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La Redazione

 

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NELLA LOTTA ALL’ISIS LA RUSSIA NON FARA’ PRIGIONIERI

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A cura di Davide
Il 22 Novembre 2015
40 Views

DI PEPE ESCOBAR

counterpunch.org

Il cosiddetto Stato Islamico finora una cosa l’ha capita: hanno attaccato briga con la gente sbagliata. Siamo nella zona del “non si fanno prigionieri”. Per la Russia, si combatte senza guantoni.

Specialmente dopo che la webzine dei terroristi Dabiq ha pubblicato una foto della presunta bomba che avrebbe abbattuto il Metrojet: un ordigno artigianale inserito in una lattina di Schweppes Gold, piazzato sotto un sedile passeggeri. Sono state pubblicate anche fotografie dei passaporti di alcune vittime russe, presumibilmente recuperati “dai mujahiddin”.

Il loro destino è stato segnato nel momento in cui il Direttore del Servizio di Sicurezza Federale Aleksandr Bortnikov ha comunicato al Presidente Putin, riguardo lo schianto del 31 ottobre in Egitto del Metrojet, che “Possiamo dire con certezza che si è trattato di un attacco terroristico”.

Gli sgherri del Califfato possono scappare – nel deserto del Siraq ed oltre – ma non si possono nascondere, come afferma il messaggio presidenziale russo “Li cercheremo ovunque – ovunque si nascondano. Li troveremo in ogni angolo del pianeta e li puniremo”. Il messaggio è accompagnato da un incentivo extra: la taglia di 50 milioni di dollari offerta dall’FSB per qualsiasi informazione che conduca agli organizzatori della tragedia del Sinai.

Il messaggio di Putin si è subito concretizzato in un massiccio e impressionante attacco russo contro 140 obiettivi del Califfato, sotto forma di lancio di 34 missili cruise all’ultima moda e il furioso intervento dei bombardieri TU-160, TU-22 e dell’ “orso” TU-95MC. È stata la prima volta che la flotta di bombardieri ad ampio raggio russi è stata dispiegata dai tempi della jihad afghana degli anni ’80.

Ce ne sarà ancora – da piazzare in Siria: un’ aggiunta di 25 bombardieri strategici, otto velivoli d’attacco SU-34 “Fullback” e quattro jet da combattimento SU-27 “Flanker”.

Il mistero delle autocisterne

Al G20 di Antalya, Putin ha già, in maniera spettacolare, svelato chi contribuisce a finanziare Daesh – adducendo “Esempi basati sui nostri dati circa i finanziamenti di diverse unità [di Daesh] da individui privati”.

La bomba: il denaro di Daesh “come abbiamo stabilito, proviene da 40 nazioni e tra di esse ci sono alcuni membri del G20”. Non serve un genio del Caltech per capire di chi si tratta. Sarebbe meglio che prendessero sul serio il messaggio “Possono fuggire, ma non nascondersi”.

In aggiunta Putin ha smantellato – graficamente – di fronte all’intero G20, il mito di Washington che combatte strenuamente contro Daesh: “Ho mostrato ai nostri colleghi foto scattate dallo spazio e da alcuni velivoli, le quali mostrano chiaramente la portata del commercio illegale di petrolio”. Si riferiva alla flotta di autocisterne per il contrabbando di petrolio, il cui numero si aggira attorno ai 1.000 veicoli.

Apparentemente sfruttando l’intelligence spaziale russa, il Pentagono è riuscito miracolosamente a scovare convogli di autobotti che si stendevano “oltre l’orizzonte”, trafficando greggio rubato in territorio siriano. 116 mezzi sono stati bombardati. Per la prima volta nell’anno in cui la “Coalizione dei biechi opportunisti” (CDO) starebbe combattendo Daesh. L’unico bombardamento simile avvenuto in precedenza era stato effettuato dalle forze aeree irachene.

La “strategia” degli USA, che Obama ha di recente spinto al limite, è di bombardare (vecchie) infrastrutture petrolifere siriane attualmente in mano a Daesh. Tecnicamente, sarebbero proprietà di Damasco, dunque apparterrebbero alla “popolazione siriana”.

