DI F. WILLIAM ENGDAHL
Global Research
Le Fondamenta finanziarie del Secolo
Americano
L’attuale e crescente crisi finanziaria globale,
ufficialmente innescata nel luglio 2007 da un evento che interessava
una piccola banca tedesca che deteneva beni cartolarizzati garantiti
da mutui del mercato immobiliare subprime USA, può essere
meglio compresa come una parte essenziale di un processo storico che
risale alla fine della seconda guerra mondiale—l’ascesa e il
declino del Secolo Americano.
Il Secolo Americano, orgogliosamente proclamato dal
fondatore di Time-Life nonché membro dell’establishment
Henry Luce in un famoso editoriale del 1941 pubblicato sulla rivista
Life, fu costruito sul ruolo preminente delle banche di New
York e delle banche di investimento di Wall Street che allora avevano
chiaramente sostituito la City di Londra come centro di gravità
per la finanza globale. Il Secolo Americano di Luce doveva essere
costruito in maniera molto più calcolata rispetto all’impero
inglese che stava sostituendo.1
Un gruppo di pianificazione per il dopoguerra del
Council
on Foreign Relations
allora top secret, il War & Peace Studies Group, guidato dal
preside della Johns
Hopkins
e geografo geo-politico Isaiah Bowman, espose una serie di studi
pensati per gettare le fondamenta del loro mondo dopo la guerra già
all’inizio del 1939, molto prima che i blindati tedeschi invadessero
la Polonia. L’Impero Americano stava per diventare davvero un impero.
Ma non avrebbe commesso l’errore fatale dell’Impero Inglese e degli
altri imperi europei precedenti, ossia di essere un impero aperto
alle conquiste coloniali con eserciti costosi in occupazioni militari
permanenti.
Invece il Secolo Americano sarebbe stato
confezionato e venduto al mondo, soprattutto ai paesi emergenti
dell’Africa, dell’America latina e dell’Asia, come il guardiano della
libertà e della democrazia. Si sarebbe presentato come il
maggiore fautore della fine del dominio coloniale, una posizione che
beneficiava unicamente la sola grande potenza senza grandi
colonie—ossia gli Stati Uniti.
Il mondo del nuovo Secolo Americano doveva essere
guidato ovunque dal campione del libero commercio, il che avrebbe
avvantaggiato l’economia più forte nei primi anni del
dopoguerra, sempre gli Stati Uniti. Era un concetto tanto brillante
quanto fatalmente imperfetto. Come il capo pianificazione del
Dipartimento di Stato George F. Kennan scrisse in una nota
confidenziale interna nel 1948, “Possediamo circa il 50% della
ricchezza del mondo ma solo il 6.3% della sua popolazione… Il
nostro vero compito nel periodo a venire è di pianificare uno
schema di relazioni che ci permetterà di mantenere questa
posizione di disparità senza danni attivi alla nostra
sicurezza nazionale”. 2
Il nocciolo degli War & Peace Studies, che erano
stati progettati ed implementati dal Dipartimento di Stato USA dopo
il 1944, doveva consistere nella creazione di una organizzazione
delle Nazioni Unite per sostituire la Società delle Nazioni
sotto il controllo britannico. Una parte essenziale di questa nuova
organizzazione delle Nazioni Unite, che doveva servire a preservare
lo status quo pro-USA postbellico, era la creazione di ciò a
cui ci si riferiva originariamente come le istituzioni di Bretton
Woods—il Fondo Monetario Internazionale e la Banca
Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo o Banca Mondiale.3
Gli accordi generali sulle tariffe ed il commercio (GATT)
vennero aggiunti in seguito.
I negoziatori USA a Bretton Woods (New Hampshire),
guidati dal vice segretario del Tesoro USA Harry Dexter White,
imposero sull’FMI e sulla Banca Mondiale un progetto che assicurava
che entrambi sarebbero rimasti essenzialmente degli strumenti di un
impero USA “informale”, un impero basato inizialmente sul
credito e, successivamente, all’incirca dopo il 1973, sul debito.
New York e la sua Federal Reserve Bank erano il
cuore del nuovo impero nel 1945. Gli Stati Uniti detenevano la
stragrande maggioranza delle riserve auree delle banche centrali
mondiali. Il sistema aureo postbellico di Bretton Woods avvantaggiava
unicamente il ruolo del dollaro USA, allora come oggi la moneta di
riserva mondiale.
