DI MICHAEL T. KLARE
TomDispatch
I tre punti caldi del conflitto
potenziale nell’era di geo-energetica
Benvenuto in un mondo irritabile dove
un solo incidente in un punto di passaggio dell’energia può infiammare
una regione, provocare scontri insanguinati, far alzare il prezzo del
petrolio e mettere l’economia globale a rischio. Con la richiesta di
energia in aumento e le fonti di approvvigionamento in calo, stiamo
davvero entrando un’epoca nuova – l’Era Geoenergetica – in cui le
dispute sulle risorse vitali domineranno gli affari planetari. Nel 2012
e oltre, energia e conflitti saranno sempre più legati in modo ermetico,
focalizzando l’importanza sui punti chiave della geografia del nostro
mondo affamato di energia.
Prendiamo lo Stretto di Hormuz, che
già è sulle prime pagine titoli, scuotendo i mercati dell’energia
in questo inizio di 2012. Collegando il Golfo Persico e l’Oceano indiano,
non possiede un simbolo geografico come la Roccia di Gibilterra o il
Ponte del Golden Gate. In un mondo interessato ai problemi energetici,
ha comunque il più grande significato strategico di qualsiasi altro
corridoio del pianeta. Ogni giorno, secondo il Dipartimento dell’Energia
degli Stati Uniti, le petroliere che passano da questa arteria vitale
trasportano 17 milioni di barili di petrolio – il 20% della fornitura
quotidiana mondiale.
Il mese scorso, quando un ufficiale
iraniano di primo piano ha minacciato di bloccare lo stretto in risposta
alle dure sanzioni economiche imposte da Washington, il prezzo del petrolio
è immediatamente schizzato. Anche se le forze armate statunitensi hanno
giurato di tenere aperto lo stretto, i dubbi sulla sicurezza delle spedizioni
future di petrolio e le preoccupazioni su una crisi stridente potenzialmente
senza fine che riguarda Washington, Teheran, e Tel Aviv ha fatto predire
a vari esperti di energia un rialzo dei prezzi petrolieri per i mesi
a venire, e ciò provocherà dolori ancora più lancinanti per un’economia
globale in contrazione.
Comunque, lo Stretto di Hormuz è solamente
uno dei punti caldi dove è probabile che energia, politica e la geografia
si mescoleranno pericolosamente nel 2012. Teniamo gli occhi aperti sul
Mare Cinese Meridionale e Orientale, sul bacino del Mar Caspio e l’Artico
ricco di energia che sta perdendo la sua coltre di ghiaccio. In tutti
questi luoghi, i paesi si stanno sfidando per il controllo sulla produzione
e il trasporto di energia, disputando sui confini nazionali e/o diritti di passaggio.
Negli anni a venire, l’ubicazione dei
rifornimenti di energia e delle rotte di approvvigionamento –condutture,
porti petroliferi e le rotte delle navi – saranno le pietre miliari
della mappa strategica globale. Le aree produttrici fondamentali, come
il Golfo Persico, rimarranno criticamente importanti, e lo stesso vale
per le strozzature come lo Stretto di Hormuz e lo Stretto di Malacca
(tra Oceano indiano e Mar Cinese Meridionale) e le “linee marittime
di comunicazione”, o SLOC (come gli strateghi navali usano chiamarle)
che connettono le zone di produzione con i mercati esteri. In modo sempre
più sostenuto, le potenze guidate dagli Stati Uniti, dalla Russia e
dalla Cina ristruttureranno le loro forze armate per combattere in questi
luoghi.
Ciò si può già notare
nell’elaborato documento della Guida per la Difesa Strategica, “Sostenere
la leadership globale degli USA”, reso pubblico dal Pentagono
il 5 gennaio dal Presidente Obama e dal Segretario della Difesa Leon
Panetta. Mentre prevede un Esercito e una Marina più ridotte, è indirizzato
verso una maggiore enfasi sulle capacità aeree e navali, specialmente
quelle relative alla protezione o al controllo internazionale dell’energia
e delle reti commerciali. Pur avendo riaffermato tiepidamente gli storici
legami degli Stati uniti con l’Europa e il Medio Oriente, è stato
posto l’accento sull’incremento della forza degli USA “nell’arco
che si estende dal Pacifico Occidentale e l’Asia Orientale fino all’Oceano
indiano e all’Asia Meridionale.”
