DI SOLAGE MANFREDI
Paolo Franceschetti
Agguato di via Fani.
Nonostante trent’anni e numerosi processi dell’agguato di Via Fani, ancora oggi, non si è riusciti a ricostruire con esattezza le modalità dell’attacco, né quante persone vi parteciparono.
Sono circa le 9 del mattino del 16 marzo 1978. La Fiat 130 dell’On. Moro e l’Alfetta di scorta che percorrono via Trionfale svoltano in via Fani. Fanno pochi metri quando all’altezza dell’incrocio con via Stresa le due auto vengono bloccate da una Fiat 128 con targa diplomatica che provoca un tamponamento
Negli istanti successivi i terroristi esplodono un numero impressionante di colpi. Vengono ritrovati 93 bossoli, ma i colpi sparati potrebbero essere di più. In questo inferno di fuoco vengono colpiti tutti gli uomini della scorta di Aldo Moro (Oreste Leonardi, Domenico Ricci, Giulio Rivera, Raffaele Iozzino e Francesco Zizzi) ma il Presidente della DC resta miracolosamente illeso.
Tre uomini della scorta, feriti ma ancora vivi, ricevono il colpo di grazia[1]. Perché? Cosa non dovevano dire?
Il traditore?
“Moro non percorreva tutti i giorni la stessa strada: cambiava il percorso in ragione dei vari impegni della giornata…. Eppure, fin dalla sera del 15 marzo i brigatisti attuarono i preparativi per l’imboscata di via Fani: nottetempo vennero squarciate le gomme del pulmino appartenente al fioraio Antonio Spiriticchio che ogni giorno sostava proprio nel luogo dell’agguato. L’audace imboscata terrorista venne preceduta da una meticolosa preparazione logistica: dunque i terroristi fin dal giorno prima avevano l’assoluta certezza che la mattina dopo, verso le ore 9, l’auto di Moro sarebbe transitata in via Fani, e prima ancora che lo avesse stabilito il maresciallo Leonardi”[2].
Come potevano essere sicuri che Moro proprio quel giorno e a quell’ora sarebbe passato da via Fani?
Il Commando militare: Gladio?[3]
“L’azione militare di via Fani viene subito definita da un anonimo ufficiale dei servizi segreti «un gioiello di perfezione» attuabile solo «da due categorie di persone: militari addestrati in modo sofisticato, oppure (il che è lo stesso) da civili che si siano sottoposti a un lungo e meticoloso training in basi militari specializzate in operazioni di commando». Un parere condiviso anche dal generale Gerardo Serravalle, secondo il quale l’abilità del tiratore scelto di via Fani non poteva non presupporre un addestramento costante, quasi quotidiano, che in Italia possono consentirsi solo pochi uomini”[4].
I brigatisti non avevano alcun addestramento: “Morucci confermerà che la sola esercitazione affrontata dal commando brigatista prima dell’azione di via Fani era stata tenuta nel giardino di una villa a Velletri (ovviamente, si era trattato di una esercitazione senza “bersagli”, né armi e pallottole, poiché gli spari avrebbero creato allarme nelle vicine abitazioni)”[5].
Allora chi ha condotto l’imboscata?
Divise da aviazione civile: segno di riconoscimento?
Perché i componenti del commando di via Fani indossavano divise da aviazione civile (sicuramente poco adatte a passare inosservati)? Forse perché alcuni componenti del commando, magari il tiratore scelto, era sconosciuto ai brigatisti e la divisa serviva ad identificarlo?
Munizioni in dotazione a Forze Armate non convenzionali: Gladio?
Nel commando vi è un tiratore scelto armato di mitra a canna corta che sparerà la maggior parte dei colpi la cui identità è ancora sconosciuta. Chi è? Come poteva essere così addestrato? Era un militare e/o addestrato in campi militari?
