LE CONSEGUENZE NEL MONDO DEL DECLINO DEGLI U.S.A.

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DI IMMANUEL WALLERSTEIN
Energy Bulletin

Un decennio fa, quando io e altri parlavamo del declino degli Stati Uniti nel panorama mondiale, il massimo che potevamo fare era rivolgerci sorrisi per condivedere la nostra ingenuità. Gli Stati Uniti non erano l’unica superpotenza, presente in ogni remoto angolo
del pianeta, e che fanno quasi sempre come gli pare? Era un punto di vista condiviso da tutto gli schieramenti politici.

Oggi l’idea che gli Stati Uniti siano in declino, in serio declino, è una banalità. Tutti lo dicono, a parte alcune politici statunitensi che hanno paura di venire messi all’indice
se dovessero citare brutte notizie. Il fatto è che quasi tutti oggi credono nell’evidenza del declino.

Quello che è stato meno analizzato è quali sono state e quali saranno le conseguenze globali di questo declino. Che ha naturalmente radici economiche. Ma la perdita del quasi-monopolio del potere geopolitico, una volta esercitato dagli Stati Uniti, ha ovunque grandi conseguenze politiche.

Partiamo con un aneddoto riportato sulla sezione Business del New York Times il 7 agosto. Un gestore di fondi ad Atlanta “ha premuto il pulsante di allarme” per via di due clienti benestanti che lo hanno incaricato di vendere tutte le loro azioni e di investire quei soldi in qualcosa di isolato dai fondi. Il gestore ha riferito che, in ventidue anni di carriera, non aveva mai ricevuto una richiesta simile. “Era una cosa senza precedenti.” Il giornale lo ha definito l’equivalente per Wall Street di un’”opzione nucleare”. Andava contro il consiglio tradizionale e indiscutibile di rimanere sulle proprie posizioni quando i mercati oscillano.

Standard & Poor’s ha ridotto il rating creditizio degli Stati Uniti da AAA a AA+, anche questo “senza precedenti”. Ma si è trattato di un’azione abbastanza docile.
L’agenzia equivalente cinese, Dagong, aveva già ridotto il valore del credito U.S. lo scorso novembre portandolo ad A+, e ora lo ha ridotto a A-. L’economista peruviano Oscar Ugarteche ha dichiarato che gli
Stati Uniti sono una “repubblica delle banane”. Ha detto che “hanno scelto la politica dello struzzo, sperando così di non scacciare via le speranze [di un recupero].” E la scorsa settimana a Lima i ministri delle Finanze delle nazioni del Sud America stavano discutendo urgentemente come meglio isolarsi dagli effetti del declino economico statunitense.

Il problema per tutti è che è davvero difficile isolarsi dagli effetti di questo declino. Malgrado la gravità della sua parabola economica e politica, gli Stati Uniti rimangono un gigante della scena mondiale, e ogni cosa che li riguarda provoca sempre grandi sconvolgimenti in tutto il mondo.

Di sicuro il più grande impatto di questo processo è e avverrà negli Stati Uniti stessi. I politici e i giornalisti stanno parlando apertamente delle “anomalie” della situazione politica degli U.S., ma come si potrebbe definire, oltre a essere anomala? Il fatto più elementare è che i cittadini statunitensi sono sconvolti dal solo parlare di un declino. La cosa non si ferma al fatto che queste persone stiano soffrendo materialmente della crisi e che abbiano una gran paura di una sofferenza ancora più acuta nel futuro. È che credono profondamente che gli Stati Uniti siano la “nazione
eletta” designata da Dio o dalla storia per essere la nazione modello nel mondo. Sono stati di nuovo rassicurati dal Presidente Obama che gli Stati Uniti sono un paese da “tripla A”.

Il problema per Obama e per tutti i politici è che sono davvero in pochi a crederlo. Lo shock all’orgoglio nazionale e alla propria autostima è formidabile, oltre che improvviso. Il paese riesce a far fronte molto male a questo colpo. La popolazione sta cercando capri espiatori e si scagliano selvaggiamente, e in modo non troppo brillante, sui partiti ritenuti colpevoli. L’ultima speranza sembra quella di attribuire la colpa a qualcuno, e che di conseguenza il rimedio consiste nel cambiare le persone al potere.

