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La Redazione

 

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Ma in Francia se la son dimenticata la Rivoluzione del 1789?

Ce lo dicono, in un'intervista, due Gilets gialli della prima ora
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A cura di Tomaso Pascucci
Il 5 Giugno 2023
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Versione italiana dell’intervista

Di Tomaso Pascucci per ComeDonChisciotte.org

Ricordate i Gilet gialli, quel movimento che ha messo in allarme i poteri di Francia?

Frédéric Vuillaume e Andrée Cultut sono persone d’altri tempi, quando meno facilmente gli uomini si cullavano nell’illusione di una vita in sicurezza, preferendo, invece, spendersi per un’esistenza all’insegna della dignità. Frédéric lavora in un istituto professionale di Besançon (Franche-Comté), mentre Andrée, detta Dédée, è andata in pensione, dopo aver lavorato per 21 anni in una fabbrica di Besançon e gestito, poi, un ristorante sul posto.

Entrambi, come spiegato nell’intervista, provengono da un retroterra di militanza sindacale, ma l’elemento che più li contraddistingue, almeno ai miei occhi, è il loro coinvolgimento nel movimento dei Gilets gialli, fin dal suo esordio.

Quell’adesione è costata loro vessazioni di tipo economico, ma anche di tipo fisico. Frédéric ha subito privazioni di libertà e violenze corporali perpetrate in un ambiente che, oramai, predica come non sia lo Stato ad essere al servizio del cittadino, per tutelarne gli interessi, ma sia il cittadino a servire lo Stato. Con un tale rovesciamento di paradigma, dove si nega perfino il diritto di natura, come potrebbe lo Stato tollerare le voci/azioni dissenzienti espresse dai Gilets gialli in generale, e da Gilets gialli quali Frédéric e Dédée ? Mosso dal desiderio di approfondire la storia dei Gilets gialli e comprenderne il divenire, dopo la “dichiarata” pandemia da SARS-CoV-2, ho approfittato delle mie numerose trasferte a Besançon per contattare Frédéric Vuillaume e chiedergli di illuminarmi sui Gilets gialli e narrarmi della sua storia personale. Mi ha fatto l’onore di accettare e di presentarmi, per giunta, una sua compagna di lotta, Dédée.

Così, nel corso di due interviste raccolte a Besançon, qui riprodotte in un continuum (la prima avvenuta il 29 gennaio 2023, la seconda il 25 maggio scorso), Frédéric e Dédée mi hanno raccontato del movimento dei Gilets gialli fino ad oggi, sia al livello locale che nazionale, dei sindacati francesi e delle ultime proteste nate con il passaggio in forza della riforma delle pensioni francese.

Molto si è parlato in Italia dei Gilets gialli, ma l’impressione è che se ne sia disquisito senza disporre di valide coordinate, onde inquadrare pienamente il fenomeno. Forse, queste due interviste potranno contribuire a fornire qualche elemento in più, in un’ottica di comprensione.

Salvo diversa indicazione, le risposte alle domande poste ad entrambi, sono generalmente fornite da Frédéric Vuillaume.

– Dédée e Frédéric, vi propongo di cominciare quest’intervista affontando la questione della genesi e dello sviluppo del movimento dei Gilets gialli. Perché la lotta si è imposta ? E’ possibile abbozzare una storia del movimento ? Come si colloca la vostra militanza personale rispetto al movimento generale ?

Innanzitutto, vedevamo che le persone difficilmente arrivavano alla fine del mese. Sentivamo che la frustrazione cresceva. Io, in quanto militante, percepivo che il malcontento tuonava. Quindi, ho provato a mettere in piedi delle cose attraverso Facebook. Avevamo fatto una manifestazione, ai tempi di Nicolas Sarkozy, rispetto al potere d’acquisto e si sentiva che il malcontento si diffondeva. Dopo, quello che ha fatto traboccare il vaso è stata la benzina, l’aumento del prezzo del carburante che ha fatto che le persone erano arrivate al limite della sopportazione, perché la maggior parte della gente ha una macchina per via del proprio lavoro, sta generalmente lontana dai centri urbani. Di conseguenza, per andare a lavoro gli ci voleva per forza la macchina. Inoltre, anche per noi stessi e per vedere la famiglia ci vuole la macchina. Quindi, quando ha impattato sulle persone, è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Dopo, discutendo tutti insieme, ci siamo detti che non c’erano più servizi pubblici, che in tutto il territorio ce n’erano sempre di meno, e ragionavamo anche su tutte le ingiustizie legate alla finanza e su tutti quelli che guadagnano tantissimo, con di contro quelli che lavorano e sopravvivono, ora più che mai. Tutto ciò ha fatto sì che ad un certo punto ci si sia detti di uscire e di andare sulle rotatorie stradali. Fin dal settembre 2018 si sentiva che le persone avevano voglia di organizzarsi, pertanto il movimento dei Gilets gialli si è formato. Io, inizialmente ci sono andato da osservatore, dopodiché ci sono rimasto. Fin dall’inizio abbiamo fatto azioni. I primi tempi, avvenivano solo sulle rotatorie, in seguito si sono trasformate. Abbiamo bloccato a Besançon una piattaforma logistica, chiamata Easydis, che si occupa di alimentazione. Abbiamo bloccato la notte e la mattina presto i camions. Siccome eravamo numerosi, la polizia era sopraffatta. Nelle rotatorie, all’inizio la polizia lasciava fare. Era lì più che altro per per assicurare la sicurezza, ma ad un certo punto abbiamo veramente notato una differenza, ossia quando hanno cominciato a dire : «stop, ora dovete fermarvi». E’ a quel punto che la repressione è cominciata, per cui siamo partiti dalle rotatorie per andare a fare manifestazioni in città, e nello stesso tempo proseguivamo con azioni un po’ dappertutto. Quello che era interessante da noi era il fatto che c’erano persone appartenenti a tutte le categorie sociali. C’erano persino persone che lavoravano in Svizzera (1), ma che venivano perché avevano voglia di una Società più giusta. In fin dei conti, il movimento dei Gilets gialli può essere comparato ad un movimento anarchico, quantomeno a Besançon. Tra di noi, non c’è un capo, questo è molto radicato al suo interno, e lo è tutt’ora ! E’ vero, ci sono alcuni che spingono un po’ di più, vi sono locomotive, ma alla fin fine non c’è un capo. Noi decidiamo tutti insieme e questo è piuttosto positivo, cosa che non è stata dappertutto. Bisogna sapere che prima dello scoppio dei Gilets gialli, Macron è venuto il 18 novembre 2018 a Besançon ad inaugurare il museo di Belle-Arti, ed è a quel punto che abbiamo osservato una cosa inedita a Besançon, ossia che non si poteva accedere a tutto il quartiere intorno al museo, che si trova nel centro storico. Bastava trovarsi appena al limitare del centro storico che c’erano Forze dell’ordine dappertutto con ordine di bloccare il passaggio, ed è lì che ho cominciato a subire una repressione. Quel giorno indossavo la mia pettorina del sindacato Force ouvrière (2), avevo un megafono e lì sono stato strangolato da un poliziotto della BAC (brigata anti-criminale), fino al punto di non poter più avere voce. Dopo, ho ripreso il fiato ed il megafono e con il gruppo siamo andati dall’altra parte delle strada, proprio accanto, ma non volevano assolutamente farci passare. Un CRS [ndr, corrispondente al celerino italiano] ci ha perfino detto : «Dietro gli scudi, non c’è più democrazia». Un capo, per giunta ! Quindi, ho avuto il mignolo fratturato, perché ci hanno picchiati con il manganello e gassati. Così, il giorno dopo eravamo in mezzo alle rotatorie ed è a quel punto che la repressione del governo di Macron è veramente cominciata. Ma prima di quello, ai tempi di François Hollande, con l’introduzione della legge su lavoro, abbiamo già notato che il margine di manovra di tutto quello che era militanza si restringeva. L’azione sindacale e l’azione militante erano più che criminalizzate, ma nel 2018 ha raggiunto un parossismo.

– La repressione poliziesca è intervenuta in seguito al blocco della logistica, per esempio quando bloccaste i camions che uscivano dalla piattaforma Easydis, o già nelle rotatorie ?

Anche dalle rotatorie ci sgombravano. Per esempio, eravamo nel mezzo di una grande rotatoria con centri commerciali tutt’intorno (si chiama Espace Valentin) et lì ci hanno cacciati lanciandoci gas lacrimogeni e bruciando le piccole capanne che avevamo installato.

– Quand’è che la rimozione è cominciata ?

Verso metà dicembre 2018. Perché c’è stato il grande colpo a Parigi (3), per cui abbiamo notato che si erano innervositi. D’altra parte, avevano visto quello che era successo prima, per esempio nella città di Puy-en-Velay, con persone a viso scoperto che erano riuscite a forzare il cancello della prefettura e a penetrare nel cortile, così hanno avuto paura. Io ho cominciato ad essere convocato dalla polizia a fine dicembre. Era la prima volta in vita mia, con un foglio di convocazione portato a casa mia che assomigliava ad un volantino, tanto era difforme da un documento regolamentare. Dopo, è stato infernale (4) !

– Vi sono state iniziative tendenti a creare un’alleanza intorno ad un progetto comune a tutti i collettivi dei Gilets gialli sparsi per la Francia ?

Questo è successo dopo. Si organizzavano delle ADA (5), a volte a Parigi, a volte nel sud della Francia, ma alla fine si trattava più di discussioni politiche che d’altro. Noi due siamo stati a una di quelle, a Lure nella Franche-Comté, dove altri compagni sono venuti, ma non era niente di concreto, si girava in tondo e ciò ci aveva delusi.

– Non c’erano, quindi, azioni concertate a livello nazionale ?

Sì, tra alcuni gruppi, grazie alle conoscenze, ma non tutti sapevano che quei gruppi erano in contatto. A volte, decidevamo di un’azione che eseguivamo in più città della Francia, ma si trattava più che altro di un gruppo allargato sottomarino. In quei casi, riuscivamo a fare azioni comuni, ma non era sempre facile. Oppure, su appelli alla mobilitazione tramite Facebook, seguivamo alcune idee. Una volta era sulla repressione, per cui avevamo fatto tutto sulla repressione all’unisono. Si era parlato, discusso e avevamo preso una decisione. A Besançon, l’insieme dei manifestanti si riuniva spesso, per un certo periodo tutti i giovedì sera. Ma anche quando ci riunivamo, la polizia era nei pressi ed è questo che ha veramente frenato il movimento dei Gilets gialli. E’ la dura repressione che ha messo un gran colpo di freno al movimento dei Gilets gialli. Perché le persone, tra fermi giudiziari ed il fatto di farsi gassare, cosa inedita a Besançon, hanno finito per temere la polizia. Non la vedono più nello stesso modo. Ma anche in riferimento alle manifestazioni attualmente, ci impediscono l’accesso alla strada dove si trova la prefettura, quando noi non facciamo del male al personale della prefettura. Ancora recentemente, sabato, eravamo una quarantina e hanno intedetto l’area della prefettuta, per 40 persone !

– La repressione è stata perpetrata, in funzione del principio che non vi debbano più esserci proteste e dissenso nei confronti dell’azione del Governo, o a causa della preoccupazione provata dal Governo di non poter controllare la situazione dal punto di vista della sicurezza ?

Inizialmente è stata la paura, ma in seguito è diventato un principio, perché al minimo striscione reprimevano. L’abbiamo visto al 14 luglio, quando abbiamo cercato di scandire degli slogans in piena sfilata a Besançon. Siamo stati circondati da un cordone di polizia, c’erano cani e tutto questo per un piccolo gruppo di persone. E’ li che vedo la deriva, perché all’inizio era in reazione, ma ora si capisce che impediscono alle persone di riunirsi. L’abbiamo verificato all’indomani della fine del confinamento, quando una riunione è stata organizzata ad iniziativa di una militante a casa sua, nel centro storico di Besançon. Eravamo alcuni Gilets gialli, mentre lei, era una prof che aveva avuto noie con la propria scuola, perché durante il confinamento aveva teneuto le lezioni attraverso WhattsApp, invece di tenerle sulla piattaforma del Provveditorato agli studi. Non capiva perché le si contestasse ciò, d’altra parte era una un po’ ribelle. Con tutto ciò, aveva voluto creare un gruppo con dei Gilets gialli, cosicché il primo giorno dopo la fine del confinamento ci eravamo recati a casa sua per una riunione, cosa che non era passata inosservata, a causa delle videocamere di sorveglianza che tappezzano la città. Prova ne è che, all’indomani della riunione, la polizia era sbarcata a casa sua, senza nessuna motivo, ma semplicemente per intimidirla. Io le avevo spiegato la sera della riunione che dovevamo diffidare delle videocamere, installate per sorvegliare noi, e non per una questione di sicurezza. Sul momento, non era d’accordo, ma, quando ha visto l’indomani la polizia a casa sua, è rimasta traumatizzata. Così, ha chiuso il gruppo Facebook che si chiamava Pages blanches. Ecco, in centro ci possono seguire senza problemi. Quando Amnesty international è venuta a Besançon, la polizia era lì ed ha fatto dei controlli di documenti davanti al commissariato, cosa che di solito non facevano. Amnesty non era abituata a ciò, mai è stata oggetto di dossieraggio in Francia. La deriva è totale, perché hanno introdotto il confinamento, il green-pass, l’obbligo vaccinale. Si va sempre più in là e le persone non se ne rendono conto e si lasciano fare, ad eccezione di una minoranza. Tuttavia, quella minoranza la domano, visto che ad un certo punto eravamo in 5.000 a Besançon, così hanno cominciato a fare le pulizie irrogando multe, perseguitando i manifestanti anti-green-pass che erano fuori. Quando ci disperdevamo, ci inseguivano per appiopparci delle multe. Si capisce che c’è una volontà, che hanno paura, di conseguenza prestano molta attenzione a tutto quello che ha a che fare con riunioni di contestazione e con discussioni tra persone. In questo preciso istante, per esempio, non si sa dove sono e quel che fanno.