Quello che è certo è che:
“
Le perizie hanno appurato che in via Fani vennero usate anche munizioni di provenienza speciale. Tra i bossoli repertati, 31 erano senza data di fabbricazione e ricoperti da una particolare vernice protettiva, «parte di stock di fabbricazione non destinata alle forniture standard dell’Esercito, della Marina e dell’Aeronautica militare». Cartucce dello stesso tipo verranno poi trovate anche nel covo Br di via Gradoli. Secondo il perito Antonio Ugolini, «questa procedura di ricopertura di una vernice protettiva viene usata per garantire la lunga conservazione del materiale… Il fatto che non venga indicata la data di fabbricazione, è il tipico modo di operare delle ditte che fabbricano questi prodotti per la fornitura a forze statali militari non convenzionali…E quando verranno scoperti i depositi “Nasco” della struttura paramilitare segreta della Nato “Gladio” si riscontreranno le stesse caratteristiche nelle munizioni di quei depositi”[6].
Nessuna indagine La cosa appare di una evidente gravità, eppure inspiegabilmente: “Non è stata condotta alcuna inchiesta per accertare quale ente avesse commissionato quelle particolari munizioni e la loro destinazione, dato che esse non erano destinate alle forze armate regolari né potevano essere commercializzate essendo di calibro militare e interdette a usi civili: dagli atti dei vari processi Moro non risulta siano mai stati svolti accertamenti per scoprire da quali canali quelle munizioni arrivarono alle Br”[7]
La presenza in via Fani di Gladio.
La mattina del 16 marzo alle ore 9 in via Stresa, a circa duecento metri da dove avviene la strage c’è il colonnello del Sismi Camillo Guglielmi.
“
Il colonnello Guglielmi, in forza al servizio segreto militare, era uno stretto collaboratore del generale piduista Giuseppe Santovito, ed era stato istruttore presso la base di “Gladio” di Capo Marrargiu, dove aveva insegnato ai “gladiatori” le tecniche dell’imboscata…L’inspiegata presenza “a pochi metri da via Fani” del colonnello Guglielmi al momento della strage è stata rivelata molti anni dopo, nel 1991, da un ex agente del Sismi addestratosi a capo Marrargiu, Pierluigi Ravasio…”[8].
Cosa ci faceva lì il Colonnello Guglielmi[9]? Perché non ha detto, o fatto, nulla quando a 200 metri da lui avveniva un massacro?
Una Gladio della Sip?
Ad agevolare la fuga del commando un improvviso black-out interrompe le comunicazioni telefoniche della zona.
Ma il mistero Sip non si conclude con il back-out del 16 marzo 1978.
“Si susseguono durante i 55 giorni di prigionia dell’On. Moro, strane quanto improbabili coincidenze legate all’azienda dei telefoni: il 14 aprile alla redazione de Il Messaggero, è attesa una telefonata dei rapitori; vengono così raccordate in un locale della polizia, per poter stabilire la derivazione, le sei linee della redazione del giornale. Ma al momento della chiamata la Digos accerta l’interruzione di tutte e sei le linee di derivazione e non può risalire al telefonista… L’allora capo della Digos parla, nelle sue dichiarazioni agli inquirenti, di totale non collaborazione della Sip. …In nessuna occasione fu individuata l’origine delle chiamate dei rapitori: eppure furono fatte due segnalazioni….L’allora direttore generale della Sip era iscritto alla P2, Michele Principe”[10]
Piccolo Particolare:
“
Circa la vicenda della Sip si legge (Unità dell’11 luglio 1991) in uno scritto di Vladimiro Settimelli:
Una Gladio della Sip allertata il giorno prima del sequestro Moro”. Il nucleo occulto opera ancora nel campo dei telefoni>>
[11].
Un sequestro annunciato.
L’imminente sequestro di Aldo Moro sembra fosse noto a molti.
Come appureranno i giudici istruttori Imposimato e Priore nel corso di una rogatoria internazionale, “in Francia, a Parigi, i servizi segreti, nel febbraio 1978, già sapevano dell’organizzazione del sequestro Moro”[12].
