FONTE: Cluborlov.com
Di settimana in settimana diventa sempre più evidente a un numero sempre maggiore di persone che la crescita economica è finita. Lo sviluppo economico, basato sul vecchio
modello, che il segretario dell’ONU Ban Ki-Moon ha recentemente definito
come il “patto suicida globale”, è di fatto condizionato
dai limiti delle risorse naturali del pianeta: energia, terra coltivabile
ed acqua su tutte le altre, il tutto ulteriormente aggravato dai disastri
meteorologici la cui frequenza aumenta a causa della rapida destabilizzazione
del clima globale.
A partire dalla crisi finanziaria del
2008 a mala pena scongiurata, gli indicatori aggregati della crescita
economica sono stati nel migliore dei casi deboli quando non negativi,
non fosse stato per una eccezionale espansione del debito pubblico e
per le aggressive manovre finanziarie messe in atto dalle banche centrali
europea e americana. Questi metodi si rivelano efficaci fino ad un certo
punto.
È chiaro già da un po’ di tempo
che siamo arrivati ad un punto in cui i vantaggi dell’espansione del
debito si stanno riducendo: l’ulteriore espansione del debito pubblico
riduce il PIL invece di aumentarlo. Forse il prossimo passo è capire
che il debito pubblico è fuori controllo: continuerà a salire sia
che la spesa pubblica diminuisca o che aumenti. Da questo consegue che
il governo ha i giorni contati; ma in pochi sono pronti a fare questo
salto.
Di fronte a questo panorama di ristagno
economico, di decadenza e debito finanziario un solo settore sta vivendo
il suo momento d’oro: la Silicon Valley è di nuovo sulla cresta dell’onda
e le prime collocazioni sul mercato delle nuove società tecnologiche
vanno a gonfie vele. Il social networking e il mobile computing
sono in fermento, tanto che secondo alcuni saranno proprio loro a condurre
l’economia globale fuori dalla crisi. Secondo altri invece questo
segmento industriale è e continuerà ad essere sempre troppo piccolo
per compensare le carenze dell’economia globale tradizionale. Ma quello
che nessuna delle due parti sembra comprendere è questo: la sempre
maggiore predominanza della realtà virtuale e del social networking
nella vita quotidiana porterà ad una progressiva diminuzione del peso
dell’economia reale (per coloro che sopravviveranno e che avranno
a disposizione una connessione internet). Quello che questi nuovi prodotti
offrono è, per dirla in breve, evasione.
In un mondo di risorse in esaurimento,
dove la nostra parte di realtà va via via diminuendo, non c’è da
meravigliarsi se la realtà fisica non riesca a soddisfarci. Ma grazie
a questi nuovi, rutilanti e maneggevoli apparecchi elettronici, l’ormai
insoddisfacente mondo reale può essere messo da parte e sostituito
con una versione ripulita, vivace e splendente della società, in cui
dei piccoli avatar diffondono brevi messaggi. Nel mondo virtuale non
ci sono corpi sudati, nessun chiacchiericcio insopportabile, solo una
liscia, pulita e griffata esperienza virtuale.
Viaggiando in metropolitana a Boston
nell’ora di punta, ho potuto verificare quanto queste protesi mentali
elettroniche personali riescano a schermare le persone dalla vista dei
loro compagni di viaggio, i quali iniziano ad assumere sempre più l’aspetto
di una ciurma abbrutita, con sempre più persone in evidente stato di
ansia. Concentrando tutta la loro attenzione su quei piccoli schermi,
ai passeggeri viene anche risparmiata la vista delle nostre logore e
fatiscenti infrastrutture urbane. È come se per loro il mondo fisico
non esistesse davvero, almeno non se ne curano. Ma come già Orazio
aveva capito più di 2000 anni fa, ““Naturam expellas furca,
tamen usque recurret” (“Anche se caccerai la natura
con la forca, tuttavia ritornerà sempre”).
Se ignoriamo il mondo fisico, l’economia
reale – quella che di fatto dà da mangiare alle persone, le protegge
e le fa spostare sul territorio – si contrae e decade. Il risultato
inevitabile sarà che un numero sempre maggiore di questi ciber-viaggiatori
con i loro apparecchi verranno espulsi dalla rete, scompariranno e moriranno
con solo un tweet a dare notizia della loro dipartita.
E questa ovviamente è una vergogna:
una perdita terribile e non necessaria per la comunità della rete.
Certo, il processo di esaurimento delle risorse non può essere invertito,
come non si può evitare il catastrofico cambiamento climatico. Certo,
l’economia globale crollerà di conseguenza, e le persone moriranno.
