MOSLER, IL SOGNO E L'INCUBO AMERICANO

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DI GIULIETTO CHIESA
megachip.globalist.it

Un lettore scrive a Giulietto Chiesa e critica l’economista Mosler, spesso creduto antisistema, in realtà cantore del consumismo. “Sogno americano”: tragedia del pianeta.

Mi chiamo Lorenzo. Sono uno studente. Ti seguo con interesse (e infinito giovamento) da quando avevo 18-19 anni (ora ne ho 24).
Tempo fa ti avevo scritto, e già allora mi avevi risposto con tempestività. Spero succeda anche in questo caso!

Volevo
chiederti un parere su Warren Mosler. Anzi, per la precisione: più che un parere su Mosler, un parere sul suo concetto di “sogno americano” e “benessere”. Ho di recente letto il suo libro nella versione italiana (“Le sette innocenti frodi capitali della politica economica“), dove mostra una conoscenza perfetta dei meccanismi finanziari effettivi. Sembra un uomo sincero e cordiale, ma anche molto – e secondo me troppo per esserlo davvero – ingenuo. Il suo concetto di “benessere” mi ha impressionato. Impressionato, sì, ma in negativo. Mi spiego.Mosler, nel Prologo al testo, scrive che l’obiettivo precipuo del suo libro è – cito letteralmente – contribuire a “realizzare il nostro potenziale economico e […] ripristinare il Sogno americano”.
Lo stesso concetto è espresso nella Introduzione, dove chiarisce che “lo scopo di questo libro è di promuovere il ritorno della prosperità americana“.

Il problema è che, consultato il testo, Mosler chiarisce cosa intende
con “sogno” e “prosperità” americani. Lui
considera la piena occupazione come il mezzo per sfruttare a pieno
le capacità produttive dell’economia americana, e dunque produrre
il massimo di beni economici producibili. Ora, essendo tutti
occupati, tutti danno una mano a sfruttare a pieno le capacità
produttive
, ma soprattutto tutti hanno un reddito sufficiente
che, sommato, diventa un reddito totale da consumo capace di
assorbire tutta la produzione (cioè non lasciare alcun bene
invenduto, che causa assenza di guadagno per il produttore e dunque
disoccupazione, sottoconsumo, contrazione, ecc.).

Ora,
Mosler dice precisamente che secondo lui la condizione di piena
occupazione, a cui segue la piena produzione ed il pieno consumo è
la condizione ideale per l’economia americana, dunque è questo ciò
che considera un “sogno” e un ritorno alla “prosperità”.

Però,
una volta arrivati al pieno consumo (tramite piena occupazione e
piena produzione), non si deve necessariamente estendere l’intensità
e la vastità della produzione?

Mosler
questo non lo dice.

Ma
io dico: siamo in Capitalismo. E il Capitalismo, senza
estensione e intensificazione infiniti della produzione (ovvero:
senza Crescita) crolla: non esiste più. Finisce.

Dunque,
quando la produzione è spinta al limite delle proprie capacità,
deve allargarsi contraendo prestiti per investire in nuova, più
estesa e più intensa produzione (altri lavoratori, altre risorse,
altre merci).

Ora,
nel libro Mosler non nega il Capitalismo (ma anzi, ne magnifica
alcune componenti di fondo, come il consumismo inteso come
“benessere” e “sogno”
). Quindi si capisce
bene che per Mosler un “sogno” è la continua espansione
del tessuto produttivo, ottenuta mediante la piena occupazione e il
continuo consumo/assorbimento dei beni prodotti. Mosler è come se
dicesse: il Capitalismo dai pieni occupazione-produzione-consumo è
un “sogno”. Dunque, Mosler è un “Crescista“,
se deduco bene e se il ragionamento non è sbagliato.

Ma c’è di più. Mosler scrive che, importando gli americani una marea
di beni commerciali dalla Cina, non fanno altro che importare
“benefici reali” (cioè veri beni economici, come auto o
altro, che sono frutto di “benessere”) cedendo in cambio
dollari, ovvero un numero elettronico nel conto cinese alla FED. Un
buono scambio, dice Mosler, perché loro ottengono un estratto
contro, mentre noi invece otteniamo veri beni, ovvero “benefici
reali” che causano il “benessere” del consumatore
americano.

Ora,
ci sarebbe molto da dire sull’identificazione tra “benessere”
e consumo compulsivo tipico di noi occidentali (di certo noi non
siamo d’accordo), ma lasciamo stare. Mosler di fatto sta dicendo
che l’esistenza di nazioni esportatrici nette
, ovvero nazioni
che si sobbarcano “costi reali” (le esportazioni in
uscita, appunto) piuttosto che offrire al loro popolo “benefici
reali”, è un buon affare per gli americani.

In
altre parole, sta chiarendo che a lui interessa mantenere, ed anzi
allargare fino ai limiti delle capacità produttive (tramite piena
occupazione, detassazione, deficit governativo) il consumo americano
– identificato al “sogno” e alla “prosperità”,
al “benessere” – sopra ogni cosa.