Ma non solo.
Alcuni mesi prima del rapimento, dal Carcere di Matera il detenuto Salvatore Senatore aveva fatto arrivare al Sismi l’informazione circa il possibile sequestro di Aldo Moro.
Ed ancora: Renzo Rossellini
[13], un’ora prima dell’agguato di via Fani, ovvero poco dopo le 08 del mattino del 16 marzo, su Radio Città Futura, dava la notizia di un’azione terroristica compiuta ai danni dell’On. Moro.
Moro era consapevole del pericolo, tanto consapevole da chiedere una scorta per i famigliari, da far mettere i vetri antiproiettile alle finestre del suo studio e da chiedere un auto blindata…richiesta che non verrà esaudita. Perché?
Ancora Gladio.
“Un documento della X Divisione Stay Behind (Gladio) della direzione del personale del Ministero della Marina, a firma del Capo di Vascello, capo della divisione s
tessa, del 02 marzo 1978, ovvero 14 giorni prima del rapimento di Moro e dell’uccisione della sua scorta, inviava l’agente G71 appartenente alla Gladio – Stay Behind- (partito da La Spezia il 06 marzo sulla motonave Jumbo M) a Beirut, per consegnare dei documenti all’agente G129, affinché prendesse contatti con “gruppi del terrorismo M.O.”, perché questi intervenissero sulle Brigate Rosse, ai fini della liberazione di Moro.
A Beirut operava come capocentro (pare anche con incarico in Gladio, visto che gli si attribuisce la sigla G216) il Colonnello Stefano Giovannone, responsabile per il Medio oriente, iscritto ai Cavalieri di Malta[14]
Il comitati di gestione della crisi in mano ai “massoni”.
Il 16 marzo 1978 Cossiga decide di istituire dei comitati per gestire la crisi.
“
Non vi furono decreti di nomina, solo chiamate e partecipazioni informali, cooptazioni fatte senza renderne conto a nessuno. Unico dato certo e documentato è che le riunioni dei “Comitati di crisi” nominati da Cossiga pullulavano di “fratelli” che avevano giurato fedeltà alla P2 di Licio Gelli”
[15]
Massoni dunque. Tutti vincolati al segreto. Tutti vincolati dal giuramento di fedeltà alla Loggia.
Ma come è stato gestito il sequestro Moro? Cosa hanno esaminato o deciso nelle riunioni al Viminale i Fratelli? Non si saprà mai perché tutti i verbali delle riunioni sono misteriosamente spariti.
Quello che è certo è che: “
l’operato delle forze di polizia dipendenti dal Viminale e dei servizi segreti (affidati da Cossiga e Andreotti ad affiliati alla Loggia massonica segreta P2) è stato caratterizzato da una lunga sequela di errori e conniventi inerzie, tali non solo da rendere dubbia l’effettiva volontà dello Stato di salvare la vita dell’onorevole Moro arrestando i sequestratori, ma perfino da indurre a sospettare complicità e convergenze di intenti con i terroristi”[16].
Appartamento di via Gradoli
Le Br che preparano il sequestro Moro avevano scelto, sin dal 1975, come loro principale base un appartamento situato in via Gradoli 96.
Gli appartamenti di Via Gradoli erano di proprietà di società che erano legate direttamente o indirettamente ai servizi segreti.
In via Gradoli 96, poi, erano ben 20 gli appartamenti intestati ai servizi segreti.
Perché mettere in quel palazzo la sede operativa delle Br? Un errore di valutazione? O forse perché abitando nello stesso palazzo i servizi segreti potevano gestire con maggior riservatezza i contatti con i brigatisti ed il sequestro del Presidente DC?
Perché dopo il falso comunicato del Lago della Duchessa il covo di Via Gradoli viene fatto scoprire? .
