DI MACIEK WISNIEWSKI
La jornada
Durante i mondiali in Sudafrica nel 2010 Terry Eagleton scrisse che il calcio è l’oppio del popolo e buon amico del capitalismo e che se si intende pensare a un reale cambiamento politico si dovrebbe abolirlo – sic (The Guardian, 15/6/2010)
Gli si rimproverò che la sua non era la critica all’alienazione calcistica ma una prova della sua alienazione dalla realtà. Eppure il marxista britannico non è completamente insensibile al calcio: in After Theory (2003) citò George Best e il significato del giocare al pallone per le decisioni morali, cosa che ricorda la celebre ma apocrifa frase di Camus: tutto quello che so di sicuro a proposito della moralità e degli obblighi degli uomini lo devo al calcio (parlava dello sport in generale).
Tuttavia analizzando il contesto degli europei di calcio in Polonia e Ucraina – dei quali oggi (1° luglio 2012, ndr) si gioca la finale – anche Eagleton si è sbagliato: il calcio può essere un oppio ma è anche un potente steroide, un motore di accumulo e sviluppo disuguale.
Per il premier Donald Tusk (PO) – grande tifoso e giocatore – gli europei sono stati un regalo: non solo realizzavano i suoi sogni, ma arrivavano giusto in tempo per salvarlo. Nei mesi scorsi il premier e il suo ministero liberal-conservatore, arrogante e ostile a qualsiasi dialogo sociale, hanno affrontato grandi contestazioni (le più dure per aver posticipato l’età della pensione) continuando a fare una gaffe dopo l’altra.
Grazie al calcio hanno anestetizzato la società e migliorato l’immagine. Hanno annunciato una particolare pax calcistica, rimandando le riforme e chiedendo ai sindacati di non manifestare durante l’evento (Tusk preferisce trattare con una massa sindacalista di tifosi che con le parti sociali riunite su domande specifiche).
Grazie a un particolare insieme di fattori la Polonia si è relativamente salvata dalla crisi. Gli investimenti per gli europei hanno contribuito, tuttavia dire che sono stati decisivi o che il campionato è stato cruciale per la modernizzazione delle infrastrutture (stadi, aeroporti, rete stradale e ferroviaria per i quali si sono spesi circa 23.000 milioni di euro) è ammettere che il governo è inetto e non sa fare niente senza il calcio.
Inoltre si è costruito rapidamente, in un’atmosfera di euforia, senza pensare alle necessità reali. Si è investito troppo negli stadi e negli aeroporti, poco nelle ferrovie.
La cosa più preoccupante è che l’effetto dello steroide nella costruzione è la continuazione del modello che causò la crisi (la Polonia si è salvata perché non c’è stato un boom immobiliare). Più che un lascito del quale parlano i politici (per non parlare dei guadagni per la UEFA e i monopoli), lascerà problemi economici e sociali.
La maggioranza degli stadi per gli Europei di calcio del 2004 in Portogallo si sono poi rivelati delle cattedrali nel deserto, vale a dire sono costati e costano molto ma non sono di alcuna utilità. Oggi è più economico demolirli che mantenerli. Ma il debito contratto per la loro costruzione ha gonfiato il deficit, problema che oggi minaccia questo paese (una stupenda lezione sull’origine della crisi europea, niente a che vedere con i supposti privilegi sociali).
Per costruire ciò che era di loro interesse Poznan, Wroclaw e Gdansk si sono indebitati fino al collo (Varsavia è in una situazione migliore). Potrebbero servire per concerti o fiere, ma renderli redditizi sarà difficile. Già prima mancavano fondi per ospedali, abitazioni, scuole, asili, teatri o trasporti pubblici. Ora ci saranno ancora meno spese sociali, più privatizzazione di beni municipali e più tasse.
Il calcio si è rivelato in questo caso lo strumento della ridistribuzione della ricchezza verso l’alto e della progettazione delle città intorno alle esigenze del capitale. Alla fine il circo lo pagherà la gente nonostante non voglia vederlo.
Marx, che tacciò la religione come oppio, criticava proprio quel popolo che preferisce sognare piuttosto che analizzare le condizioni materiali della sua vita. La sua intenzione era che le vedesse.
In Polonia la critica degli Europei di calcio fin dal principio è diventata oggetto di beffa. In pochi osavano dire che grande parte del denaro era mal speso. La versione ufficiale era un sogno di grandiosità calcistica (con una squadra mediocre) e di prestigio internazionale (che faceva trapelare di più le nostre insicurezze piuttosto che l’evento in sé).
Coloro che hanno fatto resistenza a questa manovra hanno organizzato una campagna Pane invece di circo, criticando l’indebitamento, la mancanza della politica pubblica per le abitazioni e rivendicando il diritto alla partecipazione alla gestione delle città – una voce nel deserto.
Detto tutto questo e coscienti degli usi e degli abusi del calcio, per un mese ho tirato avanti alienato o connesso con la realtà calcistica. Ho pianto quando la Polonia non si è distinta (non ci riuscivamo da 30 anni…). Mi sono arrabbiato quando neanche l’Ucraina ci è riuscita (non le hanno riconosciuto un gol, anche se è entrato…). Mi è piaciuta l’impresa e lo stile con cui Italia ha sconfitto la Germania nelle semifinali.
Quando si parla di calcio non si tratta ovviamente solo di capitalismo. Volerlo abolire è assurdo.
Eppure forse soltanto in un altro sistema di produzione il gioco percepirebbe la sua vera dimensione morale (visto che l’unica morale capitalista è quella del miglior offerente).
Forse solo in futuro il capitale smetterà di essere l’oppio e lo steroide del sistema, diventando un piacere puro (a Eagleton piace sottolineare che la teoria di Marx non è tanto sul lavoro, ma sul tempo libero che consente la crescita umana).
Maciek Wisniewski
Fonte: www.jornada.unam.mx
Link: http://www.jornada.unam.mx/2012/07/01/opinion/030a1eco
1.07.2012
Traduzione a cura di CP per www.comedonchisciotte.org