L'IMMINENTE DECLINO NELLA PRODUZIONE PETROLIFERA SAUDITA

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blankDI MICHAEL T. KLARE

Per gli entusiasti del petrolio, che credono che sarà abbondantemente disponibile per i prossimi decenni – da annoverare tra questi il Presidente George W Bush, il Vicepresidente Dick Cheney e tutti i loro amici dell’industria petrolifera – ogni obiezione che abbia quale oggetto il “peak” nella produzione globale di petrolio e il suo successivo calo, può essere facilmente respinta con un semplice ritornello: “Arabia Saudita, Arabia Saudita, Arabia Saudita”.

Gli arabi non si limitano solo ad aumentare i volumi di petrolio estratto, per alleviare la scarsità globale ma, dichiarano, continueranno ad estrarre più petrolio nei prossimi anni per calmare la nostra “sete d’energia”. E quando i pozzi del regno attualmente utilizzati saranno prosciugati si inizierà a prelevare da altri giacimenti pronti per essere sfruttati.
“Noi, gente comune, non abbiamo motivo di preoccuparci dei problemi relativi all’inesauribilità del petrolio visto l’Arabia Saudita è in grado di soddisfare i nostri bisogni, presenti e futuri”. Questa è la base sulla quale l’amministrazione Bush poggia la sua tesi, ovvero è possibile continuare ad aumentare il consumo annuale di petrolio, piuttosto che conservare quello che è rimasto, ed iniziare una politica di transizione ad un sistema economico post-petrolio. Viva l’Arabia Saudita!

Ora però, da una fonte inaspettata, arriva una sconvolgente contestazione a detta tesi. In un libro recentemente pubblicato il banchiere Matthew R Simmons dimostra in modo convincente che, lungi dall’essere in grado di aumentare la produzione, l’Arabia Saudita deve fronteggiare l’esaurimento dei suoi enormi giacimenti e, nel prossimo futuro, fronteggiare un repentino calo di produzione. Nel libro “Twilight in the Desert: The Coming Saudi Oil Shock and the World Economy” (Crepuscolo nel deserto: lo shock del petrolio saudita e l’economia mondiale) Simmons scrive: “C’è una remota probabilità che l’Arabia Saudita possa fornire i volumi di petrolio che sono stati previsti dalle principali previsioni di produzione e di consumo mondiale di petrolio”, ed aggiunge evidenziando in corsivo “la produzione araba è prossima al picco di volume sostenibile … ed è probabile che inizi la discesa nell’immediato futuro”.

Vi è una remota possibilità per gli arabi di scoprire nuovi giacimenti per sopperire al calo produttivo di quelli che si stanno sfruttando. “Negli ultimi trent’anni gli sforzi degli arabi nella ricerca di nuovi giacimenti hanno superato tutte le previsioni”, afferma Simmons, “ma i risultati sono stati, al massimo, modesti”.

Se Simmons dovesse avere ragione sulla produzione di petrolio arabo, e la tesi ufficiale dovesse risultare errata, potremmo dire addio per sempre all’era del petrolio in abbondanza. Sarebbe cosí per una ragione molto semplice. L’Arabia Saudita è il leader mondiale per la produzione di petrolio e non c’è altro fornitore (o combinazione di fornitori) in grado di compensare il calo produttivo dell’Arabia Saudita. Questo significa che se la tesi “Arabia Saudita” dovesse risultare errata ci troveremo a vivere in un mondo differente – “l’era del crepuscolo” del petrolio usando le parole di Simmons. Non sarà un bel posto.

Prima di affrontare le conseguenze di una diminuzione della produzione di petrolio arabo è importante esaminare meglio i due differenti punti di vista. Quello ufficiale del Department of Energy (DoE – Dipartimento dell’Energia ) americano e quello riportato nel libro di Simmons.