“Il rifugio di Mario Moretti e Barbara Balzerani era “saltato” grazie ad una fuga d’acqua che secondo i vigili del fuoco sembrava provocata apposta: uno scopettone era stato appoggiato sulla vasca, e sopra lo scopettone qualcuno aveva posato il telefono della doccia (aperta) in modo che l’acqua si dirigesse verso una fessura nel muro”[17]
Un caso? O forse come afferma Franceschini:
“
L’operazione lago della Duchessa-via Gradoli (vanno sempre tenuti insieme) è un messaggio preciso a chi detiene Moro…”[18]?
Foto di Moro nella Loggia di Trapani…accanto a Gladio.
All’interno del famigerato Centro studi Scontrino di Trapani: “
la polizia trovò le carte segrete di una serie di logge massoniche coperte, punto d’incontro di massoni, templari, politici, appartenenti a servizi segreti d’Occidente e d’Oriente, e anche di quei mafiosi indiziati di aver partecipato al mio attentato…. Nella stessa sede trapanese era, infine, presente l’Associazione musulmani d’Italia, sponsorizzata da Gheddafi in persona e facente capo a Michele Papa, che aveva avviato attraverso di essa una serie di iniziative collegate con le attività svolte dal leader libico (negli appunti sequestrati veniva indicato come «sostituto di Gheddafi»).”[19] Cosa ci faceva una foto di Moro, con alcune iscrizioni massoniche apposte sulla stessa fotografia, all’interno del Centro studi Scontrino di Trapani?
E’ un caso che il colonnello libico Gheddafi: “ancora allievo nella accademia militare britannica di Sandhursi, Gheddafi era stato reclutato nella setta massonica dei Senussi di cui il suo predecessore, il re Idris, era stato gran maestro. I Senussi costituivano allora e costituiscono ancor oggi uno degli strumenti usati dai servizi segreti britannici per l’attività di controllo dell’area meridionale del Mediterraneo”[20]?
Ed è ancora un caso che a Trapani vi era anche il Centro Scorpione: “ un centro di Gladio rimasto in gran parte sconosciuto e dotato di un aereo super leggero in grado di volare al di sotto delle apparecchiature radar”[21], centro diretto dal Maresciallo Vincenzo Li Causi (indicato da un ex appartenente a Gladio, quale informatore di Ilaria Alpi) e ucciso in Somalia in circostanze mai chiarite pochi giorni prima di deporre davanti al Pm proprio sul Centro Scorpione?
Ma torniamo a Moro.
“Al di là delle ipotesi, rimane comunque il dato di fatto del rinvenimento, in una loggia massonica, di una fotografia di Aldo Moro del tutto particolare: massoniche erano, infatti, anche alcune iscrizioni apposte sulla stessa fotografia. Queste scritte non furono mai decifrate: la foto, a quanto pare, scomparve immediatamente dagli atti del processo”[22].
Le presenze costanti nel rapimento Moro.
Sino ad ora abbiamo, nel caso Moro, due presenze importanti: La massoneria e Gladio.
Sappiamo che sia la massoneria che i servizi segreti usano spesso comunicare con un linguaggio cifrato incomprensibile ai non iniziati.
Forse, anche in questo caso, occorre prestare attenzione a questo tipo di linguaggio per capire il Caso Moro.
GRADO LI
E’ il 02 aprile1978 quando nel corso di una seduta spiritica a cui partecipava, tra gli altri, anche Romano Prodi (recentemente coinvolto in una inchiesta riguardo a truffe ai danni della Comunità europea, che lo indica come affiliato ad una loggia massonica di San Marino) emerge il nome Gradoli.
Era il nome della via in cui si trovava il covo delle Br o quella seduta spiritica aveva un significato più profondo?
Vista l’ingombrante presenza della Massoneria in tutta la vicenda Moro perché non provare a leggere la cosa diversamente?
