DI GIULIO MEOTTI
ilfoglio.it
E’ la prima volta che accade in un paese occidentale. Il portavoce del ministero degli Esteri israeliano Emanuel Nachson ha commentato: “Non c’è alcuna ragione o giustificazione per questo provvedimento”
Roma. Strano paese l’Islanda. Sembra un girone dantesco abitato da rari mufloni. Fatta da sterminati ghiacciai (il Vatnajokull è il più vasto d’Europa), vulcani e geyser, sorgenti minerali fredde e calde, laghi e cascate, deserti e verdi pianori, un paese dove il termometro non scende mai oltre i cinque gradi sotto zero, l’Islanda si pregia di essere “il popolo più pacifico d’Europa”.
Nella foto: La consigliera comunale di Reykjavik Björk Vilhelmsdóttir
Sull’elenco del telefono, i nomi precedono i cognomi: e i primi sono più importanti, anche legalmente, dei secondi. Una società descritta come “giusta e felice”. Il tenore di vita è alto, senza ricchi né poveri, senza disoccupati, ed è accresciuto dal manto protettivo dello stato assistenziale scandinavo. Cosa può spingere quest’isola remota, battuta dalle tempeste atlantiche e fisicamente lontana da tutto e tutti, a bandire i prodotti “made in Israel”? E’ quello che è successo ieri, quando la capitale dell’Islanda, Reykjavik, ha adottato la decisione, proposta dalla consigliera comunale Björk Vilhelmsdóttir, di boicottare tutti i prodotti israeliani. Non soltanto i prodotti dei Territori, ma tutti ciò che proviene dallo stato ebraico.
E’ la prima volta che accade in un paese occidentale. Il portavoce del ministero degli Esteri israeliano Emanuel Nachson ha commentato: “Non c’è alcuna ragione o giustificazione per questo provvedimento a parte l’odio in se stesso, che si fa sentire sotto forma di appelli al boicottaggio contro Israele, lo stato ebraico. Speriamo che qualcuno in Islanda si svegli e fermi questa cieca unilateralità rivolta contro l’unica democrazia del medio oriente”. Standwithus, ong filoisraeliana, ieri ha già lanciato il boicottaggio dei prodotti islandesi mentre il Congresso ebraico europeo valuta azioni legali.
La risoluzione antisraeliana è stata proposta dall’Alleanza socialdemocratica, mentre il leader del Partito dell’Indipendenza, Halldór Halldórsson, ha votato contro, dicendo che “il libero scambio è il modo migliore per ottenere la pace”. Durante la guerra a Gaza del 2011, il ministro dell’Interno islandese, Ögmundur Jónasson, guidò una protesta di mille persone di fronte all’ambasciata americana a Reykjavik. I manifestanti si erano cosparsi di rosso sangue e il ministro accusò lo stato ebraico di “olocausto del popolo palestinese”. Il ministro degli Esteri, Össur Skarphéinsson, ha detto di valutare la fine dei rapporti diplomatici con Gerusalemme e che se deciderà di non procedere è soltanto perché l’Islanda ne ha anche con Siria, Iran, Sudan e Corea del Nord. Israele come stato canaglia dunque.
Durante la Guerra fredda si disse che dall’Islanda soffiava il “vento della pace” (era l’epoca degli incontri a Reykjavik fra Reagan e Gorbaciov sui missili). Oggi dall’isola nordeuropea spira un freddo vento antisemita. Si potrebbe suggerire ai pallidi e socialdemocratici islandesi di apporre anche una stella di Davide sulla merce.
Giulio Meotti
Fonte: www.ilfoglio.it
20.09.2015