DI AMBROSE EVANS PRITCHARD
telegraph.co.uk
Anche se la Grecia dovesse lasciare l’euro, l’Europa dovrebbe in ogni caso garantire una decente prosperità all’economia di quel paese. In caso contrario metterebbe a rischio l’intero progetto dell’Unione Monetaria [EMU]
La Grecia ha già subito in passato il trauma del default e il collasso della sua valuta. Tutto andò terribilmente per storto. La sequenza degli eventi, negli anni compresi fra le due guerre, assumono oggi una rilevanza inquietante. Nel 1932 la Grecia si rivolse alla “Società delle Nazioni” e ai banchieri britannici per un ultimo disperato tentativo di mantenere la dracma all’interno del Gold Standard, visto che le riserve [di valuta pregiata] erano state spazzate via. I creditori esitarono per tre mesi, ma alla fine risposero “no”.
La Grecia svalutò ed impose un haircut [lo sconto rispetto al valore di un’attività reale o finanziaria] del 70% sui prestiti che aveva ricevuto nel corso degli anni. I costi relativi al “servizio del debito” scesero di due terzi in un colpo solo. In un primo momento sembrò una liberazione. L’economia cominciò a crescere di nuovo al ritmo di oltre il 5% annuo. Poi la “corsa allo zucchero” cominciò a sbiadire, ed il sistema creditizio, che mai si era ripreso, restò in cattive condizioni. L’industria greca era troppo arretrata per sfruttare appieno il tasso di cambio favorevole, a differenza dell’industria giapponese [dell’epoca] sotto Takahashi Korekiyo. Il governo greco non riuscì mai a riacquistare credibilità. Ci furono quattro tentativi di colpi di stato, che terminarono con la dittatura militare di Ioannis Metaxas. I partiti politici furono aboliti. I leader sindacali uccisi o imprigionati.
La Grecia precipitò nel fascismo balcanico. L’episodio è descritto in un fondamentale documento dell’Università di Atene, in cui c’è scritto che: “ … coloro che in questo momento stanno sostenendo lo scenario del “Grexit”, dovrebbero forse prestare una maggiore attenzione agli eventi del 1930” [http://www.york.ac.uk/media/economics/documents/seminars/2012-13/GCRISIS_1932.pdf]. Nessuno deve sottovalutare l’uragano politico che andrà a generarsi, se l’Europa si dimostrasse incapace di tenere assieme l’Unione Monetaria [UEM], e la Grecia dovesse andare fuori controllo. Non si dimentichi che l’ordine costituitosi nel dopoguerra è già sottoposto alla minaccia esistenziale del revanscismo russo.
L’autorità statuale è già palesemente crollata, come conseguenza dei massacri che hanno attraverso il Medio Oriente e il Nord Africa, mentre un’autoritaria e neo-ottomana Turchia sta scivolando via dal del settore occidentale. In queste circostanze perdere la Grecia – e perderla male – sarebbe un terremoto. Eppure è lo scenario che è stato inequivocabilmente evocato dal Primo Ministro greco Alexis Tsipras nel suo rovente sfogo su “Le Monde” [http://www.lemonde.fr/economie/article/2015/05/31/alexis-tsipras-l-europe-est-a-la-croisee-des-chemins_4644263_3234.html], nell’ambito del quale ha più o meno minacciato il rifiuto sia economico che strategico dell’Occidente, se le potenze creditrici dovessero continuare con le loro “assurde richieste”. Trattando la questione secondo principi rigorosamente economici, nessuno sa se la Grecia possa prosperare o invece fallire al di fuori dall’euro. Nessuno dei precedenti scenari di rottura – rublo, dinaro jugoslavo, corona austro-ungarica – ci dice molto. Gli avvertimenti dei leaders dell’EMU – ovvero che il Grexit sarebbe rovinoso per i greci – sono uno schema negoziale, oppure una mera ipocrisia? Tutte le radicali affermazioni fatte negli ultimi venti anni dai propagandisti dell’EMU sono risultate essere false. L’euro non ha incrementato la crescita, o fatto convergere le varie economie, o rimosso il dollaro dalla sua posizione di “valuta di riserva mondiale”, o legato spiritualmente fra di loro i paesi dell’UEM. Ed inoltre, coloro che lo hanno rifiutato, come la Gran Bretagna, la