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MESSAGGI IN CODICE PER L'IRAN

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A cura di Davide
Il 6 Giugno 2012
22 Views

DI VICTOR KOTSEV
asiatimes.com

È forse una coincidenza se la scoperta della cyber-arma più potente conosciuta dal genere umano, soprannominata Flame, è stata annunciata qualche giorno dopo la più importante (anche se inconcludente) serie di trattative tra Iran e Occidente? Supportare tale tesi è quanto più difficile se si prendono in considerazione altri avvenimenti verificatisi dallo scorso giovedì.

Un’ulteriore strana combinazione: Hula, in Siria, è stata teatro di un sanguinoso massacro che fomenterà ulteriormente la guerra civile settaria e che,forse, farà pendere l’ago della bilancia a sfavore del regime siriano al Consiglio di sicurezza dell’Onu. L’evento eclissa di gran lunga il rapporto che incrimina il programma nucleare iraniano rilasciato dall’AIEA venerdì, proprio il giorno dopo la chiusura dei negoziati a Baghdad. Nel complesso, quattro giorni degni di nota.

Ci si aspettavano le sospettose tempistiche di pubblicazione dei rapporti da parte delle organizzazioni internazionali, nonché le informazioni riguardanti le trattative trapelate sui media. Moltissimi stati e soggetti privati, che badano solo ai propri interessi, hanno libero accesso a informazioni riservate e, a suon di gomitate, cercano di ottenere il massimo a loro vantaggio da questi complessi negoziati.

Viene subito in mente Israele, comunemente considerato come lo spifferatore per eccellenza, ma le intenzioni dietro alla fuga di notizie non sono necessariamente volte a far deragliare i negoziati. Neanche la Russia, che probabilmente ce la metterà tutta perché i negoziati vadano a buon fine, desterebbe il minimo sospetto.

Tuttavia, gli sviluppi degli ultimi giorni non sono mere fughe di notizie e pubblicazioni. Se questa è una guerra di messaggi, alcuni di questi sono scritti con impetuosi fiumi di sangue e non c’è segno più chiaro di questo: in Medio Oriente sta predisponendo l’artiglieria pesante.

Potremmo comparare il massacro di Hula (una zona presso la città di Hama in Siria, teatro di un brutale massacro nel 1982 e fulcro di scontri durante la crisi attuale) compiuto venerdì notte a quello perpetrato da una banda favorevole al regime che agisce senza aver necessariamente ricevuto ordini dall’autorità del regime stesso.

Il settimanale tedesco Der Spiegel, ad esempio, ha enfatizzato tale interpretazione, comparando la tragedia in cui hanno perso la vita 109 abitanti del villaggio, compresi 32 bambini sotto i dieci anni, al massacro di Mi Lai perpetrato da un gruppo di soldati americani durante la guerra del Vietnam. [1]

Se non era intenzionale, il massacro è stato un errore madornale per il regime siriano. Il momento è così delicato che perfino il minimo passo falso potrebbe costare il potere al presidente siriano Bashar al-Assad. Tuttavia, la visibilità dell’orrendo crimine la dice lunga: poche ore dopo, le immagini dei corpi sono tornate in superficie e, pochi giorni dopo, gli osservatori in Siria hanno potuto cominciare a stilare dei rapporti.

La cosa strana è che non c’è stato nessun occultamento. Molti rapporti relativi agli ultimi quindici mesi circa dall’inizio dei disordini, descrivono atrocità avvenute in precedenza e perpetrate dalle truppe del regime. Secondo tali rapporti i corpi non erano rintracciabili, i luoghi spianati con bulldozer e i testimoni fatti tacere in varie maniere.

Ma a Hula non è stato così. Apparentemente, che il governo siriano abbia ordinato o no l’esecuzione dei civili, si voleva che il mondo venisse a conoscenza del massacro. La storia, poi, che il suo esercito sia stato attaccato da terroristi islamici è alquanto poco convincente date le prove esistenti.

Alla fine, è probabile che per via della strage, verranno presi dei provvedimenti più severi nei confronti della Siria da parte del Consiglio di sicurezza dell’Onu, che affronterà la questione mercoledì. Perfino la Russia, che finora si è trattenuta dall’addossare la responsabilità al regime siriano esclusivamente per la violenza, ha condannato Assad.

