DI CARLO BERTANI
In ogni redazione dei quotidiani ce n’è uno: appartato, che svolge meticolosamente il suo dovere, assecondando il cronografo del tempo che, inesorabilmente, scorre. Non è considerato una punta di diamante della letteratura, ma nel suo mestiere spesso è maestro: unico, insostituibile.
Scrive necrologi e “coccodrilli”, con penna mansueta e sempre misurata: talvolta, quando le esigenze dei committenti lo richiedono, stempera la sua arte in afflati di centellinato eroismo. Se il cliente lo domanda, se la situazione lo conforta, ma sempre con garbo e misura.
L’arte del necrologio non è la stessa sotto tutti i cieli: anche qui, troviamo stilemi e tradizioni letterarie, secondo il luogo e la storia che s’è arrovellata fra città e contrade, campanili e pulpiti.
Nei regni degli Angli, ad esempio, c’è ampio dibattito sulla pubblicità del necrologio: se esso debba essere il più possibile esaustivo sulle ultime condizioni del pre-defunto, e quale sia il limite al quale arrestarsi. Anche il Diritto vuole la sua parte, e la legislazione della privacy finisce per limare le unghie dei più generosi giornalisti che s’affidano, senza porsi limiti, all’arte, obbligandoli a fermarsi prima del conteggio delle garze emostatiche e dei sondini.
Altri, memori della concorrenza dei talk show, vorrebbero invece che la telecamera avesse l’ardire di penetrare fin sotto le coltri, per carpire – rendere pubblico, “partecipativo”, fino a Youtube – gli ultimi afflati di una vita che si spegne.
Nei paesi d’osservanza cattolica la tradizione impera e pone – direi, senza remore, “per fortuna” – dei limiti accettati universalmente: l’arte ne soffre, la necessità di comunicare la notizia pure, ma il buon gusto certamente ci guadagna.
E con questo spirito che c’appartiamo per scrivere il necrologio di due partiti, il primo già sistemato nella camera ardente, il secondo che ancora cammina, immemore della fine che l’attende.
Sul primo, nato con gravi malformazioni congenite, il compito è facile:
“Munito dei conforti religiosi, s’è oggi estinto il Partito Democratico. Parenti ed amici s’uniscono al cordoglio del suo ex segretario, vice-segretario, capo-sagrestano e ministri ombra tutti. Una prece”.
Fatto sintomatico è che questo necrologio è accettato dalla quasi totalità del partito, dalla base come dal vertice, dai Margheriti osservanti ai Diessini d’assalto, dalle giovani reclute appena entrate in Parlamento fino ai vecchi marpioni, che non trovano più spazio per incollare gli adesivi-ricordo delle legislature vissute. Solo Parisi, riteniamo, domanderebbe un ramo d’ulivo sui manifesti mortuari, ma si può capirlo: come ogni vero sardo trapiantato in Padania, soffre di una struggente nostalgia per la macchia mediterranea, della quale l’oleastro e l’olivo son principi.
Così, nel volgere di pochi giorni, saranno definitivamente staccati i sondini e si deciderà un eventuale prelievo d’organi: pare che gli esecutori testamentari siano già all’opera. L’unico riserbo è quello di fare tutto con molta calma e lontano dai riflettori, per non compromettersi con troppi Casini.
Per ciò che rimarrà del corpo esangue, si procederà come da statuto: dopo aver giocato a tutti i giochi “ombra” dello scenario politico – portavoce/ombra, tesoriere/ombra, ombrello/ombra, ecc – l’Ombra avrà il definitivo sopravvento.
Scompariranno nell’ombra anche quei tre milioni d’elettori i quali, credendo nel bonario sorriso modello “pizzeria al Testaccio” del Walterino, consegnarono per le primarie un euro ciascuno. Tre milioni di euro passati nell’ombra.
In ogni modo, non c’è da strapparsi le vesti: per chi ancora ha bisogno di questi riti propiziatori, delle kermesse annegate nei bagni di folla, di sudare nei sovraffollati centri-congressi e Palasport, una soluzione si trova.
Ora che il gioco delle scatole cinesi è concluso – il “passaggio del testimone” dalla Bolognina PDS alla Bolognetta DS, fino allo sbolognato PD – s’aprono interessanti orizzonti per il turismo politico.