“
Se fosse stato un segnale inviato a chi era in grado di capirlo perché iniziato a quel particolare ling
uaggio cifrato? Se il codice fosse stato, per esempio, quello rosacrociano, le lettere indicate dal piattino avrebbero potuto non formare il nome del paesino sul lago di Bolsena, ma essere lette come GRADO-LI (grado 51). Si sarebbe rinviato, cioè, a un livello ancora più occulto del trentatreesimo, un gradino più alto della gerarchia massonica conosciuta. Quale poteva essere questo misterioso Grado LI ? Un rarissimo testo pubblicato in Francia intorno al 1870 da Ely Star (pseudonimo di un seguace di Péladan e di Flam-marion), Les Mystères de l’horoscope, svela che nel Cercle de In Rose + Crobc il Grado LI corrisponde al Maìtre du Glai-ve, il Signore del Gladio.
Letto cosi e riferito alla situazione internazionale, quel messaggio poteva essere interpretato in due modi: o come una richiesta di intervento rivolta al fantomatico Signore di quella organizzazione; oppure come l’annuncio che il Grado LI stava per muoversi[23]”.
Questa è la possibile spiegazione degli autori del libro “Il misterioso intermediario”. Ma è possibile anche una terza ipotesi: dicendo “Gradoli” ovvero Signore del Gladio, non è possibile che qualcuno volesse lanciare un messaggio a tutti gli investigatori o gli eventuali inquirenti in grado di capirne il significato, avvertendoli così di non procedere, perché si trattava di un’operazione voluta e condotta da Gladio?
Il massone che aveva scritto troppo.
Vi è stata una persona, iniziata a questo linguaggio, legato ai servizi segreti che, coraggiosamente ha scritto molto sul caso Moro…. sino a quando non è stato ucciso. Era Carmine Pecorelli
Il suo modo di scrivere era sibillino, da iniziati (era un massone iscritto alla Loggia P2), ma di una cosa, oggi, siamo sicuri: sapeva molto e….scriveva. Ed allora andiamo a vedere cosa sapeva e cosa ci aveva scritto sul sequestro Moro.
Come, ricorda il Senatore Sergio Flamigni:
“
Pecorelli coglieva l’atmosfera di dura ostilità verso la politica di Moro, e a partire dalla seconda metà del 1975 cominciò a esprimerla attraverso enigmatiche note di questo tenore: «È proprio il solo Moro il ministro che deve morire alle 13?»; «Moro-bondo»; «Un funzionario, al seguito di Ford in visita a Roma, ebbe a dichiararci: “Vedo nero. C’è una Jacqueline [vedova Kennedy, ndr] nel futuro della vostra penisola”»; «… E a parole Moro non muore. E se non muore Moro…». Il 9 gennaio 1976 “Op” riportò a tutta pagina una caricatura di Moro col titolo: «Il santo del compromesso, Vergine, martire e… dimesso», e le parole: «Oggi, assassinato con Moro l’ultimo centro-sinistra possibile di sedimentazione indolore della strategia berlingueriana…». Era in pratica una sequela di allusioni di morte che Pecorelli non aveva mai rivolto a nessun altro uomo politico” [24].
L’Ok all’agguato di via Fani data attraverso un necrologio?
A Pecorelli legato ai servizi segreti, alla massoneria e buon conoscitore del linguaggio degli iniziati non sfugge uno “strano necrologio” e il 15 marzo, ovvero il giorno prima dell’agguato di via Fani, l’agenzia “Op” scrive:
«
Mercoledì 15 marzo il quotidiano “Vita sera” pubblica in seconda pagina un necrologio sibillino: “2022 anni dagli Idi di marzo il genio di Roma onora Cesare 44 a.C.-1978 d.C.”[25]. Proprio le idi di marzo del 1978 il governo Andreotti presta il suo giuramento nelle mani di Leone Giovanni. Dobbiamo attendere Bruto? Chi sarà? E chi assumerà il ruolo di Antonio, amico di Cesare? Se le cose andranno così ci sarà anche una nuova Filippi[26]?».
Aldo Moro come Cesare? Forse.
Aldo Moro viene rapito proprio mentre si sta recando a tenere un discorso alle Camere…proprio come Giulio Cesare che si era recato in Senato.