– Avete l’impressione che fanno pedinamenti e che ricorrono ad intercettazioni telefoniche ?

Sì, il mio avvocato me l’aveva detto che ero intercettato. Mi hanno più volte confiscato il telefono portatile durante i fermi giudiziari, obbligandomi a mostrare loro il suo contenuto. A questo proposito, con dei compagni chiederemo di accedere alle nostre schede, visto che è un nostro diritto, per sapere quello che lo Stato ha scritto su di noi. Dopodiché, non ci mostreranno tutto quel che hanno su di noi, ma almeno, che si rivendichi questo diritto ! Siccome c’è la possibilità ed è un diritto, tanto vale avvalersene. Lo faremo per far capire che siamo coscienti di aver dei diritti e che non li abbandoneremo così.

– L’affaire Covid ha bloccato il movimento dei Gilets gialli ?

Durante il confinamento, abbiamo fatto qualche azione e mantenuto delle mobilitazioni, ma è vero che non era maggioritario. Dopo, a seguito dell’introduzione del green-pass, il movimento ha ripreso vigore. Le braci dei Gilets gialli hanno fatto sì che le persone potessero trarre ispirazione da quello per venire a manifestare contro il green-pass e, lì, siamo stati più numerosi del movimento dei Gilets gialli, così come era diventato nel 2020. Perché nel 2020, con i Gilets gialli, eravamo per strada in circa 2.500/2.600 persone, mentre con gli anti-green-pass eravamo più di 4.000. In compenso, erano Gilets gialli e anti-green-pass, sapendo che i Gilets gialli ancora mobilitati durante il confinamento si sono tutti riversati nel campo della lotta contro il green-pass, dal momento che non accettano le ingiustizie. Ciò ha funzionato bene e non siamo mai stati strumentalizzati da partiti politici. C’è stato, ad un certo punto, un gruppo neonazista che era presente, ma sono partiti appena gli abbiamo fatto capire che la violenza e l’esclusione non ci appartenevano. In compenso, loro beneficiano di un trattamento di favore da parte della polizia. La prova è fornita dall’esperienza del mio figliastro. Il mio figliastro ha preso tre mesi di prigione recentemente a causa della sua partecipazione, il 17 luglio 2021, ad una manifestazione contro il green-pass nella strada della prefettura, dove erano presenti famiglie e dove l’ambiance era molto pacifica. Nonostante ciò, la polizia ci aveva gassati, a tal punto che i residenti della via della prefettura ci avevano aperto gli androni delle loro case, anche se erano favorevoli al governo, per permetterci di respirare. In quel momento, il mio figliastro si è fatto acchiappare dalla polizia e ha preso tre mesi di prigione, quando un neonazi che era lì, il quale aveva rotto la bandiera di un manifestante e molestato un giornalista, non ha subito niente, nonostante le denunce depositate e rilanciate in seguito. Si vede bene la differenza di trattamento. Il mio figliastro, lui ha preso nuovamente tre mesi di prigione, dopo aver già buscato una pena detentiva di tre mesi a causa di un petardo che aveva lanciato sui gendarmes nel contesto di una grande manifestazione di 1.000 persone, all’inizio del movimento dei Gilets gialli.

– L’unione tra Gilets gialli et anti-green-pass, che ha fatto quasi raddoppiare le forze contro il Governo, si è realizzata anche nelle altre città di Francia ?

Sì, nelle città dove il movimento era abbastanza compatto, cosa che non è stato dappertutto. Noi, a Besançon, siamo riusciti a creare un movimento autonomo rispetto ai partiti politici, perché quello che contava era unicamente la difesa dei nostri diritti. Facevamo molta attenzione a ciò. Abbiamo potuto mantenere per molto tempo molte persone nel movimento a Besançon, perché si è vegliato a tenere fuori dal movimento i partiti politici. [Dédée e Frédéric] Ora, da quando Macron è stato rieletto, il movimento dei Gilets gialli ha subito una forte flessione, perché questa rielezione ha veramente dato un colpo al morale delle persone che erano nel movimento da più di tre anni. Attualmente, riprende un po’, ma resta difficile, perché mentalmente non è evidente lottare per poi rendersi conto che Macron resta sempre al suo posto. [Frédéric] Poi, è opportuno comprendere che quelli che restano sono stati ben impattati dalla repressione. Dédée ha avuto numerose multe, io ne ho ricevute 17, di conseguenza le persone hanno fifa e non vedono le cose evolvere secondo le loro speranze.

– La paura del virus SARS-CoV-2 e della morte non hanno veramente avuto nessun effetto sul movimento ?

[Dédée e Frédéric] Sì, nel senso che alcuni mettevano le mascherine, anche per strada, e non erano più disposti a salutare gli altri con un bacio. Ce ne sono ancora un po’ che si comportano in questo modo. Ma erano presenti, nonostante tutto.

– Con l’affaire Covid il Governo ha sfaldato il movimento ?

[Frédéric] Il governo ha approfittato del fatto che gli assembramenti non erano autorizzati per irrogarci multe da 135 €, a volte due multe al giorno. Ad un certo punto, non la smettevamo più di passare davanti al Tribunale di polizia per contestare le multe. A volte, ho ricevuto una multa, non a seguito di un controllo d’identità, ma unicamente per il fatto di esser stato filmato, per non aver indossato la mascherina durante una manifestazione. [Dédée e Frédéric] Una volta, avevamo fatto un’operazione Masques blancs [ndr, Maschere bianche] con coreografia. Eravamo stati rapidamente circondati dalla polizia e stretti davanti all’androne di un palazzo. Per cui, abbiamo spinto il portone e siamo saliti su per le scale. Nonostante ciò, ho preso comunque due multe : una per non aver indossato la mascherina, l’altra per assembramento vietato. La polizia mi ha identificato a causa della mia voce, che conosceva. [Frédéric] Ciò considerato, nello stesso momento, c’erano dei giovani che ballavano, ma loro non hanno rischiato nulla, segno che vige veramente il due pesi due misure. Tanto, anche con i Gilets gialli eravamo sempre al centro dell’attenzione poliziesca e i nostri assembramenti erano presi di mira più degli altri. Perfino al livello giudiziario c’era una ordinanza che discriminava il movimento dei Gilets gialli visto che predicava più attenzione nei confronti dei Gilets gialli rispetto agli altri.

– In Italia, non abbiamo assolutamente avuto un movimento paragonabile ai Gilets gialli, e anche rispetto alle ultime crisi artificiali legate all’Ucraina e alle penurie energetiche il popolo italiano non si è costituito in gruppo di pressione temibile. Che ne è in Francia, nel paese della Rivoluzione francese e della Dichiarazione dei diritti dell’uomo ? Permane qualcosa dello spirito rivoluzionario di un tempo ?

[Dédée e Frédéric] Il quadro è contrastante. E’ radicato presso alcuni, ma molti l’hanno dimenticato, hanno dimenticato di insorgere contro la sospensione dei sanitari. Tra le generazioni precedenti questo non sarebbe mai successo così. Sono le persone anziane che si sono rivoltate, più che i giovani, i quali sono stati poco impattati. [Frédéric] Nei confronti della legge Sécurité globale (6), i giovani sono stati ipercombattivi, per il green-pass anche un po’, altrimenti tutto quello che è sociale/Gilets gialli disegna un quadro veramente più contrastante. Rispetto alla riforma delle pensioni, se ne vede un po’ di più, è sorprendente e infonde un po’ di speranza, ma è vero che sono molto nel loro piccolo mondo. Tanto, tutto è stato fatto per dividere la Società. Prima ci si vedeva, si discuteva tra noi. Ora, si torna a casa, si guarda la tv e si resta isolati. Quello che ha infastidito il Governo è che il movimento dei Gilets gialli ha canalizzato molte persone nelle rotatorie, le quali regolarmente si vedevano e discutevano. Stando al Governo, non ci si doveva vedere e creare un nocciolo duro.

– Passiamo al fenomeno dei sindacati. In Italia, i sindacati, quantomeno i maggiori tra essi, sono oramai strumenti di controllo e di annientamento delle istanze di protesta e delle conquiste sociali passate. Se è la stessa cosa in Francia, è possibile tracciare una genesi storica della mutazione genetica del movimento sindacale francese ?

[Dédée] E’ una storia di grana, non serve andare più in là. I sindacati ricevono grana, e voilà ! Io ti dico questo perché ero nella CGT fino al 1989 e già negli anni Ottanta era un po’ così. Quando le persone lasciavano la ditta, si voleva farli andare via : «dite loro questo, dite loro quest’altro». Mi ricordo di avergli detto : «ci prendete per coglioni ? Sappiamo bene che vuol dire la stessa cosa». Già lì, c’era grana che si dava loro affinché le persone accettassero la linea della dirigenza. Di conseguenza, la ditta ha chiuso. [Frédéric] Dopodiché, il fenomeno ha subito un’accelerazione a causa della legge di rappresentatività dei sindacati (7) che stabilisce che l’elezione professionale sia quasi più importante del numero di aderenti. In tal modo, i sindacati dimenticano i loro valori e si comportano come un partito politico che conta sui mezzi. Un sindacato che non è eletto, e non raggiunge il 10 %, non ha mezzi a disposizione. Esiste giuridicamente, ma non può partecipare al dialogo sociale e a tutte queste cavolate. Dalla promulgazione di quella legge, si vede bene come le persone si battano più per la loro poltrona che per le rivendicazioni dei lavoratori dipendenti. Sono solo i sindacati di base che possono spingere avendo una buona culturale sindacale. D’altra parte, non ci vuole ingerenza da parte dei partiti politici nei sindacati, come è invece il caso. [Dédée] Quando ero alla CGT, era il partito comunista. Io ho smesso perché ciò non mi andava bene. [Frédéric] Sono a Force ouvrière (FO) e l’ho scelto perché opera sulla base del sindacalismo libero e indipendente dai partiti politici, anche se è vero che ci sono correnti politiche e cose di quel tipo, ma nel mondo sindacale, se si dispone di un mandato sindacale e si vuol fare politica, bisogna preventivamente dimissionare dal proprio mandato sindacale. Questo è comunque qualcosa di buono ed è per questo che ci resto, nonostante veda che al livello nazionale il mio sindacato è una catastrofe.

– Visto che evochi la tua adesione a FO Frédéric, potresti riportare la memoria al tuo discorso dirompente di fine maggio 2022, durante il 25esimo congresso confederale di FO, nel quale hanno provato in tutti i modi a silenziarti ?

Mi conoscevano già in virtù di un altro congresso dove i quadri dirigenziali, tra i quali Jean-Claude Mailly (8), non avevano voluto lasciarmi parlare, quando i congressisti erano d’accordo perché mi esprimessi, cosa che poi ho effettivamente fatto. Per ritornare al 25esimo congresso, nel quale si doveva votare per la carica di segretario generale, avevo depositato la mia candidatura per quel posto. Per concorrere all’elezione si deve disporre di sostegni formali alla propria candidatura al livello dipartimentale. Bene, hanno fatto pressioni nel mio dipartimento affinché non potessi ottenere quei sostegni e, quindi, non potessi partecipare all’elezione in quanto candidato. Le varie unioni dipartimentali sono state minacciate di non ricevere più sovvenzioni se appoggiavano la mia candidatura. Volevo partecipare alle elezioni più per riportare un vero dibattito e dei valori nel sindacato che per essere responsabile al livello nazionale del sindacato FO. Perché ora, sembra di essere all’interno di grandi direzioni, tipo dipartimento risorse umane, in grandi aziende. Riproduce quel modello, è una cultura del capo, come non si era mai visto prima, quando il sindacalismo non è all’origine una cultura del capo, esso valorizza veramente tutti, è un tutto, ed è questo che rende il sindacalismo interessante, spingendomi a militarare al suo interno. E’ uno strumento democratico che permette agli operai di organizzarsi e le persone tendono a dimenticarlo, lasciando dei marci decidere al loro posto nelle aziende. Stessa cosa al livello dei diritti, se le persone che ci rappresentano, non lo fanno, bisogna farli sloggiare e mobilitarsi per concretizzare questo. Tale è stato il succo del mio discorso al 25esimo congresso, ed è per questo motivo che mi hanno fischiato. Si sa bene come funziona, ricevono soldi e si comportano più come padroni che come rappresentanti dei lavoratori dipendenti. [Dédée] Anche alla base ! Oggi c’è una riunione intersindacale al livello dipartimentale e non si vuole che Frédéric vi assista. [Frédéric] Sì, perché siamo troppo rivendicativi e ciò gli rompe le palle.

– Veniamo alla scuola pubblica dove tu evolvi dal punto di vista professionale Frédéric. Qual’è l’orientamento pedagogico che hai avuto modo di osservare ?

Intanto, non si parla più di certe parti della Storia. I professori hanno meno margine di manovra nelle lezioni e i mezzi sono in caduta libera. Si fa credere agli studenti che stiano ingranando, quando in realtà molti di loro non padroneggiano correttamente l’ortografia, perfino al livello della Maturità. E’ una catastrofe ! I profs militanti lo constatano, lo denunciano e lo deplorano. Negli istituti tecnici, cercano di far passare tutto attraverso l’apprendistato [ndr, tirocinio] affinché tutto sia al servizio delle aziende e non dei cittadini, nel caso specifico, degli studenti. Si conformano al sistema che si chiede loro di applicare. Applicano, senza riflettere. Ci sono persino profs che hanno attaccato ai Gilets gialli il nomignolo «puzza di piscio» per ostentare il loro disprezzo nei confronti del movimento, nonostante vi siano profs nei ranghi dei Gilets gialli che non si sono trattenuti dal dire ai colleghi che si esprimevano a sproposito. In fin dei conti, si vede bene come si impegnino a distruggere la scuola pubblica, come il sistema di sanità pubblica.

