LE CITT COSTIERE E I PORTI DEL MEDITERRANEO

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DI RAFI SEGAL, YONATHAN COHEN E MATAN MAYER
Open Democracy

Il tentativo di partenza della Freedom Flotilla 2 dalla Grecia e la conseguente debacle politica hanno evidenziato le linee di frattura geopolitiche che sono sparse per il Mediterraneo. Ma ha anche rivelato il potenziale del Mar Mediterraneo per poter fornire un approccio alternativo a questa regione travagliata da stalli politici, stagnazione economica e conflitti.
Gli arrivi sulle imbarcazioni

Pronti a salpare le ancore da vari
porti della Grecia: Americani, Europei, Arabi, Palestinesi e Israeliani,
Cristiani, Musulmani ed Ebrei, tutti diretti verso Gaza per portare aiuti umanitari e per esprimere il loro sostegno alla gente di Gaza. Diverse imbarcazioni che trasportavano persone di età e estrazioni differenti, compresi un numero sproporzionato di giornalisti, in attesa del segnale di partenza per entrare nel Mediterraneo. Il governo israeliano e le forze armate si sono opposte. Considerano la flotilla un affronto alla loro sovranità sul mare, sulle acque che si stagliano davanti alle loro coste (dato che ogni paese del Mediterraneo reclama il controllo delle proprie frazioni di costa). Ma gli organizzatori della
flotilla per Gaza hanno insistito per arrivare via mare. All’inizio hanno evidenziato la necessità di consentire l’arrivo degli aiuti umanitari alla popolazione sottoposta al blocco navale. Successivamente, dopo l’intervento del Segretario Generale dell’ONU, la Grecia ha offerta agli organizzatori della flotilla un compromesso, quello di spostare i carichi di aiuti dalle navi della flotilla nelle imbarcazioni del governo greco per trasferirli a Gaza dal porto di Ashdod (in Israele) o da quello di Arish (in Egitto) e poi trasportarli via terra a Gaza sotto la supervisione della Grecia e delle autorità delle Nazioni Unite. Gli organizzatori della flotilla hanno declinato l’offerta, intenzionati ad arrivare direttamente al porto di Gaza via mare. La loro missione pretende il diritto di accesso a Gaza, così come il diritto di navigazione.

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Le nazioni dell’Unione del Mediterraneo (in alto), che si estende su tutto il Mediterraneo, verso la rete di città portuali (in basso) che convergono sul mare come uno spazio aperto.

Un mare unificato?

La flotilla è una protesta
politica indipendente e internazionale. Anche se le navi trasportano
materiali essenziali alla gente di Gaza, la ragion d’essere è quella di dare visibilità alla solidarietà. Forse quello che guida gli organizzatori della flotilla è una visione romantica e ingenua della navigazione
marina, di tempi passati in cui le acque del Mediterraneo erano vettori
di idee culturali e politiche. Ma quale messaggio possono portare oggi
poche imbarcazioni civili, in un periodo in cui sono presenti mezzi di comunicazioni e proteste molto più efficaci? Perché questa insistenza
nel voler traversare il mare? E cosa rappresenta il mare, in modo particolare il Mediterraneo, per le parti in causa e per gli spettatori globali? La storia della flotilla non solo evidenzia alcuni dei
conflitti regionali e delle complessità politiche; rivela anche
il potenziale del Mar Mediterraneo per fornire un terreno comune alternativo per una regione intrappolata negli stalli politici, nei conflitti e
nelle guerre.

Da sinistra: il Mediterraneo, Kitāb Gharā ‘ib al-funūn wa-mulah’ al-‘uyūn, XI secolo Egitto;
Ricostruzione dell’Orbis Terrarum 20 A.D