“Il governo si deve assumere la responsabilità di ciò che sta accadendo. Qualsiasi altro governo si assume la responsabilità per quanto ne va della sicurezza dei propri cittadini,” ha dichiarato il ministro degli esteri russo Sergey Lavrov all’Associated Press.

In una mossa profetica, dieci paesi europei e gli Stati Uniti hanno espulso i diplomatici siriani più importanti in segno di protesta. Secondo i media, l’Occidente sta facendo del suo meglio per compattare l’opposizione siriana verso una nuova iniziativa diplomatica contro Assad.

I funzionari russi e americani hanno fornito un’ipotesi per risolvere la crisi siriana citando l’esempio dello Yemen, il cui presidente Ali Abdullah Saleh ha interrotto il suo mandato, con un accordo che gli concedeva l’immunità e lasciava le redini del potere al suo vice.

In tempi più recenti, stando a quel che si dice, tale ipotesi è affiorata in una conversazione tra il Presidente americano Barack Obama e il primo ministro russo Dmitri Medvedev durante l’incontro ai vertici delle otto potenze a Chicago avvenuto due settimane fa.

Questo modello ha molti difetti, ma continua a farsi strada come una delle poche opzioni possibili. La situazione siriana è per certi versi diversa da quella yemenita. Per di più, il tanto acclamato modello dello Yemen, di recente, ha vacillato a causa di una vertiginosa crescita di violenze. Una settimana fa, un attentato suicida ha causato 100 vittime e centinaia di feriti nella capitale San’aa.

D’altro canto, sembra tuttora irreale che un intervento straniero possa aver luogo prossimamente in Siria, dato lo scetticismo dell’Occidente nei confronti di tale intervento e l’impressionante macchina da guerra ordinata dal regime siriano, ivi comprese difesa aerea e armi chimiche sofisticate. Apparentemente è ciò su cui sta contando Assad mentre sfida la protesta. Resta da vedere se i suoi calcoli siano giusti.

Fatto altrettanto importante: il massacro e il conseguente scandalo diplomatico costituiscono una minaccia che interferirebbe anche con i negoziati sul nucleare in corso tra Iran e Occidente, inseriti nel quadro dei P5+1 (Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Russia, Cina più Germania). Durante i negoziati della settimana scorsa, l’Iran ha cercato di inserire più volte la Siria nella conversazione. Gli analisti concordano sul fatto che il regime iraniano consideri fondamentali gli sviluppi dell’alleato arabo nella sua strategia regionale nonché strettamente legati al progresso del suo programma nucleare.

In questo contesto non sono mancate le congetture che l’Iran possa liberarsi di Assad se le vicende di quest’ultimo diventassero veramente indifendibili, e forse che voglia farlo rimpiazzare da qualcun altro appartenente al proprio regime. Forse è un caso, ma assomiglia molto al modello yemenita, il fatto che sia stato menzionato non è inconcepibile, se non durante i negoziati sul nucleare della settimana scorsa, almeno durante gli incontri informali che hanno preceduto le trattative.

Tra una congettura e l’altra, è tanto probabile che le mosse di Assad fossero un messaggio ai suoi sostenitori di Teheran, quanto lo è che fossero uno spudorato gesto di sfida nei confronti dell’Occidente. Inoltre, se Assad desse fuoco alle polveri di una guerra settaria totale, brucerebbe tutti i ponti tra le diverse comunità del paese intrecciando inestricabilmente le sue vicende personali con quelle del suo regime e della sua setta. Direbbe addio al modello yemenita una volta per tutte.

Se questo era il messaggio di Assad per Teheran, ci sono segnali che fanno capire che è stato ricevuto. Stando al quotidiano britannico The Guardian, un alto generale iraniano ha confermato questo finesettimana che le forze militari iraniane hanno condotto un’operazione in Siria a sostegno del regime. [2] Potremmo interpretarlo come un’evidente dichiarazione a sostegno di Assad per rassicurarlo, ma anche per ricordargli che dipende da Teheran.