Anche
sopra un’intera nazione straniera che si sobbarca “costi
reali”, a danno del suo popolo (perché sappiamo che le nazioni
in surplus, ovvero super-export, possono farlo soltanto
pagando poco i lavoratori, sfruttandoli o espellendoli per abbassare
i costi di produzione), per servire “benefici reali” al
popolo americano. Senza peraltro prendere in considerazione che i
beni commerciali goduti dagli americani sono in buona parte
sottoprezzati perché assemblati o costruiti con l’implicazione
della manodopera del Terzo mondo in condizioni di schiavitù. Sembra
che, finché gli americani possano permettersi di acquistare beni
commerciali e goderne fino ai limiti della produzione (ed oltre,
visto che siamo in Capitalismo…), tutto vada bene, senza eccezioni
o precisazioni. Come se la vita che fanno gli americani e gli
occidentali non fosse tale unicamente perché in altre parti del
mondo fanno una vita di inferno, da quasi duecento anni.


E
infatti scrive:


“Stiamo
traendo un IMMENSO vantaggio dal deficit della bilancia commerciale.
Il resto del mondo da tempo ci manda centinaia di miliardi di
dollari di beni e servizi reali in eccesso rispetto a quelli che noi
mandiamo loro. Loro producono ed esportano, noi importiamo e
consumiamo. Si tratta forse di uno squilibrio insostenibile che
dobbiamo sistemare? Perché dovremmo desiderare di mettervi fine?
Fintanto che vogliono mandarci beni e servizi senza chiederci altri
beni e servizi in cambio, perché non dovremmo essere in grado di
prenderli? […] Voi preferite avere l’automobile piuttosto che i
fondi, oppure non l’avreste comprata, quindi siete felici. La casa
automobilistica cinese preferisce avere i fondi piuttosto che
l’automobile, altrimenti non l’avrebbe venduta, e quindi è felice.
La banca vuole prestiti e depositi, oppure non avrebbe fatto il
prestito, e quindi è felice. Non c’è alcuno “squilibrio”.
Sono tutti felici e contenti” (pp. 95-97)

Questa
è un’apologia integrale (e non so se consapevole o inconsapevole)
del capitalismo e del consumismo – in una parola: del “Crescismo”;
ma, dunque, anche dell’imperialismo militare e dello schiavismo
economico che il Capitalismo impone al mondo da almeno 150 anni.
Certo, Mosler dice che la condizione ideale per gli Statunitensi è
la piena occupazione e la piena produzione, a cui segue il pieno
consumo, ovvero quello che lui considera “benessere” e
“prosperità”, anzi, un “sogno”.

Così
sembra quasi proporre una sorta di “Capitalismo sociale”
e “umanitario”
. Ebbene, mettiamo pure che essere dei
consumatori americani, occupati e compulsivi sia un “sogno”
(io sono più per: un “incubo”). E gli altri? E quelli che
producono tutti questi beni ma non possono goderne perché devono
venderli a noi? E i lavoratori sfruttati e schiavizzati, africani,
asiatici, sudamericani? E gli stessi poveri e emarginati
occidentali, chiusi in ghetti, nuovi slums e carceri? E le specie
animali, schiavizzate, torturate e estinte per produrre i beni? E
l’ecosistema spinto al tracollo dalle strutture
industriali-tecnologiche che producono questi beni e dai beni
stessi?

Ora,
io non so se altrove Mosler si sia espresso sui temi
dell’imperialismo economico-miltare, sui temi dello sfruttamento del
Terzo mondo, dell’ambiente, delle altre specie viventi e sul tema
del collegato egoismo criminale occidentale. So però che in quel
libro ignora completamente la proposizione fondamentale: in un
sistema finito di risorse uno sviluppo infinito è impossibile
.
E so che il suo divulgatore italiano, Paolo Barnard, si è
espresso fortemente contro le idee della decrescita, considerandole
frutto dell’opera di “sicari” neoliberali o chissà cosa.
Io capisco soltanto che Mosler, presentato con toni quasi lirici da
Barnard come fonte di una riscossa antisistemica, sembra invece
essere un’espressione del sistema capitalistico stesso.
Espressione forse più raffinata, ma pur sempre ed integralmente
espressione sistemica. Espressione di quel sistema che noi sappiamo
è necessario abbattere, prima che abbatta tutti quanti e la vita
del Pianeta stesso.


Ti
ringrazio da subito per l’attenzione che, se potrai, dedicherai a
questa lunga mail.

Lorenzo 

Caro
Lorenzo, intanto complimenti. Io alla tua età non sarei stato
capace di scrivere una riflessione come la tua. 

Secondo punto. Quello che tu descrivi è il delirio del capitalismo “perfetto”. Cioè un delirio al quadrato, o al cubo. E’ peggio che “crescista”, è semplicemente stupido, come stupida è l’economia che non vede il mondo degli uomini e della natura, mentre guarda ossessivamente al dato quantitativo della produzione delle merci, identificate con il benessere. E’ l’ideologia americana allo stato puro. E, come i sostenitori della MMT (che si credono rivoluzionari), ignora la complessità della
crisi, la sua insuperabilità all’interno dello schema capitalistico, la sua incompatibilità con la fisica e con tutti gli equilibri dell’ecosistema e del cosmo tutto intero. Qui non solo non c’è nessuna “riscossa antisistema”: qui c’è il vaneggiamento accademico di coloro che, chiusi nei  loro studi, preparano inconsapevolmente la terza guerra mondiale.


Grazie del lucidissimo contributo. Ti invito a proporcene altri, anche per Megachip, che sarà lieto di ospitarti. 

Giulietto Chiesa
Fonte: http://megachip.globalist.it
Link: http://megachip.globalist.it/Detail_News_Display?ID=79488&typeb=0&Mosler-il-sogno-e-l-incubo-americano
28.06.2013

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