Novantacinquenne storico di origine ebraica, tedesco di nascita e americano di adozione, Laqueur è cresciuto in Europa nel suo momento più terribile: la città di Breslau sotto il nazismo. “Il Vecchio continente è oggi un disastro cosmico. Se un eccessivo ottimismo può portare a delusioni pericolose, può farlo anche alzare le mani precipitosamente per la disperazione”.
Novantacinquenne storico di origine ebraica, tedesco di nascita e americano di adozione, Laqueur è cresciuto in Europa nel suo momento più terribile: la città di Breslau sotto il nazismo. I suoi famigliari furono annientati nella Shoah, mentre lui riuscì a fuggire in tempo prima a Gerusalemme e poi in America, dove avrebbe costruito una brillante carriera come direttore del Center for Strategic and International Studies di Washington, affermandosi come uno dei massimi sovietologi della Guerra fredda, come studioso di ebraismo e come uno dei più rinomati esperti mondiali della “politica della violenza”. Di Laqueur l’intuizione, negli anni Settanta, di una “finlandizzazione strisciante” dell’Europa da parte dell’Unione Sovietica. Già direttore della Wiener Library di Londra, Laqueur ha appena pubblicato il suo ultimo libro dal titolo “Putinism”, una analisi dei vent’anni di dominio del presidente russo Vladimir Putin. “L’Europa oggi? La solita esagerazione”, dice Walter Laqueur al Foglio. “Se ieri era un successo incredibile, oggi è un disastro cosmico. Se un eccessivo ottimismo può portare a delusioni pericolose, può farlo anche alzare le mani precipitosamente per la disperazione. L’Europa non scomparirà, ma si rimpicciolirà. L’Europa non sarà ricoperta di cenere, come Pompei o Ercolano, ma è in declino. Assumerà un profilo basso, non conterà più negli affari internazionali. Dopo essere stato al centro della politica mondiale per tanto tempo, il Vecchio continente ora corre il rischio di diventare una pedina. Ma forse un giorno un nuovo tentativo di creare un’Europa unita sarà fatto, e magari avrà successo se terrà conto delle lezioni passate”.
Il progetto europeo sta implodendo sull’immigrazione. L’Europa ha il dovere morale di prendere milioni di rifugiati e migranti dal medio oriente? “In linea di principio, sì. In pratica, no. La buona volontà non è sufficiente. Io sono stato tre volte rifugiato nella mia piuttosto lunga vita. La prima volta quando ho dovuto lasciare il continente. Dopo che i nazisti presero il potere in Germania sono emigrato in medio oriente, in Palestina, che era sotto mandato britannico. Ho vissuto in un villaggio arabo vicino a Gerusalemme. Un giorno il mukhtar, il sindaco arabo, mi disse: ‘Devi andare via da qui, per la tua sicurezza’. Era l’estate del 1946. L’anno dopo, a me, mia moglie e al nostro bambino hanno suggerito di fuggire da Gerusalemme e trovare un luogo più sicuro. Ho quindi una certa empatia per le persone che sono ora alla ricerca di protezione in Europa. Solo che non si può confrontare la situazione attuale con la situazione di settanta anni fa”.
Secondo Laqueur, la felicità e la prosperità dell’Europa sono sempre dipese da una ben precisa serie di circostanze: stabilità interna, relativa sicurezza, indipendenza negli affari esteri, espansione economica. Tutti questi fattori adesso si stanno lentamente e inesorabilmente erodendo. Secondo Laqueur, l’Europa è sempre più fiacca. “L’Europa è troppo debole per giocare un ruolo di civilizzazione o moralità nella politica mondiale. Discorsi, ammonimenti e buone intenzioni hanno poco peso quando fatti da una posizione di debolezza. L’Europa ha in gran parte dilapidato il suo credito morale. Non importa quanto spesso i valori europei siano invocati e vengano lodati. Perché una volontà debole, l’inerzia, la fatica, l’insicurezza e la mancanza di fiducia in se stessi portano alla diagnosi psicologica di un ego debole. La prosperità materiale ha creato una società timida, che evita tutti i conflitti e cerca di ignorare tutti i segnali di pericolo che percepisce come dannosi per il suo edonismo”.
Più che Eurabia, Laqueur intravede Disneyland: “La possibilità che l’Europa diventi un museo o un parco di divertimenti culturale per i nuovi ricchi della globalizzazione non è fuori luogo”.
Giulio Meotti
Fonte: www.ilfoglio.it
11.03.2016