Il Mediterraneo è spesso considerato

come la culla della civilizzazione occidentale; nel corso della storia

dell’uomo, i suoi popoli, le culture e le città hanno segnato e ispirato

le società di tutto il mondo. Molti hanno evidenziato che la nozione

dell’”uomo misura di tutte le cose” avrebbe potuto nascere solo

lungo le coste del Mediterraneo. Questo concetto deriva dal ruolo storico

del Mediterraneo e dalle sue caratteristiche fisiche. Le peculiari qualità

geografiche e oceanografiche – acque relativamente calme, basso impatto

delle maree, uno sviluppo del vento prevedibile, la ricchezza e la facilità

di pesca e la varietà di baie naturali protette utili all’uomo –

ha offerto condizioni eccellenti per l’habitat

dell’uomo e hanno consentito scambi notevoli tra le popolazioni, le

merci e le idee. Per secoli il mare ha giocato un ruolo centrale nella

vita dei popoli e delle civiltà che lo circondavano. Ha svolto un ruolo

essenziale nella percezione dello spazio e dei continenti affacciati

su di esso. I miti e le leggende hanno dato spessore agli aspetti culturali

del mare come territorio a sé stante, scatenando l’immaginazione

di artisti, poeti, uomini di stato, imperatori e pirati. Dal tempo degli

Imperi Greci, Romani, Arabi e Ottomani, il Mar Mediterraneo è stato

riprodotto nelle carte geografiche come l’elemento comune della regione,

quello che racchiude tutto quello che lo circonda, come una figura che

prende forma dal suo potere catalizzatore.

Anche in questi giorni, guardare le

coste del Mediterraneo dal mare offre una sensazione di unità

sorprendente. Le città costiere di paesi, identità e popoli

diversi sembrano così simili che non si riescono a distinguere

le nazionalità. Lo strapotere dell’orizzonte marino fornisce un’esperienza

di uno spazio continuo dove le città sono unite da una linea orizzontale

che taglia i confini territoriali, le nazionalità, le storie e le fedi.

Beirut, Tel Aviv, Ancona, Tripoli, ad esempio, anche se fanno parte di

entità politiche distinte, sembrano sorelle. La vista dal mare mostra

similitudini notevoli: modelli di insediamento che si ripetono, siano

essi naturali o opera dell’uomo, e le caratteristiche ambientali,

la vegetazione, la forma del territorio e il clima. Le diversità, anche

se notevoli e ravvicinate, rientrano in un ambito familiare, e sono

la conseguenza di aspetti naturali comuni, determinati più dalla presenza

del mare che dalle terre. La storia moderna della regione, come il suo

presente, è caratterizzata dall’abbandono delle rotte commerciali

e dall’implosione dei centri urbani.

Le ultime ricerche (Plan Bleu

– Ambiente e Sviluppo nel Mediterraneo)

stimano che circa il 40% della costa del Mediterraneo è già stata

occupata da installazioni, strade, infrastrutture turistiche e da altre

forme di insediamenti umani. Le previsioni ipotizzano altri 300 chilometri

di aree edificate per anno, portando a una perdita di 3.000 chilometri

di aree costiere naturali per il 2025. Anche se la crescita urbana incontrollata

continua a diffondersi lungo tutta la costa, il Mar Mediterraneo rimane

comunque un posto desolato. Anche i suoi “panorami” continuano a

essere romanzati e commerciati, il suo ruolo di mediazione è del tutto

scomparso. Appare sulle notizie in modo infrequente e sporadico, solo

quando una nave di rifugiati scompare o quando le risorse sono oggetto

di disputa. Ma ci sono ragioni sempre più importanti per riportare

il mare a essere uno spazio collettivo. Dargli queste caratteristiche

favorirebbe iniziative di cooperazione per occuparsi dei pericoli ecologici

e ambientali, per coordinare, gestire e massimizzare i benefici della

sua attività di trasporto cargo, e per dare forza al turismo regionale.

Questo mare ha già visto un notevole

declino della sua importanza nello scorso secolo, e mentre le ideologie

degli stati-nazione si stavano rafforzando in modo significativo, il

suo ruolo è sempre venuto meno, allentando i legami tra i popoli che

occupavano il suo perimetro. Anche se in molti casi tutti questi paesi

hanno occupato il mare con lo sviluppo delle destinazioni turistiche,

si può dire che, da una prospettiva urbanistica, questi insediamenti

hanno spesso voltate le spalle al mare. La linea costiera è stata occupata

da due utilizzi che stanno tra loro agli antipodi: i porti come entrata

di servizio e cortile della città, e gli spazi turistici nelle aree

non industrializzate. Entrambi sono in completo isolamento dalla città

che li ospita, in molti casi creando un fronte recluso e controllato

che non interagisce con la vita urbana di tutti i giorni.