Tuttavia Washington per ora è sembrata più concentrata su altra “gente”, che può trarre profitto dalla ricostruzione delle infrastrutture distrutte, in perfetto stile capitalismo-del-disastro, in caso “Assad deve andarsene” funzioni.

La Russia ancora una volta è andata dritta al punto. Bombardare la rete di trasporti – i convogli di camion – non le infrastrutture. I contrabbandieri vengono messi fuori gioco comunque.

La ragione principale per cui l’amministrazione Obama non ci aveva mai pensato è la Turchia. Washington ha bisogno di Ankara per sfruttare la base aeronautica di Incirlik. Bisogna anche vedere chi trae i maggiori benefici dal contrabbando di greggio di Daesh.

Il membro del Partito Socialista Turco Gursel Tekin ha dimostrato che il petrolio trafficato da Daesh viene esportato in Turchia da BMZ, una compagnia di trasporti controllata da non altri che Bilal Erdogan, figlio del “sultano” Erdogan. Come minimo, questo viola la risoluzione 2170 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Alla luce delle affermazioni di Putin circa il perseguire ogni membro di Daesh e chinque ne aiuti le operazioni, il clan di Erdogan farebbe meglio a trovare delle scuse plausibili.

Quel centro di addestramento jihadista

Il giuramento di Putin di mettersi alle calcagna di Daesh e dei suoi collaboratori dovrebbe implicare un viaggio nel tempo indietro fino a “Shock and Awe 2003”: bombardamento, invasione e occupazione dell’Iraq, che hanno creato le condizioni per la nascita di al-Qaeda, “gestita” da Abu Musab al-Zarqawi fino al 2006.

Il successivo passo significativo è stato Camp Bucca, vicino ad Umm Qasr nell’Iraq del sud: una mini-Guantanamo dalla quale sono venuti fuori almeno 9 membri della futura metastasi di al-Qaeda – lo Stato Islamico (IS).

ISIS/ISIL/Daesh è nato in una prigione statunitense. Abu Bakr al-Baghdadi, alias il Califfo Ibrahim ci ha passato del tempo, così come l’ex numero due di Daesh, Abu Muslim al-Trkmani, e soprattutto l’ideatore di di Daesh: Haji Bakr, un ex membro dell’Air Force di Saddam Hussein.

Gli estremisti salafiti si sono incontrati con alcuni eminenti bahatisti e hanno trovato un obiettivo comune: un’offerta che il Pentagono non ha potuto rifiutare e in effetti – ostinatamente – ha lasciato prosperare. GWOT (Global War on Terror [la Guerra Mondiale al Terrore, NdT]), dopotutto, è una “guerra senza fine” creata da Cheney e Rumsfeld.

L’ossessione per il cambio di regime dei neocon statunitensi ha portato Daesh fino in Siria.

L’intero processo trasuda molteplici ramificazioni di follia imperialista, passata e futura, che possono essere paragonate a schegge di una bomba suicida: dai mujahiddin addestrati e armati dalla CIA, inbottiti di wahabismo (“I combattenti per la libertà di Reagan”) incancrenitisi in “al-CIAda”, fino ad Hillary Clinton che ammette che l’Arabia Saudita è uno dei fornitori di finanziamenti ai terroristi.

Parigi 2015 – così come Sinai 2015 – è di fondo un effetto collaterale postumo di Baghdad 2003. Putin lo sa. Per ora l’obiettivo è schiacciare quei figli bastardi dell’imperialismo una volta per tutte.

Pepe Escobar è autore di Globalistan: How the Globalized World is Dissolving into Liquid War (Nimble Books, 2007), Red Zone Blues: a snapshot of Baghdad during the surge (Nimble Books, 2007), e Obama does Globalistan (Nimble Books, 2009). Può essere contattato a [email protected].

Fonte: http://www.counterpunch.org/

Link: http://www.counterpunch.org/2015/11/20/in-the-fight-against-isis-russia-aint-taking-no-prisoners/

20.11.2015

Il testo di questo articolo è liberamente utilizzabile a scopi non commerciali, citando la fonte comedonchisciotte.org e l’autore della traduzione FA RANCO

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