I valori di tutte le valute dei paesi membri del FMI
dovevano essere fissati in base al dollaro USA. A sua volta, il
dollaro USA, ma solo il dollaro USA venne fissato al peso d’oro
prestabilito di 35$ l’oncia. A questo tasso fisso, le banche centrali
e i governi esteri potevano scambiare dollari per oro.
Bretton Woods stabilì un sistema di pagamenti
basato sul dollaro, in cui tutte le valute venivano definite in
rapporto con esso. Fu ingegnoso e favorevole soltanto per la potenza
finanziaria emergente di New York, i cui banchieri modellarono
attivamente gli accordi finali.
In quei tempi, in netto contrasto con il presente,
il dollaro era “buono come l’oro”. La valuta USA era
effettivamente la valuta mondiale, lo standard al quale tutte le
altre valute erano agganciate. Come la valuta chiave mondiale, anche
la maggior parte delle transazioni internazionali venivano denominate
in dollari.
Il mantenimento del ruolo del dollaro USA come
valuta di riserva mondiale è stato il maggiore obiettivo del
Secolo Americano fin dal 1945, correlato con la superiorità
militare USA, ma anche più strategico. Il modo in cui il
primato del dollaro è stato mantenuto fino ad ora ha
determinato la storia di innumerevoli guerre successive alla seconda
guerra mondiale, di battaglie finanziarie, di crisi di debito, e di
minacce di guerra nucleare fino ai nostri giorni.
Importante per inquadrare l’emergenza della
rivoluzione della cartolarizzazione dei beni nella finanza globale
che attualmente sta influenzando il sistema finanziario mondiale con
ondate successive di nuove crisi e delocalizzazioni, e per apprezzare
il sostanziale contributo di Alan Greenspan per preservare il dominio
del dollaro come riserva mondiale ben oltre il punto in cui
l’economia USA ha cessato di essere l’industria manifatturiera più
produttiva al mondo, una breve panoramica delle varie fasi
dell’egemonia postbellica del dollaro può risultare utile.
Gli Anni d’Oro Del Secolo Americano
La prima fase, che potremmo chiamare gli “anni
d’oro” postbellici, vide gli USA emergere dalle ceneri della
Seconda Guerra Mondiale come il Colosso dell’economia globale senza
rivali. Gli USA erano la
potenza dominante nel mondo; nessuno le si poteva nemmeno avvicinare.
Oltre la metà di tutte le transazioni monetarie internazionali
venivano finanziate attraverso il dollaro. Gli USA produssero più
della metà del prodotto del mondo. Inoltre, gli USA
possedevano circa due terzi delle riserve auree ufficiali nel mondo
nel 1940.
Quando diversi paesi
europei avevano un surplus di riserve, lo convertivano in riserve di
dollari piuttosto che oro, perché potevano guadagnare degli
interessi su beni come i bond del Tesoro, e i dollari potevano essere
sempre convertiti in oro a 35$ all’oncia ogniqualvolta fosse
necessario. Il dollaro USA era al centro di questo sistema.
L’industria americana,
guidata dalla General Motors, dalla Ford e dalla Chrysler Motors, le
Grandi Tre, erano le classi leader mondiali – a quel tempo
nessuno era al loro livello. La US Steel (prima di diventare USX),
l’industria dei macchinari, dell’alluminio, quella aeronautica e
quelle affini stabilirono tutte gli standard per l’eccellenza globale
già negli anni ’50.
Ma soprattutto, i
giganti petroliferi americani – Mobil, Standard Oil of New
Jersey, Gulf Oil – queste compagnie chiave dominarono la sola
fonte di energia che sarebbe diventata essenziale per i tassi di
crescita postbellici in Europa, Giappone ed il resto del mondo
postbellico: il petrolio.4
In questo primo periodo postbellico, la richiesta di
dollari nel mondo per finanziare la ricostruzione era così
grande che il problema economico principale affrontato negli anni ’50
dall’Europa, dal Giappone, dalla Corea del Sud e da qualsiasi altro
paese era la mancanza di dollari per finanziare le importazioni delle
risorse USA necessarie, il suo petrolio, i suoi prodotti di consumo.