Nell’Era geoenergetica, il controllo
dell’energia e del suo trasporto sarà alla base delle ricorrenti
crisi globali. Questo anno, fate particolare attenzione ai tre punti
caldi dell’energia: lo Stretto di Hormuz, il Mar Cinese Meridionale
e il bacino del Mar Caspio.
Lo stretto di Hormuz
Un passaggio che separa l’Iran dall’Oman
e dagli Emirati Arabi Uniti (EAU), lo stretto è il solo collegamento
marittimo tra il Golfo Persico ricco di petrolio e il resto del mondo.
Una percentuale impressionante del petrolio prodotta da Iran, Iraq,
Kuwait, Qatar, Arabia Saudita e EAU viene trasportato giornalmente dalle
petroliere attraverso questo corridoio, rendendolo (nelle parole del
Dipartimento dell’Energia) “la più
importante strozzatura petrolifera mondiale“. Alcuni analisti
ritengono che un qualsiasi blocco prolungato dello stretto potrebbe
provocare un aumento del 50% del prezzo di petrolio e provocare una
recessione globale su grande scala.
I dirigenti americani considerano da
tempo lo Stretto come un conglomerato strategico nei loro piani globali
che deve essere difeso a ogni costo. Era una prospettiva già espressa
dal Presidente Jimmy Carter nel gennaio del 1980, sulla scia dell’invasione
sovietica e dell’occupazione dell’Afghanistan che aveva, come disse
al Congresso, “portato le forze militari sovietiche entro le
300 miglia dall’Oceano indiano e nei pressi dello Stretto di Hormuz,
una via d’acqua attraverso cui deve fluire la maggior parte del petrolio
del mondo“. La risposta americana, reiterò, doveva essere
inequivocabile: qualsiasi tentativo da parte di un potere ostile di
bloccare l’idrovia sarebbe stato considerato come “un attacco
agli interessi vitali degli Stati Uniti d’America“, “che
va respinto con ogni mezzo necessario, anche con la forza militare“.
Molto è cambiato nella regione
del Golfo da quando Carter pubblicò la sua dichiarazione, nota da allora
come Dottrina Carter, quando istituì l’U.S. Central Command
(CENTCOM) per proteggere lo Stretto, ma ancora Washington non era determinata
ad assicurarsi il flusso indisturbato di petrolio. In effetti, il Presidente
Obama ha chiarito che, se le forze di terra di CENTCOM dovessero lasciare
l’Afghanistan come hanno fatto in Iraq, non ci sarebbe una riduzione
della presenza aerea e navale del comando nella area allargata del Golfo.
È concepibile che gli iraniani mettano
alla prova le capacità di Washington. Il 27 dicembre il primo vicepresidente
iraniano Mohammad Reza Rahimi ha detto che, “se [gli americani]
imporranno sanzioni sulle esportazioni di petrolio dell’Iran, allora
neppure una goccia di petrolio potrà
uscire dallo Stretto di Hormuz“. Dichiarazioni simili sono
state da allora pronunciate dagli anche da altri alti funzionari (pur
se contraddette da altri). Gli iraniani hanno condotto di recente complesse
esercitazioni navali nel Mar Arabico nelle vicinanze della bocca orientale
dello stretto, e ancora altre manovre verranno dispiegate. Allo stesso
tempo, il generale al comando dell’esercito iraniano ha asserito che
l’USS John C. Stennis, una portaerei americana che ha da poco
lasciato il Golfo, non tornerà. “La Repubblica islamica dell’Iran“,
ha aggiunto malauguratamente, “non ripeterà
i propri avvertimenti“.