– Hai constatato una penetrazione dell’impostura Woke nella scuola dove lavori ?

Sembra che tale penetrazione riguardi più l’università. Da noi, è marginale. Abbiamo avuto più problemi rispetto al principio di laicità, nella misura in cui, ad un certo punto, era obbligatorio preparare piatti hallal alla mensa scolastica. Nondimeno, nel frattempo quel problema è stato arginato.

– Sembra che il lavoro umano diventi una vestigia del passato, secondo il WEF e anche una parte della popolazione, la cui opinione è stata formattata dai media della finanza, ma anche in conseguenza di fallimenti professionali  dovuti ad un sistema corrotto e sprovvisto di giustizia sociale, oramai focalizzato sulla finanza ed il digitale. Oggigiorno, l’operaio spera di traformarsi in un manager di start-up e la commessa in una influencer su Instangram o Onlyfans. Alla luce di queste considerazioni, il lavoro umano è ancora importante ?

Intanto, vi sono molte persone che non hanno accesso all’informatica. Quello che si osserva attualmente è che molti diventano imprenditori o lavoratori indipendenti e che i datori di lavoro non pagano i contributi assicurativi e previdenziali per quelli. Le aziende si avvalgono sempre più di lavoratori di quel tipo, così sono tranquille, perché in caso d’incidente o di malattia, per esempio, se ne lavano le mani senza remore. Sono le start-up e l’uberizzazione a tutto spiano. E’ certo che il lavoro umano è a rischio, ma bisognerà pur sovvenire ai nostri bisogni, in un modo o nell’altro. Pertanto, è molto inquietante quello che succede. La digitalizzazione si sviluppa sempre di più a detrimento dei lavoratori dipendenti, quando essa dovrebbe aiutarli e fungere da facilitatrice del loro lavoro, e non distruggere quest’ultimo. Lo si constata anche nel telelavoro. Io sono sindacalista al Consiglio regionale dove vi sono 1.000 agenti amministrativi ed il telelavoro rompe tutto il tessuto socio-economico intorno, come i negozi. I piccoli ristoratori, sono loro che ne subiscono più le conseguenze, perché tendenzialmente avevano i lavoratori a pranzo muniti dei loro tickets restaurant, ma ora non li hanno più e tutto ciò deriva dal telelavoro. Inoltre, un’altra conseguenza del telelavoro è il fatto che le persone non si parlino più, visto che non s’incrociano più, per esempio durante i pasti al momento della pausa pranzo. Ma anche se il pranzo avviene, è ridotto rispetto al passato, di modo da scoraggiare le discussioni tra colleghi, perché da quegli scambi potrebbero nascere delle prese di coscienza, di cui il padronato ed il Potere in generale hanno paura. In sostanza, tutto è intrapreso affinché le persone siano divise e lontane l’una dall’altra. Con i Gilets gialli, eravamo tutti riuniti nelle rotatorie e si parlava di un sacco di cose ed è lì che le differenze si sono dileguate, tra virgolette, che ci siamo uniti e, poi, che ci siamo detti che il nostro nemico comune erano la finanza ed il Governo, i quali ci fanno schiattare.

– Le persone sono a maggioranza consapevoli che la tecnologia distrugge la loro vita, invece di aiutarle ?

No, non a maggioranza. Oggigiorno, le persone pensano quasi esclusivamente ai piaceri e alle vacanze. E’ la società di consumo, è il modello capitalista, con l’influencer donna che mostra un viso completamente deformato, dal momento in cui non si concepisce in altro modo se non attraverso l’immagine che veicola, conforme ad uno stereotipo, in assenza del quale il successo non saprebbe essere all’appello, crede lei. Ma la vita, non è questo !

– Cosa direste ai giovani, ai meno giovani, ai disoccupati, ai lavoratori precari, ai pensionati e ai dipendenti della funzione pubblica che si sentono al riparo dalla pauperizzazione ? Avete un messaggio politico da trasmettere loro, alla luce dell’Agenda 2030 ?

Che cerchino di andare oltre le loro differenze e di mettersi insieme per lottare contro questo mondo che arriva e che ci distruggerà. Quelli che dispongono di soldi saranno risparmiati (ma per quanto tempo ?), gli altri, ossia la maggioranza, creperanno. Lo si vede già nella funzione pubblica, con la legge di trasformazione della funzione pubblica, la quale introduce il precariato e disloca lo status di funzionario, importantissimo da noi. Installano il precariato dappertutto affinché non ci si possa più organizzare. Bisogna comprenderlo e agire di conseguenza unendoci. Il movimento dei Gilets gialli ne fa parte, perché riusciamo, nonostante le nostre differenze, ad unirci per una lotta comune, come questo è successo con gli anti-green-pass, dal momento in cui si trattava di un attacco alle nostre libertà, al nostro diritto di manifestare, alla nostra libertà d’espressione ed alla nostra libertà di andare e venire. E’ importante vedersi, discutere, comprendere che non apparteniamo alla classe dei dominanti e che, proprio per questa ragione, dobbiamo assolutamente unirci per avere un minimo di possibilità di arrestare la classe dei dominanti, che se ne strafrega di noi e ci attacca da tutte le parti. [Dédée] Ora, proveranno a dare un pochino all’uno, un pochino all’altro, affinché chiudano la bocca. Ora ti do 100 € a te, dopo ne do altrettanti all’altro, ma in questo momento, 100 € non vuol dire un tubo ! [Frédéric] Ha ragione Dédée, cospargono leggermente, danno ai lavoratori impotenti dei piccoli bonus per evitare che si ribellino, ma ad un certo punto bisognerà unirsi per approntare una Società più giusta, perché una Società divisa non è vivibile. Non potremo sopravvivere, se restiamo tutti divisi, sparpagliati a lottare gli uni contro gli altri. Noi, siamo tutti i sabati mattina sulle rotatorie, anche quando fa freddo, come oggi. Siamo un certo numero con cartelli, cerchiamo di abbordare le persone, percepiamo simpatia da parte loro, ma non comprendiamo quello che aspettano. La pressione è sempre più forte, ma le persone non si mobilitano più di tanto, come se fossero rassegnate. Con la riforma delle pensioni, constatiamo un sussulto, vedremo fin dove ciò andrà.

– Il transumanesimo che auspicano, potranno imporlo ? E se sì, durerà ?

E’ possibile, ma a mio avviso, presto o tardi, ci sarà una reazione. [Dédée] Ad ogni modo, le persone devono scendere in strada, è lì che tutto si deciderà !

– Quando ci siamo incontrati, a fine gennaio scorso, mi avete detto che vedevate più mobilitazione, particolarmente da parte dei giovani, per via del progetto di legge recante una rifoma delle pensioni. Ora che la riforma è passata, a che punto è la mobilitazione dei giovani ?

Dal ricorso al 49.3 (9), tantissimi giovani si sono uniti alla protesta contro il Governo. Sono presenti e determinati nelle strade, perché si rendono conto che un ribaltamento è avvenuto e che la democrazia che gli era stata promessa non è più sostanzialmente presente e ne sono scioccati. Noi eravamo più abituati, ma il fatto che Macron abbia aggiunto quest’ennesima cosa ha fatto reagire i giovani ed è piuttosto positivo. Abbiamo tutt’ora giovani che sono qui. Quando ci sono ministri che vengono, sono presenti ogni volta, quando ci sono manifestazioni contro la riforma delle pensioni, sono sempre lì, determinati. Per questo motivo c’è stata una feroce repressione il 1° maggio 2023 incentrata sui giovani, per terrorizzarli, perché non vadano più a manifestare, ma non funziona molto, visto che di giovani ce ne sono sempre, nonostante abbiano subito abusivamente il fermo giudiziario. Ve ne sono altri che si è riusciti a spaventare e che hanno quindi fatto un passo indietro, ma ne restano. C’è sempre questa forza. La prossima manifestazione è prevista per il 6 giugno e ci saranno dei giovani. Anche il 1° giugno ci sarà una manifestazione organizzata contro la repressione, ed è ad iniziativa dei giovani ed è una buona cosa. Noi siamo molto contenti di ciò. Ci chiedevamo : «che fanno questi giovani ?». Ci siamo, ora reagiscono fortemente.

– Quando dite giovani, fate riferimento agli studenti dell’università locale, o la sociologia è più complessa ?

Per l’appunto, nei cortei non vi sono solo universitari, ci sono anche liceali e giovani operai. Lo notiamo, perché prima non era così. Ci sono assemblee che non sono solo per i giovani e che sono assemblee di lotta. Questo è interessante, mescola un po’ tutti. Sono soprattutto con noi i giovani.

– Quanto agli adulti, avete anche in quel caso constatato un aumento di mobilitazione dopo la riforma delle pensioni ?

Sì. Ci sono grandi mobilitazioni. Per le manifestazioni indette dalle organizzazioni sindacali, lì c’è molta gente. Besançon è tra le città francesi che più si sono mobilitate contro la riforma delle pensioni, proporzionalmente al numero di abitanti.

– Come vi spiegate questa importante mobilitazione a Besançon ?

Perché a Besançon c’è già una cultura di lotta. Besançon è una città operaia, una città dov’è avvenuta la nascita dell’anarchismo. E’ una città di ribelli, tra virgolette. E’ vero che la mobilitazione è calata ad un certo punto, ma ora riprende e le manifestazioni sono abbastanza attive, molto rivendicative, con molti striscioni, cosa che non c’è a Digione. A Digione, non ci sono quasi per niente striscioni. Non arrivo a concepire una manifestazione senza striscioni, è ridicolo. Se si è in strada, è perché si hanno cose da dire e si devono far sentire.

– A fine gennaio scorso avevamo parlato di una mobilitazione di circa 4.500 persone (Gilets gialli + anti-green-pass). Ora, di che cifra si parla ?

E’ in larga misura superata. Siamo perfino arrivati a 16.000. L’ultima volta, il 1° maggio, eravamo ancora 10.000. E’ eccezionale [ndr, Besançon conta 120.000 abitanti]. Sono veramente grosse mobilitazioni. Anche al livello delle azioni che si vedono, c’è comunque uno zoccolo duro che è presente. Per esempio, per la venuta dei ministri, nonostante se ne sia informati all’ultimo momento, c’è sempre comunque uno zoccolo duro. Quello che succede è che le manifestazioni ricalcano un po’ la natura di quelle attuate dai Gilets gialli, quindi sono selvagge e spontanee. Diremmo che non seguono i percorsi fissati dalla prefettura e questo è piuttosto positivo. Uguale per il modus operandi e i blocchi. I sindacati di base se ne appropriano e si vede che il modus operandi è mutuato dai Gilets gialli. Quest’aspetto si è generalizzato in Francia e ciò è molto positivo.

– Quando fai riferimento a blocchi Frédéric, che cosa intendi ?

Blocchi dell’economia, dei camions. Ultimamente, abbiamo proceduto con il blocco di una grossa centrale Intermarché, anche per denunciare le condizioni lavorative nel settore della grande distribuzione alimentare. Dei sindacalisti erano lì. Prima, non li vedevamo mai, cosicché si misura la differenza ed io ne sono contento, perché queste misure impattano direttamente l’economia. Al momento attuale, il problema è che riscontriamo grosse difficoltà nel scioperare nel settore privato, ma anche nel pubblico, perché il diritto di sciopero è ora difficilmente rispettato, perché i sindacati non riescono a farlo rispettare. Pertanto, non è facile mettersi in sciopero per i dipendenti del privato. Nel pubblico, hanno un po’ adulterato il diritto di sciopero e, in definitiva, lo hanno regolamentato in senso più restrittivo. Nelle amministrazioni locali e negli istituti scolastici vogliono imporci la precettazione, ad essere precettati in certi momenti durante gli scioperi, cosa che non avevamo prima. Sono quindi gravi attacchi inferti al diritto di sciopero. Di conseguenza, il modus operandi descritto sopra permette di farci sentire e rimediare allo sciopero che le persone non possono fare [ndr, mentre parliamo, mezzi delle Forze dell’ordine non smettono di passare a sirene spiegate, come del resto è successo durante tutto il mio soggiorno a Besançon. Frédéric e Dédée mi confermano che prima non era così e che lo fanno per intimidire, per mostrare che sono sempre sul pezzo, di modo da scoraggiare le persone dall’esprimere un dissenso politico e dal riunirsi].

– Quand’è avvenuta l’operazione sul sito di Intermarché ?

Era nel dipartimento del Jura, il 2 maggio, all’indomani della manifestazione del 1° maggio. L’abbiamo fatto per proseguire la protesta. Le cose sono andate bene con le Forze dell’ordine che sono venute laggiù, perché non hanno provato a rimuovere il blocco.

– Perché, secondo te ?

Perché non è Besançon. [Dédée] Anche perché era all’indomani del 1° maggio, durante il quale si erano molto adoperate. [Frédéric] Ma anche, è opportuno sapere che alcuni di loro, soprattutto nelle fila dei Gendarmes, sono favorevoli alla nostra mobilitazione, perché la riforma delle pensioni ha un effetto anche su di loro. I Gendarmes sono più flessibili e si lasciano un po’ andare dicendocelo durante alcuni scambi. Ma non i giovani, i più vecchi ! E’ qualcosa di recente, successivo al dossier riforma delle pensioni, perché prima non erano solidali. Poi, dipende dove, non a Besançon. Per esempio, nel Jura è più piccolo, si tratta di gendarmes inseriti nel tessuto dipartimentale, così sono meno attivi che qui [ndr, e probabilmente meno soggetti al giudizio della loro gerarchia]. Qui, vige più la repressione.

– Nell’operazione su Intermarché c’erano anche giovani ?