La versione dominante è quella del DoE Americano che vede l’Arabia Saudita in possesso di un quarto delle riserve petrolifere americane, sono stimati 264 miliardi di barili. Si ritiene inoltre che gli arabi dispongano di ulteriori riserve non dichiarate con una capacità di alcuni miliardi di barili. Su questa base il DoE dichiara: “L’Arabia Saudita rimarrà il più grande produttore di petrolio per l’immediato futuro”.

Per meglio comprendere l’importanza della variabile ‘Arabia Saudita’ nell’equazione globale dell’energia occorre considerare le previsioni, a livello mondiale, effettuate dal DoE relative a domanda e offerta di petrolio. A causa della rapida crescita della richiesta di petrolio – da parte degli USA e dell’Europa ma in aumento anche per Cina, India e paesi in via di sviluppo – la domanda registrerà un’impennata dei consumi dai 77 milioni di barili al giorno del 2001 a121 milioni entro il 2025. Un incremento di 44 milioni.
Fortunatamente, afferma il DoE, anche la produzione di petrolio aumenterà. Non ci sarà quindi da preoccuparsi per una eventuale carenza di petrolio. Ma più di un quarto di questo aumento di produzione – circa 12,3 milioni di barili al giorno – sarà richiesto all’Arabia Saudita, l’unico paese capace di aumentare così tanto la sua produzione. Togliete questi 12.3 milioni di barili forniti dall’Arabia Saudita e non ci sarà possibilità di soddisfare il previsto aumento di domanda per il 2025.

Si potrebbe suggerire il ricorso ad altri produttori per ottenere altri necessari fornitori, in particolare Iraq, Nigeria e Russia. Ma questi fornitori dovrebbero, presi tutti insieme, aumentare la propria produzione di più del 100% solo per soddisfare le richieste già assegnate loro dal DoE per i prossimi vent’anni. Già questo potrebbe andare oltre le loro capacità produttive. Suggerire che possano sopperire anche al calo di produzione dell’Arabia Saudita significherebbe forzare la credulità oltre ogni limite.

Non sorprende quindi che ci sia stato del nervosismo nell’ambito del DoE a seguito dei dubbi sollevati nei confronti delle reali capacità dell’Arabia Saudita di aumentare nel futuro la produzione di petrolio.
Questi dubbi furono sollevati per la prima volta, tramite un articolo pubblicato sulla prima pagina del New York Times il 25 febbraio 2004, da Jeff Gerth. Contando, in un certo modo, sulle informazioni fornite da Simmons, Gerth riportò che i giacimenti arabi “sono in calo e spingono industrie e governi a sollevare seri dubbi sul fatto che il regno sia in grado di soddisfare il bisogno di petrolio del mondo nei prossimi anni”.

Il servizio di Gerth ha provocato una valanga di repliche da parte del governo saudita. Il nostro paese, dichiarano alcuni funzionari sauditi, è in grado di aumentare la produzione per soddisfare le richieste future. “[L’Arabia Saudita] ha immense e dimostrate riserve di petrolio con solide e grandi potenzialità”.
Abdallah S Jum’ah, il presidente della Saudi Aramco (compagnia petrolifera araba – una delle più grandi del mondo. ndt) ha dichiarato nell’aprile 2004: “Siamo in grado di portare le nostre capacità ad alti livelli rapidamente e di mantenerli per un lungo periodo”

Questo scambio di battute indusse la DoE a porre dei limiti e contenere il confronto sulle previsioni internazionali per l’energia del 2004. “In un’energica confutazione dell’articolo del New York Times [del febbraio 2004],” faceva notare il DoE, “l”Arabia Saudita sostiene che i suoi produttori di petrolio sono fiduciosi nelle loro possibilità di sostenere livelli più alti di produzione fino alla metà di questo secolo”. Stando così le cose, noi gente comune non dobbiamo preoccuparci delle scarsità future. Constatata l’abbondanza saudita il DoE scrisse che noi “dovremmo aspettarci una impennata della produzione di petrolio per la metà del ventunesimo secolo piuttosto che per l’inizio”.

