DI MASSIMO FINI
ilfattoquotidiano.it
Giovedì mattina ho partecipato ad “Agorà”, la bella
trasmissione di Rai3 condotta da Andrea Vianello. Tema: la
violenza sulle donne. Erano presenti Mara Carfagna (Pdl), Rosa
Calipari (moglie di) Pd, e il vecchio sociologo, a me caro, Franco
Ferrarotti. Ho centrato il mio discorso su un’osservazione di D.H.
Lawrence che, almeno a me sembra, coglie l’origine profonda di
questa violenza. Scrive Lawrence in “La verga di Aronne”: “Quasi
tutti gli uomini, nel momento stesso in cui impongono i loro
egoistici diritti di maschi padroni, tacitamente accettano il fatto
della superiorità della donna come apportatrice di vita.
Tacitamente credono nel culto di ciò che è femminile. E per quanto
possano reagire contro questa credenza, detestando le loro donne,
ricorrendo alle prostitute, all’alcol e a qualsiasi altra cosa, in
ribellione contro questo grande dogma ignominioso della sacra
superiorità della donna, pure non fanno ancor sempre che
profanare il dio della loro vera fede. Profanando la donna essi
continuano, per quanto negativamente, a concederle il loro culto”. Insomma, l’aggressività dell’uomo nei confronti della donna
dipende da un inconfessato e inconfessabile “inferiority complex”.
Lawrence scrive ai primi del Novecento e si riferisce agli uomini
dell’aristocrazia e dell’alta borghesia e alle loro modalità per
umiliare la donna, ma il discorso vale per qualsiasi ceto anche se le
modalità sono meno sottili, più dirette e brutali. Ho aggiunto che
oggi l’uomo, privato della possibilità di esercitare il suo ruolo virile
(non può più provarsi in guerra, sostituito dalle macchine, non c’è
più il servizio militare né il nazionalismo passionale, la forza fisica,
con la tecnologia, non conta più nulla) sente in modo
particolarmente acuto questa sua inadeguatezza nei confronti
della donna che un ruolo, quello di procreare, comunque lo
conserva, anche se non ne fa più lo scopo della sua vita, e questo
può far scattare, per contraccolpo, un surplus di aggressività. Non
mi pareva un discorso contro la donna. Al contrario. La Carfagna e
la Calipari mi hanno accusato di “giustificazionismo”. Mi ha
colpito il tono di sufficienza della Calipari (“le tesi di Fini non mi
interessano ”) eppure se oggi è parlamentare non lo deve di certo alle sue preclare virtù, ma a quelle, virili, di suo marito che le portò fino alle estreme conseguenze.
La Carfagna, dimentica, fra l’altro, che l’avevo difesa da un attacco realmente maschilista del suo collega in Pdl, l’inguardabile Paolo Guzzanti, riferendosi a un mio ormai famoso articolo pubblicato sul Fatto (“Le donne sono una razza nemica”), ha affermato che “le parole sono pietre ”e che istigavo alla violenza sulle donne. Ho
obiettato che la pretesa di eliminare tutte le opinioni
eterodosse è una pratica fascista anche se oggi si chiama
democrazia. Stuart Mill, che era un liberale un po’più
consistente di sora Carfagna, scrive: “È necessario anche
proteggersi dalla tirannia dell’opinione e del sentimento
p re d o m i n a n t i ”sulla libertà. Infine, anche se il campo è
minatissimo perché attiene proprio alla libertà individuale,
troppo spesso le ragazze di oggi si comportano da “vispe
terese ”.
Citerò, per tutti, il caso, di qualche anno fa, di tre
donzelle che, sulle montagne di Abruzzo, passarono tutte
sculettanti davanti a un pastore di pecore macedone che,
non sapendo né leggere né scrivere, ma riconoscendo solo i
propri istinti, le violentò. Girare al largo dei “pastori
macedoni”, pieni di alcol e coca, con i freni inibitori
abbassati come le loro brache, che circolano nelle zone
d’ombra intorno alle discoteche, non è pruderie
moralistica, ma elementare prudenza (che naturalmente
non “giustifica”nè attenua il crimine abietto della violenza
sessuale). Altrimenti si finisce come quei due idioti che sono
andati a provocare in Orissa.
Massimo Fini
Fonte: www.ilfattoquotidiano.it
24.03.2012