DI LUCIANO FUSCHINI
ilribelle.com
A un anno dall’irrompere di M5S sulla scena politica italiana ed europea, si impone un bilancio.
Intanto va rilevato che la strategia di Grillo-Casaleggio è chiara, evidente e di una coerenza assoluta. I due capi del Movimento sono convinti che l’Italia precipiterà nell’abisso trascinando con sé tutta l’attuale classe politica e azzerando i partiti vigenti.
Da questa convinzione deriva tutto il resto: il rifiuto di qualunque dialogo, il linguaggio costantemente sprezzante e aggressivo, la durezza con cui viene messa a tacere ogni voce dissenziente all’interno. Il calcolo è che nel disastro prossimo venturo emerga il Movimento come la nuova forza egemone, a ricostruire sulle macerie. Si tratta di una logica rivoluzionaria, pienamente coerente e forse lungimirante.
Il primo riferimento che torna alla memoria però non è Lenin ma è quello del Bossi degli anni Novanta. Anche lui scommise che l’Italia non sarebbe sopravvissuta allo sconquasso di Mani Pulite e dell’attacco alla lira, con un’economia che sembrava in ginocchio. Pensava che all’approssimarsi del disastro maturassero le circostanze per una secessione della Padania.
Le cose non andarono così e Bossi fu costretto a rimodulare i suoi obiettivi, il che ha tolto vigore e ragion d’essere alla Lega, ridotta a ritrovare una sua identità nella caciara razzistoide anti immigrati e mettendo la sordina a quel separatismo che era la sua cifra d’origine.
Il calcolo che non è riuscito a Bossi potrebbe essere più fondato nel caso di Grillo-Casaleggio. Pertanto l’obiezione sulla loro linea di condotta non è rivolta a una strategia rivoluzionaria che sarebbe potuta riuscire. Diciamo “sarebbe potuta” e non “potrebbe” perché molto è già compromesso.
La scelta del muro contro muro, della contrapposizione frontale, dell’insulto invece del dialogo, è praticabile sulle piazze da parte di una forza rivoluzionaria che scommette sul collasso di un sistema e di un ceto politico. Diventa incomprensibile nel momento in cui quella forza politica sceglie di entrare in Parlamento. Se si sceglie la via elettorale e parlamentare, si sceglie la via del dialogo, del compromesso, della manovra tattica per ottenere risultati parziali che logorino l’avversario e aprano strade nuove. Andare in Parlamento per ripetere dei vaffa’ urlati risulta incomprensibile a molti degli elettori del Movimento.
A questo proposito si sono fatte valutazioni sbagliate. Si è pensato che tutti gli elettori di Cinquestelle esprimessero soltanto un voto di protesta, una specie di urlo di rabbia contro la casta dei ladri.
Non è così. Molti degli elettori di M5S volevano mandare in Parlamento una pattuglia di deputati onesti e combattivi che contribuissero a cambiare le cose.
Naturalmente quegli elettori sbagliavano. Le cose non si cambiano con le elezioni e con gli accordi fra gruppi parlamentari. Però questo ci si attende da chi ha scelto di entrare nelle istituzioni. Questa è la contraddizione insoluta di M5S.
Si potrebbe rispondere che i deputati pentastellati hanno lavorato sodo nelle commissioni e hanno prodotto progetti di legge, sistematicamente ignorati o respinti dagli altri partiti. Ma cosa si aspettavano quando la loro modalità di rapportarsi è fatta di insulti e di delegittimazione degli interlocutori?
Non vale neppure la considerazione che M5S ha saputo usare il Parlamento come “cassa di risonanza”, cioè come mezzo per acquistare ancora più visibilità, far parlare di sé e far conoscere i propri programmi. Hanno fatto parlare di sé inscenando gazzarre, il che è soltanto controproducente e comunque facilmente strumentalizzabile dagli avversari che hanno buon gioco a denigrare il Movimento.
Fuori dall’aula parlamentare, nella Rete, sulle piazze, nei volantinaggi per le strade delle città d’Italia, M5S avrebbe rappresentato un potenziale dirompente, da spendere qualora si fossero create le condizioni per quella svolta di sistema su cui Grillo-Casaleggio scommettono.
Partecipando alle elezioni ed entrando in Parlamento, quel potenziale ha già perso la sua carica.
Peccato. Si tratta di un’occasione perduta, l’ennesima.
Di questa incapacità di fare politica pagheranno il conto M5S ma anche tutti coloro che avevano sperato che dalla crisi si uscisse non con la fumaglia dei fuochi d’artificio di Renzi, capo del governo trentanovenne come Mussolini ma ben più vacuo del fondatore del fascismo, bensì con una svolta vera.
Luciano Fuschini
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28.02.2014
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