Svezia e la Danimarca, non hanno pagato alcun prezzo per essere restati al di fuori [dell’Eurozona]. Nella misura in cui [i paesi creditori] credono nel loro mantra sulla Grecia, rischiano di malgiudicare il clima politico di Atene. Questo mantra fa loro supporre che Syriza stia per forza bluffando. Costas Lapavitsas, deputato di Syriza e professore di economia presso l’Università di Londra, pensa che la nuova dracma precipiterebbe del 50% contro l’euro, per poi risalire e stabilizzarsi intorno al 20% al di sotto dei livelli attuali. Il trauma finirebbe in sei mesi. “La Grecia crescerebbe al tasso del 5% annuo, e continuerebbe a crescere per altri cinque anni”, egli ha detto. C’è stato un solo solido studio [http://mpra.ub.uni-muenchen.de/35413/1/MARIOLIS_and_KATSINOS_RETURN_TO_DEVALUED_DRACHMA_COST-PUSH_INFLATION_AND_INTERNATIONAL_COMPETITIVENESS.pdf] sulle conseguenze macro-economiche connesse al Grexit, fatto da Theodore Mariolis e Apostolis Katsinos della Panteion University di Atene. Esso ha provvisoriamente concluso che una svalutazione 50% non andrebbe ad infiammare l’inflazione – contrariamente alle affermazioni che sono state diffuse – e sarebbe in grado di ripristinare velocemente la competitività commerciale.
Gabriel Sterne, della Oxford Economics, ha detto che nei conti esteri sono depositate ingenti somme di denaro che sono in attesa di tornare in Grecia, non appena il bollore si sarà placato ed il rischio-svalutazione sarà stato rimosso [nel senso che la svalutazione ci sarà già stata, e non ce ne saranno altre, almeno sul medio termine]. I capitali accumulati all’estero hanno raggiunto, in effetti, il 60% del PIL. “I primi mesi sarebbero assolutamente caotici, ma poi i soldi tornerebbero. Gli “hedge funds” invaderebbero la Grecia per acquistare beni a basso costo”, egli ha detto. E’ accaduto in Messico dopo la “Tequila Crisis” [http://en.wikipedia.org/wiki/Mexican_peso_crisis], ma anche in Asia orientale, dopo il crollo valutario del 1998. Il modello è ben noto a chi segue i mercati emergenti. “A nostro avviso la Grecia, economicamente, starebbe probabilmente meglio fuori dall’euro, tranne che nel brevissimo periodo e fintanto che perseguirà delle politiche sensate”, ha concluso Gabriel Sterne. Ma c’è, naturalmente, un grande “se”. Un “se” che sta rapidamente avvicinandosi
Ammesso che il Ministero delle Finanze greco abbia abbastanza denaro per pagare al Fondo Monetario Internazionale i 300 milioni di euro che scadono Venerdì prossimo, non può comunque coprire la scadenza di 750 milioni di euro della prossima settimana. Se è vero che un default all’interno dell’UEM è pur sempre teoricamente possibile, la Grecia, però, sarebbe certamente costretta ad imporre controlli sui capitali, a nazionalizzare le banche e a creare un proprio “prestatore di ultima istanza”. Tutto ciò si trasformerebbe in un Grexit a breve scadenza. Mercoledì sera il Sig. Tsipras ha incontrato i responsabili della Commissione e dell’Eurogruppo, ovvero Jean-Claude Juncker e Jeroen Dijsselbloem.
L’Unione Europea era fiduciosa che il Sig. Tsipras fosse a caccia di un accordo, e che l’incontro potesse essere il tanto atteso passo in avanti, dopo quattro mesi di “brinkmanship” [politica del rischio calcolato]. Chissà. I creditori stanno per la prima volta cedendo terreno, dopo aver rifiutato d’impegnarsi in qualsiasi trattativa di merito, da quando Syriza ha vinto a valanga nello scorso mese di Gennaio. Hanno tagliato la loro richiesta di importanti “avanzi primari di bilancio”, chiedendo l’1% per quest’anno e l’1.5% per l’anno prossimo. Ma non c’è ancora niente al riguardo di una riduzione del debito. Gabriel Sterne [sopra citato] ha detto che il leader greco potrebbe già aver concluso che ha più da perdere a tradire le sue principali promesse elettorali, che a tener duro precipitando il paese nel Grexit. Ma deve convincere il suo popolo che la rottura è stata una forzatura compiuta dall’UE.