In via Fani c’è sicuramente, risulta agli atti, la presenza del colonnello Guglielmi, istruttore dei gladiatori nelle tecniche dell’imboscata.
Quando Giulio Cesare venne ucciso i congiurati, preparandosi all’agguato, appostano un gran numero di gladiatori a poca distanza.
Ed allora nel linguaggio degli iniziati: Chi è il genio di Roma che onora Cesare nel misterioso necrologio (si badi bene necrologio) del 15 marzo?
Ed ancora: chi poteva essere (leggi rappresentare) Bruto per Aldo Moro?
Ma la domanda più importante è: il misterioso necrologio apparso su Vita sera poteva essere in realtà l’Ok ai terroristi circa l’azione preparata per il giorno dopo?
Killer professionisti e manovalanza di piazza…il particolare da tenere a mente.
Pecorelli dimostra, attraverso i suoi scritti, di sapere anche bene da chi era composto il commando dell’agguato di via Fani, infatti, durante il sequestro del Presidente DC, su OP scrive:
“
Aspettiamoci il peggio, gli autori della strage di via Fani e del sequestro di Aldo Moro sono dei professionisti addestrati in scuole di guerra del massimo livello. I killer mandati all’assalto dell’auto del presidente potrebbero invece essere manovalanza reclutata su piazza. È un particolare da tenere a mente”
[27].
Eccolo il particolare da tenere a mente: In via Fani vi erano manovalanza di piazza e professionisti. Ovvero: brigatisti e… chi altro?
Le brigate rosse….un motorino.
Dopo l’uccisione di Aldo Moro Pecorelli pare sapere anche che le brigate rosse non sono altro che il braccio armato di ben più alta organizzazione e scrive:
«
le Br non rappresentano il motore principale del missile, esse agiscono come motorino per la correzione della rotta dell’astronave Italia»
[28].
Ma allora, chi è il motore principale del Missile?
La loggia di Cristo in paradiso.
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Ecco un altro pezzo importante pubblicato su “Op”:
“
Il ministro di polizia [cioè Cossiga, ndr] sapeva tutto, sapeva persino dove [Moro] era tenuto prigioniero… perché un generale dei carabinieri era andato a riferirglielo nella massima segretezza [ma] il ministro non poteva decidere nulla su due piedi, doveva sentire più in alto e qui sorge il rebus: quanto in alto, magari sino alla loggia di Cristo in Paradiso… Non se ne fece nulla e Moro fu liquidato… Purtroppo il nome del generale CC è noto: Amen[29]”.
Dunque Pecorelli sosteneva che Cossiga fosse stato informato da un generale dei CC “
Amen” (generale Dalla Chiesa
[30]) dove Moro veniva tenuto prigioniero, ma che la sua azione fosse subordinata ad un livello più alto “
magari sino alla loggia di Cristo in paradiso” (loggia P2).
E’ appena il caso di ricordare che i comitati di crisi istituiti da Cossiga per gestire i 55 giorni del rapimento Moro pullulavano di affiliati alla Loggia P2.
Il 20 marzo 1979 il giornalista Mino Pecorelli viene ucciso a Roma.
Conclusioni.
Anche in questo caso, come negli altri scandali e fatti di sangue italiani analizzati nei precedenti articoli di questo blog, troviamo una serie di costanti ovvero meccanismi, che scattano affinché non si giunga alla verità. Vediamoli:
– La presenza tra i protagonisti di massoni e ufficiali dei servizi segreti;
– La protezione data dal segreto;
– La morte dei testimoni;
– La scomparsa di documenti;
– I depistaggi operati da apparati dello Stato;
– le indagini non svolte;- ecc…
Grazie a questi meccanismi, sempre a tutela dell’illegalità, i fatti si sono trasformati in “misteri” e questi misteri, per alcuni, in straordinari strumenti di ricatto.