È probabile che gli iraniani blocchino
davvero lo stretto? Molti analisti credono che le affermazioni di Rahimi
e dei suoi colleghi sono un bluff per far innervosire i leader
occidentali, per far aumentare il prezzo del petrolio e per ottenere
maggiori concessioni in futuro se dovessero ricominciare le negoziazioni
sul programma nucleare del proprio paese. Comunque, le condizioni economiche
in Iran stanno diventando più pesanti ed è comunque possibile che
i dirigenti radicali messi alle strette possano sentire l’urgenza
di intraprendere qualche iniziativa drammatica, anche se dovessero invitare
una risposta statunitense. In ogni caso, lo Stretto di Hormuz rimarrà
una polveriera internazionale nel 2012, con prezzi globali del petrolio
che seguiranno da vicino l’aumento e il calo delle tensioni.
Il Mar Cinese Meridionale
Il Mar Cinese Meridionale è una
porzione semi-racchiusa del Pacifico occidentale limitata dalla Cina
a nord, dal Vietnam a ovest, dalle Filippine a est e dall’isola del
Borneo (suddivisa tra Brunei, Indonesia e Malaysia) a sud. Il mare incorpora
anche due arcipelaghi fittamente inabitati, le isole Paracel e le Spratly.
Da tempo un’importante bacino di pesca, è stato anche un’arteria
importante per le spedizioni commerciali tra l’Asia Orientale e l’Europa,
il Medio Oriente e l’Africa. Più di recente, ha acquisito rilevanza
come fonte potenziale di petrolio e gas naturale, le cui grandi riserve
si ritiene che siano nelle aree sottomarine che circondano le Paracel
e le Spratly.
Con la scoperta del petrolio e dei
depositi di gas, il Mar Cinese Meridionale si è trasformato in
una cabina di pilotaggio degli attriti internazionali. Alcune isole
di quest’area ricca di energia sono rivendicate da tutti i paesi circostanti,
incluso la Cina, che le pretende tutte per sé, palesando la volontà
di usare la forza militare per confermare il dominio sulla regione.
Non sorprende quindi la presenza di conflitti con le altre nazioni,
anche con alcune che hanno legami militari ben stretti con gli Stati
Uniti. Per questo, da quando si è trasformata in una questione regionale
che riguarda la Cina e vari membri dell’Associazione delle Nazioni del
Sud-est Asiatico (ASEAN) est, ha posto le basi di un possibile alterco
tra le due principali potenze mondiali.
Per spingere le proprie richieste,
Brunei, Malaysia, Vietnam e le Filippine hanno cercato di lavorare collettivamente
attraverso l’ASEAN, ritenendo che un approccio multilaterale avrebbe
offerto maggiori possibilità di negoziazioni con la Cina. Da parte
loro, i cinesi hanno insistito, che tutte le dispute devono essere risolte
bilateralmente, una situazione in cui possono imporre più facilmente
il proprio potere economico e militare. Prima preoccupati dall’Iraq
e dall’Afghanistan, gli Stati Uniti ora sono entrati nella disputa,
fornendo un sostegno assoluto ai paesi dell’ASEAN nei loro sforzi
per negoziare in massa con Pechino.
Il Ministro cinese degli Esteri Yang
ha prontamente suggerito agli Stati Uniti di non interferire. Qualsiasi
iniziativa del genere “renderà
solo le cose peggiori e la risoluzione più
complicata“, ha dichiarato. L’esito è stato quello di una
guerra dialettica istantanea tra Pechino e Washington. Durante una visita
alla capitale cinese nel luglio del 2011, il direttore Joint Chiefs
of Staff, l’Ammiraglio Mike Mullen, ha pronunciato una minaccia appena
nascosta che suggeriva una possibile azione militare nel futuro. “La
preoccupazione, fra le altre che ho“, come ha commentato, “è
che gli incidenti in corso possano provocare un errore di calcolo e
un attacco che nessuno ha previsto“. Per aiutare la comprensione,
gli Stati Uniti hanno condotto una serie di nutrite esercitazioni militari
nel Mar Cinese Meridionale, con alcune manovre di collegamento con le
navi proveniente da Vietnam e Filippine. La Cina ha risposto con proprie
iniziative navali. È una formula perfetta per futuri “incidenti”
in mare.