Nel 1949, le azioni monetarie auree americano
raggiunsero il record di $24,6 miliardi (una somma enorme
paragonabile oggi a $211 miliardi), grazie all’oro che arrivava in
America da fuori per pagare i debiti nella corsa al commercio dei
paesi esteri. New York, sostenuta dalle riserve auree, era
l’incontrastata banca mondiale.
Questo processo cominciò a deteriorarsi dopo
una profonda recessione economica postbellica nel 1957-58. Questa
recessione avrebbe dovuto essere il campanello d’allarme per i
progettisti della politica economica americana e per l’industria che
il particolare periodo di profitti derivati dalla relativa
dislocazione economica di un mondo dilaniato dalla guerra aveva
raggiunto il suo limite. All’inizio del 1957, l’economia americana
aveva bisogno di una sostanziale rigenerazione, se fosse voluta
rimanere competitiva globalmente. Questo non sarebbe successo.
Con l’avvento della crisi della Sterlina Inglese nel
novembre del 1967, in cui il governo britannico fu obbligato a
violare le regole dell’FMI e svalutare la Sterlina del 14% per
mantenere la propria economia lontano da una severa recessione,
l’attenzione si spostò sul fatto che la “Grande Società”
del Presidente Lyndon Johnson ed i costi della disastrosa guerra in
Vietnam stavano facendo accumulare al governo americano debiti da
record. Per la prima volta dagli anni ’30, il dollaro era vulnerabile
per una corsa sull’oro americano.
Per nascondere l’estensione di quei debiti,
l’Amministrazione Johnson introdusse la contabilità creativa.
Per la prima volta il responsabile del Budget aggiunse al Consolidate
General Budget i fondi pagati dai lavoratori americani al Federal
Social Security Trust Fund, un surplus che avrebbe dovuto pagare le
future pensioni ed annessi benefici per la maggior parte degli
americani – l’inizio di un falso in bilancio che nei primi anni
del secolo successivo sarebbe diventato enorme.
Johnson, inoltre, iniziò a manipolare le statistiche
chiave dell’economia del governo usate per calcolare di tutto, dalla
disoccupazione all’inflazione al GDP. Le manipolazioni delle
statistiche, per ovvie nonché fatali ragioni di opportunismo
politico, furono silenziosamente adottate da tutte le Amministrazioni
successive, la più grossolana delle quali è l’attuale
Amministrazione Bush – Cheney.5
Il colpo del dollaro del 1971
Nonstante tutte le manipolazioni, nel 1971 tutte le
riserve auree monetarie americane avevano toccato pericolosamente il
fondo poiché gli Stati esteri, guidati dalla Francia, avevano
richiesto alla Federal Reserve Americana il pagamento in oro
massiccio per i loro surplus di dollari. La realtà non poteva
essere manipolata così facilmente come le statistiche di
governo. Quelle europee erano emerse, assieme a quella giapponese,
come potenti economie moderne ed in espansione.
Gli USA stavano diventando una vasta zona di
manifattura degradata ed obsoleta. Gli spin-doctors di Wall Street ed
i gruppi di ricerca come quelli delle fondazioni Ford e Rockefeller
inventarono un eufemismo linguistico detto la “società
post-industriale”, ma questo non cambiava i fatti. Alla fine
degli anni ’60, i centri industriali più produttivi americani,
da Detroit a Pittsburg a Chicago, erano diventati degli estesi
bassifondi caratterizzati da decadimento, criminalità e
disoccupazione crescente.
Se gli USA avessero perso le loro ultime risorse
auree, il ruolo del dollaro come unica moneta di riserva al mondo –
la base, assieme alla superiorità militare americana,
dell’impero postbellico del Secolo Americano – sarebbe finito
immediatamente.
Per evitare tale pericolo, nell’agosto del 1971 il
Presidente Nixon si riunì con i suoi consiglieri più
fedeli, fra cui un ufficiale del Tesoro americano chiamato Paul
Volcker, allora sotto-segretario del Tesoro degli Affari Monetari
Internazionali, ed associato di lunga data di David Rockefeller e
della famiglia Rockefeller.
Il loro compito fu quello di trovare una soluzione.
La “soluzione” di Volcker alla incredibile richiesta di
compensare il dollaro americano con oro si sarebbe dimostrata tanto
semplice quanto distruttiva per il bene dell’economia mondiale.
Il 15 agosto 1971 Nixon annunciò ad un mondo
allarmato che, da quel giorno, gli Stati Uniti non avrebbe più
rispettato i suoi obblighi del trattato internazionale dettato dal
Patto Bretton Woods. Nixon aveva sospeso la convertibilità del
dollaro in oro. La Fed’s Gold Discount Window di New York venne
chiusa a chiave. Le valute del mondo entrarono in una libera
circolazione contro un dollaro incerto, una cosiddetta valuta piatta.
Ora il dollaro non era appoggiato né dall’oro né dall’argento ma
“dalla totale fiducia e credito” del governo americano,
una comodità di cui si stava cominciando a dubitare il valore
commerciabile.
Il debito diventa il veicolo
Presto, con la minaccia implicita di ritirare il
loro scudo nucleare come persuasione principale, le successive
Amministrazioni americane capirono che piuttosto che dipendere sul
suo ruolo di creditore mondiale come aveva fatto fino al 1971, il
Secolo Americano avrebbe teoricamente
tratto profitto dall’essere il più grande debitore del mondo,
fin tanto che la finanza americana ed il dollaro avessero dominato
l’economia mondiale.
Fino a che le maggiori satrapie postbelliche USA6
come
il Giappone, la Corea del Sud o la Germania, erano obbligate a stare
sotto l’ala protettiva degli USA, era relativamente semplice spingere
le loro Tesorerie ad usare il loro surplus di dollari americani
commerciali per comprare il debito del governo americano. Nel
processo, i mercati azionari americani diventarono di gran lunga i
più grandi al mondo. I principali azionisti di Wall Street
stavano rimpiazzando l’industria dell’acciaio di Pittsburg e quella
automobilistica di Detroit come il “business americano”.
Per parafrasare l’arguta battuta dell’ex Presidente
della GM Charles Wilson degli anni ’50, il nuovo motto era, “Ciò
che è buono per Wall Street è buono per l’America.”
Non era così. Il nome “industria” finanziaria
divenne anche di uso comune, come se volesse indicare il denaro come
il legittimo successore alla produzione del bene fisico reale
nell’economia.
Il debito – il debito del dollaro –
sarebbe diventato il veicolo per un nuovo ruolo delle banche di New
York, guidate dalla Chase Manhattan di David Rockefeller e dalla
Citibank di Walter Wriston. La loro idea era quella di estendere
centinaia di miliardi di dollari nell’OPEC appena acquistato ed altri
petrodollari, “persuadendo” il governo saudita ed altri
governi dell’OPEC a depositare il loro nuovi surplus petroliferi
nelle banche di Londra o New York. Poi quei depositi di dollari
dall’OPEC, a quel tempo definiti “petrodollari” da Henry
Kissinger ed altri, mutarono in prestiti riciclati per economie
importatrici di petrolio e affamate di dollari.7
La crisi di fiducia del dollaro di Carter
Questa seconda fase, successiva al periodo d’oro,
spinta dallo shock del petrolio manipolato del 1973 e dalla pressione
degli USA sull’Arabia Saudita e sull’OPEC a far pagare il petrolio
esclusivamente in dollari (il “riciclaggio di petrodollari”
di Kissinger8
), andò avanti senza troppi problemi fino all’inizio del 1979,
quando il dollaro dovette affrontare una forte svalutazione estera
durante la fine della presidenza di Jimmy Carter. Il Secolo Americano
affrontò una delle sue sfide più grandi in questo
periodo. Le banche centrali tedesche, giapponesi e persino quelle
arabe iniziarono ad abbandonare le holding del Tesoro americano in
ciò che venne definita una perdita di “fiducia”
nel ruolo di capo del mondo di Carter.
Nell’agosto 1979, per ristabilire nel mondo la
“fiducia” nel dollaro, il Presidente Jimmy Carter, esso
stesso un pupillo scelto personalmente dalla Commissione Trilaterale
di David Rockefeller, fu obbligato dalle grandi banche newyorkesi,
guidate dalla Chase Manhattan di David Rockefeller, ad accettare Paul
Volker, uno degli uomini di Rockefeller dalla Chase Manhattan Bank,
come Ministro della Riserva Federale con un mandato aperto per fare
ciò che era necessario per salvare il dollaro come valuta di
riserva.
Nel prendere l’incarico, Volker annunciò
senza mezzi termini, “Lo standard di vita dell’americano medio
è in declino.” Era stato scelto direttamente da
Rockefeller per salvare i mercati finanziari di New York ed il
dollaro a discapito del benessere della nazione.
La ‘terapia shock’ di Volker
La terapia shock di Volker, iniziata nell’ottobre
1979, durò fino all’agosto 1982. I tassi di interesse andarono
in doppia cifra, volando alle stelle. Le economie mondiali e quella
americana vennero lanciate in una recessione mostruosa, la peggiore
dalla Seconda Guerra Mondiale. In un anno, il tasso primario era
volato ad un livello mai visto prima del 21.5%, paragonato ad una
media del 7.6% nei 14 anni precedenti, una crescita quasi triplice
nel giro di settimane. Il tasso ufficiale americano di disoccupazione
salì all’11% mentre, ufficiosamente, quando venne contato chi
semplicemente aveva smesso di cercare lavoro, era di gran lunga più
alto.
Fonte:
AngryBearBlogspot.com
La Terapia Shock di Volker
raddoppiò la disoccupazione ufficiale americana
La crisi di debiti latino americana, un oscuro
presagio della crisi subprime USA di oggi, scoppiò come
diretto risultato dello shock Volker. Nell’agosto 1982, il Messico
annunciò di non poter più pagare in dollari il servizio
di tassi d’interesse sui suoi enormi debiti. Esso, come la maggior
parte del Terzo Mondo dall’Argentina al Brasile, dalla Nigeria al
Congo, dalla Polonia alla Jugoslavia, era caduto nella trappola delle
banche newyorkesi. La trappola consisteva nel prestare l’ammontare
dei petrodollari riciclati dall’OPEC e investiti nelle principali
banche di New York e Londra, le banche Eurodollaro, che inizialmente
prestavano i dollari a Paesi del Terzo Mondo disperati a “tassi
fluttuanti” legati ai tassi LIBOR di Londra.
Quando il LIBOR aumentò del 300% nel giro di
mesi come conseguenza della terapia shock di Volker, quei paesi
debitori non furono più in grado di continuare. Venne
coinvolto il FMI e la più grande rapina nella storia del
mondo, definita erronamente la Crisi di Debito del Terzo Mondo,
iniziò. Come da previsione, la politica shock di Volker diede
il via alla crisi.
Dopo sette anni di tassi di interesse
incessantemente alti da parte della FED di Volker, fatta passare al
pubblico credulone come “spremere l’inflazione fuori
dall’economia americana”, nel 1986 lo stato interno
dell’economia USA era disastroso. La maggior parte dell’America
iniziò ad assomigliare ad un Paese del Terzo Mondo, con
quartieri malfamati in espansione, disoccupazione a doppia cifra e
problemi crescenti di criminalità e tossicodipendenza. Uno
studio della Federal Reserve mostrò che il 55% delle famiglie
americane erano debitrici. I deficit del budget Federale erano a
livelli inauditi di più di 200 miliardi di dollari all’anno.
In realtà, Volker era stato mandato a
Washington per fare una cosa sola – salvare il dollaro dalla
caduta libera che minacciava il suo ruolo come moneta di riserva
globale.
Il ruolo del dollaro come valuta di riserva era la
chiave nascosta del potere finanziario americano.
Lasciando salire alle stelle i tassi d’interessi
americani, gli investitori stranieri si ammassarono nel mietere
guadagni comprando i bond USA. I bond erano e sono il cuore del
sistema finanziario. La terapia shock di Volcker per l’economia
significò crescenti profitti per la comunità
finanziaria newyorkese.
Volcker ebbe anche fin troppo successo nella sua
missione.
Il dollaro salì ai più alti livelli di
sempre contro le valute di Germania, Giappone, Canada ed altri paesi
dal 1979 fino alla fine del 1985. Il super-valutato dollaro USA rese
proibitivi i costi delle esportazioni manifatturiere americane sui
mercati mondiali e questo portò ad un drammatico declino nelle
esportazioni industriali americane.
Già gli alti tassi di interesse della FED di
Volcker dall’ottobre 1979 avevano portato ad un forte declino
nell’edilizia domestica, la rovina finale dell’industria
automobilistica americana, e con essa quella dell’acciaio, dato che i
produttori americani spostarono la produzione all’estero, dove i
vantaggi sui costi erano maggiori. Riferendosi a Paul Volcker ed ai
suoi sostenitori del libero mercato all’interno della Casa Bianca di
Reagan, il Repubblicano Robert O. Andersen, l’allora presidente della
Atlantic Richfield Oil Company, si lamentò che “hanno
fatto di più loro per smantellare l’industria americana che
ogni altro gruppo nella storia. Nonostante ciò, vanno in giro
a dire che va tutto a gonfie vele. È come il Mago di Oz”.
9
All’inizio del 1987, le tradizionali banche
ipotecarie nazionali, le banche Savings & Loan, erano in una
crisi di liquidità che alla fine sarebbe costata al
contribuente americano centinaia di miliardi in interventi
governativi. L’organo di controllo del Congresso, il GAO, dichiarò
che la Federal Savings & Loan Insurance Corporation, che
garantiva per la banca S&L, era insolvente. Già sotto la
pressione delle S&L, fu permesso di realizzare enormi perdite
bancarie dato che alle istituzioni insolventi era consentito rimanere
aperte e crescere, rendendo possibile l’accumulazione di perdite
sempre maggiori. Il costo finale della debacle delle S&L negli
anni 80 arrivò a oltre 160 miliardi di dollari. Alcuni
calcolarono che i costi reali per l’economia arrivarono fino a 900
miliardi. Tra il 1986 e il 1991, il numero di nuove abitazioni
edificate crollò da 1,8 a un milione, il tasso più
basso dalla Seconda Guerra Mondiale.
La seconda Rivoluzione Americana: gli occhi
sul Premio
La politica monetaria della Federal Reserve è
stata generalmente mal raffigurata come una serie di pragmatiche
risposte ad hoc a crisi ricorrenti nel mondo finanziario e bancario
del dopoguerra. La realtà è che essa ha seguito
fedelmente un disegno politico coerente e nascosto che fu presentato
per la prima volta nel 1973 dall’allora portavoce della famiglia più
potente dell’establishment americano.
La politica venne delineata in un libro poco noto
intitolato, abbastanza minacciosamente, “La Seconda Rivoluzione
Americana”. Fu scritto da John D. Rockefeller III, rampollo del
potente impero della Standard Oil e della Chase Manhattan Bank, e,
insieme ai suoi tre fratelli—David, Nelson e
Laurance—architetto dell’assetto mondiale post 1945 conosciuto
come Secolo Americano.
Nel suo libro, Rockefeller dichiarò la
determinazione dell’establishment a riprendersi le concessioni
accordate a malincuore dai ricchi e dai potenti durante la Grande
Depressione. Rockefeller lanciò l’appello nel 1973, molto
prima che Jimmy Carter o Margaret Thatcher salissero in carica per
implementarlo. Egli chiese una “politica a lungo termine,
deliberata e consistente, per decentralizzare e privatizzare molte
funzioni governative… per distribuire il potere sulla
società”. 10
Quest’ultimo fu un abile inganno poiché il suo scopo non era
quello di diffondere il potere, ma proprio l’opposto—concentrare
quel potere economico e bancario nelle mani di una élite
compatta.
La privatizzazione di funzioni governative
essenziali e socialmente utili che spesso erano state stabilite con
grande agitazione sociale e pressione politica durante le difficili
crisi degli anni 30, era l’agenda di Rockefeller. In breve, era la
cancellazione delle regolamentazioni governative dell’era della
Depressione su tutti gli aspetti della vita sociale ed economica
americana.
Soprattutto, lo scopo, nella visione di Rockefeller
e i suoi amici, era la deregolamentazione di Wall Street e dei
mercati finanziari, assieme a una riduzione radicale nella
equipartizione della ricchezza, inerente a programmi quali la
previdenza sociale. I “tagli alle tasse per i ricchi” di
George W. Bush erano solamente una continuazione di un agenda
trentennale dei potenti circoli dell’establishment.
Per quanto sia difficile crederlo, tutte le maggiori
politiche USA dagli anni 70 fino all’odierna, impropriamente
chiamata, crisi subprime, avevano un filo conduttore continuo. Gli
uomini chiave alla Fed e al Tesoro e altri politicanti USA hanno
sempre tenuto i “loro occhi sul Premio”.
Il “Premio” erano i guadagni finanziari
taciuti da ottenere attraverso la revoca delle maggiori concessioni
fatte agli operai e alla classe media americana, concessioni elargite
durante la Grande Depressione da potenti circoli dell’establishment
guidati dai gruppi bancari Rockefeller e Morgan, per prevenire una
rivolta più radicale.
La revoca della previdenza sociale era un obiettivo.
La deregolamentazione finanziaria e soprattutto l’abrogazione del
Glass-Steagall Act del 1933, era un altro. Qui un ben piazzato
banchiere di Wall Street chiamato Alan Greenspan stava per giocare un
ruolo decisivo per conto dell’agenda di deregolamentazione
finanziaria durante il suo incarico come presidente della FED dal
1987 al 2006. La cartolarizzazione dei mutui spazzatura o subprime
doveva diventare il suo supremo lascito. Come sembra al momento di
scrivere, sarà certamente così, anche se forse non come
lui ed altri a Wall Street l’avevano intesa. Sarà più
probabilmente una corona di disgrazia.
NOTE
1
Luce, Henry, The American Century, reprinted in The
Ambiguous Legacy, M. J. Hogan, ed. Cambridge, UK: Cambridge
University Press, 1999.
2
Kennan, George F., 1948, “PPS/23: Review of Current Trends
in U.S. Foreign Policy”, Foreign Relations of the United
States, Volume I.
3
New York Council on Foreign Relations, undated, The War & Peace
Studies, http://www.cfr.org.
4
Engdahl, F. William, A Century of War: Anglo-American Oil Politics
and the New World Order, London, Pluto Press, 2004, pp. 88-9.
5
Per un eccellente resoconto storico dell’impatto di queste sistematiche manipolazioni
statistiche del governo vedi di
John Williams:
http://www.shadowstats.com/.
John ha seguito le manipolazioni per più di due decenni. e che io sappia è l’unico tentativo sistematico.
6 Il termine “satrapia” per descrivere le relazioni USA con Giappone, Germania e altri alleati del dopoguerra è usato da Zbigniew Brzezinski nel suo libro The Grand Chessboard: American Primacy and its
Geostrategic Imperatives, New York, Basic Books, 1997.
7
La migliore descrizione di questo nuovo ruolo di creazione senza fine del debito, appoggiata dalla potenza militare USA, come fondamento della dominazione americana vede un eccellente personale racconto nel significativo lavoro di Michael
Hudson, Super Imperialism:
The Economic Strategy of American Empire,
London, Pluto Press, 2nd
Ed.2003, www.michael-hudson.com.
p.289 ff.
8 Vedi
Engdahl, op.cit., pp.130-141 per un insolito racconto del ruolo dell’allora segretario di Stato Kissinger negli eventi che portarono ad una crescita dei prezzi OPEC del petrolio del 400% nel 1974.
9
Anderson, Robert O., cited in Greider, William, Secrets of the
Temple: How the Federal Reserve runs the country, Simon &
Schuster, New York, 1987, p. 648.
10
Rockefeller, John D. III, The Second American Revolution,
Harper & Row, New York, 1973.
F. William Engdahl è l’autore di A
Century of War: Anglo-American Oil Politics and the New World
Order,Pluto Press. Il suo libro più recente
pubblicato da Global Research è Seeds of Destruction:
The Hidden Agenda of Genetic Manipulation, www.GlobalResearch.ca.
Titolo originale: “The Financial Tsunami: The Financial Foundations of the American Century”
Fonte: http://www.globalresearch.ca/
Link
16.01.2008
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di STIMIATO
VEDI ANCHE: LO TSUNAMI FINANZIARIO: IL DEBITO IPOTECARIO SUBPRIME