I più gettonati saranno senz’altro i tour operator della Lega: il richiamo delle adunate campagnole – anche il barbecue ha il suo fascino – s’avvertirà, potente. Già su E-bay si notano i primi sintomi: la quotazione delle bandiere rosso-verdi e dei manifesti del Piddì è ai minimi, mentre salgono le richieste per gadget cornuti quali elmi gallici, scafandri giussanici e ampolle votive. Anche le aste per borchie e cuoi grezzi sono lievitate.
In questo mercato s’inserirà presto – probabilmente sorretta dall’associazione floricoltori del Ponente Ligure – la potente agenzia turistica del Biancofiore, che propone visite guidate ai musei del cilicio nell’Umbria Felix e cicloadunate per visitare i luoghi votivi della grande storia scudocrociata, da Avellino a Benevento, passando – per una benedizione ed un santino – da Ceppaloni, e terminare con un caffè a Nusco.
Qualcuno, probabilmente, dopo “Oriente Rosso” e “Sorgo Rosso” fonderà “Mare Nostrum Rosso”, con sede legale a Gallipoli: le proposte spaziano da lunghi bordi bolinieri sulle rotte dell’Egeo fino al misterioso oriente, che comprende anche una kermesse, e relativa regata, con lo Yacht Club di Hezbollah. L’unico approdo che il Gran Timoniere non potrà frequentare è il Kossovo, perché – si sa – “l’uccello che ci va, perde la penna”. Kosova amara.
Non rimarrà altro, quindi – se tralasciamo il mondo dei politici traghettati nel mercato dei tour operator – che il gran casermone berlusconiano da un lato e lo sparuto commando dipietrista arroccato sull’Appennino dall’altro, deciso a difendere Montenero di Bisaccia da qualsiasi attacco giunga dall’Ovest, dalle ceppaloniche terre.
Può darsi che la resistenza fra il Sannio e la Lucania offra ancora qualche spunto di politica urlacciata, qualche velleitario assalto all’arma giustizialista, pacche sulle spalle con Grillo e quant’altro, ma il destino è segnato.
Quando cadranno le roccaforti del Nord – e a Bologna e Firenze canteranno in coro “meno male che Silvio c’è” – anche il pervicace Masaniello dovrà capitolare: gole profonde già affermano che sia in atto un vigoroso restauro del castello di Canossa.
Per l’unico grande partito rimasto, come avviene per gli ultra-ottuagenari, il previdente giornalista di necrologi scrive un abbozzo, confidando d’avere il tempo per completarlo. Al momento dovuto.
Eppure, chi vive ancora i ritmi della natura, ben sa che il mezzodì già prelude al calar del sole, così come il ruggente solstizio di Giugno già scende, rotolando – lentamente, ma inesorabilmente – verso l’Equinozio d’Autunno.
Così, è naturale – in questo soleggiato “Sabato del villaggio” berlusconiano – che si guardi con malcelata compassione all’avversario nella polvere: non serve nemmeno il pollice verso del pubblico, giacché lo spettacolo era così deprimente che la gente aveva già lasciato da tempo gli spalti.
E, avendo letto di sfuggita Leopardi, il vincitore – rimasto solo nell’arena – non coglie la nota melanconica che sottolinea il continuo mutar degli eventi, la loro ciclicità in divenire, ma anche l’inesorabile parabola calante.
Eh sì, perché ora – “quando arrivò davanti al mare si senti un coglione, perchè non c’era più niente da conquistare” ricordate Vecchioni? – sovviene naturale un senso d’appagamento, che prelude al ritrarsi, come se non ci fosse più gusto nella tenzone.
In fin dei conti, il peggior nemico per Berlusconi sarà la solitudine.
L’uomo, cresciuto con solidi valori culturali – dal Readers’s Digest alle locandine che illustrano i prezzi del mercato immobiliare – è l’archetipo del lottatore di sumo italiota, colui che se la deve prendere sempre con qualcuno, altrimenti è perso. Già la scomparsa dei “comunisti” è stata una brutta “botta”: coccolava Bertinotti, offrendogli spazi gratui
ti sulle sue reti, ma non è bastato. Conscio della sua inutilità storica, Faustino s’è tolto da solo la maschera dell’Ossigeno. Silvio, quel giorno, pianse.