C’erano sindacati, Gilets gialli e giovani che erano nelle manifestazioni, con i quali abbiamo fatto delle azioni, come quella avvenuta nella Haute-Saône. Laggiù, avevamo operato un filtraggio di rotatoria al fine di impedire il passaggio dei camions, nel quadro della protesta contro la riforma delle pensioni. Quel giorno lì, ci siamo beccati due multe da 135 €, lo stesso giorno, ed i giovani lo stesso. Eppure, erano piazzati in un settore dove le macchine non passavano. Occupavano solamente nella prospettiva di impedire ai camions di passare e sono stati sanzionati. Per loro, è complicato, perché alcuni di loro sono studenti. Facciamo quindi alcune cose per aiutarli. Per pagare le loro spese di giustizia, abbiamo fatto delle collette.

– Avete quindi stretto rapporti con dei giovani ?

Sì, anche provenienti da altri dipartimenti. Molti giovani mi hanno ringraziato per quel che ho fatto, e questo mi ha tra l’altro sorpreso. Erano contenti che fossi lì. Ciò prova che hanno bisogno di sostegno. Quando mi hanno visto, all’interno di manifestazioni, evolvere totalmente al di fuori dei limiti fissati dalla prefettura e che indossavo la mia pettorina FO, erano rassicurati. Per loro è importante sapere che ci sono sindacalisti che sono lì e che si battono. Siamo sempre in contatto. Ora, in tutte le azioni i Gilets gialli sono sollecitati e funziona bene.

– Abbiamo evocato il clima a Besançon e dintorni, che ne è del resto della Francia in quanto a mobilitazione ?

Nel resto della Francia è uguale. Ci sono molti giovani che sono usciti per strada e la repressione nel resto della Francia si è incentrata, come qui, sui giovani, perché temono i giovani, visto che non hanno limitazioni e che possono entrare in azione quando vogliono. Dopodiché, bisogna sapere che a Parigi, per esempio, i media di regime hanno reagito denunciando la repressione, perché erano i loro figli ad essere coinvolti nella repressione. Perché i Gilets gialli, come aveva detto Macron, erano persone da niente, solo che qui riguarda tutti, anche gli studenti. E le persone che credevano di non essere impattate, si dicono ora : «ebbene, sono impattato» ! Ci sono perfino genitori che sono nelle manifestazioni non autorizzate per sorvegliare i loro pargoli. Sono nei cortei per essere con i loro pargoli, perché temono la reazione degli sbirri.

– Quando dici che i media di regime sono più sensibili, intendi significare che si mostrano attualmente meno critici nei confronti della dissidenza ?

Un fatto mi ha veramente sorpreso, perché avevano realizzato addirittura un documentario sulla repressione cieca sul canale BFMTV (10) e avevano proprio messo in questione la polizia ed il potere macronista in generale. E ciò non si era mai visto in riferimento ai Gilets gialli. Per i media, eravamo noi ad essere di solito persone piene di odio. Ma in questo caso, siccome riguarda i loro ragazzi, il discorso cambia. Sì, perché a Parigi sono usciti in strada anche i figli dei giornalisti, delle persone dell’amministrazione, ecc. Per noi, è abbastanza divertente perché ci diciamo che abbiamo subito anche di peggio, ma che ciò era accaduto praticamente sotto il silenzio dei media di regime. Solo che qui, si sente che sono più coinvolti. E anche negli altri media si vedono molti più articoli sulla repressione, come ancora è successo recentemente a proposito del 1° maggio, allorquando 33 giovani sono stati abusivamente interrogati dalla polizia. La maggior parte dei media, come France 3 o l’Est Républicain hanno coperto la notizia in un modo critico rispetto alle Forze dell’ordine.

– Avete l’impressione che tutto quello che viene compiuto attualmente farà retrocedere il Governo ? 

Vediamo quantomeno che fatti inediti accadono, come per esempio l’esclusione della popolazione dalla commemorazione dell’8 maggio, con Macron che era tutto solo sugli Champs-Élysées. E’ gravissimo. Per lui, politicamente è un disastro, ma soprattutto illustra bene la deriva verso un regime autoritario. Quando le persone hanno visto quello, ne hanno preso coscienza : «è in Francia questo ?». Le persone sono state colpite da quell’immagine. Ci si domanda come farà per il 14 luglio. Perché al momento, siamo nei 100 giorni di distensione e Macron fa ora la propria campagna presidenziale per fare comunicazione. Per l’appunto, le persone che sono contrarie alla sua politica e che esigono il ritiro della riforma delle pensioni sono qui tutte le volte che ci sono ministri in visita. Li accolgono a colpi di pentole. Fa rumore e perturba bene le visite. Poi, si vede bene che le Forze dell’ordine sono totalmente fuori dalla legalità, come si è ben capito quando Macron è venuto il 27 aprile, il giorno dopo rispetto al mio fermo giudiziario, per denunciare lo schiavismo al castello di Joux. C’era stata un’ordinanza del prefetto che vietava le manifestazioni, solo che il prefetto ha fatto marcia indietro perché aveva paura che l’ordinanza fosse respinta dal Tribunale amministrativo e, nonostante ciò, ci hanno ugualmente sbarrato illegalmente la strada. Ci siamo fatti violentemente manganellare e gassare, perché abbiamo provato a forzare il posto di blocco. Ciò si è riproposto con la visita del Ministro della salute a Besançon. Siamo stati bloccati illegalmente, senza la presenza di ordinanza prefettorale. Lo abbiamo detto ai poliziotti, ma se ne sono fregati. Così, sono stato gassato a bruciapelo con un gas al peperoncino che mi ha bruciato e fatto ben soffrire. Ho fatto accertare da SOS Médecins [ndr, ossia guardia medica] le mie ferite insieme ad un compagno di lotta e sporgeremo denuncia, perché era totalmente illegale.

– Le persone che attualmente protestano contro la riforma delle pensioni, in particolare i giovani, si rendono conto che l’affaire delle pensioni non è che una manifestazione, tra tante altre, di un progetto più globale votato ad asservire le popolazioni ai magnati della finanza ? O vedono solo la riforma ?

Non solo. Innanzitutto, sono contro il capitalismo, hanno ben capito che c’è un problema, che tutto è intrapreso a beneficio della finanza e niente per le persone. Quello che è interessante nei giovani è che parlano dei loro genitori, parlano delle condizioni di vita dei loro genitori in riferimento alla riforma delle pensioni, ma anche in relazione al fatto che non riescono a sbarcare il lunario, e poi a proposito delle restrizioni alle nostre libertà ed ai nostri diritti. Ma sì, va oltre Macron e compagnia bella. Hanno ben compreso che c’è una minoranza che dirige tutto ciò, che siamo su modelli riproducibili e che c’è repressione un po’ dappertutto. In Francia, sciocca un po’ di più perché è la cosiddetta culla dei diritti dell’uomo. Sappiamo di essere osservati dal mondo intero, per vedere se reggeremo rispetto all’opposizione alla riforma delle pensioni che è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Non è solo la riforma delle pensioni a tenerci in strada, è un tutto.

– Sì, relativamente a voi due e ai Gilets gialli in generale, non vi sono dubbi. Ma che ne è dei giovani che si sono associati alla protesta recentemente e che, forse, percepiscono solo la questione relativa alla riforma delle pensioni ? Se vi pongo la domanda, è che ho letto un volantino (QUI consultabile in PDF) distribuito da alcuni studenti dell’università locale che sembrava avvalorare la frode Co2 e la Gender Theory e collocava la crisi legata alla riforma delle pensioni in secondo piano, pur denunciandola.

No, qui ci sono più ragazzi coscienti di tutte le sfide e che sono rimasti scioccati dal diniego di democrazia. Ce ne sono alcuni come dici tu, ma è una minoranza. Nei blocchi, vedi giovani che sono esasperati dal Sistema e che sono veramente contro il sistema capitalistico. E non ingoiano più la Politica. Abbiamo visto, ad un certo punto, che alcuni partiti politici volevano infiltrarsi, ma si notavano tensioni presso i giovani rispetto a questo, anche nei confronti dei sindacati. Per esempio, la CGT dei giovani, che intendeva assolutamente recuperare il movimento, si è fatta praticamente escludere. No, è veramente il loro movimento e rimettono in questione il Potere in generale.

– Da un punto di vista personale Frédéric, rispetto a gennaio scorso hai subito altre ingiustizie conseguenti alla tua militanza ? Se sì, mi puoi raccontare quel che ti è successo e se hai ricevuto sostegno ?

C’è stata un’azione il 7 marzo 2023 in tutta la Francia, quindi anche a livello dipartimentale, per la quale si è invocato il blocco del paese. Su quell’azione eravamo in più di 100 persone e sono stato il primo ad essere convocato alla gendermeria, dopodiché tre altri compagni lo sono stati a loro volta, ma sono l’unico ad essere processato il 30 giugno 2023. Ma questo non lo sapevo prima del mio fermo giudiziario. In quel momento lì, ci sono stati ufficiali giudiziari che scattavano foto. Sapevano molto bene quel che facevano. Dopo, c’è stata una manifestazione indetta dai ferrovieri, su scala dipartimentale ed anche nazionale, contro la riforma delle pensioni. Siamo entrati nella stazione di Besançon e dei manifestanti, tra i quali anche me, sono andati a posizionarsi sulle rotaie. L’indomani, sono stato convocato, insieme al giornalista indipendente Toufik-de-Planoise che copriva la notizia per conto di Radio BIP. La polizia ha quindi portato a casa nostra la convocazione recante lo stesso errore di data. Dovevano convocarci per il 26 maggio, ma in fin dei conti è stato il 26 aprile. Appena hanno capito che si erano sbagliati con la data, ci hanno riportato una convocazione al nostro domicilio, lo stesso giorno. Prima di essere convocato, avevo capito che sarei stato posto in stato di fermo giudiziario ed infatti non è mancato, siamo stati posti in stato di fermo giudiziario. Dopo, sono passato davanti alla vice-procuratore. Sono stato portato al Palazzo di giustizia con due furgoni, perché c’erano manifestazioni di sostegno davanti all’entrata. Quindi, dopo 9 ore di fermo giudiziario, sono entrato nel Palazzo di giustizia è sono stato presentato al procuratore che mi ha decisamente rimbrottato dicendomi che il diritto di manifestare era un diritto, ma che il diritto di circolare lo era altrettanto. Allora le ho risposto : «aspetti, che possiamo fare, il Governo non ci ascolta, noi siamo ben costretti ad un certo punto a farci sentire, quindi manifestiamo, perché è un diritto democratico». Non eravamo assolutamente d’accordo e aveva deciso di mettermi sotto controllo giudiziario severo, ossia : divieto di manifestare in tutta la Francia fino alla data del mio processo, il 30 giugno ; divieto di frequentare il giornalista indipendente Toufik-de-Planoise fino al processo e, infine, divieto di porto d’armi. Non ho mai posseduto armi. Dopodiché, sono stato presentato al giudice delle libertà e delle detenzioni, che ha deciso di non seguire il parere del procuratore, perché riteneva che fosse esagerato, visto che sono sempre stato prosciolto e che sono innocente. Ha solo mantenuto il porto d’armi e di presentarmi senza fallo il 30 giugno al processo, cosa che farò in ogni caso. Difenderò il diritto di manifestare e denuncerò l’accanimento politico. Il mio avvocato è nel mio stesso ordine di idee. Sono uscito l’indomani e sono quindi andato a manifestare contro la venuta di Macron. La polizia era alquanto sorpresa che fossi a contatto con gli scudi, ma per me era molto importante esserci. Sarebbe stato grave se mi avessero vietato di manifestare, visto che si tratta di un diritto fondamentale. Se non ci si può più esprimere, è molto grave. In sostanza, tutto ciò non mi impedisce di continuare, non mi riduce all’inazione. Ancora l’altra volta, quando il Ministro della salute François Braun è venuto, siamo stati a ridosso e gli abbiamo sbattuto slogans virulenti. Ho perfino ricevuto una multa per distribuzione di volantini, quando si trattava di una distribuzione di volantini fatta con altre 50 persone, dichiarata dall’intersindacale. Così, ho preso 135 €. E’ impressionante, non avevo mai visto niente del genere, ma a quanto pare è una vecchia legge che hanno ripescato. Eccola [ndr, Frédéric mi mostra il testo della contravvenzione] : «Distribuzione di stampato o di oggetti all’occupante di un veicolo circolante su una via pubblica». Rispetto a questo, ho una spiegazione, perché ad un certo punto c’era un mezzo della polizia che è passato e nel flusso di macchine ho teso il volantino, non hanno aperto ed è a quel punto che credo mi abbiano verbalizzato, senza controllarmi, senza nulla. In tutto, ho quindi collezionato 20 multe, ma non mi impedirà di continuare. Se mi condannano, perché faranno di tutto per condannarmi, così come hanno fatto di tutto per impedirmi di manifestare, senza riuscirvi, andrò fino alla Cassazione e non mi lascerò fare. [Dédée] Perché pensano che se non c’è più Frédéric, non ci sarà più niente a Besançon. [Frédéric] Negli interrogatori dei giovani che sono stati interrogati dalla polizia, ebbene, parlano di me e del giornalista indipendente dicendo, siccome ad un certo punto eravamo davanti al commissariato per venire a sostenerli : «Ah, ecco i vostri salvatori, non hanno niente da fare delle loro vite». Come al momento dei Gilets gialli, i poliziotti non hanno smesso di blaterare a proposito di me. E’ alquanto impressionante e sono i giovani che me ne parlano.

– Molto bene Dédée e Frédéric, è stato uno scambio illuminante, di cui vi ringrazio molto. Qui si conclude l’intervista.