In queste ed in simili asserzioni gli esperti americani del settore sottolineano lo stesso aspetto: i manager petroliferi sauditi “sono confidenti delle proprie capacità di aumentare significativamente i livelli di produzione dei pozzi per il prossimo futuro”. In nessun caso comunque hanno fornito verifiche effettuate da periti indipendenti, si sono sempre basati sulla parola di funzionari che hanno tutto l’interesse a rassicurarci sulla loro affidabilità come fornitori per il futuro. Si conclude alla fine che: la strategia americana per l’energia, col suo impegno su un aumento della dipendenza dal petrolio come maggiore fonte di energia, si basa sulle dichiarazioni non provate dei produttori petroliferi sauditi di poter aumentare la produzione in accordo con le previsioni del DoE.
Qui è dove Simmons entra in scena, con il suo libro meticolosamente documentato, dimostrando che i produttori arabi non sono sinceri quando parlano della loro produzione futura di petrolio.

Spendiamo prima due parole sull’autore del libro “Crepuscolo nel deserto”. Matthew (“Matt”) Simmons non è un ambientalista militante o partigiano anti-petrolio. Simmons è Presidente e CEO (Chief Executive Officer) di una delle principali banche americane che investono nell’industria petrolifera: la Simmons & Company International. Per decenni Simmons ha investito miliardi nel campo dell’energia, finanziando esplorazione e sviluppo per nuove riserve divenendo amico e socio di molti personaggi di spicco dell’industria petrolifera, inclusi Bush e Cheney. Ha accumulato quindi informazioni relative ai più grandi giacimenti del mondo, prospettive per nuove scoperte e tecniche per estrarre e commerciare petrolio. Non esiste di fatto persona più qualificata di Simmons per poter valutare lo stato di fornitura del petrolio nel mondo.

Questo è il motivo per il quale quel che asserisce sulle capacità petrolifere saudite è sconvolgente.

È possibile sintetizzare la teoria di Simmons in quattro punti:

1) La maggior parte del petrolio dell’Arabia Saudita viene estratto da pochi grandi pozzi, dei quali Ghawar – il più grande del mondo – è il più produttivo.
2) Si è cominciato a sfruttare questo giacimento gigante 40 o 50 anni fa, e da allora ha dato la maggior parte del petrolio facilmente estraibile.
3) Per mantenere alti livelli di produzione in questi pozzi gli arabi dovrebbero iniziare ad affidarsi all’uso di iniezioni d’acqua o ad altri metodi per compensare la caduta di pressione nei giacimenti naturali.
4) Col passare del tempo il rapporto acqua/petrolio nel sottosuolo aumenta al punto da rendere difficile, se non impossibile, l’estrazione. Come se non bastasse non c’è motivo di ritenere che la ricerca effettuata dagli arabi porti alla scoperta di nuovi giacimenti che possano rimpiazzare quelli ora in calo produttivo.

Crepuscolo nel deserto

Non è un libro di facile lettura. Composto per la maggior parte da una descrizione dettagliata delle infrastrutture petrolifere saudite che ha per base un rapporto, redatto da geologi arabi ed ingegneri petroliferi, che tocca vari aspetti produttivi su diversi giacimenti. Viene trattato l’invecchiamento dei giacimenti e l’uso delle iniezioni di acqua per mantenere alti i livelli di pressione nelle enormi riserve sotterranee.
Simmons spiega che nei primi stadi di sfruttamento di un giacimento il petrolio fuoriesce dal terreno per effetto della propria pressione, e viene estratto in maniera molto semplice. Gli ingegneri arabi utilizzano spesso la tecnica di pompare l’acqua sul perimetro del giacimento in modo da forzare il petrolio rimanente nel condotto in attività. Attingendo da questo studio tecnico – citato pubblicamente in quest’occasione per la prima volta ed in modo metodico – Simmons riesce a dimostrare che Ghawar ed altri grandi giacimenti si avviano rapidamente verso la fine della loro vita produttiva.