Il Mar Cinese Meridionale è da
tempo sugli schermi radar di coloro che seguono gli affari asiatici,
ma ha attirato l’attenzione globale solo quando, a novembre, il presidente
Obama ha visitato l’Australia e ha annunciato, con una straordinaria
ottusità, una nuova strategia degli Stati Uniti che punta a scontrarsi
col potere cinese in Asia e nel Pacifico. “Riguardo i programmi
e i finanziamenti per il futuro“, ha riferito ai membri del
Parlamento australiano a Canberra, “stanzieremo le risorse necessarie
per mantenere una forte presenza militare in questa regione“.
Un aspetto chiave di questo sforzo sarebbe il garantire la “sicurezza
marittima” nel Mar Cinese Meridionale.
Mentre era in Australia, il Presidente
Obama annunciò la realizzazione di una nuova base statunitense
a Darwin sulla costa settentrionale di questa nazione, così come passi
in avanti per le relazioni militari con Indonesia e Filippine. A gennaio
il presidente pose nuovamente una particolare enfasi sulla proiezione
del potere degli Stati Uniti nella regione in un discorso tenuto al
Pentagono sui cambiamenti dell’approccio militare in ambito globale.
Pechino farà sicuramente i propri
passi, in modo non meno belligerante, per proteggere i propri interessi
crescenti nel Mar Cinese Meridionale. Dove ci porterà tutto questo,
resta chiaramente ignoto. Dopo lo Stretto di Hormuz, comunque, il Mar
Cinese Meridionale può essere il corridoio energetico globale dove
piccoli errori o provocazioni possono provocare i confronti più accesi
nel 2012 e nel futuro.
Il bacino del Mar Caspio
Il Mar Caspio è un bacino acquatico
dell’entroterra limitato da Russia, Iran, e dalle tre ex repubbliche
dell’URSS: Azerbaigian, Kazakistan e Turkmenistan. Nell’area più immediata
sono presenti le ex terre sovietiche di Armenia, Georgia, Kirghizistan
e Tagikistan. Tutti questi stati che nel passato facevano parte dell’Unione
Sovietica stanno, a vario grado, tentando di asserire la loro autonomia
da Mosca e di stabilire relazioni indipendenti con gli Stati Uniti,
l’Unione Europea, l’Iran, la Turchia e, sempre più, con la Cina.
Sono tutti devastati da scismi interni e/o coinvolti in dispute di confine
coi paesi confinanti. La regione sarebbe una potenziale polveriera anche
se il bacino caspico non ospitasse tra le più grandi riserve mondiali
ancora non sviluppate di petrolio e gas naturale, che potrebbero portarlo
più facilmente a un punto di ebollizione.
Non è la prima volta che il Caspio
viene considerato una fonte importante di petrolio, e un territorio
di conflitti potenziali. Alla fine del XIX secolo, la regione vicina
alla città di Baku – allora parte dell’impero russo, ora in
Azerbaigian – era una fonte prolifica di petrolio e per questo una notevole
preda strategica. Il dittatore sovietico Joseph Stalin si guadagnò
la notorietà come dirigente di lavoratori militanti nel settore petrolifero,
e Hitler cercò di catturarlo durante la sua fallita invasione del 1941
in URSS. Comunque, dopo la Seconda Guerra Mondiale, la regione perse
la sua importanza come produttrice di petrolio quando si esaurirono
i giacimenti sulla terraferma di Baku. Sono fatte nuove scoperte nelle
zone lungo la costa del Mar Caspio e nelle aree dapprima non sviluppate
di Kazakistan e Turkmenistan.