La mia personale opinione è che i leaders di Syriza non sanno ancora che cosa fare. Le loro illusioni sono certamente andate in frantumi. Il “consiglio di guerra” di ben nove ore, che ha avuto luogo tre domeniche fa, è stato un incontro fondamentale: è stato il momento in cui la leadership del Partito [Syriza] ha fatto giuramento di fraternità e ha promesso di combattere. Si potrebbe sostenere che la Grecia è già passata attraverso una svalutazione interna, ovvero la brutale politica dello spezzare la schiena al mondo del lavoro per pagare i tagli [di bilancio] attraverso la disoccupazione di massa. Secondo la BCE, il tasso di cambio effettivo si è ridotto del 24%, dal 2009. Il peggio è passato. Perché mollare proprio ora? Tutto sommato, non si tratta che di emozioni. Non voglio fare tests di moralità su questo dramma ma, dal punto di vista greco, il pacchetto di prestiti che è stato imposto dalla troika nel 2010 è stato progettato solo per salvare l’euro e le banche europee, in un momento in cui l’UEM non aveva difese contro il contagio. Documenti trapelati dal FMI supportano questa loro tesi. I prestiti rifilati ai contribuenti greci, quindi, potrebbero essere interpretati alla stregua di un “odious debt”, secondo il diritto internazionale [ http://it.wikipedia.org/wiki/Debito_odioso]. Le politiche della Troika sono evidentemente fallite.
La Grecia è in bancarotta più di quanto lo fosse all’inizio della crisi, con un debito [pubblico] al 180% del PIL. I creditori dell’Unione Monetaria [EMU] continuano ad insistere su un regime [austerità] che rischia di lasciare il paese in bancarotta, nel 2020, con nulla da mostrare [alla popolazione] se non un decennio di depressione e austerità. Che si accetti o meno questa linea di pensiero, essa è profondamente radicata all’interno di Syriza. Può essere trovata, ad esempio, nelle parole di rabbia del Sig. Tsipras a “Le Monde”, quando ha accusato i creditori di aver creato un “mostro autoritario” per far rispettare le “dottrine del neo-liberismo più estremo”. Egli ha affermato che il loro vero obiettivo [di Syriza] è “fare della Grecia un esempio”, in modo tale che nessun altro paese possa osare di seguirne l’esempio [adesione all’euro], e ha implicitamente avvertito che il suo paese renderà pan per focaccia: “Se alcuni pensano, o vogliono credere, che questa decisione riguardi solo la Grecia, stanno facendo un grave errore”.
Com’è che la situazione andrà a svilupparsi nessuno lo sa. Paddy Power [società di scommesse] ha messo alla pari la probabilità che la Grecia adotti una moneta propria entro la fine del 2017. La cosa sembra abbastanza giusta. Che un ritorno alla dracma possa finire o meno con la rovina della Grecia, dipenderà molto dalle politiche post-Grexit degli stessi poteri dell’Unione Monetaria. Potrebbero scegliere di stabilizzare il tasso di cambio e il sistema bancario greco, o potrebbero far peggiorare le cose. Certo è che, se [i paesi creditori] dovessero cercare di ostacolare deliberatamente la ripresa in Grecia – per ripicca o per avvertire tutti gli altri paesi che l’uscita dell’UEM porta ineluttabilmente verso il disastro – essi distruggerebbero al contempo la credibilità morale di tutta l’Unione Europea e metterebbero in moto il crollo del progetto europeo.
Devono salvare la Grecia, dracma o non dracma.
Ambrose Evans-Pritchard
Fonte: www.telegraph.co.uk/
Link: http://www.telegraph.co.uk/finance/comment/ambroseevans_pritchard/11650240/Europe-has-no-choice-it-has-to-save-Greece.html
3.06-2015
Scelto e tradotto per www.comedonchisciotte.org da FRANCO
Fra parentesi quadra [ … ] le note del Traduttore