Ma perché il loro profilo dovrebbe morire con loro? Almeno questo sembra
evitabile. Non solo, ma lasciare morire gli utenti è negativo per l’economia:
società come Facebook, Twitter, Google e molte altre tecnologiche vengono
giudicate in base al numero dei loro utenti. Alcune di esse potranno
non produrre molto in termini di utili, ma se hanno milioni di utenti,
allora il loro valore diventa evidente. Ma se l’economia tradizionale
continua ad isolarsi ed i suoi clienti iniziano a cadere come foglie in autunno, allora questo sarebbe negativo per la valutazione di
un’azienda e ne ostacolerebbe ulteriori finanziamenti.
Se l’economia troverà un metodo
di compensazione, allora i piani industriali andranno bene e la loro
innovativa piattaforma virtuale potrebbe addirittura contribuire a guidare
l’economia globale fuori dalla secca e, sempre per usare una metafora
nautica, raggiungere le basse acque costiere, forse, dove verrebbe carenata
e ben tenuta dagli abitanti del posto. Ma se ciò non accade, allora
sarebbe condannata. Condannata! Gli investitori non amano il suono della
parola “condannato”!
La soluzione è tanto ovvia quanto
poco intuitiva e ci arriva da un classico della letteratura russa: “Le
Anime Morte” di Nikolai Gogol. Vi si narra la storia di tale Chichikov,
il quale viaggia per le campagne russe, visitandone le proprietà e
cercando di convincere i proprietari a vendergli le anime dei loro contadini.
Una volta ottenuti i certificati dei contadini, Chichikov è dunque
in grado di utilizzarli come garanzia per ottenere prestiti e poi ipotecarli,
ovviamente omettendo il fatto che essi sono morti.
Allo stesso modo la soluzione per le
nuove società di social networking, nel futuro, sarà far
leva sugli utenti morti. Tutto sommato, sarebbe una cosa carina da fare:
perché lasciare che un profilo virtuale muoia con l’utente? Spesso
questa morte rappresenta un vero shock per gli altri utenti,
i quali molto probabilmente non hanno mai incontrato di persona il defunto
e ai quali non importa molto se si tratti di una persona reale o no.
Si diceva un tempo che in Internet nessuno sa se sei un cane; allo stesso
modo, lascia che nessuno sappia se sei vivo. In una società che sborsa
centinaia di migliaia di dollari per cure a pazienti terminali, perché
non utilizzarne una parte per l’aldilà virtuale? Per coloro che vivono
gran parte delle loro vite in internet, una tecnologia che prolunga
la vita dei loro profili oltre la morte fisica diventerebbe la tecnologia
che prolunga la vita per eccellenza, e un degno tributo.
La sfida è notevole dal punto
di vista tecnico, ma non certo insormontabile. Ad esempio, mettiamo
di avere un utente deceduto che ama i gatti. Ora, è risaputo che caricare
sul proprio profilo immagini di gatti è un buon modo di ottenere dei
karma point. In vita, il nostro defunto amante dei gatti avrebbe
immediatamente risposto con un breve messaggio tipo “UR KITTEH RLY
CUTE LOLZ” digitandolo probabilmente dal suo palmare. Dopo la sua
dipartita, la stessa azione verrebbe effettuata da un programma informatico.
Per parafrasare Cartesio, “digito, ergo sum”. Ecco un piccolo prototipo
di programma la cui codifica mi ha richiesto un minuto o due al massimo:
Con un piccolo sforzo questo stesso
codice può essere esteso a coprire anche tutte le altre applicazioni
online dell’utente ormai in eterno riposo. (naturalmente un metodo
più attuale di realizzare tutto questo sarebbe un web service.
Che, naturalmente sarebbe di tipo RESTful.
In questo modo, generare dei tweet,
sms e postare commenti, o addirittura generare interi blog post
in tutto simili a quelli di un utente vivo e vegeto, sono sfide tecniche
assolutamente realizzabili. Un problema ben più difficile da risolvere
sarebbe tenere il nostro utente defunto aggiornato su tutti quei nuovi
interessanti movimenti e mode che sfrecciano attraverso la rete a velocità
della luce. Il “planking” è proprio l’ultimo della
serie ad essere di moda.
Questo è il planking.
Ma il “planking” è ormai
storia della settimana scorsa, chi è fico oggi parla di “owling”.
Questo è l’owling.
Senza gli aggiornamenti sulle nuove
tendenze, il profilo del nostro defunto diventerebbe presto vecchio
e impopolare. Ma forse è così che deve essere: lasciamo che i vivi
accrescano la loro popolarità mentre i defunti vengono via via ignorati
dagli amici e poco linkati, scivolando pian piano nell’oblio.
Dopo tutto, tutto quello che facciamo è acquistare del tempo.
E l’ultimo ad uscire, per favore chiuda la “cloud”,
perché in fondo a che servirebbero dei morti che si parlano su un pianeta
morto?
Fonte: http://cluborlov.blogspot.com/2011/07/dead-souls.html
23.07.2011
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di F. R.