Un’Unione fallita

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Da sinistra: il presidente francese Nicolas Sarkozy con il presidente siriano Bashar al-Assad, Sarkozy con l’ex presidente egiziano Hosni Mubarak,
Sarkozy con il presidente Muammar Gheddafi

La carta geografica che riporta i ventisette

paesi che costeggiano il bacino del Mediterraneo è l’emblema del

presidente della proposta

del presidente francese Nicolas Sarkozy per la creazione di un’“Unione del Mediterraneo”, modellata sull’Unione Europea. Questa carta non rivela solamente le aspirazioni politiche del progetto, ma anche i suoi aspetti critici. Molti dei paesi proposti per aderire all’unione, come mostrato nella carta, si collocavano geograficamente e culturalmente ben oltre il Mediterraneo e questo avrebbe portato inevitabilmente nella partnership istanze nazionali, politici ed economiche che non sono necessariamente collegate alla regione mediterranea. Dal 2008 Sarkozy ha avviato una serie di colloqui con i leader delle nazioni che si affacciano sul mare, in modo particolare con quelle del sud, con l’intenzione di promuovere l’iniziativa. La Francia ha una posizione che potrebbe meglio servire da ponte tra i paesi nordafricani e mediorientali del mondo arabo e i paesi europei che convividono la parte settentrionale del bacino. Ma questa versione dell’unione tra le nazioni del Mediterraneo era destinata al fallimento ancora prima di prendere nascere. Il suo inevitabile collasso era dovuto alle intenzioni fin troppo ambiziose, agli errori di lettura delle differenze sociopolitiche, culturali e religiose che esistono tra i potenziali
membri, e anche a eventi imprevisti come la Primavera Araba del 2010.

Per di più, aspirava non solo a risolvere i conflitti in tutto il Mediterraneo ma anche a mediare le divergenze tra il sud arabo islamico e il nord euro-cristiano. Le molte obiezioni avanzate dagli altri membri dell’UE contro l’unione (e contro la leadership della Francia) hanno anche loro contribuito all’insuccesso. L’idea di Sarkozy di un’Unione del Mediterraneo modellata sull’Unione Europea era troppo inserita in un’ideologia modernista che si raffigurava un nuovo Mediterraneo animato dalla piena partecipazione delle sue nazioni. In quest’aspetto, somigliava molto all’immagine che Shimon Peres aveva del Medio Oriente. I due possono essere accomunati da un’agenda politica che vuole imporre un nuovo ordine, una nuova realtà per sostituire quella esistente.

Un tentativo di alleanza

La acque del Mediterraneo offrono una

differente ideologia, una diversa logica organizzativa. Vi si può

decifrare una rete di connessioni nelle quali il Mar Mediterraneo diventa

il mezzo che rafforza le città portuali e sfida l’incapacità

degli stati-nazioni di sfruttare gli interessi

economici, sociali e quelli

ecologici al di là dei confini. Istituire un’alleanza basata sulla

partecipazione delle città, invece che degli stati, potrebbe contribuire

a concentrare gli sforzi per sviluppare e rivitalizzare i vecchi porti

esistenti come parte di un sistema regionale di turismo, commercio,

servizi e industria. La migliore comprensione del mare come risorsa

condivisa, che deve essere protetta e meglio gestita, incoraggia un

nuovo urbanismo regionale: una rete di città costiere collegate da

rotte marine, infrastrutture e energia in comune, da pianificazioni

regionali e altro ancora.

Le città costiere dovranno ri-abbracciare

i propri porti, che devono diventare creatori di uno sviluppo urbano

sostenibile sia all’interno che verso il mare. Un’alleanza dei porti

delle città portuali del Mediterraneo non cercherebbe di sostituirsi

all’ordine degli stati-nazione, ma potrebbe fornire un sistema che

operi in parallelo, favorendo la nozione di Civiltà in cui la cittadinanza

parte dal livello locale, più che dalle nazionalità e dalle identità

nazionali. Gli scambi regionali e internazionali hanno già stabilito

legami transfrontalieri per molte città portuali del Mediterraneo,

ma questi dovranno essere molto più sviluppati. Inoltre, le caratteristiche

peculiari delle città portuali – sono essenzialmente secolari, prive

di componenti o luoghi religiosi, multiculturali e etnicamente variegate

con una presenza forte di immigrati – le hanno rese più tolleranti

rispetto alle altre, rendendole più adatte per prendere parte a un

sistema regionale.

Le città portuali hanno la chiave

per la prosperità economica della regione nel futuro. Le esportazioni

delle industrie europee verso i mercati asiatici e la continua dipendenza

dall’Africa per i prodotti e materiali necessari a molte delle industrie

presenti in Europa hanno portato a un incremento del trasporto cargo

all’interno del Mediterraneo. La domanda europea di beni di consumo

non è diminuita, anche se sempre più produzione viene effettuata fuori

dall’Europa. Le merci trovano la strada del ritorno per l’Europa

principalmente via nave. Altri mezzi di trasporto come l’aereo o i

trasporti su camion sono limitati, sia in termini di capacità sia come

affidabilità delle rotte che stanno diventando sempre più congestionate

e costose. La ferrovia è un mezzo di trasporto essenziale, ma ha ancora

troppi ostacoli geografici, tecnici e politici per attraversare le nazioni.

La qualità naturali del bacino del Mediterraneo, in modo particolare

la sua geografia e le infrastrutture esistenti nei porti rendono la

navigazione il mezzo di trasporto da preferire.

Inoltre, il continuo aumento della

densità della popolazione e dell’industrializzazione lungo la gran

parte della costa del Mediterraneo ha provocato notevoli sfide ambientali.

Anche se sono ancora più evidenti in alcune sub-regioni del bacino

del Mediterraneo, queste sfide sono particolarmente severe in tre ambiti:

l’inquinamento dalle attività terrestri, collegate allo smaltimento

delle sostanze tossiche nelle acque del Mediterraneo; la gestione delle

falde acquifere costiere, che ha portato a una costante sovra-estrazione

e una degradazione della qualità dell’acqua lungo le coste del Mediterraneo;

e la conservazione della diversità biologica, uno sforzo per mantenere

la funzionalità a lungo termine del Mediterraneo come ecosistema marino.

Se queste sfide venissero condivise dall’intera regione, il successo

nella mitigazione di tutte queste richiederà una notevole collaborazione.

Siccome molti porti del Mediterraneo sono stati creati prima dell’espansione incontrollata

successiva alla Seconda Guerra Mondiale, si sono spesso trovati a fianco

delle parti più nuove e più vecchie della città. Occupano un’area

relativamente estesa nelle città e vi trovano posto varie importanti

infrastrutture: impianti per la navigazione, per le ferrovie, per l’accesso

degli automezzi, e industrie che in molti casi sono scomparse e hanno

lasciato come traccia strutture abbandonate ed edifici sottoutilizzati.

Malgrado siano in prossimità della costa, la gran parte degli immobili

vicini ai porti non sono ambiti come ci si potrebbe immaginare. Dal

punto di vista urbanistico, i porti sono stati tagliati fuori dalle

città (anche come misura di sicurezza) e sono zone destinate a un solo

utilizzo infrastrutturale. L’architettura e l’urbanistica dovranno

re-inventare una relazione tra il porto e la città. Istituire una rete

di città portuali potrebbe consentire il miglioramento e lo sviluppo

di infrastrutture che siano più efficienti e che allo stesso tempo

potrebbe consentire di liberare spazio per altre attività. I principi

della pianificazione dovrebbero essere guidati dalle domande e dalle

necessità della rete regionale insieme a quelli delle singole nazioni.

Un risultato fondamentale di una tale strategia su queste città portuali

sarebbe quella di incrementare il turismo e il movimento delle persone

per lavoro. Se i porti del Mediterraneo iniziassero a elaborare nuovi

programmi e a consentire l’accesso di industrie locali, regionali

e internazionali sulle soglie delle città, potrebbero richiamare gli

altri abitanti delle città costiere per dirgli che “Il mare è aperto,

la città, il nostro capitano, è in attesa”.

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Fonte: http://www.opendemocracy.net/rafi-segal-yonatan-cohen-matan-mayer/seabound-cities-and-Mediterraneo-ports

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE

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