Ora sarà solo ed avrà sempre meno nemici ai quali consegnare i frutti dei suoi fallimenti: il baratro dell’industria italiana affonda a ritmi superiori al 10% l’anno, il debito pubblico è tornato a correre ed ha sfondato il 111% rispetto ad un PIL sempre più smunto. Adesso, vai a dare a colpa a Prodi od a Walter: aspetta ogni giorno una mail da Gallipoli ma, dall’infinito azzurro dello Ionio, tutto tace.
Così, ci prova da solo, ma balbetta: anche il grande Totò, senza la “spalla” di Nino Taranto, perdeva, e quanto.
Per sua fortuna, la bufala dell’emergenza “sicurezza” ancora tiene, altrimenti non saprebbe più dove andare a parare: un giorno afferma che bisogna nazionalizzare le banche, quello seguente smentisce. Il Lunedì fa lingua in bocca con Confindustria, Martedì il suo governo li definisce dei “corvi”. Vanno bene i fondi pensione, ma va anche bene lasciare i soldi in azienda: più che Erasmo, consiglieremmo di ripassare Aristotele. Non riesce nemmeno più a blaterare quattro parole sui desaparecidos argentini senza finire in una gaffe: sono segni di disfacimento e, il buon giornalista di necrologi, prende nota ed aggiorna il file.
Lui, conscio di non avere più avversari da rintuzzare, perde anche la voglia di fare “cucù” alla Merkel, e persino le sue mediocri battute e barzellette non divertono più nessuno.
Non è trascorso ancora un anno da quando vinse trionfalmente le elezioni che già la popolarità s’incrina: di questo passo, arriverà alla fine della legislatura stremato, con l’olio di fegato di merluzzo pronto, nel taschino, e Scapagnini con le miracolose gocce in mano.
Cerca aiuto, ma sa che non lo potrà avere: dopo aver cannibalizzato qualsiasi pretendente, fino a mettere sotto scacco lo stesso simbolo della Lega Nord[1], è difficile incontrare qualcuno che possa consigliargli qualcosa d’interessante. Tette e culi a parte.
Ci sovviene, allora, il ricordo di una gongolante DC quando il PCI decise la storica “svolta” della Bolognina: fu chiaro a tutti, in quel momento, che il Biancofiore non aveva più avversari. Appena due anni dopo, però, i democristi si spartivano le sedie nella storica sede di Piazza del Gesù. Complice la situazione internazionale – ricorderà qualcuno – ma anche oggi, al riguardo, mica si scherza.
Sarà pure che le banche italiane siano state meno travolte dai bond tossici (tutto da verificare), però ci sembra che l’economia reale stia andando a rotoli, che più a rotoli non si può.
Il problema centrale della politica della tessera P2 n. 1816 (Berlusconi) è che, pur eseguendo istruzioni che arrivano dalla P2, P3, P4 o chissà quale P…si tratta di una politica che il piazzista di Arcore esegue a comando, senza comprendere che il piano di “rinascita democratica”, pensato negli anni ’70, oggi non ha più senso.
Quando avesse realizzato la completa sottomissione del Paese a quel folle progetto autoritario, avrebbe soltanto creato un Paese di lobotomizzati, una sorta di Cambogia dei Khmer rossi del terzo millennio, in piena Europa.
Con il potere assoluto, ma un Paese a pezzi – industria da terzo mondo, scuola azzerata, sanità claudicante, istituzioni corrotte, piani energetici fasulli, Web imbavagliato, ecc – cosa può riservare l’Italia a chi l’ha ridotta in tal stato?
Gli italiani – spiace costatarlo – sono poco avvezzi alla vera democrazia: da buoni sudditi, desiderano il “padre padrone” che li vezzeggi e li domini salvo poi, quando le cose vanno male, appenderlo a testa in giù.
E, la strada che l’uomo di Arcore ha scelto, cozza violentemente con le basi della democrazia: non si venga qui a raccontare che anche in Europa le cose vanno in questo modo. C’è una deriva autoritaria nell’intero continente, ma nulla che assomigli al potere mediatico e legislativo riuniti in una sola persona che vige a Roma. Chi lo afferma, all’estero non c’ha vissuto.