In generale le autorità federali sono considerate le uniche da incolpare, il presidente, il Congresso, i due maggiori partiti. La tendenza è quella di un aumento delle armi detenute a livello individuale e di tagli alle iniziative militari fuori dagli Stati Uniti. Dare tutta la responsabilità ai politici di Washington porta all’instabilità politica e alle lotte intestine locali, che
sono ancora più violente. Gli Stati Uniti oggi sono, direi, una delle entità più instabili del panorama politico mondiale.

Questo li rende non solo un paese le cui lotte politiche sono anomale, ma che è anche incapace di avere un’influenza reale sulla scena mondiale. E quindi c’è un forte calo della fiducia riscossa dagli Stati Uniti, e nel suo presidente, sia nei tradizionali alleati statunitensi all’estero, che nella base politica del presidente all’interno. I giornali sono pieni di analisi
sugli errori politici di Barack Obama. Chi lo può mettere in dubbio? Posso fare con facilità una lista di decine di decisioni prese da Obama che, a mio parere, erano errate, vigliacche e qualche volta assolutamente immorali. Ma mi chiedo, nel caso in cui avesse preso le migliori decisioni possibili, se la sua base lo ritenesse nel giusto e se ci fossero state grosse differenze nei risultati ottenuti. Il declino degli Stati Uniti non è il risultato di cattive decisioni prese dal suo presidente, ma una realtà strutturale del sistema mondiale. Obama può ancora essere la persona più potente sul pianeta, ma nessun presidente degli Stati Uniti è o potrebbe essere oggi potente quanto lo erano i presidenti del passato.

Ci siamo spostati in un’epoca di fluttuazioni pesanti, costanti e rapide, nei tassi di cambio delle monete, nei livelli di occupazione, nelle alleanze geopolitiche, nelle definizioni ideologiche della situazione. Le dimensioni e la rapidità di queste fluttuazioni comportano l’impossibilità di previsioni a breve termine. E senza una qualche forma di stabilità nelle previsione a breve (tre anni, più o meno), l’economia mondiale è paralizzata. Tutti dovremo essere più protezionisti e guardarci più dentro casa. E i livelli di vita scenderanno. Non è un quadro felice. E anche se ci saranno
molti, molti aspetti positivi per tante nazioni a causa del declino statunitense, non è certo che, nello scatenarsi della tempesta, questi paesi riusciranno effettivamente a ricavare benefici da questa
nuova situazione.

È giunto il momento di più sobrie analisi a lungo termine, di giudizi moralmente più chiari su quello che le analisi rivelano, e di un’azione politica molto più efficace per poter, nei prossimi 20 e 30 anni, creare un sistema mondiale migliore di quello in cui siamo imprigionati in questo momento.

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Fonte: The

world consequences of U.S. decline

18 agosto 2011

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ARRIVANNO ANNI DI INCERTEZZA E DI CAOS MONDIALE

DI SALLY BURCH
Alainet

Lo studioso di scienze sociali, Immanuel Wallerstein, è uno dei più rinomati esponenti del pensiero critico contemporaneo, e durante la sua recente visita all’Ecuador
ho parlato con lui sull’attuale crisi del debito che attanaglia gli Stati Uniti e le sue conseguenze per i paesi emergenti e l’America Latina.

Il ricercatore dell’Università di Yale ritiene che il dollaro sia entrato in un processo grave e irreversibile di perdita di valore come moneta di riserva mondiale, sottolineando
che si tratta “dell’ultimo potere serio ancora in mano agli Stati Uniti”.

Wallerstein pensa che semplicemente le varie misure di emergenza implementate nel suo paese stanno solo ritardando la bancarotta mondiale: “I danni sono fatti concreti,
la situazione degli Stati Uniti è grave e non è recuperabile.”

Egli stima che il distacco dal dollaro avverrà tra due o tre anni, con risultati caotici per il sistema mondiale perché “non ci sarà una moneta di riserva internazionale” e nemmeno esistono le condizione perché un’altra moneta possa occupare questo ruolo. Così, con la fine del dollaro come valuta di riserva mondiale, ci saranno cinque, sei o sette monete importanti, una situazione caotica perché ci saranno enormi fluttuazioni che porteranno il caos”.

“Né i governi né le multinazionali, né le mega-banche, né gli individui sapranno cosa fare. Un’enorme incertezza paralizzerà il mondo, specialmente gli investitori”, suggerisce l’accademico statunitense.

Mentre questo avviene a un livello macro dell’economia statunitense, parallelamente anche su dimensioni più locali si stanno verificando gravi problemi economici: “Piccole comunità urbane stanno andando in bancarotta e, ad esempio, non possono pagare le pensioni.”

Lo studioso ritiene che nel suo paese la classe media sia la più colpita perché, da un giorno all’altro, le famiglie perdono posizioni e i lavoratori che hanno perso il posto
di lavoro non riescono a trovarne un altro, specialmente le persone tra 40 e 60 anni, arrivando perfino a perdere le proprie case. È una situazione che al momento non ha soluzione e non si vede alcuna
possibilità per trovare una via di fuga.

Inoltre, Wallerstein segnala che “la situazione negli Stati Uniti andrà a peggiorare perché verrà eliminata la possibilità che il governo possa sostenere le spese necessarie
in questo contesto, creando così una situazione peggiore dell’attuale. Le fantasie del Tea Party stanno guidando gli Stati Uniti e di conseguenza tutto il mondo nella direzione di un crollo
”.

Tenendo di conto queste considerazioni, la previsione del teorico statunitense per i prossimi anni è abbastanza pessimistica: “Vedo lo scoppiare di guerre civili in molti paesi del Nord, soprattutto negli Stati Uniti dove la situazione è molto peggiore che in Europa occidentale, benché anche qui ci siano le possibilità per un conflitto perché esiste un limite fino a che la gente comune accetta la degradazione delle proprie possibilità.”

La Cina e i paesi emergenti

Di fronte alla crisi degli Stati Uniti e dell’Europa, al momento i paesi emergenti sembrano reggere bene; comunque, dal punto di vista di Wallerstein, nascondono una falsa realtà perché tutti viviamo tutti nello stesso contesto.

Tenendo in conto che la Cina è il principale detentore di obbligazioni statunitensi, questo paese affronta una situazione molto delicata. Wallerstein considera che se da un lato “smette di acquistare i titoli degli Stati Uniti perde l’opportunità di collocare i prodotti cinesi in quel mercato, un problema davvero serio per la Cina. Allo stesso tempo, quando il dollaro perde la sua posizione relativamente alle altre monete, le sue obbligazioni varranno meno.”

Per questo la Cina sta rischiando di perdere moltissimo, sia che si ritiri sia che continui ad acquistare i titoli statunitensi. Di fronte a questo scenario, egli considera che
la cosa più probabile vedrà la Cina ritirarsi a poco a poco: “Giustamente il problema è nel determinare il momento perfetto per terminare gli investimenti, una cosa impossibile da individuare, perché se lo sapessimo saremmo tutti ricchi.”

Oltre a questo problema serio che la Cina deve affrontare, Wallerstein spiega che il paese asiatico attraversa una situazione molto fragile dal punto di vista dell’economia interna, “perché le banche cinesi sono nella stessa situazione in cui versavano
le banche statunitensi due o tre anni fa.” Allo stesso modo, l’inflazione limita le possibilità della Cina e di altri paesi emergenti, come ad esempio il Brasile.

In questo contesto, egli ritiene che i paesi emergenti, e nel caso di Sud America l’UNASUR, dovranno trovare i meccanismi per un “protezionismo a breve termine al fine di minimizzare i danni che tutto il mondo dovrà subire. Non ci sarà un paese che ne rimarrà indenne, ma saranno maggiori per alcuni e minori per altri.

Dopo una domanda sulla formazione di una nuova architettura finanziaria regionale, con iniziative come la Banca del Sud o di una moneta regionale come il Sucre, l’accademico ha considerato positive queste possibilità per i paesi dell’America del Sud: “L’eventuale creazione di una moneta comune sarà un elemento di forza economica in questa situazione.” In questo senso ha portato come esempio che, nonostante le difficoltà dell’Europa con l’euro, la decisione di salvaguardare la moneta comune “le attribuisce una posizione politica importante.”

Infine, in un messaggio rivolto all’America Latina, ha invitato a continuare a riflettere sulla necessità di garantire cibo, acqua, energia a sufficienza per tutte le nazioni,
i problemi basici ed essenziali che devono affrontare tutti i governi del Sud.

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Fonte: http://alainet.org/active/48721

15 agosto 2011

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE

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