Di Tomaso Pascucci per ComeDonChisciotte.org

05.06.2023

Version française de l’entrevue

– Dédée et Frédéric, je vous propose de commencer cette entrevue en affrontant la question de la génèse et du développement du mouvement des Gilets jaunes. Pourquoi la lutte s’est-elle imposée ? Peut-on ébaucher une histoire du mouvement des Gilets jaunes ? Comment se situe votre engagement personnel, par rapport au mouvement général ?

Déjà on voyait que les gens avaient du mal à finir les fins de mois. On sentait que la frustration poussait. Moi, en tant que militant, je sentais que ça grondait. Du coup, j’ai essayé par Facebook de mettre en place des choses. On avait fait une manifestation, sous Nicolas Sarkozy, par rapport au pouvoir d’achat et, en fin de compte, on sentait que ça poussait et après, ce qui a fait déborder le vase, c’est l’essence, l’augmentation du prix du carburant qui a fait que les gens en avaient ras-le-bol, puisque la plupart des gens ont de voitures en raison de leur travail, ils sont en général éloignés des centres villes. Du coup, pour aller au travail il leur fallait absolument la voiture. Puis, même pour nous, pour voir la famille il nous faut la voiture. Et du coup, quand ç’a impacté les gens, c’est la goutte d’eau qui a fait déborder le vase. Et après, en discutant tous ensemble, on s’est dit qu’il n’y avait plus de services publics, dans tout le territoire il y en avait de moins en moins et aussi on réfléchissait sur toutes les injustices liées à la finance et sur tous ceux qui gagnent énormément, avec en face tous ceux qui travaillent et qui survivent, encore plus maintenant. Tout ça a fait qu’à un moment donné on s’est dit de sortir et d’aller sur les ronds-points. Déjà, au mois de septembre 2018 on sentait que les gens avaient envie de s’organiser et du coup le mouvement des Gilets jaunes est apparu. Moi, j’y suis allé au début en observateur, puis j’y suis resté. Dès le départ on a fait des actions. Initialement, c’était seulement sur les ronds-points, après ça s’est transformé. On a fait à Besançon des blocages d’une plateforme logistique, dénommée Easydis, qui touche à l’alimentation. On a bloqué la nuit les camions, le matin très tôt. Comme on était nombreux, la police était dépassée. Sur les ronds-points, au début la police laissait faire, ils étaient là plutôt pour assûrer la sécurité, mais à un moment donné on a vraiment vu une différence, c’est-à-dire quand ils ont commencé à dire : stop, il faut tout arrêter. C’est là qu’il y a eu de la répression, donc on est partis des ronds-points pour aller faire les manifestations en ville, tout en continuant les actions un peu partout. Ce qui était intéressant chez nous, c’est qu’il y avait des gens de toutes les catégories sociales ; il y avait même des gens qui travaillaient en Suisse et qui venaient parce qu’ils avaient envie d’une Société plus juste. En fin de compte, le mouvement des Gilets jaunes on peut le comparer à un mouvement anarchiste, du moins à Besançon. Chez nous, il n’y a pas de chef, c’est très ancré là-dedans, et ça l’est toujours ! C’est vrai, il y a des gens qui poussent un peu plus, il y a des locomotives, mais après il n’y a pas de chef. Nous, on décide tous ensemble et ça c’est plutôt bien, ce qui n’a pas été le cas partout. Il faut savoir qu’avant le déclenchement des Gilets jaunes, le 18 novembre 2018 Macron est venu à Besançon inaugurer le musée des Beaux-Arts, et c’est là qu’on a vu une chose inédite à Besançon, à savoir qu’on ne pouvait plus accéder dans le secteur du musée. On était à peine à l’entrée du centre-ville qu’il y avait des forces de l’ordre partout, munies de l’ordre d’interdire tout passage, et c’est là que j’ai commencé à subir la répression. J’étais ce jour-là avec une chasuble du syndicat Force ouvrière, j’avais mon porte-voix et là j’ai été étranglé par un policier de la BAC (brigade anti-criminelle) qui m’a étranglé jusqu’à ce que je ne puisse plus avoir de voix. Après, j’ai repris mon souffle, j’ai repris mon porte-voix et avec le groupe on est allés de l’autre côté de la rue, juste à côté, et ils ne voulaient absolument pas nous faire passer, même un CRS nous avait dit : « Derrière les boucliers, ce n’est plus la démocratie ». Un chef en plus ! Du coup, j’ai eu le petit doigt cassé, parce qu’ils nous ont frappés avec les matraques et ils nous ont gasés. Ainsi, le lendemain on était sur les ronds-points et c’est là que la répression du gouvernement Macron a vraiment commencé. Mais avant, avec François Hollande, sur la loi de travail, on a senti déjà que ça resserrait au niveau de tout ce qui était militant. L’action syndicale et l’action militante étaient plus que criminalisées, mais là ç’a atteint son paroxisme.

– La répression policière s’est faite par rapport aux blocages de la logistique, par exemple lorsque vous bloquiez les camions qui sortaient de la plateforme Easydis, ou déjà sur les ronds-points ?

Sur les ronds-points aussi ils nous dégageaient. Par exemple, on était à un gros rond-point avec des centre commerciaux partout autour (ça s’appelle centre Valentin), et là ils nous ont virés en balançant des gaz lacrimogènes et en brûlant les petites cabanes qu’on avait installées.

– Quand est-ce que le refoulement a débuté ?

Vers la mi-décembre 2018. Parce qu’il y a eu le gros coup à Paris et, du coup, on a senti qu’ils se crispaient, puis ils avaient vu ce qui s’était passé avant, par exemple au Puy-en-Velay, avec des gens complètement démasqués qui sont parvenus à pousser les grilles de la préfecture et à pénétrer dans la cour de celle-ci, ainsi ils ont eu la trouille. Moi, j’ai commencé à être convoqué par la police fin décembre. C’était la première fois de ma vie, avec une convocation qu’on a apportée chez moi à l’allure de tract, tellement elle n’était pas réglementaire du tout. Après ç’a été infernal.

– Est-ce qu’il y a eu des initiatives allant dans le sens d’une réunion autour d’un projet commun de tous les collectifs de Gilets jaunes dispersés à travers la France ?

Ça c’était après. Il y avait des ADA, parfois à Paris, parfois dans le sud de la France, mais finalement c’était plus de la discussion politique qu’autre chose. Nous, on a été à l’une d’entre elles, à Lure en Franche-Comté, où d’autres camarades sont venus, mais ce n’était rien de concret, ça tournait en rond et ça nous avait déçus.

– Il n’y avait donc pas d’actions concertées au niveau national ?

Si, dans certains groupes, grâce aux connaissances, mais tout le monde ne savait pas que ces groupes étaient en contact. Des fois, on décidait d’une action qu’on menait dans plusieurs villes de France, mais c’était un peu un groupe sous-marin. Du coup, on arrivait à faire des actions en commun, mais ce n’était pas toujours évident. Ou alors, sur des appels Facebook, on suivait un peu les idées. Un coup, c’était sur la répression, on avait tous fait sur la répression en même temps, on avait discuté, on avait parlé, on avait décidé. À Besançon, l’ensemble des manifestants se réunissait souvent à un moment, tous les jeudis soir. Mais même quand on se réunissait, la police était par là et c’est ça qui a vraiment freiné le mouvement des Gilets jaunes. C’est la dure répression qui a mis un gros coup de frein sur le mouvement des Gilets jaunes. Parce que les gens, entre les gardes à vue et le fait de se faire gazer, chose inédite à Besançon, ont fini par craindre la police. Ils ne la voient plus de la même manière. Mais même au niveau des manifs actuellement, ils nous barrent l’accès à la rue où se trouve la préfecture, alors qu’on ne fait pas de mal au personnel de la préfecture. Encore récemment, samedi, on était une quarantaine et ils ont barré la préfecture, pour 40 personnes.

– La répression a été pérpétrée, en fonction du principe qu’il ne doit pas y avoir de protestations et dissension vis-à-vis de l’action du gouvernement, ou en raison de la crainte ressentie par le gouvernement de ne pas pouvoir maîtriser la situation du point de vue de la sécurité ?

Initialement, ç’a été la peur, mais ensuite c’est devenu un principe, parce qu’à la moindre banderole ils réprimaient. On l’a vu au 14 juillet, quand on a essayé de scander des slogans en plein défilé à Besançon. On a été nassés, il y avait des chiens et tout ça pour un petit groupe de personnes. C’est là que je vois la dérive, puisqu’au début c’était en réaction, mais maintenant on comprend qu’ils empêchent les gens de se réunir. On l’a vérifié à la sortie du confinement, quand une réunion a été organisée à l’initiative d’une militante chez elle, au centre-ville. On était quelques Gilets jaunes et, elle, c’était une enseignante qui avait eu des ennuis avec son école, parce que durant le confinement elle avait donné les cours par WhatsApp, au lieu de les donner par la plateforme du rectorat. Elle ne comprenait pas qu’on lui conteste ça, puis elle était un peu rebelle. Dès lors, elle avait voulu créer un groupe avec des Gilets jaunes, si bien que le premier jour de l’après confinement on s’était rendus chez elle pour une réunion, ce qui n’était pas passé inaperçu, en raison des caméras de vidéo-surveillance qui tapissent la ville. La preuve, le lendemain de la réunion, la police avait débarqué chez elle, sans aucune raison, mais juste pour l’intimider. Moi, je lui avais expliqué le soir de la réunion qu’il fallait se méfier des camérais, installées pour nous surveiller, nous, et non pas pour une question de sécurité. Pour l’heure, elle n’était pas d’accord, mais quand elle a vu le lendemain la police chez elle, elle restée traumatisée. Aussi, elle a arrêté le groupe Facebook qui s’appellait Pages Blanches. Voilà, au centre-ville ils peuvent nous suivre sans souci. Quand Amnesty International est venue à Besançon, la police était là, elle a fait des contrôles devant le commissariat, ce qu’ils ne faisaient pas d’habitude. Amnesty n’était pas accoutumée à ça, jamais ils n’ont eu un dossier en France. La dérive est totale, puisqu’ils ont introduit le confinement, le pass sanitaire, l’obligation vaccinale. On va de plus en plus loin et les gens ne se rendent pas compte et se laissent faire, à part une minorité, mais la minorité ils la matent. Puisqu’à un moment on était 5000 à Besançon, du coup ils ont commencé à faire le ménage en mettant des amendes, en poursuivant les manifestants anti-pass qui étaient à l’extérieur. Quand on se dispersait, ils nous poursuivaient afin de nous coller des amendes. On sent qu’il y a une volonté, qu’ils ont la trouille, par conséquent ils font très attention à tout ce qui a trait à des réunions de contestation, à des discussions entre gens. Là, par exemple, on ne sait pas où ils sont et ce qu’ils font.

– Est-ce que vous avez l’impression qu’ils font des filatures et qu’ils ont mis en place des écoutes téléphoniques ?

Oui, mon avocat m’avais dit que j’étais sur écoute. On m’a plusieurs fois confisqué le portable au moment des gardes à vue, on me contraignant à leur montrer son contenu. À ce propos, avec des camarades on va demander à accéder à nos fiches, puisque c’est un droit, pour savoir ce que l’État a écrit sur nous. Après, ils ne vont peut-être pas tout donner, mais au moins, qu’on revendique ce droit ! Puisque c’est une possibilité et c’est un droit, autant s’en prévaloir. On va le faire pour faire comprendre qu’on sait qu’on a des droits et qu’on ne va pas les abandonner comme ça.

– Est-ce que l’affaire Covid a enrayé le mouvement des Gilets jaunes ?

Au moment du confinement, on a fait quelques actions et maintenu des mobilisations, mais c’est vrai que ce n’était pas majoritaire. Puis, à la suite de l’introduction du pass sanitaire, le mouvement a repris de l’ampleur. Les braises des Gilets jaunes ont fait que les gens ont pu se raccrocher à ça pour venir manifester contre le pass sanitaire, et là, on a été plus nombreux que le mouvement des Gilets jaunes, ainsi qu’il était devenu en 2020. Parce qu’en 2020, avec les Gilets jaunes, on était dans la rue 2500/2600 personnes, tandis qu’avec les anti-pass on était plus de 4000. Par contre, c’était des Gilets jaunes et des anti-pass, en sachant que les Gilets jaunes encore mobilisés pendant le confinement ont tous basculé dans la lutte anti-pass, attendu qu’ils n’acceptent pas les injustices. Cela a bien fonctionné et on n’a jamais été récupérés par des partis politiques. Il y a eu à un moment un groupe néo-nazi qui était là, mais ils sont partis dès lors qu’on leur a fait comprendre que la violence et l’exclusion ça ne nous appartenait pas. En revanche, eux benéficient d’un traitement de faveur de la part de la police. La preuve est fournie par l’expérience de mon beau-fils. Mon beau-fils a pris trois mois de prison récemment en raison de sa participation, le 17 juillet 2021, à une manifestation anti-pass dans la rue de la préfecture, où étaient présentes des familles et où l’ambiance était très pacifique. Malgré cela, la police nous avait gazés, à tel point que des habitants de la rue de la préfecture nous avaient ouvert les porches de leurs maisons, même s’ils étaient favorables au gouvernement, pour nous permettre de respirer. À ce moment-là, mon beau-fils s’est fait attrapper par la police et a pris trois mois de prison, alors qu’un néonazi qui était là, et qui avait cassé le drapeau d’un manifestant et molesté un journaliste, n’a rien eu, malgré des plaintes déposées et relancées par la suite. On voit bien la différence de traitement. Mon beau-fils, lui, a pris de nouveau trois mois de prison, après avoir déjà écopé d’une peine de trois mois de prison ferme à cause d’un pétard mortier qu’il avait lancé sur les gendarmes dans le cadre d’une grosse manifestation de 1000 personnes, au début du mouvement des Gilets jaunes.

– Est-ce que l’union entre Gilets jaunes et anti-pass, qui a fait presque doubler les forces contre le gouvernement, s’est réalisée aussi dans les autres villes de France ?

Oui, dans les villes où le mouvement était assez compact, ce qui n’a pas été le cas partout. Nous, à Besançon, on est parvenus à créer un mouvement autonome par rapport aux partis politiques, parce que ce qui comptait c’était uniquement la défense de nos droits. On faisait très attention à ça. On a pu maintenir longtemps beaucoup de monde à Besançon dans le mouvement, parce qu’on a fait gaffe de garder les partis politiques en dehors du mouvement. [Dédée et Frédéric] Maintenant, depuis que Macron a été réélu, le mouvement des Gilets jaunes a beaucoup chuté, parce que cette réélection a vraiment mis un coup moral aux gens qui étaient dans le mouvement depuis plus de trois ans. Là, ça reprend un peu, mais ça demeure difficile, parce que mentalement ce n’est pas évident de lutter pour observer en fin de compte que Macron reste toujours à sa place. [Frédéric] Puis, il faut comprendre que ceux qui restent ont bien été impactés par la répression, par les amendes. Dédée a eu pas mal d’amendes, moi j’en ai eu 17, par conséquent les gens ont la trouille et ne voient pas les choses évoluer comme ils l’espèrent.

– La peur du virus SARS-CoV-2 et de la mort n’ont vraiment pas eu d’effets sur le mouvement ?

[Dédée et Frédéric] Oui, dans le sens où certains mettaient des masques, même dans la rue, et n’étaient plus disposés à faire la bise aux autres. Il y en a encore un peu qui se conduisent de la sorte. Mais ils étaient présents, malgré tout.

– Est-ce qu’à travers l’affaire Covid le gouvernement a eu raison du mouvement ?

[Frédéric] Le gouvernement a profité du fait que les rassemblements n’étaient par autorisés pour nous mettre des amandes à 135 €, parfois deux amendes par jour. À un moment donné, on n’arrêtait plus de passer devant le Tribunal de Police pour contester les amendes. Des fois, j’ai reçu une amende, non pas à la suite d’un contrôle d’identité, mais juste du fait d’avoir été filmé, pour non-port du masque lors d’une manifestation. [Dédée et Frédéric] Une fois, on avait fait une opération Masques blancs avec une chorégraphie. On avait vite été nassés par la police et acculés devant un porche. Aussi, on a poussé la porte et on est montés dans les escaliers, mais j’ai quand même pris deux amendes : une pour non-port du masque et l’autre pour rassemblement interdit. La police m’a identifié en raison de ma voix, qu’ils connaissaient. [Frédéric] Face à ça, au même moment, il y avait des jeunes qui dansaient, mais eux n’ont pas été inquiétés, signe qu’il y a vraiement deux poids deux mesures. De toute façon, même avec les Gilets jaunes, on était toujours au centre de l’attention policière et nos rassemblements étaient visés plus que les autres. Même au niveau judiciaire, il y avait une ordonnance qui discriminait le mouvement des Gilets jaunes puisqu’elle prêchait plus d’attention à l’égard des Gilets jaunes par rapport aux autres.

– En Italie, on n’a point eu de mouvement comparable aux Gilets jaunes, et même par rapport aux dernières crises artificielles liées à l’Ukraine et aux pénuries énérgétiques le peule italien ne s’est pas constitué en groupe de pression redoutable. Qu’en est-il France, dans le pays de la Révolution française et de la Déclaration des droits de l’homme ? Reste-t-il quelque chose de l’esprit révolutionnaire d’antan ?

[Dédée et Frédéric] C’est mitigé, c’est ancré chez certains, mais beaucoup l’ont oublié, ils ont oublié de s’insurger contre la suspension des soignants. Chez les anciens, ça ne se serait jamais passé comme ça. Ce sont les personnes âgées qui se sont révoltées en raison des suspensions, plus que les jeunes, qui n’ont pas été impactés plus que ça. [Frédéric] Sur la loi Sécurité globale, les jeunes ont été vent debout, pour le pass sanitaire un peu aussi, sinon tout ce qui est social/Gilets jaunes c’est vraiment plus mitigé. Sur la réforme des retraites, on en voit un peu plus, c’est surprennant et ça donne un peu d’espoir, mais c’est vrai qu’ils sont très dans leur milieu. De toute façon, tout a été fait pour diviser la Societé. Avant on se voyait, on discutait entre nous. Maintenant, on rentre chez nous, on regard la télé, on est isolés. Ce qui a emmerdé le gouvernement, c’est que le mouvement des Gilets jaunes à canalisé beaucoup de personnes sur les ronds-points qui régulièrement se voyaient et discutaient. Pour le gouvernement, il ne fallait pas se voir et créer un noyau.

– Passons aux syndicats. En Italie, les syndicats, du moins les majoritaires, sont désormais des outils de contrôle et d’anéantissement des instances de protestation et des acquis sociaux. Si c’est la même chose en France, est-il possible de tracer une génèse historique de la mutation génétique du mouvement syndical français ?

[Dédée] C’est une histoire de fric, ce n’est pas la peine d’aller plus loin. Les syndicats touchent du fric et puis voilà ! Moi, je te dis ça, parce que j’étais de la CGT jusqu’en 1989 et déjà dans les années 1980 c’était déjà un peu ça. Quand les gens sortaient de la boite, on voulait les faire sortir, dites-leur ceci, dites-leur cela. Je me rappelle leur avoir dit : «vous nous prenez pour des cons ? On sait bien que ça veut dire pareil». Déjà là, il y avait du fric qu’on leur donnait pour que les gens acceptent la ligne de la direction. Du coup, la boite a fermé. [Frédéric] Après, le phénomème s’est acceleré à cause de la loi de représentativité des syndicats qui fait que l’élection professionnelle est presque plus importante que le nombre d’adhérents. Aussi, les syndicats oublient leurs valeurs et se comportent comme un parti politique qui mise sur les moyens. Un syndicat qui n’est pas élu, et n’atteint pas 10 %, n’a pas de moyens à disposition. Il existe juridiquement, mais ne peut pas participer au dialogue social et à toutes ces conneries. Depuis cette loi, on voit bien que les gens se battent plus pour leur place que pour les revendications des salariés. Ce ne sont que les syndicats de base qui peuvent pousser, en ayant une bonne culture syndicale. D’autre part, il ne faut pas d’ingérence des partis politiques dans les syndicats, ce qui est le cas. [Dédée] Quand j’étais à la CGT, c’était le parti comuniste. Moi, j’ai arrêté parce que ça ne me convenait pas. [Frédéric] Je suis à Force ouvrière, et je l’ai choisi, parce qu’il opère su la base du syndicalisme libre et indépendant des partis politiques, même s’il est vrai qu’il y a des courants politiques et des choses comme ça, mais dans le monde syndical, si on a un mandat syndical et on veut faire de la politique, il faut au préalable démissionner de son mandat syndical. Ça, c’est quand même quelque chose qui est bien et c’est pour ça que j’y reste, même si je vois qu’au niveau national mon syndicat, c’est la catastrophe.

– Puisque tu évoques Frédéric ton adhésion à FO, peux-tu revenir sur ta communication fracassante de fin mai 2022, lors du XXVe congrès confédéral de FO, où ils ont tenté à plusieurs reprises de te couper la parole ?

Ils me connaissaient déjà d’un autre congrès où les instances supérieures, dont Jean-Claude Mailly, n’avaient pas voulu me laisser la parole, alors que les congréssistes étaient d’accord pour que je m’exprime, ce que finalement j’avais fait. Pour revenir au XXVe congrès, où il devait y avoir l’élection du secrétaire général, j’avais déposé ma candidature pour ce poste. Pour concourir à l’élection, il faut avoir des soutiens formels à sa candidature au niveau départemental. Or, ils ont fait des pressions dans mon département afin que je ne puisse pas obtenir ces soutiens et, donc, participer à l’élection en tant que candidat. Les unions départementales ont été menacées de ne plus recevoir de subventions si elles appuyaient ma candidature. Je voulais participer à l’élection plus pour ramener un vrai débat et des valeurs au sein du syndicat que pour être responsable du syndicat FO au niveau national, parce que là, maintenant, on se croirait dans des directions genre DRH, dans des grands groupes. Ça se calque la-dessus, c’est une culture du chef, comme on n’a jamais vu auparavant, alors que le syndicalisme ce n’est pas une culture du chef à la base, c’est vraiment tout le monde, c’est un tout et c’est ça qui rend le syndicalisme intéressant et qui me pousse à m’y engager. C’est un outil démocratique qui permet aux ouvriers de s’organiser et les gens ont tendence à l’oublier, en laissant des pourris dans leurs boîtes décider à leur place. C’est pareil au niveau des droits, si les gens qui nous représentent ne le font pas, il faut les faire dégager et se mobiliser pour le faire. Tel a été le sens de mon propos lors du XXVe congrès, et c’est pour cette raison que je me suis fait huer. On sait bien comment ça fonctionne, ils reçoivent de l’argent et ils se comportent plus comme des patrons que des représentants des salariés. [Dédée] Même à la base. Aujourd’hui, il y a une intersyndicale au niveau départemental et on ne veut pas que Frédéric y assiste. [Frédéric] Oui, parce qu’on est trop revendicatifs et ça les fait chier.

– Venons-en à l’école publique où tu évolues professionnellement Frédéric. Quelle est l’orientation pédagogique que tu constates ?

D’abord, on ne parle plus de certaines parties de l’Histoire. Les professeurs ont moins de liberté dans les cours et les moyens sont en chute libre. On fait croire aux élèves qu’ils réussissent, alors qu’en réalité beaucoup d’entre eux ne maîtrisent pas correctement l’ortographe, même au niveau du Bac. C’est une catastrophe ! Les profs qui sont militants le constatent, le dénoncent et le déplorent. Dans les lycées pros, ils essayent de tout faire passer par l’apprentissage pour que tout soit au service des entreprises et non pas des citoyens, en l’occurrence des étudiants. Ils se conforment au système qu’on leur demande d’appliquer. Ils appliquent, sans réfléchir. Il y a même des professeurs qui ont affublé les Gilets jaunes du sobriquet « les pue la pisse » pour afficher leur mépris envers le mouvement, en dépit du fait qu’il y a des professeurs parmi les Gilets jaunes qui n’ont pas manqué de dire à ces collègues qu’ils s’exprimaient mal à propos. Finalement, on voit bien qu’ils s’évertuent à détruire l’école publique, à l’image du système de santé publique.

– Est-ce tu as constaté une pénétration de l’imposture woke dans l’établissement où tu travailles ?

Apparemment, la pénétration se passe plus à l’université. Chez nous, c’est à la marge. On a plus eu de problèmes par rapport au principe de laicité, dans la mesure où, à un moment donné, à la cantine ils étaient contraints de préparer des plats hallal. Néanmoins, depuis, ce problème a été endigué.

– Il semble que le travail humain devienne un vestige du passé, d’après le WEF et aussi une partie de la population, dont l’opinion a été façonnée par les médias de la finance et aussi par des échecs professionnels personnels dus à un système corrompu et dépourvu de justice sociale, désormais axé sur la finance et le numérique. Aujourd’hui, l’ouvrier espère se muer en un manager de start-up et la vendeuse en une influencer sur Istangram ou Onlyfans. À l’aune de ces considérations, est-ce que le travail humain est-il encore important ?

Déjà, il y a beaucoup de gens qui n’ont pas accès à l’informatique. Ce qu’on voit actuellemment c’est que beaucoup de gens deviennent auto-entrepreneurs ou travailleurs indépendants et que les patrons ne payent plus la sécurité sociale et les charges pour eux. Les entreprises se prévalent de plus en plus des travailleurs de ce type, comme ça elles sont tranquilles, car, en cas d’accident ou de maladie, par exemple, ils s’en déchargent sans états d’âme. Ce sont les start-up, l’ubérisation à tout va. C’est sûr que le travail humain est à risque, mais il faudra bien qu’on subvienne, d’une manière ou d’une autre, à nos besoins. Aussi, c’est très inquiétant ce qui se passe. La numérisation se développe de plus en plus au détriment des salariés, alors que ça devrait les aider et être là pour faciliter le travail, et non pas le détruire. On le constate même dans le télétravail. Moi, je suis syndicaliste au Conseil régional où il y a 1000 agents administratifs et le télétravail casse tout le tissu socio-économique autour, comme les commerces. Les petits restaurateurs, c’est eux qui en subissent plus les conséquences parce qu’ils avaient tendance à avoir les travailleurs à midi avec leurs tickets restaurant, mais maintenant ils ne les ont plus et tout cela c’est à cause du télétravail. De plus, une autre conséquence du télétravail est le fait que les gens ne se parlent plus, puisqu’ils ne se côtoient plus, par exemple lors de repas durant la pause midi. Et même si repas il y a, il est écourté par rapport au passé de façon à éviter les discussions entre collègues, car de ces échanges pourraient naître des prises de conscience, dont le patronat et le Pouvoir en général a peur. En somme, tout est fait pour que les personnes soient divisées et éloignées les unes des autres. Avec les les Gilets jaunes, on était tous réunis sur les ronds-points et on parlait de pleins de choses, et c’est là que les différences se sont effacées entre guillemets, qu’on s’est unis et, puis, qu’on s’est dit que notre ennemi commun c’était la finance et le gouverne-ment qui nous font crever.

– Les gens ont-ils conscience majoritairement que la technologie détruit leur vie au lieu de les aider ?                              

Non, pas majoritairement. Aujourd’hui, les gens pensent presque exclusivment aux loisirs et aux vacances. C’est la société de consommation, c’est le modèle capitaliste, avec l’influenceuse qui présente un visage complètement déformé, parce qu’elle ne se conçoit que par l’image qu’elle dégage, conforme à un stéréotype, à défaut duquel la réussite ne saurait être au rendez-vous, croit-elle. Mais la vie, ce n’est pas ça !

