LE BOMBE DI BLAIR

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La guerra portata in Iraq è ritornata in maniera devastante in Inghilterra. Come era tragicamente prevedibile, le tante rimozioni fatte dall’opinione pubblica inglese sugli orrori iracheni sono esplose ieri nel centro di Londra. Come Alice nel «Paese delle meraviglie» è inutile chiedersi dov’è l’uscita. Per cercarla bisogna cambiare politica verso il mondo povero

di JOHN PILGER

Le bombe che hanno causato morte e distruzione a Londra sono cominciate ad arrivare il giorno in cui Tony Blair si è unito a George Bush nella sanguinosa invasione e nell’occupazione dell’Iraq. Nessuno dubita che queste siano «bombe di Blair». Per la verità, nella fase che ha preceduto l’invasione dell’Iraq, l’unica segnalazione dell’intelligence britannica rivelatasi affidabile è stata la previsione di «un brusco aumento del terrorismo, con la Gran Bretagna e i britannici come bersagli»

Tre settimane fa un rapporto segreto della Cia avvertiva che l’invasione dell’Iraq ha trasformato il paese in un punto focale del terrorismo. Prima dell’invasione, nessuna agenzia di intelligence considerava l’Iraq in termini così critici. Al contrario, nel 2003 la Cia riferiva che l’Iraq «non ha esportato alcuna minaccia terroristica verso i suoi vicini», e che Saddam Hussein era «ostile ad Al-Qaeda». L’invasione anglo-americana ha cambiato tutto questo. Invadendo un paese indifeso al centro del mondo arabo, l’avventura di Blair ha ora portato in Gran Bretagna gli orrori quotidiani dell’Iraq. Per un anno Blair ha cercato di distogliere gli inglesi dall’Iraq, e questa settimana sembrava che i suoi «spin doctors» e la buona sorte stessero giocando a suo favore. Essere riuscito a fare aggiudicare a Londra le Olimpiadi del 2012 aveva contribuito a creare l’effimera illusione che tutto andasse bene, nonostante i continui atti di barbarie in corso in un paese lontano. Soprattutto, la riunione del G8 in Scozia e il circo di «Make Poverty History» che l’ha accompagnata sono serviti a coprire quello che è il maggiore scandalo politico dell’epoca moderna: un’invasione illegale e rapace giustificata da bugie dimostrabili. Nelle ultime due settimane, il contrasto tra l’informazione sul G8, le sue marce e i concerti pop, e un altro evento «globale» in Turchia, è stato indicativo. Il Tribunale Mondiale sull’Iraq a Istanbul praticamente non è stato riportato dai media, eppure le evidenze che ha prodotto, le più scottanti fino a oggi, sono state lo spettro del G8.

Il tribunale è una seria indagine pubblica internazionale sull’invasione e sull’occupazione, del tipo che i governi non osano tenere. Le sue testimonianze oculari, ha detto a Istanbul la scrittrice Arundathi Roy, «dimostrano che anche quelli di noi che hanno cercato di seguire la guerra da vicino conoscono solo una minima parte degli orrori avvenuti in Iraq».

La testimonianza più scioccante è stata resa da Dahr Jamail. A meno che non lo leggiate su Internet, non sapete chi sia. Non è un simpatico blogger di Baghdad. A mio parere, è il miglior reporter che lavori in Iraq. Al suo confronto, quelli che vanno al seguito delle truppe con i loro giubbotti antiproiettile e masticano gomme, conosciuti come «giornalisti embedded», scompaiono. Libanese con cittadinanza americana, Jamail è stato in quasi tutti i luoghi dell’Iraq dove i giornalisti embedded non sono stati.

