del caffe non e’ reale e dipende dal soggetto che la decide (vecchi trucchi sofistici per fuorviare il discorso)
Non tutto dove il soggetto pretende di "piegare la realta" (altro vecchio sofisma retorico delle destre)
E’ proprio la reificazione un principe dispositivo di controllo. Illudere i polli di batteria che il "concetto" di una narrazione, o di un sentimento, o di un’opera, sia "cosa in se" universale fuori dal libero giudizio umano, come un’entita metafisica non meglio specificata che stabilisce quale interpretazione si giusta o meno, riguardo ai rapporti tra uomini, e loro opere.
Togli la vis polemica di Jack ( che hai ragione ad indispettirti ) ma il resto del suo primo intervento non e’ per niente il contenuto del frullatore di estratti ironici e polemici successivi, che hai usato per screditarne il pensiero iniziale. La stessa critica seria (al di la delle battute) la meritano anche una infinita di dotti accademici considerati di "sinistra", ormai ridotti a narcisi autocompiacenti senza piu spirito di coinvolgimento
Georgejefferson ha scritto:
Se ne fregano le peggiori classi oppressive dei concetti dx sx ?
No. Li usano.
Hanno capito che la sinistra, una volta cooptata, è il loro migliore alleato. Quello che gli porta frutti duraturi.
Ma questo è un altro discorso.
Il discorso mio è che essere autenticamente (?) di sinistra o di destra potrà tornare a essere un discrimine DOPO che (e SE) sarà sconfitto il vero nemico, quello per cui destra e sinistra sono solo due pedine nella sua scacchiera.
Va bene, ma dipende, si tratta di persone, le persone vengono cooptate.
A seconda dei contesti, a volte gli appartenenti alle tradizioni di destra, a volte quella della sinistra.
Ma sono opportunisti, e sempre persone.
Quelli ne carne ne pesce sono i cortigiani, il cuscinetto
Da quello che ho letto l’utente Black_Jack ha arricchito l’articolo e la discussione.