Le conclusioni di Simmons sono indiscutibilmente pessimistiche: “Il ‘crepuscolo’ del petrolio arabo paventato in questo libro non è una possibilità remota. Il 90% del petrolio finora prodotto in Arabia Saudita proviene da sette grandi giacimenti. Questi sono maturi e stanno invecchiando e nonostante questo sono la fonte del 90% dell’attuale produzione araba… grandi volumi produttivi in questi giacimenti … sono stati mantenuti per decenni ricorrendo alla iniezione di grossi quantitativi di acqua per mantener alta la pressione nelle grandi riserve sotterrane e… quando si smette di iniettare acqua nei giacimenti la produzione diminuisce repentinamente in modo inevitabile.”

Stando così le cose sarebbe una follia credere che per l’Arabia Saudita sarà possibile raddoppiare la produzione nei prossimi anni come previsto dal DoE.
Già sarebbe un miracolo se riuscissero ad aumentare la produzione di uno o due milioni di barili al giorno e mantenere questi livelli per più di un anno. Alla fine, in un futuro non molto lontano, la produzione saudita calerà bruscamente senza rimedio. Quando questo si verificherà il mondo dovrà fronteggiare una crisi energetica senza precedenti.

Nel momento in cui la produzione saudita di petrolio diminuirà irreversibilmente, l’era del petrolio, così come noi la conosciamo, si avvicinerà alla fine. Il petrolio sarà disponibile sul mercato, ma non nelle abbondanti quantità alle quali siamo abituati, né a prezzi che la maggior parte di noi potrà permettersi. Trasporto e tutto il resto ne sarà impattato – il che significa dire l’intera economia mondiale – e sarà molto, ma molto più costoso. Il costo del cibo aumenterà, visto che l’agricoltura moderna si affida largamente ai derivati del petrolio per le attività di coltivazione, raccolto, difesa fito-sanitaria, lavorazione e consegna. Molti altri prodotti ottenuti dal petrolio – come la plastica, le vernici, i lubrificanti, i farmaci, i cosmetici – risulteranno molto più costosi. In queste circostanze una recessione economica – con tutte le sofferenze personali e difficoltà che ne conseguiranno – sembra inevitabile.

Se Simmons dovesse aver ragione sarebbe solo questione di tempo affinché questo scenario si realizzi. Se agissimo ora, limitando i nostri consumi di petrolio e sviluppando fonti energetiche alternative, avremmo qualche speranza di fronteggiare il “crepuscolo” dell’era del petrolio. Se dovessimo ritardare ulteriormente dovremmo attenderci tempi difficili. Più ci aggrappiamo alla speranza di salvezza proveniente dall’Arabia Saudita più rovinosa sarà la caduta.

Vista la posta in gioco non vi è dubbio che ci sarà una forte opposizione alle conclusioni di Simmons. Con la pubblicazione di questo libro, comunque, non sarà più possibile per gli appassionati canticchiare “Arabia Saudita, Arabia Saudita, Arabia Saudita” per convincerci che tutto va bene nel mondo del petrolio. Attraverso questa meticolosa ricerca, Simmons ha convinto che, siccome le cose non vanno bene per i giacimenti dell’Arabia Saudita, la situazione mondiale dell’energia d’ora in poi non potrà che peggiorare.
D’ora in poi quelli che credono nell’abbondanza illimitata del petrolio dovranno fornire prove convincenti che i giacimenti sauditi saranno in grado di incrementare la loro produzione.

Michael T Klare è docente di Studi di Pace e Sicurezza Mondiale presso l’Hampshire College ed autore di Blood and Oil: Il pericolo e le conseguenze della crescita della dipendenza dell’America dal petrolio. (Metropolitan Books).
Fonte:www.atimes.com
Link:http://www.atimes.com/atimes/Middle_East/GF29Ak01.html
29.06.05

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di ANIELLO B.

(Copyright 2005 Michael T Klare)

(Published with permission of TomDisptach.com)

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