A Istanbul, Jamail ha portato la sua testimonianza di reporter indipendente sulle migliaia di iracheni torturati ad Abu Ghraib e in altre prigioni americane. Il suo racconto di quello che è accaduto a un funzionario della pubblica amministrazione a Baghdad è stato emblematico. Quest’uomo, Ali Abbas, era andato in una base Usa a indagare su alcuni suoi vicini scomparsi. Alla sua terza visita è stato arrestato senza che gli fosse contesta alcuna accusa, denudato, incappucciato e costretto a simulare atti sessuali con altri prigionieri. Questa era la procedura standard. È stato colpito sui genitali, sottoposto a scariche elettriche anali, gli è stata negata l’acqua ed è stato obbligato a osservare mentre il suo cibo veniva gettato via. Gli è stato puntato alla testa un fucile carico per impedirgli di gridare dal dolore, mentre i suoi polsi venivano legati così stretti che gli sanguinavano le mani. È stato immerso nell’acqua fredda mentre un ventilatore veniva tenuto vicino al suo corpo.

«Hanno acceso un altoparlante – ha raccontato (Abbas) a Jamail – mi mettevano le casse vicino alle orecchie e dicevano: ‘stai zitto, fotti, fotti, fotti!’». Gli hanno impedito di dormire. Gli hanno strofinato addosso gli escrementi e gli hanno aizzato contro i cani. «A volte, di sera, quando leggeva il Corano – ha raccontato Jamail – (Abbas) doveva tenerlo in mano nel corridoio per avere un po’ di luce. I soldati prendevano a calci il Corano, e a volte hanno cercato di urinarci sopra o di strofinarci gli escrementi». Una donna soldato gli ha detto: «il nostro obiettivo è spedirti all’inferno… Questi sono gli ordini dei nostri superiori, trasformare la vostra vita in un inferno».

Jamail ha raccontato come gli ospedali di Falluja siano stati soggetti a una tattica americana di punizione collettiva: i marines Usa aggredivano il personale e impedivano ai feriti di entrare, i cecchini americani sparavano alle porte e alle finestre impedendo che le medicine e il sangue per le trasfusioni arrivassero a destinazione. Ci sono stati casi di bambini uccisi davanti ai loro genitori, gli hanno sparato a freddo.

I due uomini responsabili di questo, Gorge Bush e Tony Blair, sono arrivati sorridenti alla riunione del G8 a Gleneagles. A differenza che per il Tribunale sull’Iraq l’informazione è stata tantissima, eppure nessuno del «mainstream» – dai giornalisti «embedded» agli organizzatori di «Make Poverty History», alle celebrità accreditate e accettabili – ha tracciato un ovvio collegamento con quello che Bush e Blair hanno fatto in Iraq. Nessuno si è alzato in piedi per dire che il fumo negli occhi della «cancellazione del debito» di Blair corrisponderebbe, nella migliore delle ipotesi, a meno del denaro che il governo spende in una settimana per brutalizzare l’Iraq. In questo paese, la violenza britannica e americana ha causato il raddoppio della povertà e della malnutrizione infantile da quando Saddam Hussein è stato defenestrato (fonte Unicef).

Il tema della settimana del G8 è stato il modo in cui il vero dissenso e la verità sono stati messi sotto silenzio, pacificati, cooptati. Le immagini nauseanti proiettate sugli schermi giganti dietro le pop star a Hyde Park ammiccavano a un’ignoranza deliberata e autocompiaciuta. Non c’era nessuna delle immagini che la televisione si rifiuta di mostrare: quelle dei medici iracheni uccisi, con il sangue che gli cola dalla testa, abbattuti dai cecchini di Bush. Sulla copertina del Guardian, si celebrava «l’Età dell’Ironia» mentre la vita reale è diventata più satirica di qualsiasi satira. C’era Bob Geldoff che riposava il suo viso sorridente sulla spalla di un Blair anch’egli sorridente, il criminale di guerra e il suo giullare che è stato fatto cavaliere. Altrove, un Bono eroicamente stagliato in controluce si complimentava con uomini come Jeffrey Sachs, ritenuto un salvatore dei poveri del mondo e allo stesso tempo elogiava la «compassionevole» guerra al terrore di George Bush come uno dei più grandi successi ottenuti dalla sua generazione. E c’era anche Brown, colui che ha imposto le ingiuste regole commerciali, il quale, incredibilmente, dichiarava che «regole commerciali ingiuste sono catene per i poveri»; e Paul Wolfowitz, che sorrideva raggiante accanto all’Arcivescovo di Canterbury: questo è l’uomo che, prima che gli fosse consegnato il controllo della Banca Mondiale, ha escogitato molta parte del cosiddetto golpe neo-con di Bush, la bugiarda giustificazione del bagno di sangue in Iraq, e la nozione di «guerra infinita».

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E se vi siete persi tutto questo, c’è un kit PDF scaricabile da una e-mail «one Campaign» per «aiutarvi a organizzare il vostro party Live8». La cancellazione dei cantanti e dei gruppi africani, parcheggiati dove Geldoff ha decretato, in un parco a tema sull’ambiente in Cornovaglia lontano dal tanto decantato pubblico globale, è stato giustamente definito da Andy Kershaw un «apartheid musicale».

«Iraq» era una parola tabù. La morte di più di 100.000 civili è stata cancellata dal dibattito pubblico. C’è mai stata una censura così completa, insidiosa e ingegnosa come questa? Persino quando Stalin cancellava i compagni purgati dalla fotografia annuale in cima al mausoleo di Lenin, il popolo russo era in grado di colmare le lacune. Nell’era di Blair, il battage mediatico e culturale fornisce armi propagandistiche infinitamente più potenti. Per Diana, c’è stato il cordoglio attraverso i media. Per l’Iraq, c’è stata la guerra attraverso i media. Ora c’è la distrazione di massa attraverso i media, una normalizzazione dell’indicibile, secondo cui «lo stato ha perso la testa e sta punendo tanti innocenti», come scriveva il commediografo Arthur Miller, «e così l’evidenza deve essere negata internamente». Invece, Blair e il suo tesoriere Gordon Brown hanno proclamato «una grande crociata morale» per salvare i poveri del mondo.

Grazie alla benedizione di Bono, Madonna, Paul McCartney, e naturalmente di Geldoff – il cui Live Aid ventun’anni fa non portò a nulla per la popolazione dell’Africa – i predatori e i prestasoldi contemporanei di quel continente, piazzati con i loro uffici a Londra, Washington e Bruxelles, hanno messo a segno una truffa senza precedenti: l’antitesi del 15 febbraio 2003 quando due milioni di persone hanno portato il loro cuore e il loro cervello nelle strade di Londra.

«(La nostra) non è una marcia nel senso di una dimostrazione, ma è più una camminata» ha detto Bruce Whitehead di «Make Poverty History». «L’enfasi è sul fatto di divertirsi e prendere il sole. L’intenzione è di dare il benvenuto in Scozia ai leader del G8 e chiedere loro di attuare la giustizia commerciale, la cancellazione del debito e di fornire maggiori aiuti ai paesi in via di sviluppo».

Nel classico di Lewis Carroll, Alice chiede al Gatto del Cheshire e al Cappellaio Matto di mostrarle la strada per uscire dal Paese delle Meraviglie. Loro lo fanno più volte, da questa parte, da quella parte, finché lei non perde la pazienza e il suo mondo dei sogni va in pezzi, svegliandola. Le persone uccise e mutilate in Iraq e la popolazione africana volutamente impoverita dai nostri governi e dalle nostre istituzioni, nel nostro nome, ci chiedono da tempo di svegliarci. Le bombe di Londra potrebbero averlo fatto.

(Traduzione Marina Impallomeni)

Link: http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/08-Luglio-2005/art154.html

Per gli articoli di Dahr Jamail citati nell’articolo vedi anche
http://comedonchisciotte.org/controinformazione/modules.php?name=News&file=article&sid=1087

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