A margine, notiamo che quando il Cavaliere salì al potere nel 2001 capitò subito l’11 Settembre, mentre alla seconda “botta” – tralasciamo il lontano 1994 – siamo cascati nella peggior crisi economica degli ultimi secoli: che portasse un po’ di sfiga?
Tirare a campare in questo modo, senza avere nemmeno un’opposizione con la quale prendersela, sarebbe dura per tutti: oggi si sono inventati le “ronde padane”, domani s’inventeranno i giudici eletti dai sindaci, dopodomani la tassa sulla marchetta. Si può tirare avanti, in simili angustie?
Sì, si riesce, ma si naviga a vista e s’iniziano a perdere pezzi di credibilità, serpeggiano malcontenti e, nel frattempo, leader senza discendenza che navigano oramai verso gli ottanta, invecchiano.
Il buon giornalista di necrologi sa tastare il polso dei suoi committenti e valuta attentamente ogni parola, anche quelle sfuggite malamente di bocca. Che, oramai, sembrano un po’ troppe.
Piovono leggi e leggine che manco si fa in tempo a leggerle, perché è arrivata la riforma della riforma e la correzione in corso d’opera della stessa. Un Paese che non ha mai avuto soverchi problemi d’alcolismo, si trova imprigionato al punto di non poter più bere un bicchiere di vino al ristorante: intanto, gli ubriachi impazzano ed ammazzano più di prima. Non parliamo poi della cocaina, perché dovremmo cercarla molto, molto in alto, al punto che è stata rilevata nell’aria di Roma.
La parabola discendente ha il suo passo, un ben preciso step che il giornalista di necrologi ben conosce: quando non si sa più che pesci pigliare, ci s’aggrappa alla retorica. Ho ascoltato solo io, affermare da La Russa: “ci riprenderemo la Corsica?”. Tranquilli: era uno scherzo. L’Afghanistan, no.
L’ultimo passo, prima del crollo, è accompagnato dalle citazioni dotte – o, per lo meno, tali ritenute – …non sarà possibile far di meglio poiché “malatempora currunt”, “sic transit gloria mundi”, oppure “gli esami non finiscono mai”.
A quel punto, il buon giornalista di necrologi farà la punta alla matita e scriverà finalmente la copia definitiva, perché sarà sicuro che l’epilogo è prossimo:
“Nel più assoluto riserbo, si è oggi spento il Partito delle Libertà. Ne ha dato l’annuncio, con una lettera ai principali quotidiani, la signora Veronica Lario in Berlusconi, preoccupata per l’assenza del marito, del quale non ha più notizie da tempo. Funzionari e politici del partito non hanno emanato dichiarazioni, semplicemente perché non sono mai esistiti. Alcuni personaggi dell’entourage del premier hanno dichiarato d’essere in partenza per l’Isola dei Famosi. Sui teleschermi, a reti unificate di Mediaset, vanno in onda da ore canzoni patriottiche e filmati d’archivio, che mostrano bagni di folla del leader Berlusconi. Gli italiani, pregano commossi e sperano di non dover rivedere, mai più, un così brutto film.”
Finalmente, gli italiani saranno liberati da questo assillo che li perseguita da decenni: essere di questo o di quello, di destra o di sinistra, credenti o laici, guelfi o ghibellini. Magari, ci si guadagna anche in salute.
Smessi gli abiti di questa politica, sarà possibile mettere in soffitta il vocabolo “riforme” e sostituirlo con un “teniamoci quel che c’è di buono, poi vedremo”. Sono più le vittime di decenni di “riforme” che quelle delle guerre mondiali.
Magari scopriremo che non era poi così difficile risolvere “problemi insolubili”: bastava un po’ di buon senso, non mantenere un milione di persone ad ufo, non regalare il frutto del proprio lavoro ai banchieri, costruire quel che serve e sbattersene allegramente del mercato. Magari è più facile di quel che si crede.
Finalmente, il buon giornalista di necrologi potrà spezzare la penna, poiché ci saranno due soli, veri part
iti che si confronteranno ogni fine settimana, fino all’ultima goccia: quello della Birra e quello del Vino, tanto per imparare a volerci, di nuovo, un po’ di bene gli uni agli altri. Alla salute.