Sulla scia di quest’intrigo è giunto l’annuncio da parte della russa Kaspersky, azienda produttrice di antivirus, della sua scoperta di un nuovo “programma malvagio” (n.d.t.: un malware) la cui “complessità e funzionalità … vanno oltre le altre cyber-minacce finora conosciute”. Giovedì, il New York Times ha riferito che il virus soprannominato Flame ha infettato i computer degli alti funzionari iraniani, che era apparentemente concepito per sottrarre informazioni riservate e che è stato messo a punto in un periodo tra due e cinque anni fa.

In molti puntano il dito contro Israele, e accenna a questa possibilità persino il vice primo ministro israeliano. Una società di sorveglianza israeliana ha comunicato al quotidiano nazionale Ha’aretz che “il virus Flame non solo ha sottratto una gran quantità di informazioni alle varie agenzie governative iraniane, ma apparentemente ha anche causato delle difficoltà alle esportazioni petrolifere chiudendone i terminal…” [3]

È difficile dire quale sia esattamente la portata della scoperta, ma secondo gli esperti è probabilmente sensazionale.

Flame è circa venti volte più potente del suo predecessore in linea diretta Stuxnet, scoperto due anni fa e battezzato come prima cyber-arma della storia umana. A quel che si dice, si avvale di un criptaggio algoritmico per nascondere alcune parti del proprio codice. Possiamo prevedere che ci voglia lo stesso tempo sia per decifrarlo che per capire cosa fa esattamente. Nel caso di Stuxnet ci sono voluti mesi.

Tuttavia, un nuovo e riuscito attacco cibernetico al programma nucleare iraniano potrebbe far sì che il periodo per sferrare un attacco israeliano o americano nei confronti della Repubblica islamica slitti verso un futuro più lontano.

Ci aspettiamo, nel corso delle prossime settimane, rivelazioni e intrighi nuovi di zecca. In fin dei conti, il rapporto della AIEA della settimana scorsa, che riferiva che l’Iran aveva aumentato in maniera significativa le riserve di uranio a basso arricchimento, era solo un preambolo. Circolano voci e rapporti su svariati temi, come la penetrazione dei media iraniani in Afghanistan, il coinvolgimento dell’Iran nel contrabbando del petrolio iracheno e il mistero di morti non denunciate di alti ufficiali dell’esercito iraniano.

I nemici dell’Iran hanno le loro debolezze, mentre soggetti terzi hanno i propri interessi nel seminare la proverbiale zizzania. Viene in mente la Russia: può anche fare di tutto per strappare dagli Stati Uniti la concessione sul controverso scudo antimissile in Europa imposto dalla NATO (questa tra altre questioni) in cambio di una parte del processo di mediazione. Si può perfino trovare un pretesto legittimo per questo. Dopotutto, si afferma che lo scudo sia designato a contrattaccare la minaccia missilistica iraniana.

Quello che appare come un nebbioso ed infinito processo diplomatico si sta evolvendo. La cosa positiva è che i molti intrighi sembrano confermare che siano stati avviati i negoziati tra l’Iran e i suoi oppositori. Questo significa, o almeno dovrebbe, salvo sorprese, che all’ordine del giorno non c’è nessuna guerra imminente.

D’altro canto, i problemi fondamentali permangono, e si stanno semplicemente deteriorando. I peggioramenti riguardano le spaccature tra Iran e Occidente, che sarebbero profonde anche senza il programma nucleare iraniano; ma sono ancora più gravi in merito alla guerra civile in Siria. Data la natura degli sviluppi, essere ottimisti sul lungo termine è alquanto difficile.

Victor Kotsev
Fonte: www.atimes.com
Link: http://www.atimes.com/atimes/Middle_East/NE31Ak04.html
31.05.2012

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di ELISA BERTELLI

Note

1. Syria’s My Lai: The Houla Massacre Marks a New Level of Violence, Der Spiegel, 28 maggio 2012.
2. Syrian army being aided by Iranian forces, The Guardian, 28 maggio 2012.
3. Flame virus had massive impact on Iran, says Israeli security firm, Ha’aretz, 30 maggio 2012.

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