DI LUCA MERCALLI
Aspo Italia
Sul problema dell’esaurimento delle risorse e della crisi energetica incalzante, si dice che spesso c’è un deficit di informazione. Io non credo che sia così. E’ vero che di informazione corretta non se ne fa mai abbastanza, ma da alcuni anni anche in Italia si parla molto di clima, di energia, di necessità di cambiare stili di vita e così via, parole cui tuttavia non fanno seguito adeguate reazioni da parte della politica nazionale e della società civile.
Il problema credo che sia più di tipo psicologico: non recepiamo ciò che non vogliamo sentire e a cui non vogliamo credere.
Come modesta testimonianza riproduco qui sotto il testo di un mio articolo uscito il 6 maggio 2007 su Repubblica, circa 800.000 copie di tiratura, in grado di arrivare a un buon numero di intellettuali, politici, tecnici e imprenditori, persone insomma che fanno parte della classe dei “decisori” di un paese, o comunque di coloro che possono influenzarli.
Come non fosse mai stato scritto. Non un commento, se volete pure negativo, non una volontà di saperne di più, un dibattito. Silenzio totale. Tutto ciò che è scritto calza con quanto stiamo vivendo oggi, potrei ripubblicarlo tal quale.
Con la differenza che abbiamo perso un altro anno…
LA NOSTRA UTOPIA QUOTIDIANA, di Luca Mercalli La Repubblica, domenica 06.05.2007
La visione fideistica della scienza e del progresso ci ha abituati a pensare che ogni problema abbia una soluzione. Ciò è vero quando si tratta di cambiare il frigorifero, lo è meno quando si entra in un ospedale per un malanno, non lo è per nulla quando i problemi da risolvere sono quelli globali della crisi climatica ed energetica. Però, il fatto che questi ultimi non siano immediati, induce a considerarli alla stregua del frigorifero: qualcuno certamente troverà una soluzione, e chi mette sull’avviso che forse non è così scontato, è bollato di catastrofismo.
In realtà da decenni circolano nella comunità scientifica analisi rigorose e credibili che avvertono come i cambiamenti climatici, l’esaurimento del petrolio e di altre risorse naturali, l’aumento della popolazione e delle disparità sociali, siano altrettante bombe innescate pronte a esplodere in rapida sequenza, amplificando i danni. Ma in genere si rimuove tutto rifugiandosi nel classico effetto Cassandra, dimenticando che la sfortunata aveva comunque ragione. E’ questa la sorte toccata pure ad un eccellente esercizio scientifico voluto da un grande manager italiano, Aurelio Peccei, animatore del Club di Roma, che nel 1972 pubblicò il rapporto “I limiti dello sviluppo” in collaborazione con il MIT di Boston. Ancora oggi si vitupera questo studio come non veritiero. Chi parla, in genere non l’ha nemmeno letto.
Oggi è in libreria per gli Oscar Mondadori l’edizione aggiornata “I nuovi limiti dello sviluppo”, quello che considero il manuale di istruzioni del pianeta Terra: ad oltre trent’anni di distanza i conti riveduti e corretti portano sempre al collasso della società se non si cambia rotta in tempo. Jared Diamond ha sviluppato il tema su base storica in “Collasso” (Einaudi), mostrando come è piuttosto comune che nel passato alcune civiltà abbiano ignorato i segni di cambiamento e si siano estinte. Oggi viviamo in un villaggio globale e uno scacco coinvolgerebbe tutti. Sui cambiamenti del clima basta concedere un po’ di attenzione ai rapporti dell’IPCC, che è un’Agenzia delle Nazioni Unite, non un covo di no-global; sulla crisi del petrolio basta guardarsi il film svizzero “A crude awakening” (www.oilcrashmovie.com) o visitare il sito di ASPO, l’associazione per lo studio del picco del petrolio (www.peakoil.net) che ha pure una sezione italiana. E se non basta, quale fonte più autorevole dell’Unione Europea? La sua agenzia ambientale (Eea), con sede a Copenhagen, ha elaborato il progetto Prelude, scenari per l’Europa del 2030 (www.eea.europa.eu/prelude). Per capire che il collasso non è escluso, bastano alcuni titoli: Big Crisis, Great Escape… Insomma, un problema lo si inizia a risolvere considerandolo. Lo si studia, lo si affronta e ci si prepara psicologicamente.
Io e mia moglie lo stiamo facendo da anni, con soddisfazione economica, profonda motivazione e perfino divertimento. Abbiamo il tetto ricoperto di pannelli solari, abbiamo sostituito un anonimo prato all’inglese con un fiorentissimo orto, abbiamo applicato l’isolamento termico al solaio e installato vetri doppi e stufa a legna, conserviamo l’acqua piovana, evitiamo i centri commerciali e riduciamo i nostri acquisti inutili, facciamo una raccolta differenziata spinta, intessiamo con il vicinato rapporti di cooperazione invece che di competizione, conserviamo saperi antichi amalgamandoli con tecnologie moderne. La nostra Utopia è già realtà, non serve essere né eremiti né invasati, basta essere realisti, attenti ad un mondo che cambia rapidamente e che domani sarà molto diverso rispetto a quanto vogliono farci credere gli spot pubblicitari. Se non vogliamo che il medioevo di Utopia prenda brutalmente il sopravvento, dobbiamo prima di tutto fare un esercizio psicologico per uscire dal circolo vizioso tipo “la tecnologia ci salverà”, provare a mettere in dubbio qualche certezza, e riacquistare il contatto con il mondo fisico e i suoi limiti. Non viviamo in un videogioco, ma su un pianeta fatto di aria, acqua, rocce, foreste, batteri, petrolio e carbone, il tutto regolato da leggi fisiche ferree. Vinceranno quelle se non sapremo dare una volta all’uso delle risorse. Il tragico destino di Utopia non si realizzerà solo se noi metteremo in pratica ogni giorno un pezzetto dei suoi addestramenti.
Del resto, tra gli scenari di Prelude, c’è pure “Evolved Society”, un mondo dove non esisterà più il minaccioso e rombante Suv, ma disporremo tutti di una sobria abitazione a energia rinnovabile e di un computer in rete con il quale condividere conoscenza e promuovere la convivialità. Non è un’utopia sognare un mondo migliore.
Fonte: http://www.aspoitalia.blogspot.com/
2.07.08