Secondo il gigante energetico BP, l’area
del Caspio contiene circa 48 miliardi barili di petrolio (soprattutto
in Azerbaigian e in Kazakistan) e 449 miliardi di piedi cubici di gas
naturale (col più grande giacimento in Turkmenistan). Questi dati mettono
la regione al di sopra del Nord e del Sud America per la quantità totale
di gas naturale e in prima fila in Asia per le riserve di petrolio.
Ma produrre tutta questa energia e distribuirla ai mercati stranieri
sarà un compito monumentale. L’infrastruttura energetica della regione
è purtroppo inadeguata e il Caspio non ha uno sbocco marittimo verso
altri mari, e quindi tutto il petrolio e il gas devono viaggiare per
le tubazioni e le ferrovie.
La Russia, a lungo il potere dominante
nella regione, sta perseguendo il controllo sulle rotte di trasporto
con cui il petrolio e il gas del Caspio raggiungono i mercati. Sta migliorando
le condutture dell’era sovietica che collegano l’ex repubbliche
sovietiche alla Russia o ne sta costruendo di nuove per realizzare un
quasi monopolio sul commercio di tutta questa energia, muovendo la diplomazia
tradizionale, le tattiche di pressione e la corruzione verso i dirigenti
regionali (molti dei quali hanno in passato servito la burocrazia sovietica)
per indirizzare la loro energia attraverso la Russia. Come ho già descritto nel mio libro “Rising Powers, Shrinking Planet”, Washington ha cercato di contrastare questi sforzi patrocinando la costruzione di gasdotti alternativi per evitare il territorio russo, attraversando Azerbaigian, Georgia e Turchia fino al Mediterraneo (principalmente il BTC, il gasdotto Baku-Tbilisi-Ceyhan), mentre Pechino sta costruendo le proprie condutture che collegano l’area del Caspio alla Cina occidentale.
Tutti questi impianti attraversano
zone di rivolte etniche e passano nei pressi di varie regioni di conflitto,
come la ribelle Cecenia e l’Ossezia del Sud scissionista. Di conseguenza,
Cina e Stati Uniti hanno legato le operazioni sui gasdotti all’assistenza
militare fornita ai paesi che si trovano lungo le rotte. Temendo una
presenza americana, militare e non solo, negli ex territori dell’Unione
Sovietica, la Russia ha risposto con proprie iniziative militari, tra
cui il breve conflitto con la Georgia nell’agosto del 2008 che ha
avuto luogo lungo la rotta del BTC.
Date le dimensioni delle riserve di
petrolio e di gas del Caspio, molte compagnie energetiche stanno progettando
nuove operazioni produttive nella regione, insieme ai gasdotti necessari
per trasportare il petrolio e il gas sui mercati. L’Unione Europea,
ad esempio, spera di costruire una nuova tubazione per il gas naturale
chiamata Nabucco dall’Azerbaigian attraverso la Turchia fino all’Austria.
La Russia ha proposto un gasdotto concorrente, il South Stream.
Tutte queste iniziative riguardano gli interessi geopolitici delle maggiori
potenze, garantendo che la regione caspica rimanga una fonte potenziale
di crisi e di conflitto internazionali.
Nell’Era geoenergetica, lo Stretto
di Hormuz, il Mare Cinese Meridionale e il bacino del Mar Caspio non
sono polveriere isolate in ambito globale. Il Mar Cinese Orientale,
dove Cina e Giappone si stanno contendendo un giacimento sottomarino
di gas naturale, è un altro, come lo sono le acque che circondano le
isole Falkland, dove Gran Bretagna e Argentina rivendicano i propri
diritti sulle riserve sottomarine di petrolio, come lo sarà l’Artico
globalmente riscaldato le cui risorse sono rivendicate da molti paesi.
Una cosa è certa: nel 2012, dove c’è una scintilla in grado di esplodere,
c’è anche petrolio in acqua e un pericolo a portata di mano.
Fonte: Energy Wars 2012
10.01.2012
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE