DI PETER MAAS
mondialisation.ca
Iraq: una guerra per il petrolio
Poco dopo che i Marines erano entrati a Bagdad abbattendo una statua di Saddam Hussein, ho visitato il ministero del petrolio. Le truppe americane avevano circondato l’edificio dalle pareti color sabbia, proteggendolo come un gioiello d’importanza strategica. Intanto, non lontano di là, i saccheggiatori alleggerivano il Museo Nazionale dei suoi veri gioielli. Baghdad era allora teatro di saccheggi diffusi. Davanti al cordone delle truppe americane si erano radunati qualche dozzina d’iracheni che lavoravano per il Ministero del petrolio e uno di questi, osservando la protezione di cui godeva il posto in cui lavorava, e la mancanza di protezione degli altri edifici, mi ha rivolto quest’osservazione: “E’ tutta una questione di petrolio.” Quest’uomo ha centrato il punto fondamentale per comprendere quanto paghiamo effettivamente un litro di benzina. La marea nera della BP nel Golfo del Messico ha ricordato agli americani che il prezzo della benzina al distributore è solo un acconto; un calcolo onesto dovrebbe includere l’inquinamento di acque, terra e aria. E il calcolo è ancora incompleto se non prendiamo in considerazione altri fattori, e in primo luogo quello che è forse il più importante fra i costi esterni: il fattore militare. In quale misura il petrolio è legato alle guerre e al mezzo trilione (un trilione rappresenta mille miliardi) annuo di spese militari? In questo periodo di enorme deficit, probabilmente non è inutile chiedersi cosa paghiamo e quanto.
Il dibattito si limita spesso a una disputa da bambini: “Hai detto una bugia/no,l’hai detta tu”. Donald Rumsfeld, ex Segretario della difesa (ministro della Difesa) insisteva che: l’invasione dell’Iraq non aveva ” nulla a che fare con il petrolio”. Ma anche Alan Greenspan, ex Presidente della Federal Reserve, ha respinto l’affermazione: “È imbarazzante politicamente ammettere ciò che sanno tutti”, scrive Greenspan nel suo libro di memorie . “La guerra dell’Iraq è essenzialmente una guerra per il petrolio.” Anche se fosse “solo in parte” vero che abbiamo invaso l’Iraq per il petrolio e che i nostri militari e la nostra Marina sono là oggi per questo scopo, quanto ci costa? Questo è uno dei principali problemi, i costi nascosti, il che spiega in parte la nostra dipendenza dal greggio: non ne conosciamo il prezzo reale.
Eppure, se vogliamo, possiamo conoscerlo. Un approccio innovativo proviene da Roger Stern, geografo dell’economia all’Università di Princeton. In aprile 2010, ha pubblicato uno studio approfondito dei costi di manutenzione delle portaerei degli Stati Uniti nel Golfo Persico dal 1976 al 2007. Poiché le portaerei pattugliano il Golfo Persico per proteggere il traffico petroliero, Stern attribuisce al petrolio il costo della loro presenza. Si tratta di un ottimo metodo di stima. Attraverso una dettagliata analisi dei dati del Dipartimento della Difesa – cosa non facile perché il Pentagono non disaggrega le spese per missione o regione – arriva a un totale, in oltre tre decenni, di 7,3 trilioni di dollari. Trilioni!
E si tratta ancora di una stima parziale delle spese sostenute perlopiù in tempo di pace. È molto più complicato stabilire in che misura le guerre in America sono collegate al petrolio e stimarne così il costo indirettamente. E se Donald Rumsfeld, oggi in pensione, finisse con l’ammettere, in un momento di “abbandono”, che l’invasione dell’Iraq ha avuto qualche cosa a che fare con il greggio? Uno studio pubblicato nel 2008 dal premio Nobel Joseph Stiglitz e da Linda Bilmes, (Università di Harvard) esperta di finanza pubblica, stima il costo di questa guerra – sommando quanto è già stato speso e quanto sarà probabilmente speso nei prossimi anni – in un minimo di 3 miliardi di dollari (e probabilmente molto di più). Ancora una volta trilioni.
Naturalmente dovremo aspettare a lungo prima di trovare una presentazione di PowerPoint al Pentagono o alla Casa Bianca (indipendentemente dal partito al potere), sui costi legati alla difesa del greggio. Così come sono un tabù i tagli alla previdenza sociale, le spese militari per il petrolio non vengono mai menzionate nei corridoi del potere. E’ un terreno scivoloso per i politici come per generali; facendo riferimento alla questione troppo apertamente, si rischia di ridurre a mal partito il concetto chiave della politica estera degli Stati Uniti: “La nostra unica ambizione è di costruire un mondo migliore”. È molto più facile fare della retorica che parlare di cifre concrete.
Si deve tornare indietro di quasi 20 anni per trovare qualcosa sul tema nel GAO (Government Accountability Office), la sezione investigativa del Congresso che, nel 1991, ha stimato che tra il 1980 e il 1990 gli Stati Uniti hanno speso un totale di 366 miliardi di dollari per difendere le forniture di petrolio in Medio Oriente. La relazione del GAO era un’istantanea di una regione in un determinato periodo, quando l’America non era coinvolta in una guerra maggiore. Sarebbe stato un buon inizio, se a questo studio ne fossero seguiti altri più approfonditi, ma non è accaduto.
E’ quindi necessario basarsi su studi di esperti non governativi come Stiglitz e Stern per trovare i parametri che misurano le connessioni tra petrolio e guerra, corruzione e povertà. Tra questi esperti, Paul Collier dell’Università di Oxford, autore di The Bottom Billion, Michael Ross dell’UCLA, Michael Watts dell’Università di Berkley, Ian Gary a Oxfam e Sarah Wykes, in precedenza componente dell’ O.N.G. Global Witness, (che tenta di far luce sui legami tra lo sfruttamento delle risorse naturali e le conseguenze negative che ne derivano). Le loro aree di competenza – economia, geografia, scienze politiche, corruzione – e i dati su cui lavorano sono simili agli scenari e alle idee non convenzionali degli esperti invitati dal generale David Petraeus (comandante delle operazioni militari in Afghanistan N.d.T.) per ripensare i dati e la pratica antinsurrezione.
Il petrolio deve ancora trovare il suo Petraeus; perché il problema oggi rimane difficile da quantificare. La proiezione degli effetti del riscaldamento globale, la vista dei pellicani coperti di petrolio e persino i morti in Iraq non hanno modificato in modo concreto la nostra dipendenza da nessun tipo di prodotti petroliferi. Gli Stati Uniti consumano più benzina oggi che il giorno dell’invasione dell’Iraq e dell’incidente sulla piattaforma della BP nel Golfo del Messico. Se, per ogni volta che un politico ha affermato -come ha fatto il Presidente Obama nel discorso tenuto nello Studio Ovale in giugno- che “ora dobbiamo rivolgerci all’energia pulita”, io avessi un dollaro, potrei costruire un parco eolico. Un atteggiamento più onesto ci costringerebbe, molto più che queste banalità ripetute fino all’usura, a confrontarci con il problema dei costi nascosti, quelli che non vediamo al distributore. E dopotutto, il sistema migliore per attirare l’attenzione dei consumatori passa attraverso il loro portafoglio.
Articolo originale in inglese: The U.S. Military Spends Trillions for Oil, 5 agosto 2010.
Peter Maass (collaboratore del New York Times, è autore di:Crude World: The Violent Twilight of Oil)
Fonte: www.mondialisation.ca
Link: http://www.mondialisation.ca/index.php?context=va&aid=20716
20.08.2010
Traduzione per www.comedonchisciotte,org a cura di RAFFAELLA SELMI