Ed allora, per il lettore che ragiona con la sua testa, al di là del bombardamento di disinformazione cui è stato sottoposto negli ultimi 30 anni, è plausibile che il caso Moro sia stato pensato, progettato, attuato da un gruppo di brigatisti (manovalanza di piazza) che si addestravano nel giardino di una villa di Velletri senza neanche i proiettili?
E’ possibile che lo stato non sia riuscito a scoprire la verità in 30 anni?
E’ possibile che le migliaia di dipendenti dei servizi segreti, dei corpi speciali, che tutte le forze di polizia e dei carabinieri non siano mai riusciti a scoprire nulla, tenuti in scacco da una gruppo di brigatisti?
E’ davvero possibile che un futuro Presidente del Consiglio riceva notizie riservate su Moro durante una seduta spiritica e poi lo ammetta pubblicamente alla nazione?
Tutto ciò è davvero possibile e credibile?
P.S.
Uno degli studiosi più attenti del caso Moro è sicuramente il senatore Sergio Flamigni. Ha pubblicato su Moro libri indispensabili per chi voglia documentarsi (31).
Proprio grazie allo studio scrupoloso ed attento delle carte del caso Moro per primo giunse ad alcune conclusioni che gli valsero le accuse di essere un visionario, dietrologo e misterologo. Dopo anni si scoprirà che il senatore Flamigni aveva ragione. Nei suoi confronti verranno, però, spese parole pesanti e ironie taglienti.
Bastano poche parole per delegittimare le risultanze di un lavoro serio ed approfondito. Sono parole che appena dette hanno la capacità di impermealizzare la capacità di ragionamento dei più: mitomane, pazzo, dietologo, visionario, complottista. Ai più attenti non sfugge che quando si attacca qualcuno sul piano personale per invalidare ciò che dice, invece di contestare il contenuto delle sue affermazioni, probabilmente la persona dice il vero, ma molti cadono nel tranello. Cadono anche perché spesso la verità è scomoda, la menzogna ben confezionata, più rassicurante.
Se avesse avuto voce e attenzione il mirabile lavoro svolto dal senatore Flamigni molte verità sarebbero emerse prima e molto di più sapremmo oggi. Invece il suo scrupoloso studio gli ha procurato una decina di querele, ovviamente tutte infondate (la magistratura ha riconosciuto esplicitamente la correttezza del suo lavoro). Ancora oggi la sua battaglia per la verità e l’informazione incontra vergognosi ostacoli dai c.d. poteri forti del nostro paese, come il suo straordinario archivio (http://www.archivioflamigni.org/) fonte di inestimabile valore in un paese dove la disinformazione rappresenta un fondamentale strumento di potere per chi vuole ingannare il popolo.
E’ grazie ai libri e all’archivio del Senatore Flamigni se oggi tante verità non sono state cancellate.
Si è cercato, e si cerca ancora, di nasconderle, è vero, ma i suoi libri, come il suo archivio, sono lì a disposizione di chi li voglia consultare.
E’ grazie ai libri ed all’archivio del Senatore Flamigni che tanti articoli di questo blog, tra cui questo, hanno potuto, e potranno, essere scritti e di questo lo ringrazio.
E, visto che mi si presenta l’occasione un ringraziamento particolare voglio rivolgere anche alla dott.ssa Ilaria Moroni, direttrice dell’Archivio Flamigni, per la sua straordinaria competenza, disponibilità e pazienza (con me ce ne vuole tanta).
Solange Manfredi
Fonte: http://paolofranceschetti.blogspot.com
Link: http://paolofranceschetti.blogspot.com/2008/03/moro-fu-davvero-rapito-dalle-brigate.html
7.03.08
NOTE
[1] http://www.fondazionecipriani.it/Scritti/malavita.html
[2] S. Famigni, Convergenze parallele Kaos Edizioni, 1998
[3] Gladio era organizzazione clandestina di resistenza promossa dai servizi segreti e addestrata ad operare, in caso di occupazione nemica del territorio, nei seguenti campi: raccolta delle informazioni; cifra; radiocomunicazioni; sabotaggio; guerriglia; propaganda ed esfiltrazione
[4] S. Flamigni, La tela del ragno, Kaos edizioni 1993
[5] S. Flamigni, La tela del ragno, Kaos edizioni 1993.
[6] Op. cit. S. Flamigni
[7] Op. cit. S. Flamigni
[8] Op. cit. S. Flamigni
[9] Interrogato il colonnello Guglielmi sosterrà di essersi trovato in via strasa perché invitato a pranzo da un amico (alle nove di mattina?). L’amico sosterrà di non ricordare di aver invitato a pranzo il colonnello Guglielmi, ma di esserselo visto arrivare a casa intorno alle ore 09.00
[10] Falco Accade, Moro si poteva salvare, Massari editore
[11] Falco Accade, Moro si poteva salvare, Massari editore
[12] S. Flamigni, La tela del ragno, Kaos edizioni, 2003
[13] Interrogato sulla circostanza Rossellini sosterrà di aver fatto solo un’ipotesi
[14] Falco Accade, Moro si poteva salvare, Massari editore.
[15] Flamigni, La tela del ragno. Il delitto Moro, Kaos edizioni, Milano 1993
[16] Flamigni, La tela del ragno. Il delitto Moro, Kaos edizioni, Milano 1993
[17] Falco Accade, Moro si poteva salvare, Massari editore
[18] Falco Accade, Moro si poteva salvare, Massari editore
[19] Carlo Palermo, 11 settembre 2001 Il quarto livello. Ultimo atto?, Editori Riuniti
[20] Carlo Palermo op. cit.
[21] Falco Accade, Op. cit
[22] Carlo Palermo 11 settembre 2001 Il quarto livello. Ultimo atto?, Editori Riuniti
[23] Giovanni Fasanella e Giuseppe Rocca, Il Misterioso intermediario, Einaudi Editore
[24] S.Flamigni, dossier Pecorelli, Kaos edizioni
[25] Alle Idi di marzo del 44 a.C. Giulio Cesare venne ucciso durante una seduta del Senato di Roma
[26] La battaglia di Filippi oppose il il secondo triumvirato Ottaviano, Antonio e Lepido alle forze (dette repubblicane) di Bruto e Cassio (due dei principali cospiratori ed assassini di Cesare) La battaglia, che si svolse nel 42 a.c. fu vinta dal secondo triumvirato e Bruto e Cassio furono costretti a suicidarsi
[27] op. cit. S. Flamigni
[28] S. Flamigni, Dossier Pecorelli, Kaos edizioni
[29] Articolo del 17 ottobre 1978
[30] aveva inoltrato domanda di iscrizione alla P2, la Loggia segreta alla quale suo fratello – il generale dei Carabinieri Romolo Dalla Chiesa – era già affiliato
[31] Nel 1988 ha pubblicato “La tela del ragno – il delitto Moro“, con le Edizioni Associate; nel 1993 ha iniziato la collaborazione con la Casa editrice Kaos pubblicando una nuova edizione de “La tela del ragno – Il delitto Moro” (1993) e successivamente: “Trame Atlantiche – Storia della loggia segreta P2 “ (1996); “Il mio sangue ricadrà su di loro – Gli scritti di Moro prigioniero delle Br” (1997); “Convergenze parallele” (1998); “Il covo di Stato” (1999); “I fantasmi del passato – La carriera politica di Francesco Cossiga” (2001); l’ultima edizione rivista e aggiornata de “La tela del ragno – Il delitto Moro” (2003); “La sfinge delle Brigate Rosse. Delitti, segreti e bugie del capo terrorista Mario Moretti” (2004). Sempre con la Kaos Edizioni ha curato la prefazione di “Dossier Piano Solo” (2005). Successivamente poi: “Dossier Pecorelli” (2005); “Le idi di Marzo – Il delitto Moro secondo Mino Pecorelli” (2006).