– Que diriez-vous aux jeunes, aux moins jeunes, aux chômeurs, aux travailleurs précaires, aux retraités et aux employés dans la fonction publique qui se sentent à l’abri de la paupérisation ? Avez-vous un message politique à leur faire passer, à l’aune de l’Agenda 2030 ?

Qu’ils essayent de passer outre leurs différences et de se mettre ensemble pour lutter contre ce monde qui arrive et va nous détruire. Ceux-là qui disposent d’argent seront épargnés (mais pour combien de temps ?), les autres, soit la majorité, vont crever. On le voit déjà dans la fonction publique, avec la loi de la transformation de la fonction publique qui introduit de la précarité et casse le statut de fonctionnaire, hyper important chez nous. Ils installent la précarité partout afin que l’on ne puisse plus s’organiser. Il faut le comprendre et agir en conséquence en se mettant ensemble. Le mouvement des Gilets jaunes ça en fait partie, parce qu’on arrive, malgré nos différences, à nous unir pour une lutte commune, comme cela s’est passé avec les anti-pass, puisque c’était une atteinte à nos libertés, à notre droit de manifester, à notre liberté d’expression et à notre liberté d’aller et venir. C’est important de se voir, discuter, comprendre qu’on n’est pas la classe des dominants et que, justement pour cette raison, il faut absolument s’unir pour avoir une chance d’arrêter cette classe des dominants qui n’en a rien à faire de nous et nous attaque de tous les côtés. [Dédée] Là, ils vont essayer de donner un petit peu à l’un, un petit peu à l’autre, pour leur faire fermer leur gueule. Là je te donne 100 € à toi, après j’en donne autant à l’autre, mais en ce moment, 100 € ça ne veut rien dire du tout ! [Frédéric] Elle a raison, ils saupoudrent, ils donnent aux travailleurs démunis des petites allocations pour éviter qu’ils se rebellent, mais à un moment donné il faudra s’unir pour obtenir une société plus juste, parce qu’une société divisée n’est pas viable. On ne pourra pas survivre, si on reste tous divisés, éparpillés à lutter les uns contre les autres. Nous, on est tous les samedis matin sur les ronds-points, même quand il fait froid, comme aujourd’hui. On est quelques uns avec des panneaux, on essaye d’interpeller les gens, on voit chez eux de la sympathie, mais on ne comprend pas ce qu’ils attendent. La pression est de plus en plus forte, mais les gens ne se mobilisent pas plus que ça, comme s’ils étaient résignés. Avec la réforme des retraites, on constate un sursaut, on verra jusqu’où ça va.

– Est-ce que le transhumanisme, qu’ils veulent, ils vont pouvoir l’imposer ? Et si oui, est-ce que ça va durer ?          

C’est possible, mais à mon avis il y aura une réaction à un moment ou à un autre. [Dédée] De toute façon, les gens doivent aller dans la rue, c’est là que ça va se décider !

– Quand on s’est vus, à la fin du mois de janvier, vous m’avez dit que vous voyiez plus de mobilisation, notamment de la part des jeunes, en raison du projet de loi sur la réforme des retraites. Maintenant que la réforme est passée, qu’en est-il de la mobilisation des jeunes ?

Depuis le 49.3, énormément des jeunes ont rallié la protestation contre le gouvernement. Ils sont présents et déterminés dans la rue, parce qu’ils se rendent compte qu’un basculement s’est produit et que la démocratie qu’on leur avait promise n’est plus vraiment là, et ils en sont choqués. Nous, on avait plus l’habitude, mais le fait que Macron ait remis une couche comme ça a fait réagir les jeunes et c’est plutôt bien. On a toujours des jeunes qui sont là. Quand il y a des ministres qui viennent, ils sont là à chaque fois, quand il y a des manifestations contre la réforme des retraites, ils sont toujours là, déterminés. C’est pour ça qu’il y a eu une répression policière féroce le 1er mai 2023 axée sur les jeunes, pour les terroriser, pour qu’ils n’aillent plus manifester, mais ça ne marche pas trop, car des jeunes sont encore là, malgré qu’ils aient été arrêtés abusivement. Il y en a d’autres qu’on est parvenu à effrayer et qui ont donc reculé, mais il en reste. Il y a toujours cette force. La prochaine manifestation est prévue pour le 6 juin et il y aura des jeunes. Même le 1er juin il y aura une manifestation organisée contre la répression, et c’est à l’initiative des jeunes, et c’est une bonne chose. Nous, on est très contents pour ça. On se demandait : «qu’est-ce qu’ils font ces jeunes ?». Ça y est, maintenant ils réagissent fortement.

– Quand vous dites jeunes, faites-vous référence aux étudiants de l’UFC, ou la sociologie est plus complexe ?

Justement, dans les cortèges il n’y a pas que des universitaires, il y a aussi des lycéens et des jeunes ouvriers. On le constate, parce qu’avant ce n’était pas comme ça. Il y a des assemblées qui ne sont pas que pour les jeunes, qui sont des assemblées de lutte. Ça c’est intéressant, ça mélange un peu tout le monde. Ils sont surtout avec nous les jeunes.

– Quant aux adultes, est-ce que vous avez aussi constaté davantage de mobilisation depuis la réforme des retraites ?

Oui. Il y a des grosses mobilisations. Pour les manifestations appelées par les organisations syndicales, là il y a beaucoup de monde. Besançon, c’est l’une des villes en France qui s’est le plus mobilisée par rapport à la réforme des retraites, proportionnellement au nombre d’habitants.

– Comment vous vous expliquez cette importante mobilisation bisontine ?

Parce qu’à Besançon, il y déjà une culture de lutte. Besançon cette une ville ouvrière, une ville où il y a eu la naissance de l’anarchisme. C’est une ville de rebelles, entre guillemets. C’est vrai que la mobilisation a baissé à un moment, mais là ça reprend et les manifestations sont assez actives, très revendicatives, avec beaucoup de slogans, ce qu’il n’y a pas à Dijon. A Dijon, il n’y a pratiquement pas de slogans. Je n’arrive pas à concevoir une manifestation sans slogans, c’est ridicule. Si on est dans la rue, c’est qu’on a des choses à dire et il faut les faire entendre.

– Au mois de janvier dernier, on avait parlé d’une mobilisation d’à peu près 4500 personnes (Gilets jaunes + anti-pass). Là, on parle de quel chiffre ?

C’est largment dépassé. On est même arrivés à 16000 personnes. La dernière fois, le 1er mai, on était encore 10000. C’est exceptionnel [ndr, Besançon compte 120000 habitants]. Ce sont vraiment des grosses mobilisations. Même au niveau des quelques actions qu’on voit, il y a quand même un noyau dur qu’est là. Par exemple, quand il y a la venue des ministres, même si on le sait assez tardivement, il y a quand même un noyau dur toujours là. Ce qui se passe, c’est que les manifestations sont un peu sur le mode des Gilets jaunes, donc elles sont sauvages et spontanées. On va dire qu’elles ne suivent pas les parcours assignés par la Préfecture et, ça, c’est plutôt bien. Et pareil pour les modes d’action et les blocages. Les syndicats de base s’en emparent, et on voit bien que ça vient du mode d’action des Gilets jaunes. Cet aspect s’est généralisé en France, et ça c’est plutôt bien.

– Quand tu fais référence à des blocages Frédéric, tu fais référence à quoi ?

Blocage de l’économie, des poids lourds. Dernièrement, on a fait un blocage d’une grosse centrale Intermarché, aussi pour dénoncer les conditions de travail dans le secteur de la grosse distribution alimentaire. Des syndicalistes étaient là. Auparavant, on ne les voyait jamais, aussi on mesure la différence, et moi j’en suis content parce que ces actions impactent l’économie directement. Maintenant, le problème est qu’on a bien du mal à faire grève dans le privé, mais aussi dans le public, parce le droit de grève est maintenant difficilement respecté, car les syndicats n’arrivent pas à le faire respecter. Dès lors, il n’est pas évident de se mettre en grève pour les salariés du privé. Dans le public, ils ont un peu décricoté le droit de grève et, en fin de compte, ils l’ont réglementé de facçon plus restrictive. Dans les collectivités territoriales, dans les lycées, ils veulent nous imposer la réquisition, à être réquisitionnés à certains moments pendant les grèves, ce qu’on n’avait pas avant. Ce sont ainsi des grosses attaques au droit de grève. Donc, les modes d’action décrits plus haut permettent de se faire entendre et pallier un peu la grève que les gens ne peuvent pas faire. [ndr, pendant que nous parlons, des véhicules de la police, avec sirènes déclanchées, n’arrêtent pas de passer, comme cela s’est du reste passé pendant ton mon séjour à Besançon. Frédéric et Dédée me confirment qu’avant ce n’était pas comme ça et qu’ils le font pour intimider, pour montrer qu’ils sont toujours là, de façon à décourager les gens à exprimer une dissension politique et à se rassembler].

– Quand est-ce que s’est passée l’action sur le site Intermarché ?

C’était dans le département du Jura, le 2 mai, le lendemain de la manifestion du 1er mai. On l’a fait pour continuer la mobilisation. Ça s’est bien passé avec les Forces de l’ordre qui sont venues là-bas, parce qu’elles n’ont pas essayé de dégager le blocage.

– Pourquoi à ton avis ?

Parce que ce n’est pas Besançon. [Dédée] Puis aussi parce que c’était le lendemain du 1er mai, où ils avaient beaucoup été pris. [Frédéric] Mais aussi, il faut quand même savoir que certains d’entre eux, surtout parmi les Gendarmes, sont favorables à notre mobilisation, parce que la réforme des retraites les impactent aussi. Les Gendarmes sont plus souples et ils se laissent un peu aller en nous le disant pendant des discussions. Mais pas les jeunes, les anciens ! C’est quelque chose de récent, successif au dossier réforme des retraites, parce qu’avant ils n’étaient pas solidaires. Puis, ça dépend où, pas à Besançon. Par exemple, dans le Jura c’est plus petit, ce sont des gendarmes dans les départements, ainsi ils sont moins actifis qu’ici [ndr, et probablement moins tributaires du jugement de leur hiérarchie]. Ici, c’est plus la répression.

– Dans l’action d’Intermarché, est-ce qu’il y avait des jeunes aussi ?

Il y avait des syndicats, des Gilets jaunes et des jeunes qui étaient dans les manifestations, avec lesquels on a fait des actions, comme celle qui s’est passée dans la Haute-Saône. Là-bas, on avait fait un filtrage de rond-point pour empêcher le passage des camions, dans le cadre de la protestation contre la réforme des retraites. Ce jour-là, on s’est pris deux amendes à 135 € le même jour, et les jeunes aussi. Pourtant, ils étaient placés à un endroit où les voitures ne passaient pas. Ils occupaient juste pour éviter que les camions passent et ils ont été sanctionnés. Pour eux, c’est compliqué, car certains d’entre eux sont des étudiants. On fait donc certaines choses pour les aider. Pour payer leurs frais de justice, on fait des collectes.

– Vous avez donc tissé des liens avec des jeunes ?

Oui, même d’autres départements. Beaucoup de jeunes m’ont remercié, cela m’a d’ailleurs surpris, pour ce que j’ai fait. Ils étaient contents que je sois là. Cela prouve qu’ils ont besoin de soutiens. Quand ils m’ont vu dans des manifestations évoluer totalement en dehors des clous impartis par la préfecture, et que j’étais avec ma chasuble FO, ils étaient rassurés. Pour eux, c’est important de savoir qu’il y a des syndicalistes qui sont là et se battent. On est toujours en contact. Maintenant, dans toutes les actions les Gilets jaunes sont sollicités et ça fonctionne bien.

– On a évoqué le climat à Besançon et aux alentours, mais qu’en est-il du reste de la France au niveau de la mobilisation ?

Dans le reste de la France, c’est pareil. Il y a beaucoup de jeunes qui sont sortis et la répression dans le reste de la France a été axée, comme ici, sur les jeunes, parce qu’ils craignent les jeunes, attendu qu’ils n’ont pas de cadres et qu’ils prevent se mettre en action quand ils veulent. Après, il faut savoir qu’à Paris, par exemple, les médias mainstream ont réagi en dénonçant la répression, parce que c’étaient leurs gosses qui étaient concernés par la répression. Parce que les Gilets jaunes, comme avait dit Macron, c’étaient des gens de rien, sauf que là, ça concerne tout le monde, même les étudiants. Et les personnes qui pensaient de ne pas être impactés, ils se disent maintenant : eh ben, je suis impacté ! Il y a même des parents qui sont dans les manifs non déclarées pour surveiller leurs gamins. Ils sont dans les cortèges pour être avec leurs gamins, parce qu’ils redoutent la réaction des flics.

– Quand tu dis Frédéric que les médias mainstream sont plus sensibles, tu entends par là qu’ils se montrent actuellement moins critiques à l’égard de la dissidence ?

Moi, un coup ça m’a vraiment surpris, parce qu’ils avaient fait carrément un documentaire sur la répression aveugle sur BFMTV et ils avaient quand même remis en cause la police et le pouvoir macroniste en général. Et ça, on ne l’avait jamais vu au niveau des Gilets jaunes. C’était souvent nous qui étions des haineux pour les médias. Mais là, comme ça concerne leurs gamins, le discours change. Oui, parce qu’à Paris sont sortis aussi les fils de journalistes, de gens de l’administration, etc. Pour nous, c’est assez drôle, puisqu’on se dit qu’on a subi des choses, même parfois pires, mais que ça se passait pratiquement sous le silence des médias mainstream. Sauf que là, on sent qu’ils sont plus concernés. Et même dans les autres médias, on voit beaucoup plus d’articles sur la répression, comme encore récemment sur le 1er mai, lorsque 33 jeunes ont été interpellés abusivement à Besançon. La plupart des médias, comme France 3 ou l’Est Républicain ont couvert l’affaire d’une façon critique par rapport aux Forces de l’ordre.

