Di Federico Punzi, Atlanticoquotidiano.it
Tranquilli: non sarà grazie ad una “manovra complottista” che Trump riuscirà a restare alla Casa Bianca. È evidente infatti che irregolarità e brogli andranno dimostrati e certificati, non su Twitter, ma in sede legale, fino alla Corte Suprema. Al tempo stesso, però, il modo migliore per alimentare teorie complottiste, che possono resistere decenni avvelenando il clima politico negli Stati Uniti, è non riconoscergli il diritto di chiedere riconteggi, avanzare ricorsi e diradare ogni opacità nel processo di conteggio dei voti. E, purtroppo, di opacità ce n’è stata molta. Certamente dovuta al sistema di voto adottato in massa in queste presidenziali per via del Covid.
Come avevamo previsto, infatti, il voto per posta è stato decisivo e si è dimostrato l’unico effetto davvero decisivo della pandemia sulle elezioni.
Il rischio di contagio nei seggi ha indotto molti stati a estendere il voto per posta da eccezione riservata ad alcune categorie di elettori a “sistema”, così per uno strano scherzo del destino il virus cinese ha finito per modificare il sistema di voto della superpotenza rivale della Cina nell’elezione più importante, e pare riuscendo a far fuori proprio l’avversario più temuto, l’unico leader occidentale che aveva avuto il coraggio di sfidare le ambizioni egemoniche di Pechino.
All’estensione del voto per posta si deve in grandissima misura l’affluenza record (seconda in percentuale solo alle presidenziali del 1900) e questo ha favorito Biden in particolare negli stati chiave Pennsylvania, Michigan e Wisconsin.
Che siano stati commessi o meno brogli sistematici, il problema con questo sistema di voto è la sua intrinseca inaffidabilità, per cui sarà difficile diradare ogni dubbio su questa elezione, a meno che uno dei due candidati non riconosca serenamente la sconfitta.
Il voto per posta non tutela libertà e segretezza, non c’è una reale garanzia su chi abbia compilato e imbucato la scheda (se poi, come in Pennsylvania, si accettano anche schede senza timbro postale e firma…), si presta a pesanti condizionamenti “ambientali” e al voto di scambio, a smarrimenti e ritrovamenti, voti attribuiti a persone decedute da anni. Siamo onesti: se qualcuno proponesse in Italia di estendere il voto per posta dagli italiani all’estero (dove irregolarità sono provate) a tutto il Paese, per evitare assembramenti ai seggi, verrebbe subito accusato di concorso in associazione mafiosa, di voler favorire il voto di scambio, la corruzione e le mafie.
Ora, la garanzia minima è che ci sia un termine per le operazioni di voto, ovvero che vengano contate solo le schede che alla chiusura dei seggi si trovano all’interno. Se permetti deroghe, apri un vaso di Pandora…
Quando la notte del 3 novembre, in conferenza stampa, Trump ha detto, smettete di contare i voti, non intendeva dire che non dovessero essere contati tutti i voti validi, come riportato strumentalmente. Ha detto, e ripete, smettete di votare, intendendo smettete di contare voti arrivati dopo la chiusura dei seggi.
Per quanti giorni oltre il 3 novembre possono essere accettate e contate le schede inviate per posta? È una questione di cui avevamo parlato prima dell’election day. E qui Trump obiettivamente può avanzare il legittimo sospetto che le procedure in molti stati, come la Pennsylvania, abbiano di fatto reso possibili voti illegittimi e favorito brogli.
Non possono essere accettati voti oltre il 3 novembre, stabilisce la legge statale della Pennsylvania, ma la Corte dello stato l’ha potenzialmente reso possibile, aprendo di fatto ai brogli, quando ha ordinato che fino a tre giorni dopo venissero accettate anche schede senza timbro postale o con timbro illegibile, presumendo che siano state imbucate il 3 novembre.
Per questo la dinamica delle operazioni di scrutinio in molti stati, nella notte tra il 3 e 4 novembre, non può che destare sospetti. Il conteggio si è fermato in Pennsylvania all’inizio della notte, con Trump in vantaggio di circa 700 mila voti (il 15 per cento), che Biden potrebbe ribaltare se i voti rimanenti fossero in suo favore nella misura del doppio. Ma è realistico che un risultato simile possa arrivare dai grandi centri urbani e in quel momento lo scrutinio a Philadelphia era molto indietro rispetto alla media dello stato. Perché fermarsi e non continuare a contare, se i voti per posta erano già all’interno dei seggi? Stessa identica dinamica stop and go anche a Detroit (Michigan), Milwaukee (Wisconsin), Atlanta (Georgia). In questi stati non era chiaro nemmeno quanti voti ci fossero ancora da contare.
Ma vediamo che questa dinamica dello stop and go continua ancora in queste ore in Georgia e North Carolina – in quest’ultimo stato è possibile accettare e contare schede fino a 9 giorni dopo l’election day (!). Il sospetto è che se Trump dovesse superare Biden in Arizona o Nevada, e restare davanti in Pennsylvania, vedremo ulteriori voti ribaltare Georgia e North Carolina.
C’è un’altra anomalia riscontrata nel voto in Wisconsin. Su 3.684.726 di registrati al 1° novembre, i voti contati sono stati 3.288.771, un’affluenza strabiliante dell’89 per cento, anormale sia rispetto agli stati vicini sia rispetto allo storico del Wisconsin, anche considerando la specificità di questa elezione. A Milwaukee, in 7 seggi, l’affluenza sui registrati (sempre al 1° novembre) ha superato il 100 per cento, e in 2 seggi il 200 per cento. Ma in Wisconsin ci si registra anche il giorno del voto, quindi i registrati potrebbero essere molti di più rispetto al 1° novembre, il che porterebbe l’affluenza a livelli più realistici. Il Milwaukee Journal Sentinel ha dichiarato un’affluenza del 71 per cento degli aventi diritto. Probabilmente è qualcosa di più. Ma significherebbe comunque centinaia di migliaia nuovi registrati tra il 2 e il 3 novembre. In due giorni. Tutto può essere, non stiamo qui alludendo a brogli, ma sicuramente dimostra il ruolo decisivo del voto per posta, che è intrinsecamente vulnerabile a brogli ed irregolarità.
I due balzi di voti sospetti a favore di Biden in Michigan e Wisconsin sembra invece abbiano trovato una spiegazione: nel primo, un errore di trascrizione da una contea, che ha aggiunto uno zero di troppo a 15.371 voti per Biden, e nel secondo l’arrivo dei voti per posta da Milwaukee, città fortemente “blu”, che sembra avrebbe deciso di conteggiare tutte le schede postali in un unico seggio – decisione comunque che qualche perplessità la solleverebbe…
L’ampio margine con cui Trump si è aggiudicato l’Ohio (8 per cento), faceva pensare ad una sua possibile affermazione anche in qualcuno degli stati tra Pennsylvania, Michigan e Wisconsin. Questo tra l’altro ci indica un’altra stranezza, forse senza precedenti, di queste elezioni: Trump non riuscirebbe ad essere rieletto nonostante 1) abbia vinto Ohio e Florida, che rispettivamente era dal 1960 e dal 1992 che non votavano per un candidato che non riuscisse poi ad arrivare alla Casa Bianca e 2) i Repubblicani abbiano probabilmente mantenuto il controllo del Senato e guadagnato posizioni alla Camera.
Ma la battaglia si è giocata e si gioca ancora molto sul piano della comunicazione.
È da giugno che il presidente Trump parla del rischio brogli, di “elezioni truccate”, con il voto postale. Brogli o no, il voto postale ha inciso negativamente anche nella narrazione. Stati dove la notte del voto era in vantaggio Trump ribaltati ore e giorni dopo. Stati assegnati prematuramente a Biden durante l’election night, come l’Arizona, con un risultato sul filo dopo conteggi di giorni. Si è fatto in modo che fosse il presidente Trump a dover contestare l’esito del voto, potendo così alimentare una narrazione – che in realtà prosegue da quattro anni – che lo vede come l’”usurpatore”. Biden è stato il primo a parlare, rivendicando di fatto di aver vinto, la notte delle elezioni. E proprio per prevenire una vittoria di Biden sul piano della comunicazione il presidente ha dovuto rispondere. Il comportamento più corretto sarebbe stato da parte di entrambi (anche Biden) aspettare la fine dei conteggi e, in caso, delle opportune verifiche e degli eventuali ricorsi.
Voto per posta, narrazione su Trump come usurpatore. Gli elementi che si aggiungono allo scenario sono disordini di piazza e censura dei social. Twitter è scatenato nell’oscuramento in massa di tweet sui possibili brogli, arrivando a censurare anche quelli del presidente Trump, mentre alcuni chiedono proprio di chiudergli l’account.
Anche i sondaggi fasulli hanno contribuito a mettere in piedi questa narrazione, alimentando l’aspettativa di una vittoria scontata di Biden. A livello nazionale, le medie gli attribuivano un vantaggio dell’8 per cento (per ora siamo al 2,5, anche se potrebbe salire), ma ogni giorno i media mainstream davano massima evidenza a sondaggi che riportavano un distacco a doppia cifra, anche 12 o 14 per cento.
Anche nei singoli stati, Trump ha vinto in modo netto in Florida, Ohio e Texas, nel primo caso molto più agevolmente di quattro anni fa, quando in tutti questi doveva essere un testa-a-testa. Nella Rust Belt è stato un testa-a-testa all’utimo voto, mentre Biden avrebbe dovuto vincere agevolmente. Resta un pesante dubbio sul ruolo di soppressione del turnout per Trump giocato dai sondaggi: un numero rilevante di elettori potrebbe essere stato scoraggiato a votare Trump in quegli stati in cui veniva dato come non competitivo.
Anche i sondaggi sulle elezioni per il Congresso sono stati fallimentari: indicavano che i Democratici avrebbero riconquistato il Senato e allargato la maggioranza alla Camera. Non sta accadendo: in queste ore si prevede che i Repubblicani mantengano il controllo del Senato e conquistino 8 seggi (6 netti) alla Camera.
Non si pretende ovviamente che i sondaggi ci azzecchino, ma soprattutto sulle presidenziali l’errore è stato tanto clamoroso, tanto condiviso tra tutti gli istituti più “quotati” e ripresi dai media mainstream, che la possibilità che ci sia stato dolo per condizionare il comportamento di molti elettori va presa in seria considerazione. Non solo soppressione del turnout per Trump. I sondaggi hanno certamente contribuito in modo rilevante a creare una narrazione nella quale Biden non può aver perso, è Trump a cercare di rubare l’elezione facendo leva sul fatto che in alcuni stati il distacco è stato meno ampio di quello previsto. Ma se non fosse mai esistito tra i due il distacco di 8-10 punti che veniva continuamente propagandato, l’opinione pubblica oggi sarebbe più preparata ad un risultato sul filo e ad un’elezione contestata.
Di Federico Punzi, Atlanticoquotidiano.it
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05.11.2020
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Pubblicato da Jacopo Brogi per ComeDonChisciotte.org