– Est-ce que vous avez l’impression que tout ce qui est accompli va faire reculer le Gouvernement ?

On voit quand même que des choses inédites se passent, à l’image de l’exclusion de la population lors de la commémoration du 8 mai, avec Macron qui était tout seul sur les Champs-Élysées. C’est gravissime. Pour lui, politiquement c’est un désastre, mais surtout ça montre bien la dérive vers un régime autoritaire. Quand les gens ont vu ça, ils en ont pris conscience : c’est en France ça ? Les gens ont été impactés par cette image. On se demande comment il va faire pour le 14 juillet. Parce que là, on est dans les 100 jours d’apaisement, et Macron fait maintenant sa campagne présidentielle pour faire de la com. Et justement, les gens qui sont contre sa politique, et exigent le retrait de la réforme des retraites, sont là à chaque fois qu’il y a des ministres en déplacement. Ils les accueillent avec les casserolades. Ça fait du bruit et ça perturbe bien les visites. Puis, on voit bien que les Forces de l’ordre sont totalement hors la loi, comme cela s’est bien vu lorsque Macron est venu le 27 avril, le lendemain de ma garde à vue, afin de dénoncer l’esclavage au château de Joux. Il y avait eu un arrêté du préfet qui interdisait les manifestations, sauf que le préfet a fait marche arrière, parce qu’il avait peur de se faire retoquer par le tribunal administratif, et, malgré cela, on nous a quand même barré la route illégalement. On s’est fait méchamment matraquer et gazer, parce qu’on a essayé de forcer le passage. Cela s’est reproduit lors de la visite du ministre de la Santé à Besançon. On a été bloqués illégalement, sans arrêté préfectoral. On leur a dit aux policiers, mais ils s’en sont foutu. Du coup, j’ai été gazé à bout portant avec un gaz au poivre qui m’a brûlé et fait bien souffrir. J’ai fait constater par SOS Médecins mes blessures avec un camarade et on va porter plainte, parce que c’était totalement illégal.

– Est-ce que les gens qui manifestent actuellement contre la réforme des retraites, notamment les jeunes, se rendent compte que l’affaire des retraites n’est qu’une manifestation, parmi tant d’autres, d’un projet plus global voué à asservir les populations aux magnats de la finance ? Ou alors ils ne voient que la réforme ?

Pas que. Déjà ils sont contre le capitalisme, ils ont bien compris qu’il y a un problème, que tout est fait au bénéfice de la finance et rien pour les gens. Ce qui est intéressant chez les jeunes c’est qu’ils parlent de leurs parents, ils parlent des conditions de vie de leurs parents en lien avec la réforme de retraites, mais aussi au fait qu’ils n’arrivent plus à joindre les deux bouts et puis à propos de toutes les restrictions à nos libertés et nos droits. Mais oui, ça va au-delà de Macron et compagnie. Ils ont bien compris qu’il y a une minorité qui tient tout ça, qu’on est sur les mêmes modèles et qu’il y a de la répression un peu partout. En France, ça choque un peu plus parce que c’est soi-disant le pays des droits de l’homme. On sait qu’on est observé par le monde entier, pour voir si on va tenir par rapport à la réforme des retraites qui est la goutte d’eau qui a fait déborder le vase. Ce n’est pas que la réforme des retraites qui fait qu’on est dans la rue, c’est un tout.

– Oui, concernant vous deux et les Gilets jaunes en général, il n’y a aucun doute à ça. Mais qu’en est-il de ces jeunes qui ont rallié la protestation tout récemment et qui, peut-être, ne perçoivent que la question de la réforme des retraites ? Si je vous pose cette question, c’est que j’ai lu un tract distribué par certains étudiants de l’UFC qui semblait valider la fraude Co2 et la Gender theory et plaçait la crise liée à la réformes des retraites en second plan, tout en la dénonçant.

Non, ici il y a plus de gamins qui sont concients de tous les enjeux et qui ont été choqués par le déni de démocratie. Il y en a quelques uns qui sont comme tu dis, mais c’est une minorité. Dans les blocages, tu vois des jeunes qui en ont ras le bol du Système et qui sont vraiment contre le système capitaliste. Et ils ne gobent plus la politique. On a vu, à un moment donné, que certains partis politiques voulaient s’infiltrer, mais on sentait des tensions chez les jeunes par rapport à ça, même vis-à-vis des syndicats. Par exemple, la CGT des jeunes, qui entendait absolument reprendre le mouvement, s’est fait limite exclure. Non, c’est vraiment leur mouvement et ils remettent en cause le Pouvoir en général.

– D’un point de vue personnel Frédéric, est-ce que par rapport à janvier dernier tu as encore subi d’autres injustices du fait de ton engagement ? Si oui, peux-tu me racconter ce qu’il t’est arrivé et me dire si tu as reçu des soutiens ?

Il y a eu une action le 7 mars 2023 dans toute la France, donc même au niveau départemental, où on a appelé à bloquer le pays. Sur cette action, on était plus de 100 personnes et j’ai été le premier à être convoqué à la gendarmerie, puis trois autres camarades l’ont été à leur tour, mais je suis le seul en procès au 30 juin. Mais ça, je ne le savais pas avant la garde à vue. À ce moment-là, il y a eu des huissiers qui ont pris des photos. Ils savaient très bien ce qu’ils faisaient. Après, ç’a été une manifestation initiée par les cheminots, au niveau départemental et national aussi, contre la réforme des retraites. On est rentrés le 20 avril 2023 dans la gare de Besançon et des manifestants, dont moi, sont allés se positionner sur les rails. Le lendemain, j’ai été convoqué avec le journaliste indépendant Toufik-de-Planoise, qui couvrait l’affaire pour Radio BIP. La police a emmené donc le lendemain à notre domicile une convocation avec la même erreur de date. Ils devaient nous convoquer le 26 mai 2023 et, en fin de compte, c’était le 26 avril. Dès qu’ils ont compris qu’ils s’étaient trompés de date ils nous ont rammené une convocation à notre domicile, le même jour. Avant d’être convoqué, j’avais compris qu’on allait me mettre en garde à vue et ça n’a pas manqué, on nous a placés en garde à vue. Après, je suis passé devant la vice-procureur. On m’a emmené au Palais de Justice avec deux fourgons, parce qu’il y avait des manifestations en soutien devant la porte. Donc, au bout de 9 heures de garde à vue, je suis rentré dans le Palais de justice et j’ai été présenté à la procureure, qui m’a carrément engueulé en me disant que le droit de manifester c’était un droit, mais que le droit de circuler c’était aussi un droit. Alors, je lui ai répondu : « attendez, qu’est-ce qu’on peut faire, le gouvernement ne nous entend pas, nous on est bien obligés à un moment donné de se faire entendre, donc on manifeste, parce que c’est un droit démocratique ». On était pas du tout d’accord et elle avait décidé de me mettre un contrôle judiciare sévère, c’est-à-dire : interdiction de manifester dans toute la France jusqu’à la date de mon procès, le 30 juin ; interdiction de cotôyer le journaliste indépendant Toufik-de-Planoise jusqu’au procès et, enfin, interdiction de porter une arme. Je n’ai jamais possédé d’armes. Après, j’ai été présenté devant la juge des libertés et détentions qui a décidé de ne pas suivre l’avis de la procureure, parce qu’elle trouvait que c’était exagéré, puisque j’ai toujours été relaxé et je suis innocent. Elle a juste maintenu le port d’armes et de me présenter absolument le 30 juin au procès, ce que je vais faire, de toute façon. Je vais défendre la liberté de manifester et dénoncer l’acharnement politique. Mon avocat va dans le même sens. Je suis ressorti le lendemain et je suis allé donc manifester contre la venue de Macron. La police était assez surprise que je sois au contact des boucliers, mais pour moi c’était très important d’y être. Ça aurait été très grave qu’ils m’interdisent de manifester, puisque c’est un droit fondamental. Si on ne peut plus s’exprimer, c’est très grave. Du coup, cela ne m’empêche pas de continuer, ça ne me réduit pas à l’inaction. Même là encore, la dernière fois, quand Braun est venu, on a été au contact, on a balancé des slogans virulents. J’ai même reçu une contravention pour une distribution de tracts, alors que c’était une distribution de tracts faite avec une cinquantaine de personnes, déclarée par l’intersyndicale. Du coup, j’ai pris 135 €. C’est impressionnant, je n’avais jamais vu ça, mais apparemment c’est une vielle loi qu’ils ont ressortie. Voilà [ndr, Frédéric me montre le texte de la contravention] « Distribution d’un imprimé ou d’objets à l’occupant d’un véhicule circulant sur une voie publique ». Par rapport à ça, j’ai une explication, parce qu’à un moment il y avait un véhicule de police qui est passé, et dans le flot de voitures j’ai tendu un tract, ils n’ont pas ouvert et c’est là que je pense qu’ils m’ont verbalisé, sans me contrôler, sans rien. En tout, j’ai donc collecté 20 verbalisations, mais ça ne m’empêchera pas de continuer. S’ils me condamnent, parce qu’ils vont tout faire pour me condamner, comme ils ont tout fait pour m’interdire de manifester, sans y arriver, j’irai jusqu’en Cour de cassation et je ne me laisserai pas faire. [Dédée] Parce qu’ils pensent que s’il n’y a plus Frédéric, il n’y aura plus rien à Besançon. [Frédéric] Dans les auditions des jeunes qui ont été entendus par la police, eh ben, ils parlent de moi et du journaliste indépendant en disant, puisqu’à un moment on était devant le commisariat pour venir les soutenir : « Ha, voilà vos sauveurs, ils n’ont rien à faire de leur vie ». Comme au moment des Gilets jaunes, les policiers n’ont pas arrêté de déblatérer sur ma personne. C’est assez impressionnant et ce sont les jeunes qui m’en parlent.

– Très bien Dédée e Frédéric, ça a été un échange illuminant, dont je vous remercie beaucoup. On achève ici l’entrevue.

 

NOTE

(1) Besançon dista a 80 km dal confine con la Svizzera.

(2) FO, acronimo di Force ouvrière, è il terzo più importante sindacato in Francia, nato nel 1947 dalla scissione di una componente non comunista della CGT.

(3) Si tratta della terza giornata di mobilitazione dei Gilets gialli avvenuta il 1° dicembre 2018. Quel giorno, i dispositivi di contenimento dei manifestanti provocano la loro esasperazione, la quale sfocia in duri scontri con i CRS e nella messa a ferro e fuoco della capitale, in particolare del quartiere degli Champs-Élysées. Addirittura, il pomeriggio di quel giorno i Gilets gialli prendono, per varie ore, il controllo della place de l’Étoile, quella dove troneggia l’Arco di Trionfo.

(4) L’accanimento e la repressione nei confronti di Frédéric Vuillaume gli hanno valso nel periodo 2018-2022 : 13 contravvenzioni ; 7 fermi giudiziari ; 1 perquisizione domiciliare e 3 processi seguiti da assoluzione [dati aggiornati al 12 settembre 2022, così come comunicati da Frédéric Vuillaume]. Le infrazioni/reati che gli sono stati contestati comprendono, a titolo esemplificativo, e non esaustivo : il vilipendio nei confronti di un ministro e di un pubblico ufficiale ; la partecipazione a manifestazione non autorizzata ; la mancata ottemperanza all’ordine di dispersione durante una manifestazione; l’intralcio alla circolazione e la violazione delle restrizioni contro il Covid-19 (mascherina non indossata, assembramento non autorizzato, ecc.).

(5) Acronimo di Assemblée des assemblées, ossia un’assemblea generale il cui scopo è quello di strutturare il movimento dei Gilets gialli e di coordinarlo su base nazionale.

(6) Legge entrata in vigore il 26 maggio 2021 che prevede, tra le altre cose, la delega alle guardie giurate di alcune delle missioni in carico alle Forze dell’ordine, nonché l’inclusione nell’equipaggiamento in dotazione alle Forze dell’ordine di telecamere di videosorveglianza mobili e di droni. Si tratta, pertanto, di una legge tendente ad accrescere uno Stato di Polizia già profondamente deplorato in Francia.

(7) La legge in questione, promulgata il 22 agosto 2008, anche se modificata nel frattempo, recita : « Nell’impresa o nell’istituzione, sono rappresentative nei confronti degli impiegati, che dipendono dai collegi elettorali nei quali le loro regole statutarie conferiscono loro vocazione a presentare candidati, le organizzazioni sindacali di categoria affiliate ad una confederazione sindacale interprofessionale nazionale che soddisfano ai criteri dell’articolo L.2121-1 e che hanno raccolto almeno il 10 % dei suffragi espressi al primo turno delle ultime elezioni dei titolari al comitato d’impresa o della delegazione unica del personale o, in mancanza, dei delegati del personale in quei collegi, qualunque sia il numero dei votanti ». Si tratta della legge L.2122-2, inserita nel Code du travail francese.

(8) Jean-Claude Mailly è stato segretario generale di FO dal 2004 al 2018.

(9) Articolo della costituzione francese che prevede l’imposizione di un testo di legge alla Camera dei deputati (i.e. Assemblée nationale) da parte del Governo, senza bisogno di voto parlamentare. In caso di refrattarietà della Camera a quel testo, i deputati possono invocare, entro 24 ore dal ricorso all’Art. 49.3, una mozione di censura del Governo, la quale, se promossa da almeno 1/10 dei deputati, e poi accettata dalla maggioranza, provoca automaticamente la decadenza della legge e la caduta del Governo. Il 20 marzo 2023 la Camera ha respinto a maggioranza la mozione di censura nei confronti del governo di Élisabeth Borne, fautore della riforma delle pensioni.

(10) Trattasi di una delle principali emittenti di regime, specificatamente dedicata alla trasmissione televisiva, senza interruzioni, di notizie sull’attualità.

 

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